sabato 15 maggio 2021
Letture - 458
Balzac
– Un curiosone. Ha un segreto semplice secondo
Pavese (“Il mestiere di vivere”, 13 ottobre 1937): è curioso – “Balzac ha
scoperto la grande città come covata di mistero, e il senso che ha sempre
sveglio è la curiosità. È la sua Musa. Non è mai né comico né tragico, è
curioso”.
Hemingway
– Uno scrittore molto latino. Americanissimo nella
scrittura e nello stile di vita, ma emozionato, commosso, ispirato dal mondo
altino, a suo modo anche appassionato, alla Stendhal - e dall’Africa. Nel primo
movimento con migliore esiti, in Italia, Spagna, a Parigi, a Cuba. Rileggendo
“il vecchio e il mare”, e il primo abbozzo del racconto che è stato pubblicato
con la nuova traduzione de “Il vecchio e il mare”, la cosa si impone: più a suo
agio e comprensivo è nei modi di essere, di dire, di capire le cose (soprattutto
le sensazioni e i sentimenti, in “innuendo”, per accenni) e di esprimerle, del
mondo altino.
letterautore@antiit.eu
Il regime giudiziario
Salvini assolto a Catania e condannato a
Trapani. È stato detto, e si è avverato per la prima parte – nessun dubbio,
ancora oggi, che sarà condannato a Trapani.
La Corte dei Conti blocca il finanziamento di
ReiThera, per il “vaccino italiano”, senza motivazione, né formale né
sostanziale. Cioè senza perché. Che però si sa: è una sezione a orientamento Pd
che intende mettere sotto accusa l’ex commissario Arcuri. Non la persona di
Arcuri ma i suoi referenti politici, D’Alema e un’altra parte del Pd.
Nel mezzo
c’è l’attacco a Gratteri, in corsa per alcune posizioni di vertice nella
magistratura, con lo “scandalo” Renzi-Mancini, l’ex presidente del consiglio
Renzi che incontra il numero due o tre dei servizi segreti.
Si può pensarla anche così: chiodo schiaccia
chiodo. Si fa uno scandalo nuovo per obliterare il vecchio: Davigo per
Palamara, Gratteri per Davigo, Salvini di qua e Salvini di là, e D’Alema punching-ball universale – un piccolo
Craxi: di riforme non bisogna nemmeno accennare, i giudici si fanno
cattivissimi (lo saranno anche con Renzi? Sì).
È una giustizia attesa perché fatta di
schieramenti: sinistra contro destra, e sinistra contro sinistra – i
regolamenti di conti nel Pd superano quelli con la destra (per tutti il caso
Storari-Greco). Una giustizia che si dice “politica”, cioè politicizzata, obbediente
cioè a schieramenti politici, ma di cui non si vedono gli agganci: è una
giustizia autoreferente. Un regime. Vagante ma autoprotettivo.
Il regime giudiziario ha demolito l’Italia, e non
gli basta, non si ferma. Nell’ebbrezza da impunità, che non c’è nemmeno nella
Corea del Nord.
Già si raccolgono carte contro Cartabia e contro
Draghi. Si dice, e sarà vero. Si sa pure l’orizzonte del dossier: tra otto-nove
mesi, per bloccare la candidatura di uno dei due al Quirinale.
Il giallo in Arizona - o il falso falso
Non proprio tutto ma c’è
molto. Molto corretto. Il turismo Navajo migliore del turismo non Navajo. La
guerra stupida. I mutilati della guerra in Iraq - c’è anche Nassiriya.
L’affarista del turismo non-Navajo avido e corrotto. Tutte le buone cause. E
anche due romanzi in uno: uno secondario di tipo western, con fucilate e
scotennamenti, sempre a danno dei Navajo – e qui entra in gioco un Hopi,
cattivo. Ma di tipo esotico.
Siamo infatti in
Arizona. In un riserva indiana, fuori Flagstaff. Dove tutto sembra essere stato
indagato da Faletti e ricostruito per bene, di precisione – si parla anche
navajo (ma un arco da caccia, anche se si evoca “Rambo 2”, da “un’ottantina di
libbre”?). Per cinquecento però densissime pagine. Ogni capitolo un set diverso,
che rallenta la lettura, e presto la fa indigesta. Con l’effetto non
commendevole degli svelti gialli “bostoniani” del primo Scerbanenco, di falso
falso.
Sarà tutto vero,
Flagstaff, i Navajo, il turismo etnico, i mezzosangue “bianchi” e quelli
indiani, per parte di madre. Ma non sembra. O Faletti si è voluto divertire del
lettore? In esergo mette un Barboncito, capo Navajo (molti capi Navajo hanno
nomi castigliani...), che a maggio del 1868 avrebbe detto: “Io spero in Dio\
che non mi chiederete\ di andare in nessun altro paese\ tranne il mio”.
Giorgio Faletti, Fuori
da un evidente destino, Baldini Castoldi Dalai, remainders, pp. 499 € 2,06
venerdì 14 maggio 2021
Ombre - 562
Esilarante
quadro fa Ceccarelli sul “Venerdì di Repubblica” della Banda Larga, “new Ponte
dello Stretto” - una cosa che si è portati a pensare già fatta, da tanto che se
ne parla, e invece non c’è, anche se necessaria e anzi indispensabile, a
differenza del Ponte. Con gli innumeri ministri dell’Innovazione, tutti postelegrafonici,
da Lucio Stanca, 2001, a Vittorio Colao in carica, impegnati a fregarsene - la danno
per realizzata…
Ceccarelli
però sbaglia data. Non è da vent’anni che se ne parla a vuoto, è da trenta: il
progetto Socrate fu proposto ai primi del 1990 e avviato al 1995 (molte spirali
di gomma sono ancora piantate davanti alle abitazioni in molti paesi), ma
presto bloccato: dapprima dalle città, che volevano dare loro gli appalti e i
subappalti (Bologna, Venezia, Roma, Torino), poi perché la Stet-Sip andava
privatizzata, e non doveva costare troppo:
http://www.antiit.com/2020/03/litalia-senza-rete.html
I
morti di covid non sono tre milioni ma dieci milioni, calcola “The Economist”,
“usando dati noti su 121 variabili, dalle morti registrate alla demografia”:
“La nostra stima è che 10 milioni sono morti che avrebbero potuto continuare a vivere
– più di tre volte la cifra registrata”. La maggior parte dei circa 6,7 milioni
di morti che nessuno ha conteggiato è avvenuta in paesi poveri”.
Non
è solo il solo esito dello studio: “Il virus si è diffuso senza rimorsi dai
paesi ricchi a quelli poveri”.
Una
ragazza bullizzata da Priti Patel si merita l’attenzione di “la Repubblica”:
doveva fare la baby-sitter, con contratto, a Londra ed è stata rispedita a
casa, dopo innumerevoli perquisizioni corporali, spintoni (la polizia
britannica è disarmata ma può usare le mani e i gomiti), e un po’ di carcere,
senza vitto. Non è la prima, e non è un caso raro, contrariamente a quanto sostiene
l’ambasciatrice inglese a Roma - meraviglia anzi che la ragazza si sia
avventurata.
Questa
Pratel, superconservatrice, ministra degli ultimi governi conservatori e ora di
quello dell’Interno, è figlia di indiani
dell’Uganda, presunti profughi politici a Londra. Gente da poco, piccoli
commercianti, che stavano in Africa come in colonia, nazione a parte,
“superiore” . Governati dall’Asia, sarà dura.
“La
specie sbagliata di conservatorismo”, titola “The Economist”. A proposito del
governo britannico: “Boris Johnson vuole un governo forte che comprime le libertà
civili”. Normalmente molto citato in Italia, l’“Economist” è ignorato questa
volta.
Pratel
si tiene nella “riserva della Regina” per la futura trovata del reame: un primo
ministro donna e di colore. Ha esordito nel governo Johnson a metà febbraio
dell’anno scorso dicendo alla tv: “Odio gli europei, gli scozzesi e gli
irlandesi”. Lo disse ridendo. Ma, si vede, sardonica: l’Inghilterra va persa
sul serio.
Una
serie di bombe collocate con cura a Kabul attorno alla scuola femminile per uccidere più
ragazze possibile. Non un atto dimostrativo: una carneficina,
mirata. Una professione di misoginia incredibile se non fosse avvenuta. Non la prima volta, e non l’ultima. Che civiltà è, che religione?
Uccidono
le ragazze che vanno a scuola in Afghanistan movimenti (Is, Taleban) che hanno
donne tra i sostenitori più fedeli e entusiasti: kamikaze, artificieri,
organizzatrici, spie, prefiche di sangue. Non è nemmeno misoginia: la barbarie
esiste.
Bertolaso
nicchia, sa di che si tratta. Il Pd invece va spavaldo alla sconfitta,
dividendosi fra candidati, il modo sicuro per perdere. Bertolaso probabilmente
sa, ma lo sanno tutti a Roma, che Raggi è la signora delle periferie. Delle Tor
Bella Monaca e similari, fornite di giardini, chiese d’autore, teatri, e tutto
l’occorrente, ma sempre “a lamentasse”, che votano Raggi all’80 e anche al 90 per
cento – per loro c’è stato comunque un posto o un appaltino.
Roma
non è una capitale ma un paesone - una accolta di paesoni, molto pretenziosi.
Conte:
“Il mio governo caduto per convergenza interessi economici e politici”. Ha
detto nulla.
Gli
“interessi”, certo, disturbano il suo elevato sentire, Conte e Grillo saranno
per lo “stato etico”, sotto le specie del “vaffa”. Salve le consulenze per gli
interessi.
“Storari
ha danneggiato le indagini”: portando fuori le carte del denunciatore Amara, il
pm milanese ha di fatto evitato che l’inchiesta seguisse il suo corso – ormai
tutti i soci della loggia “Ungheria” sono avvisati, se ce n’è una. Bisognava
pensarci – siamo in epoca di gialli, e non si pensa a questo trucco? Ci ha
pensato il procuratore capo di Storari, Greco. Bella caccia, a guardia e ladri.
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Si dice in città
Muti cacciato dalla Scala
Le
sfuriate di Muti contro la Scala, nel camerino della Scala, fanno il pieno dei
giornali. Nessuno dei quali dice però quello che tutti sanno: che Muti è stato
cacciato, proprio così, dalla Scala sedici anni fa, perché “non in linea” con l’orchestra
e col sindacato del complesso, la Cgil vecchia Pci – fu recuperato dal
centrodestra, a Roma, al teatro dell’Opera, un’orchestra di nullafacenti
(allora; due anni di Muti l’hanno trasformata e ora suona perfino meglio della
Scala), e poi dalla Chicago Symphony Orchestra.
Si
tace anche che il sovrintendente attuale, Dominique Meyer, che si è speso per
recuperare Muti alla Scala, ha dovuto inventarsi un ridicolo sdoppiamento della
riapertura, facendo precedere Muti e i Wiener Philarmoniker dall’orchestra della
Scala con Chailly, in un concerto raffazzonato. Si dice: bizzarrie da “primedonne”.
E invece è la politica, sinistra anche a Napoli oltre che alla Scala: il
sovrintendente del San Carlo Stéphane Lissner, ex della Scala, dove fu chiamato
nel 2005 dalla Cgil alla cacciata di Muti, da poco sovrintendente del San Carlo, per prima cosa ha annullato i contratti che il teatro aveva con Muti.
A causa del lockdown, certo, ma senza
rinnovare i contratti per altra data. Ora, siccome Muti è sincero democratico, e
impegnato in tutte le buone cause, che dobbiamo pensare della Cgil e del suo
Lissner?
Curiosa
dimenticanza la cacciata di Muti dalla Scala - che lui continua a chiamare la casa, come Toscanini. Anche perché ghiotta per le
cronache come usano, del pettegolezzo. Vige ancora la “linea”, nei giornali? Si
capisce che nessuno li legga.
Ma,
poi, questa è l’Italia: in Italia Muti si è dovuto creare una sua orchestra e
un suo festival.
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Sinistra sinistra
Baudelaire filosofo del riso
Il saggio più radicale, quasi avversativo, sul riso è di Baudelaire
giovane, radicato nel pessimismo cristiano. Nel saggio del titolo, “De
l’essence du rire et généralement du comique dans les arts plastiques” –
assortito in questa raccolta di un saggio sui caricaturisti franecsi e di uno
su quelli stranieri. Tre scritti del 1857, simultanei della prima pubblicazione
dei “Fiori del male”.
Più che un’analisi, un’accusa: “Il comico è un elemento dannabile di
origine diabolica”. Il nocciolo riprendendo da Philippe de Chennevières (“Jean
de Falaise”), “Contes normands”, di quattro anni prima, storico dell’arte e
scrittore, coetaneo e amico: “Nel paradiso terrestre… la gioia non era nel
riso”. Il riso è come le lacrime, una passione violenta: “La gioia e le lacrime
non possono farsi vedere nel paradiso di delizie”.
Di suo Baudelaire è violento: ”Il riso vien dall’idea della propria
superiorità. Idea satanica se mai ce ne fu una! Orgoglio e aberrazione.” E
ancora: “Il riso è una delle espressioni più frequenti e più numerose della follia”. Il riso è “un sintomo di debolezza”. Insomma,
“il riso è satanico, e dunque profondamente umano”. E cioè “profondamente
contradittorio… Segno di una grandezza infinita e di una miseria infinita –
miseria infinita relativamente all’Essere assoluto di cui possiede il concetto,
grandezza infinita relativamente agli animali”.
Non è un segno di saggezza: “Il saggio non ride che tremando”. Anche
se “non è l’uomo che cade che ride della sua propria caduta, a meno che non sia
un filosofo”, che non abbia acquisito la capacità di sdoppiarsi, di vedersi
fare. “Gli aniamli più comici sono I più seri, come le scimmie e i pappagalli”.
Il riso dei bambini è altra cosa, è gioia. “Una gioia di pianta”,
un’efflorescenza: “La gioia di ricevere, la gioia di respirare, la gioia di
aprirsi, la gioia di contemplare, di vivere, di crescere”. La chiave? “È in
noi, cristiani, che è il comico”. Il riso distinguendo, come malefico, una
condanna, dal sorriso.
Stendhal si era esercitato in tema, “Du rire”, anche lui con ambizioni trattastiche.
Baudelaire è più diretto, impositivo. Il suo, dice, è “una articolo di filosofo
e d’artista”. Altrove, in “L’Heautontimorumenos”, una composizione di “spleeen
e ideale” (poi confluita nei “Fiori del male) conclude: “Sono del mio cuore il
vampiro,\ uno di quei grandi abbandonati,\ al riso eterno condannati,\ e che
non possono più sorridere”. In realtà lavora, e assiduamente malgrado la
vocazione da dandy, critico culturale
indaffarato ma leggibile e per qualche aspetto sempre nuovo, su aspetti
dsparati dell’attività estetica. Buon numero di paginm sono dedicate a E.T.A.
Hoffman, specie a “La principessa Brambila”, il racconto romano – “un
catechismo di alta estetica”. Altre alla pantomima inglese - che Parigi
curiosamente non comprende, gli spettacoli restano freddi – all’insegna
dell’eccessivo, “il comico assoluto”.
Sui caricaturisti si era già esercitato nel “Salon” del 1846, la rassegna giornalistica dell’esposizione. I due saggi della raccolta
raggruppano in analisi sintetiche ua ventina di artisti. Hogarth è “spirito
sfacciato e ipocondriaco”: di lui si dice che è “l’interramento del comico”,
Baudelaire preferisce dire “il comico dell’interramento”, epitome di “quel che
di sinistro, di violento e di impositivo si respira in quasi tutte le opere del
paese dello spleen”, l’Inghilterra. Calotin sa di chiesa. Daumier “un saggio
entusiasta”. Grandville “spirito maledettamente letterario”. Gavarni “un
artista, bizzarro nella sua grazia”. Goya, che è “sempre un grande artista,
spesso terrificante”, introduce nel comico il fantastico.
Quattro pagine si meritano gli italiani, ma succose. La caricatura
in Italia è fredda. Per esempio di Leonardo. Compreso Pinelli, più espressivo
(trasgressivo) per lo stile di vita che per le sue incisioni. “È un francese
che resta il miglior bouffon
italiano”, è Callot – che manca nella rassegna dei caricaturisti francesi: “Gli
artisti italiani sono più buffoni che comici. Mancano di profondità ma
subiscono tutta la franca ebrietà della gaiezza nazionale. Materialista, come è
generalmente il Mezzogiorno, il loro scherzo sente sempre di cucina e gabinetto
di decenza”.
Charles Baudelaire, De l’essence du rire, Folio, pp. 123 €
2
Più che un’analisi, un’accusa: “Il comico è un elemento dannabile di origine diabolica”. Il nocciolo riprendendo da Philippe de Chennevières (“Jean de Falaise”), “Contes normands”, di quattro anni prima, storico dell’arte e scrittore, coetaneo e amico: “Nel paradiso terrestre… la gioia non era nel riso”. Il riso è come le lacrime, una passione violenta: “La gioia e le lacrime non possono farsi vedere nel paradiso di delizie”.
Di suo Baudelaire è violento: ”Il riso vien dall’idea della propria superiorità. Idea satanica se mai ce ne fu una! Orgoglio e aberrazione.” E ancora: “Il riso è una delle espressioni più frequenti e più numerose della follia”. Il riso è “un sintomo di debolezza”. Insomma, “il riso è satanico, e dunque profondamente umano”. E cioè “profondamente contradittorio… Segno di una grandezza infinita e di una miseria infinita – miseria infinita relativamente all’Essere assoluto di cui possiede il concetto, grandezza infinita relativamente agli animali”.
Non è un segno di saggezza: “Il saggio non ride che tremando”. Anche se “non è l’uomo che cade che ride della sua propria caduta, a meno che non sia un filosofo”, che non abbia acquisito la capacità di sdoppiarsi, di vedersi fare. “Gli aniamli più comici sono I più seri, come le scimmie e i pappagalli”. Il riso dei bambini è altra cosa, è gioia. “Una gioia di pianta”, un’efflorescenza: “La gioia di ricevere, la gioia di respirare, la gioia di aprirsi, la gioia di contemplare, di vivere, di crescere”. La chiave? “È in noi, cristiani, che è il comico”. Il riso distinguendo, come malefico, una condanna, dal sorriso.
Stendhal si era esercitato in tema, “Du rire”, anche lui con ambizioni trattastiche. Baudelaire è più diretto, impositivo. Il suo, dice, è “una articolo di filosofo e d’artista”. Altrove, in “L’Heautontimorumenos”, una composizione di “spleeen e ideale” (poi confluita nei “Fiori del male) conclude: “Sono del mio cuore il vampiro,\ uno di quei grandi abbandonati,\ al riso eterno condannati,\ e che non possono più sorridere”. In realtà lavora, e assiduamente malgrado la vocazione da dandy, critico culturale indaffarato ma leggibile e per qualche aspetto sempre nuovo, su aspetti dsparati dell’attività estetica. Buon numero di paginm sono dedicate a E.T.A. Hoffman, specie a “La principessa Brambila”, il racconto romano – “un catechismo di alta estetica”. Altre alla pantomima inglese - che Parigi curiosamente non comprende, gli spettacoli restano freddi – all’insegna dell’eccessivo, “il comico assoluto”.
Sui caricaturisti si era già esercitato nel “Salon” del 1846, la rassegna giornalistica dell’esposizione. I due saggi della raccolta raggruppano in analisi sintetiche ua ventina di artisti. Hogarth è “spirito sfacciato e ipocondriaco”: di lui si dice che è “l’interramento del comico”, Baudelaire preferisce dire “il comico dell’interramento”, epitome di “quel che di sinistro, di violento e di impositivo si respira in quasi tutte le opere del paese dello spleen”, l’Inghilterra. Calotin sa di chiesa. Daumier “un saggio entusiasta”. Grandville “spirito maledettamente letterario”. Gavarni “un artista, bizzarro nella sua grazia”. Goya, che è “sempre un grande artista, spesso terrificante”, introduce nel comico il fantastico.
Quattro pagine si meritano gli italiani, ma succose. La caricatura in Italia è fredda. Per esempio di Leonardo. Compreso Pinelli, più espressivo (trasgressivo) per lo stile di vita che per le sue incisioni. “È un francese che resta il miglior bouffon italiano”, è Callot – che manca nella rassegna dei caricaturisti francesi: “Gli artisti italiani sono più buffoni che comici. Mancano di profondità ma subiscono tutta la franca ebrietà della gaiezza nazionale. Materialista, come è generalmente il Mezzogiorno, il loro scherzo sente sempre di cucina e gabinetto di decenza”.
Charles Baudelaire, De l’essence du rire, Folio, pp. 123 € 2
giovedì 13 maggio 2021
Cronache dell’altro mondo militanti (115)
Il presidente Biden, buon cattolico, irlandese
di origini, è minacciato di scomunica dai vescovi americani. Non proprio di
scomunica, ma di accesso vietato all’eucaristia – che solitamente si decreta in
caso di scomunica. Il caso è all’ordine del giorno della sessione di giugno
della Conferenza episcopale americana. La colpa di Biden? Probabilmente lo
scarso impegno per abolire la normativa sull’aborto.
Discriminati i Golden Globe per il cinema, il
premio pre-Oscar dell’Associazione stampa estera di Hollywood: l’associazione
non è “inclusiva”, cioè non ha quote per le minoranze. Il problema dell’associazione,
86 membri, è che non ha nessun nero: i giornali stranieri non ne hanno mandato
nessuno. La maggior parte dei soci dell’associazione è di latinos, giornalisti dell’America Latina. E anche l’Asia è
rappresentata, da asiatici.
L’associazione è presieduta da Ali Sar, un
giornalista turco che ha lavorato anche per giornali argentini e moscoviti, e
per vent’anni è stato direttore del “Los Angeles Daily News”, il quotidiano
concorrente del “Los Angeles Times” – il giornale che ha provocato la messa al bando
dei Golden Globe con una campagna di denuncia di razzismo. Ali Sar è succeduto
a Lorenzo Soria, il corrispondente dell’“Espresso” e “La Stampa”, che ha
presieduto l’associazione per tre mandati, fino alla morte pochi mesi fa.
La religione di Sciascia
Curiosa testimonianza, piena di
cose curiose ma non inventate, che si trascura nella critica e nella biografia
di Leonardo Sciascia. Pronta nel 1981, ma rifiutata da Linder, l’agente di
tutti gli editori, e da Elvira Sellerio, cui Scheiwiller l’aveva proposta, pubblicata
nel 1984, in vita dello scrittore, con una prefazione di Luraghi, nella collana
“Narratori” dello stesso Scheiwiller. Che l’ha voluta dotare di un postfazione
irritata, per “chi ama i libri di Leonardo Sciascia”, e da suo amico, quasi
editore e fervente ammiratore, “Hanno parlato male di Garibaldi”: quale il peccato?
L’autore la scrisse a sessant’anni,
trenta dopo aver preso l’incarico di Rettore della chiesa spagnola di Santa
Maria della Soledad a Palermo. Un sacerdote dunque, catapultato in un’isola di
cui non saseva nulla, in un incarico, dice, “surreale come gli orologi in
deliquio di Salvatore Dalì”. Un ex prete poiché il volumetto è dedicato alla
moglie e al figlio. Avendo scoperto in Italia, oltre che, come insiste,
“l’umanità” (“in ogni Spagnolo è in agguato un Torquemada, l’Italia è al
contrario il paese della vita, dell’umanità, dell’umanesimo”, la Spagna ha
prodotto domenicani e gesuiti, l’Italia Francesco d’Assisi), anche la libertà –
veniva dalla Spagna di Franco. Un prete che in origine si voleva poeta. Una
vocazione da cui parte al primo aneddoto del libro, un incontro a Milano con
Pablo Neruda, alla vigilia del golpe di Pinochet in Cile, e lo aiuta a
mobiliare il buen retiro che, benché
malato terminale ma ignaro, il poeta diplomatico si era comprato in Normandia. La
poesia porta all’incontro e all’amicizia con Sciascia. Lo scrittore viene
indirizzato al sacerdote spagnolo nel 1956, l’anno dopo il suo sbarco a
Palermo, da un addetto del consolato spagnolo, cui soleva ricorrere per
problemi di traduzione dal castigliano. Di professione ancora maestro di
scuola, Sciascia lavorava al libro che poi Scheiwiller finirà per non (poter)
pubblicare, la traduzione del poeta spagnolo Pedro Salinas - Sciascia tradurrà
anche componimenti del sacerdote-poeta spagnolo.
Un’amicizia malgrado tutto
riservata, benché sia stata a lungo intensa e quasi domestica. Álvarez García
non metterà mai Sciascia al corrente delle crisi vocazionale – sentirà
oscuramente di non “poterlo” fare. Ma importante per la biografia e l’anamnesi dello
scrittore. Specie nella decisione presa nel 1957 di lasciare l’impiego e la
famiglia e stabilirsi a Roma, in pensione con altri scrittori, Strati, Pedullà,
La Cava (col quale resterà in fecondo contatto), in via Castelfidardo alla stazione Termini, “vicino ai treni di ritorno”. Così giustificandosi con l’amico
prete: “Se non mi butto adesso nella mischia
non sfonderò mai”.
Un’immagine di Sciascia non
convenzionale. Partendo dal fatto, dice Álvarez García, che “quando scomparve da
me il prete l’amicizia si spense”. L’ex sacerdote si arrischia anche più in là
su una certa religiosità di Sciascia: “Il catechismo dell’infanzia gli è rimasto
attaccato al midollo delle ossa e nemmeno Voltaire è stato capace di estirparglielo”.
Un catechismo inculcato dalle zie – “sua madre e le sue zie erano donne pie,
tutte casa e chiesa” – “da bambino Sciascia crebbe in una sorta di gineceo”. Un
peso molto grande, arguisce Álvarez García, che influirà anche sull’amicizia: “Quando
scomparve da me il prete, l’amicizia si spense”. Ricordando lo storico Antonio
de Stefano, prete spretato, comunista, impegnato in molte lotte, morto con la
benedizione del cardinale Ruffini, Álvarez García si avventura a dire di Sciascia:
“Anche Leonardo soffre di una specie di «complesso di Edipo» spirituale che
travaglia e rende irrequieta la sua anima”. E - insieme con Consolo, assicura - se ne attende
il ritorno alla chiesa: “I preti dei suoi romanzi sono disegnati con un tale
trasporto che è difficile evitare il sospetto che essi costituiscano il tipo
umano che Sciascia vorrebbe essere”. Anche perché “lo «scialle nero» e la
«lumière» fusi insieme costituiscono il principale fascino dello scrittore”.
Uno scrittore che non ha un solo personaggio femminile.
Il che è vero, e curioso. Uno Sciascia
estremamente generoso, “che regala sempre”, specie con Álvarez García. E forse non misogino. Ma
ombroso, come si sa, e di rari sorrisi.
Una galleria anche di personaggi
che allora, anni 1960, facevano la Sicilia. Il cardinale Ruffini soprattutto –
uno che “chiamava galantuomini i capimafia e picciotti ardimentosi i suoi
sgherri”. Un ritratto inconsueto della moglie di Sciascia, insegnante anche lei.
L’antiquario Antonio Daneu, di una famiglia di antiquari che aveva come simbolo
un cane nero a sei zampe – che Enrico Mattei copierà. Il poeta e narratore
“senza fortuna” Aldo Camilleri. In molte pagine il poeta Lucio Piccolo –
“assiduo frequentatore di Casa Daneu era il barone Lucio Piccolo di Calanovella,
persona estremamente umile, che scriveva versi in segreto”. A Lucio Piccolo
Álvarez García spiega, quando già era in crisi con la vocazione sacerdotale, che Sciascia ha torto, i siciliani sono religiosi,
pieni di santuari e di devozioni: “Sciascia confonde religiosità con
cattolicesimo. Io credo che i siciliani non riusciranno mai a essere veri cattolici proprio perché sono troppo religiosi. Hanno
venerato come santi perfino i delinquenti! Pensi al culto che i palermitani
tributavano alle anime dei «decollati»”. Di Tomasi di Lampedusa, incontrato
qualche volta con Piccolo, poco loquace, “uomo a cui piaceva più ascoltare che
parlare”, ricorda che lamentava di Cervants che avesse scritto solo “Don
Chisciotte” – lui che resterà per un solo libro. C’è molto anche di Consolo,
amico personale di Álvarez García – che il libro dice scritto su richiesta e
stimolo dell’amico,.
Gonzalo Álvarez García, Le zie di Leonardo
mercoledì 12 maggio 2021
Cronache dell’altro mondo – il vaccino è americano (114)
A fine marzo la produzione di vaccini
anti-covid veniva così contabilizzata: 229 milioni di dosi in Cina, 164 negli
Stati Uniti, 125 in India, 110 nell’Unione Europea, 16 in Gran Bretagna.
La Cina ne
aveva destinati all’esportazione quasi la metà, il 48 per cento, l’India
il 44 per cento, l’Unione Europea il 42 per cento. Si tratta in realtà di
produzioni non “nazionali”, ma realizzate nelle varie aree in dipendenza dai
siti produttivi di case farmaceutiche per lo più americane.
Gli Stati Uniti non hanno esportato nulla, non
nella presidenza Trump né in quella Biden – anche in aprile e maggio non hanno
esportato. E hanno assorbito una parte delle esportazioni degli altri paesi
grandi produttori.
La proposta Biden di liberalizzare i brevetti
sui vaccini anti-covid rientra in questa politica, d’incrementarne la produzione
anche fuori degli Stati Uniti, dove si produce per l’esportazione e a basso
costo, come la Cina e l’India.
Hemingway in cerca della felicità
Una riedizione de “Il vecchio e
il mare”, Oscar Mondadori, a cura di Silvia Pareschi, comprende anche questa
prima stesura del racconto che valse a Hemingway il Nobel nel 1954, venuta alla
luce nel corso del 2020. Il settimanale anticipa il racconto, con la presentazione di
Antonio Monda. È, in breve, “Il vecchio e il mare”. Una curiosità quindi. Ma
speciale per il titolo. Che riecheggia il diritto costituzionale americano “alla
felicità”, ma in Hemigway ha un senso: del bisogno della ricerca (pursuit, che è anche “caccia”), di un
continuo stimolo o sfida.
Un racconto che inevitabilmente si
lega al suicidio finale, ma sottolinea come nello stile di vita espansivo e
quasi sbruffone dello scrittore diventato personaggio la malinconia fosse in
agguato sin dagli anni della maturità, e forse dalla gioventù. Una
testimonianza in chiave biografica, più che un documento per i futuri esercizi
filologici. Ma pregnante: si legge il racconto sotto questo titolo con altro
sentimento, come se il marlin impaniato fosse lo scrittore-pescatore.
Ernest Hemingway, La ricerca come felicità, “Robinson”, €
0,50
martedì 11 maggio 2021
Problemi di base asiatici - 637
spock
Bersaglio negli Usa sono ora gli asiatici,
li ammazzano i neri e gli ispanici: nel nome dell’antirazzismo?
“Le persone alla nascita sono
intrinsecamente buone”, Chloé Zao?
Ma si premiano solo film asiatici,
a Venezia, a Cannes, e negli Usa agli Oscar: c’è un ordine, è un risarcimento?
Anche
film americani, purché firmati da asiatici?
O è
un trucco: si premiano film brutti per dire che non c’è niente di buono da
aspettarsi dall’Asia?
Sarà Chloé la nuova potenza - la
Cina che si fa americana?
Ma, aggravandosi il confronto, come
fare a considerare “alieni nemici” tanti cinesi d’America, dove confinarli?
spock@antiit.eu
Oliver Twist rinasce divertente
Classificato giallo\drammatico,
come si conviene a un classico, di Dickens poi, è di fatto mezzo “Ocean’s
Eleven”, giallo per ridere, e mezzo Bud Spenser-Terence Hill, botte da orbi. O
meglio un terzo e un terzo, in condivisione con Superman, si vola molto. Molto
si fa con le tecnologie (si clonano i cellulari, si ascoltano da remoto, su una skyline londinese di grattacieli, luminosi, e quindi Dickens c’è poco, niente
dolori, molti scherzi. Anche perché non c’è la questione sociale e la redenzione.
Si ruba ai ladri, almeno nel furto in cui Oliver Twist si fa protagonista: il
capobanda Fagin, che naturalmente non è più l’ebreo camorrista originario, ex
mercante d’arte, si deve vendicare del suo ex socio, che l’ha derubato di
tutto, e Twist, cresciuto con la mammina, quando ancora ce l’aveva, a musei e
gallerie d’arte, fa del suo meglio.
Nulla a che vedere anche con i precedenti, David Neal, Carol Reed e Polanski. Cento minuti di spensieratezza, senza
problemi. La scena e degli stunt,
maschi e femmine, del Fagin di Michael
Caine, che fa Michael Caine, e del giovane Rafferty Law, figlio d’arte, che si direbbe,
lui sì, l’incarnazione di Twist, sfacciato e onesto.
Martin Owen, Twist, Sky Cinema
lunedì 10 maggio 2021
Pechino sbarca nel Golfo
Gli Stati Uniti si ritirano dal Medio Oriente,
la Cina prova, con cautela, a prenderne il posto. Su basi economiche (petrolio
e sistema dei pagamenti) e non politiche, tanto meno militari. Ma con
decisione, come è d’uso a Pechino: ogni scelta, dopo ponderazione, viene
preparata e perseguita con ampia mobilitazione e determinazione.
Dalla “acquiescenza” con Washington nelle
guerre di Bush jr. in Afghanistan e Iraq,
Pechino è passata vent’anni dopo a un “patto” con l’Iran suscettibile, si fa
sapere, di sviluppi militari.
Nel caso, la Cina riesce a tenere i piedi in
due staffe, non abbandonando la relazione economica stretta avviata da un
dodicennio con l’Arabia Saudita, da quando è il primo importatore di greggio
del reame, prima degli Stati Uniti. Dopo la mancata protezione americana nell’attacco
dei droni iraniani (yemeniti ma iraniani) del settembre 2019 che portò a
dimezzare la produzione di petrolio, l’uomo forte di Riad, Mohammed bin Salman,
è passato deciso con Pechino sulle questioni aperte dagli Stati Uniti, degli Uiguri
del Sinkinag e di Hong Kong.
È presto per valutare l’esito di questa iniziativa
cinese. Gli accordi col regime degli ayatollah
sono sempre incerti – non c’è a Teheran un sistema statale o di potere
che garantisca continuità, ma gruppi di interessi in contrasto. Iran e Arabia Saudita
si pongono inoltre difensori dell’islam, e la politica restrittiva di Pechino
contro le minoranze islamiche potrebbe presto confliggere.
È certo invece il disimpegno americano. Il “retrenchment”
militare è parte di un più generale disinteresse americano (Libia, Siria, e il
ritiro dall’Afghanistan dopo l’abbandono sostanziale dell’Iraq). Biden mostra di
voler sfidare Pechino su ogni fronte, ma non abbandona la politica di disimpegno
dal Medio Oriente avviata dalle presidenze Obama, di cui era vice.
Liberateci dalle cronache giudiziarie 1 - Davigo
Un giudice, e uno per il quale tutti gli altri
sono colpevoli, che passa documenti riservati a scopo di ricatto politico al
presidente grillino della commissione Antimafia in un sottoscala del Consiglio
Superiore della Magistratura non è una scena ridicola. È la scena di un
crimine. Ma questo non si legge da nessuna parte – in attesa, certo, che “la
giustizia faccia il suo corso” (quando, fra qualche anno, si sarà deciso chi
dovrà occuparsene). I cronisti giudiziari non hanno il senso del ridicolo, e
passi. Ma nemmeno quello della legge, o almeno del diritto.
E i loro giornali? Poi si dice che non hanno
credito e nessuno li compra. Perché dovrebbe?
Liberateci dalle cronache giudiziarie 2 – le spie
Renzi che parla con lo spione Mancini nello
spiazzo di un autogrill, senza maschera e a voce alta, tanto da imporsi a una
gentile insegnante riservata, che aspetta im macchina paziente col suo papà che
va e viene dal gabinetto perché ha la diarrea, e nel mentre fotografa tranquilla
i due, che si lasciano fotografare, questo invece non è ridicolo e fa scandalo.
In effetti sì, lo scandalo c’è: la gentile e
riservata insegnante, riprendendo l’autostrada col babbo ristabilito, nota che
la macchina di uno la supera, quella dell’altro no. Segno, arguisce, che l’altro
ha invertito la marcia . Segno che l’incontro non era casuale. Una spia di mestiere
non ci sarebbe arrivata. – o sì?
Certo, è possibile che l’altro sia messo a
mangiare all’autogrill. Di questi tempi è semiproibito, ma avendo appetito si
può sempre fare ai tavolinetti fuori.
Oppure è andata così: che i due facevano scena
per farsi riprendere dall’insegnante col babbo, e quando gli strizzoni si sono
allentati e lei è ripartita, anche loro hanno chiuso la scena. .
Una insegnante eccezionale. Eroica, che sta al
pezzo fredda benché il babbo abbia uno dei sintomi del covid. Capace di
riconoscere lo spione Mancini, che non è un Fedez, uno su tutti i pizzi, né Sophia
Loren. Brava poi a memorizzare le targhe delle macchine. E soprattutto a
guidare attenta in autostrada, leggendo le targhe delle macchine che la sorpassavano.
È stata brava, certo, a guidare piano: così
bisogna fare in autostrada, un po’ di sicurezza.
Che Rai, e che giornali! Che politica!
Ma, stando sulla corsia di destra, stretta fra
i tir, ha controllato bene e tutte le targhe del continuo sorpassìo sulle due
corsie esterne?
La scoperta dell'Italia
Un viaggio nella lentezza. “Impossibile,
dirà qualcuno. Invece no. Provate a viaggiare da soli, senza navigatori, senza
un passeggero accanto. Lontano dalle autostrade vi toccherà fare il punto quasi
a ogni bivio. La mia andatura è, letteralmente, a singhiozzo. Sosta per controllare
il radiatore, sosta per buttare giù due appunti, sosta per chiedere la
strada, sosta per controllare le carte,
sosta per scattare una foto, Tranne un solo giorno, non ho mai superato la
quantità percorsa da una diligenza, un
corriere Inca, o un messo a cavallo del sultano di Costantinopoli”.
È una vera e propria scoperta dell’Italia
che Rumiz faceva una quindicina d’anni fa. Sulla traccia, forse inavvertita, di Pasolini: “I borghi
abbandonati degli Appennini e le Prealpi” sono di Pasolini-Orson Welles,
“La ricotta”, 1963. Su una Topolino del 1955, come una
volta si sarebbe fatto a dorso di mulo, invece che a cavallo: un viaggio nella
lentezza. La scoperta dell’Italia nascosta, rimossa – “un Pianeta del Silenzio”.
Come succede nelle famiglie che si vergognano di qualcosa. Della montagna: le
Alpi e gli Appennini. Secondo un itinerario, affisso in esergo, dettagliato,
come Rumiz usa prima di mettersi in moto, posto per posto, con dati e curiosità
– “Ho un vizio, leggo carte geografiche e le imparo a memoria”.
Un viaggio fantastico nella
realtà, i luoghi, le persone, gli eventi. Pieno anche di cose inconsuete e rare,
e personaggi unici, ma narrazioni, immagini, annotazioni a ogni passo nuove e
vecchie. Le “presenze”, soprattutto, sono sorprendenti. I “saggi ignoranti” di montagna di Guccini, “che
sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia”. Annibale un po’ ovunque
lungo l’Appennino. La Legio Tebea, di Egiziani che si ammutinarono allordine di
uccidere i cristiani e si sparpagliarono per le Alpi – il loro capo, Maurizio, ha
dato il nome a St. Moritz. Gli Apuani nel Sannio e i Sanniti nelle Apuane –
dove peraltro si parla anche “antico tedesco”. Anche “un viaggio topografico a
caccia di toponimi”, che sempre hanno qualcosa da raccontare.
Rumiz sa raccontare – far parlare
– le cose. Gli Appennini “dai becchi inconfondibili chiamati «Pen» che migliaia
di anni fa hanno dato il nome al tutto e ancora oggi danno il senso al tuo
andare. Monte Pènice, Penna, Pennino,
Penne, Pennabilli, Pescopennataro. Li ritrovi dalla Liguria al Molise. Sono le
boe di una regata transoceanica…” – e penisola, etc.. O i nomi. Bobbio apre la
stura – fino a Babuška e Baba Yagà. O “eremo”: “Il greco dice già tutto. Erema: dolcemente,
quietamente, tacitamente, lentamente. Eremazo:
sono quieto, silenzioso, melanconico. Eremei:
sto calmo, zitto, saldo, immobile”. Con “i fruscianti nomi etruschi – Viesci, Ruscio,
Cascia, Pescio”.
L’Appennino è un mondo
frastagliato. In pochi km quadrati tra Sarzana e Alessandria, Rumiz può trovare
“discendenti da pirati arabi in fuga dai genovesi”, legnaioli, lanzichenecchi
di un metro e ottanta reduci da razzie, fisionomie asiatiche, una “Rabbini, ex
zona ebraica”, un villaggio “dove usano ancora l’alto tedesco”, “una caserma di
dragoni che ha elevato di venti centimetri l’altezza media dei locali”, e “Badi,
sul crinale parmense”, dove “perfino i cavalli rivendicano ascendenza unica”.
Ma, poi, l’Appennino è la montagna dietro casa. Racconti quindi soprattutto di
montagna. Di un cittadino, cosmopolita, che ama e sa raccontare la montagna. I
luoghi, le persone. Negli nni si è fatte tute le montagne, dalla Slovenia a Arma
di Taggia, da Cervino all’Aspromonte. Con uno speciale talento nell’ìndividuare
e raccontare persone e casi eccezionali nell’attività ordinaria, quotidiana.
C’è la natura, sempre rappresentata
in azione. C’è la geografia, la storia, e soprattutto l’antropia, l’ambiente umano.
Dal vivo e nel ricordo, che qui e là ovunque riemerge. C’è il mito – c’è
dappertutto. C’è molta storia. Diego De Castro. Il mondo occitano, l’“arcana cristallizzazione”
da Saluzzo alla Catalogna. Di passaggio, microanalisi storiche, politiche,
ambientali. Dei luoghi, di forte impatto, analitco e narrativo: la Slovenia, per
esempio, Ugliancaldo, Vagli, la “variante di valico”, l’enorme buco sotto l’Appennino
tra Bologna e Firenze, e la rovina del Mugello sovrastante. O i ritratti, Joerg
Haider come Vinicio Capossela, e i tanti uomini della montagna,. Bonatti, Mauro
Corona, Rigoni Stern. Kapuscinski. O Francesco Bider da Biella, un amico di
Rumiz dal tempo si Sarajevo, “operaio tessile”, volontario di tutte le guerre,
di tutte le spedizioni umanitarie per aiutare le vittime, con “barbone mesopotamico.
Un atlante, a futura memoria. “La
devastazione del Piave, disidratato dalla sorgente”. La “Passione” di Erto,
sotto la diga funerea del Vajont. “L’orticello veneto” e la nostalgia da
spaesamento. Da incontri anche casuali Rumiz sa estrarre vite e storie
“eccezionali”: misurate e meravigliate. I siciliani giovani che emigrano in
“viaggio speciale”, andando in Germania a sostituire i manovali turchi nel periodo
estivo, delle vacanze – vengono dall’agrigentino, in parallelo, il lettore è portato
ad associare le immagini, col rassicurante “Montabano” della tv negli stessi
anni. I “monti naviganti” sono una visione onirica, dormendo a Rocca Calascio,
in Abruzzo. È il paesaggio domestico, infantile, casalingo, trasportato dal
mare alla montagna: “Le cime galleggiano su uno strato di nubi fosforescenti,
formano un perfetto arcipelago. Una somiglia a Curzola, un’altra a Mèleda, un’altra
ancora a Brazza. Ma sì, l’Appennino è solo una Dalmazia senza il mare. Sognerò
un transatlantico pieno di orchestrine, in viaggio tra neri promontori. L’epifania
dei monti naviganti”.
È la scoperta del Sud forse più
che della montagna. Delle Alpi si è detto tutto. Della variate di valico che ha
distrutto mezzo Appennino tosco-emiliano pure. Restava da passare “il muro di Ancona”
del comico Ferrini. Scoprire le Marche interne, il Molise, la Basilicata, un
po’ di Calabria.
Con alcune curiosità d’autore. I
suoi Slavi qui inquietano Rumiz. Che si trova il più spesso a pensare in
termini di Dalmazia. La genealogia del liuto, dall’arabo Al Hud, uscio, cavità
risonante, è un racconto.
Si riedita in economica un
viaggio presto diventato un classico, la raccolta delle corrispondenze per “la Repubblica” l’estate del 2006. Dell’Italia
dimenticata e quasi cancellata dall’incuria e gli abbandoni – o dalla
disattenzione? Con molte foto, pregnanti come il testo (purtroppo non ben riprodotte), di Monica Bulaj.
Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli, pp. 343, ill. € 12
domenica 9 maggio 2021
Problemi di base - 636
spock
“La condanna non è una prova”, J.
Giono?
“Niente di ciò che esce dall’uomo è
frivolo agli occhi del filosofo”, Baudelaire?
“Il saggio non ride che tremando”,
Joseph de Mastre?
“Il riso umano è intimamente legato
all’accidente di una caduta antica, di una degradazione fisica e morale”,
Baudelaire?
“Il comico è un elemento condannabile
di origine diabolica”, Baudelaire?
“Dio ti ha dato due orecchie e una
lingua perché tu ascolti più che parlare”, San Bernardino da Siena?
spock@antiit.eu
Roma, Italia, 2020, in festa con i morti
Un grottesco - in cui lo steso
Pietro Castellitto si ritaglia il ruolo motore, uno dei ruoli motore, dell’assistente
universitario sbrigativo, disilluso e licenziato che va a mettere una bomba
alla tomba di Nietzsche, fotogrammi di inizio e fine del racconto - su Roma e l’Italia
in questi anni 2020. Che con i sottotitoli al romanesco stretto, non più l’italiano
del cinema, della Rai, ma un dialetto, sarebbe stato un pugno nell’occhio ancora più violento, ma già così
basta: tutti si divertono un mucchio, distruggendosi a vicenda, morendo anche.
Il racconto è delle vite parallele dei “bene”, ricchi, intellettuali, grandi professionisti, medici, registi, scrittori,
avvocati, e degli ex borgatari degli “ahò?”, “signora mia!”, “ ‘a stronzo!”,
ora al governo a Roma, armaioli, nazisti (Giorgio Montanini sembra il gemello
di Giuliano Castellino, il capo di Forza Nuova a Roma, impressionante),
trafficanti d’armi, che s’incontrano per un paio di casualità, una procurata
dall’assistente sbrigativo in cerca della bomba per Nietzsche, e si divertono
un sacco, in modi agghiaccianti, s’abboffano o s’ubriacano, muoiono, si dilaniano anche, e non lo sanno.
Un Ettore Scola, “La famiglia”, “La
terrazza”, con cattiveria questo esordio di Pietro Castellitto. Con un po’ di
convinzione, in aggiunta al divertimento, con un po’ di misura, era un capolavoro.
Resta un reperto d’epoca oltre che spettacolare. Coi ritmi giusti, cioè veloci,
recitato da tutti come a scolpirsi, con ferocia si direbbe, mai rituali:
Popolizio, Montanini, Gerardi, Marchioni, Cassini, Paone, il professore barone,
Manuela Mandracchia, incredibile regista, e Anita Caprioli per la parte bene, le
debuttanti Giulia Petrini e Liliana Fiorelli “le mogli” dei supergasati
borgatari, Marzia Ubaldi, la mamma svanita. Raccontano pure gli esterni, la
campagna di Lipsia in avvicinamento alla tomba di Nietzcshe, tutta Osta nei dettagli,
bar, piazze, lungomari, pontili, e Fiumicino, col placido laghetto dei fenicotteri
rosa a Cerveteri vittimizzato per le feste truculente con polgino di tiro dei nazicoatti.
Pietro Castellitto, I predatori, Sky Cinema
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