sabato 15 maggio 2021
Letture - 458
Balzac
– Un curiosone. Ha un segreto semplice secondo
Pavese (“Il mestiere di vivere”, 13 ottobre 1937): è curioso – “Balzac ha
scoperto la grande città come covata di mistero, e il senso che ha sempre
sveglio è la curiosità. È la sua Musa. Non è mai né comico né tragico, è
curioso”.
Hemingway
– Uno scrittore molto latino. Americanissimo nella
scrittura e nello stile di vita, ma emozionato, commosso, ispirato dal mondo
altino, a suo modo anche appassionato, alla Stendhal - e dall’Africa. Nel primo
movimento con migliore esiti, in Italia, Spagna, a Parigi, a Cuba. Rileggendo
“il vecchio e il mare”, e il primo abbozzo del racconto che è stato pubblicato
con la nuova traduzione de “Il vecchio e il mare”, la cosa si impone: più a suo
agio e comprensivo è nei modi di essere, di dire, di capire le cose (soprattutto
le sensazioni e i sentimenti, in “innuendo”, per accenni) e di esprimerle, del
mondo altino.
letterautore@antiit.eu
Il regime giudiziario
Salvini assolto a Catania e condannato a
Trapani. È stato detto, e si è avverato per la prima parte – nessun dubbio,
ancora oggi, che sarà condannato a Trapani.
La Corte dei Conti blocca il finanziamento di
ReiThera, per il “vaccino italiano”, senza motivazione, né formale né
sostanziale. Cioè senza perché. Che però si sa: è una sezione a orientamento Pd
che intende mettere sotto accusa l’ex commissario Arcuri. Non la persona di
Arcuri ma i suoi referenti politici, D’Alema e un’altra parte del Pd.
Nel mezzo
c’è l’attacco a Gratteri, in corsa per alcune posizioni di vertice nella
magistratura, con lo “scandalo” Renzi-Mancini, l’ex presidente del consiglio
Renzi che incontra il numero due o tre dei servizi segreti.
Si può pensarla anche così: chiodo schiaccia
chiodo. Si fa uno scandalo nuovo per obliterare il vecchio: Davigo per
Palamara, Gratteri per Davigo, Salvini di qua e Salvini di là, e D’Alema punching-ball universale – un piccolo
Craxi: di riforme non bisogna nemmeno accennare, i giudici si fanno
cattivissimi (lo saranno anche con Renzi? Sì).
È una giustizia attesa perché fatta di
schieramenti: sinistra contro destra, e sinistra contro sinistra – i
regolamenti di conti nel Pd superano quelli con la destra (per tutti il caso
Storari-Greco). Una giustizia che si dice “politica”, cioè politicizzata, obbediente
cioè a schieramenti politici, ma di cui non si vedono gli agganci: è una
giustizia autoreferente. Un regime. Vagante ma autoprotettivo.
Il regime giudiziario ha demolito l’Italia, e non
gli basta, non si ferma. Nell’ebbrezza da impunità, che non c’è nemmeno nella
Corea del Nord.
Già si raccolgono carte contro Cartabia e contro
Draghi. Si dice, e sarà vero. Si sa pure l’orizzonte del dossier: tra otto-nove
mesi, per bloccare la candidatura di uno dei due al Quirinale.
Il giallo in Arizona - o il falso falso
Non proprio tutto ma c’è
molto. Molto corretto. Il turismo Navajo migliore del turismo non Navajo. La
guerra stupida. I mutilati della guerra in Iraq - c’è anche Nassiriya.
L’affarista del turismo non-Navajo avido e corrotto. Tutte le buone cause. E
anche due romanzi in uno: uno secondario di tipo western, con fucilate e
scotennamenti, sempre a danno dei Navajo – e qui entra in gioco un Hopi,
cattivo. Ma di tipo esotico.
Siamo infatti in
Arizona. In un riserva indiana, fuori Flagstaff. Dove tutto sembra essere stato
indagato da Faletti e ricostruito per bene, di precisione – si parla anche
navajo (ma un arco da caccia, anche se si evoca “Rambo 2”, da “un’ottantina di
libbre”?). Per cinquecento però densissime pagine. Ogni capitolo un set diverso,
che rallenta la lettura, e presto la fa indigesta. Con l’effetto non
commendevole degli svelti gialli “bostoniani” del primo Scerbanenco, di falso
falso.
Sarà tutto vero,
Flagstaff, i Navajo, il turismo etnico, i mezzosangue “bianchi” e quelli
indiani, per parte di madre. Ma non sembra. O Faletti si è voluto divertire del
lettore? In esergo mette un Barboncito, capo Navajo (molti capi Navajo hanno
nomi castigliani...), che a maggio del 1868 avrebbe detto: “Io spero in Dio\
che non mi chiederete\ di andare in nessun altro paese\ tranne il mio”.
Giorgio Faletti, Fuori
da un evidente destino, Baldini Castoldi Dalai, remainders, pp. 499 € 2,06
venerdì 14 maggio 2021
Ombre - 562
Esilarante
quadro fa Ceccarelli sul “Venerdì di Repubblica” della Banda Larga, “new Ponte
dello Stretto” - una cosa che si è portati a pensare già fatta, da tanto che se
ne parla, e invece non c’è, anche se necessaria e anzi indispensabile, a
differenza del Ponte. Con gli innumeri ministri dell’Innovazione, tutti postelegrafonici,
da Lucio Stanca, 2001, a Vittorio Colao in carica, impegnati a fregarsene - la danno
per realizzata…
Ceccarelli
però sbaglia data. Non è da vent’anni che se ne parla a vuoto, è da trenta: il
progetto Socrate fu proposto ai primi del 1990 e avviato al 1995 (molte spirali
di gomma sono ancora piantate davanti alle abitazioni in molti paesi), ma
presto bloccato: dapprima dalle città, che volevano dare loro gli appalti e i
subappalti (Bologna, Venezia, Roma, Torino), poi perché la Stet-Sip andava
privatizzata, e non doveva costare troppo:
http://www.antiit.com/2020/03/litalia-senza-rete.html
I
morti di covid non sono tre milioni ma dieci milioni, calcola “The Economist”,
“usando dati noti su 121 variabili, dalle morti registrate alla demografia”:
“La nostra stima è che 10 milioni sono morti che avrebbero potuto continuare a vivere
– più di tre volte la cifra registrata”. La maggior parte dei circa 6,7 milioni
di morti che nessuno ha conteggiato è avvenuta in paesi poveri”.
Non
è solo il solo esito dello studio: “Il virus si è diffuso senza rimorsi dai
paesi ricchi a quelli poveri”.
Una
ragazza bullizzata da Priti Patel si merita l’attenzione di “la Repubblica”:
doveva fare la baby-sitter, con contratto, a Londra ed è stata rispedita a
casa, dopo innumerevoli perquisizioni corporali, spintoni (la polizia
britannica è disarmata ma può usare le mani e i gomiti), e un po’ di carcere,
senza vitto. Non è la prima, e non è un caso raro, contrariamente a quanto sostiene
l’ambasciatrice inglese a Roma - meraviglia anzi che la ragazza si sia
avventurata.
Questa
Pratel, superconservatrice, ministra degli ultimi governi conservatori e ora di
quello dell’Interno, è figlia di indiani
dell’Uganda, presunti profughi politici a Londra. Gente da poco, piccoli
commercianti, che stavano in Africa come in colonia, nazione a parte,
“superiore” . Governati dall’Asia, sarà dura.
“La
specie sbagliata di conservatorismo”, titola “The Economist”. A proposito del
governo britannico: “Boris Johnson vuole un governo forte che comprime le libertà
civili”. Normalmente molto citato in Italia, l’“Economist” è ignorato questa
volta.
Pratel
si tiene nella “riserva della Regina” per la futura trovata del reame: un primo
ministro donna e di colore. Ha esordito nel governo Johnson a metà febbraio
dell’anno scorso dicendo alla tv: “Odio gli europei, gli scozzesi e gli
irlandesi”. Lo disse ridendo. Ma, si vede, sardonica: l’Inghilterra va persa
sul serio.
Una
serie di bombe collocate con cura a Kabul attorno alla scuola femminile per uccidere più
ragazze possibile. Non un atto dimostrativo: una carneficina,
mirata. Una professione di misoginia incredibile se non fosse avvenuta. Non la prima volta, e non l’ultima. Che civiltà è, che religione?
Uccidono
le ragazze che vanno a scuola in Afghanistan movimenti (Is, Taleban) che hanno
donne tra i sostenitori più fedeli e entusiasti: kamikaze, artificieri,
organizzatrici, spie, prefiche di sangue. Non è nemmeno misoginia: la barbarie
esiste.
Bertolaso
nicchia, sa di che si tratta. Il Pd invece va spavaldo alla sconfitta,
dividendosi fra candidati, il modo sicuro per perdere. Bertolaso probabilmente
sa, ma lo sanno tutti a Roma, che Raggi è la signora delle periferie. Delle Tor
Bella Monaca e similari, fornite di giardini, chiese d’autore, teatri, e tutto
l’occorrente, ma sempre “a lamentasse”, che votano Raggi all’80 e anche al 90 per
cento – per loro c’è stato comunque un posto o un appaltino.
Roma
non è una capitale ma un paesone - una accolta di paesoni, molto pretenziosi.
Conte:
“Il mio governo caduto per convergenza interessi economici e politici”. Ha
detto nulla.
Gli
“interessi”, certo, disturbano il suo elevato sentire, Conte e Grillo saranno
per lo “stato etico”, sotto le specie del “vaffa”. Salve le consulenze per gli
interessi.
“Storari
ha danneggiato le indagini”: portando fuori le carte del denunciatore Amara, il
pm milanese ha di fatto evitato che l’inchiesta seguisse il suo corso – ormai
tutti i soci della loggia “Ungheria” sono avvisati, se ce n’è una. Bisognava
pensarci – siamo in epoca di gialli, e non si pensa a questo trucco? Ci ha
pensato il procuratore capo di Storari, Greco. Bella caccia, a guardia e ladri.
Muti cacciato dalla Scala
Le
sfuriate di Muti contro la Scala, nel camerino della Scala, fanno il pieno dei
giornali. Nessuno dei quali dice però quello che tutti sanno: che Muti è stato
cacciato, proprio così, dalla Scala sedici anni fa, perché “non in linea” con l’orchestra
e col sindacato del complesso, la Cgil vecchia Pci – fu recuperato dal
centrodestra, a Roma, al teatro dell’Opera, un’orchestra di nullafacenti
(allora; due anni di Muti l’hanno trasformata e ora suona perfino meglio della
Scala), e poi dalla Chicago Symphony Orchestra.
Si
tace anche che il sovrintendente attuale, Dominique Meyer, che si è speso per
recuperare Muti alla Scala, ha dovuto inventarsi un ridicolo sdoppiamento della
riapertura, facendo precedere Muti e i Wiener Philarmoniker dall’orchestra della
Scala con Chailly, in un concerto raffazzonato. Si dice: bizzarrie da “primedonne”.
E invece è la politica, sinistra anche a Napoli oltre che alla Scala: il
sovrintendente del San Carlo Stéphane Lissner, ex della Scala, dove fu chiamato
nel 2005 dalla Cgil alla cacciata di Muti, da poco sovrintendente del San Carlo, per prima cosa ha annullato i contratti che il teatro aveva con Muti.
A causa del lockdown, certo, ma senza
rinnovare i contratti per altra data. Ora, siccome Muti è sincero democratico, e
impegnato in tutte le buone cause, che dobbiamo pensare della Cgil e del suo
Lissner?
Curiosa
dimenticanza la cacciata di Muti dalla Scala - che lui continua a chiamare la casa, come Toscanini. Anche perché ghiotta per le
cronache come usano, del pettegolezzo. Vige ancora la “linea”, nei giornali? Si
capisce che nessuno li legga.
Ma,
poi, questa è l’Italia: in Italia Muti si è dovuto creare una sua orchestra e
un suo festival.
Baudelaire filosofo del riso
Il saggio più radicale, quasi avversativo, sul riso è di Baudelaire
giovane, radicato nel pessimismo cristiano. Nel saggio del titolo, “De
l’essence du rire et généralement du comique dans les arts plastiques” –
assortito in questa raccolta di un saggio sui caricaturisti franecsi e di uno
su quelli stranieri. Tre scritti del 1857, simultanei della prima pubblicazione
dei “Fiori del male”.
Più che un’analisi, un’accusa: “Il comico è un elemento dannabile di
origine diabolica”. Il nocciolo riprendendo da Philippe de Chennevières (“Jean
de Falaise”), “Contes normands”, di quattro anni prima, storico dell’arte e
scrittore, coetaneo e amico: “Nel paradiso terrestre… la gioia non era nel
riso”. Il riso è come le lacrime, una passione violenta: “La gioia e le lacrime
non possono farsi vedere nel paradiso di delizie”.
Di suo Baudelaire è violento: ”Il riso vien dall’idea della propria
superiorità. Idea satanica se mai ce ne fu una! Orgoglio e aberrazione.” E
ancora: “Il riso è una delle espressioni più frequenti e più numerose della follia”. Il riso è “un sintomo di debolezza”. Insomma,
“il riso è satanico, e dunque profondamente umano”. E cioè “profondamente
contradittorio… Segno di una grandezza infinita e di una miseria infinita –
miseria infinita relativamente all’Essere assoluto di cui possiede il concetto,
grandezza infinita relativamente agli animali”.
Non è un segno di saggezza: “Il saggio non ride che tremando”. Anche
se “non è l’uomo che cade che ride della sua propria caduta, a meno che non sia
un filosofo”, che non abbia acquisito la capacità di sdoppiarsi, di vedersi
fare. “Gli aniamli più comici sono I più seri, come le scimmie e i pappagalli”.
Il riso dei bambini è altra cosa, è gioia. “Una gioia di pianta”,
un’efflorescenza: “La gioia di ricevere, la gioia di respirare, la gioia di
aprirsi, la gioia di contemplare, di vivere, di crescere”. La chiave? “È in
noi, cristiani, che è il comico”. Il riso distinguendo, come malefico, una
condanna, dal sorriso.
Stendhal si era esercitato in tema, “Du rire”, anche lui con ambizioni trattastiche.
Baudelaire è più diretto, impositivo. Il suo, dice, è “una articolo di filosofo
e d’artista”. Altrove, in “L’Heautontimorumenos”, una composizione di “spleeen
e ideale” (poi confluita nei “Fiori del male) conclude: “Sono del mio cuore il
vampiro,\ uno di quei grandi abbandonati,\ al riso eterno condannati,\ e che
non possono più sorridere”. In realtà lavora, e assiduamente malgrado la
vocazione da dandy, critico culturale
indaffarato ma leggibile e per qualche aspetto sempre nuovo, su aspetti
dsparati dell’attività estetica. Buon numero di paginm sono dedicate a E.T.A.
Hoffman, specie a “La principessa Brambila”, il racconto romano – “un
catechismo di alta estetica”. Altre alla pantomima inglese - che Parigi
curiosamente non comprende, gli spettacoli restano freddi – all’insegna
dell’eccessivo, “il comico assoluto”.
Sui caricaturisti si era già esercitato nel “Salon” del 1846, la rassegna giornalistica dell’esposizione. I due saggi della raccolta
raggruppano in analisi sintetiche ua ventina di artisti. Hogarth è “spirito
sfacciato e ipocondriaco”: di lui si dice che è “l’interramento del comico”,
Baudelaire preferisce dire “il comico dell’interramento”, epitome di “quel che
di sinistro, di violento e di impositivo si respira in quasi tutte le opere del
paese dello spleen”, l’Inghilterra. Calotin sa di chiesa. Daumier “un saggio
entusiasta”. Grandville “spirito maledettamente letterario”. Gavarni “un
artista, bizzarro nella sua grazia”. Goya, che è “sempre un grande artista,
spesso terrificante”, introduce nel comico il fantastico.
Quattro pagine si meritano gli italiani, ma succose. La caricatura
in Italia è fredda. Per esempio di Leonardo. Compreso Pinelli, più espressivo
(trasgressivo) per lo stile di vita che per le sue incisioni. “È un francese
che resta il miglior bouffon
italiano”, è Callot – che manca nella rassegna dei caricaturisti francesi: “Gli
artisti italiani sono più buffoni che comici. Mancano di profondità ma
subiscono tutta la franca ebrietà della gaiezza nazionale. Materialista, come è
generalmente il Mezzogiorno, il loro scherzo sente sempre di cucina e gabinetto
di decenza”.
Charles Baudelaire, De l’essence du rire, Folio, pp. 123 €
2
Più che un’analisi, un’accusa: “Il comico è un elemento dannabile di origine diabolica”. Il nocciolo riprendendo da Philippe de Chennevières (“Jean de Falaise”), “Contes normands”, di quattro anni prima, storico dell’arte e scrittore, coetaneo e amico: “Nel paradiso terrestre… la gioia non era nel riso”. Il riso è come le lacrime, una passione violenta: “La gioia e le lacrime non possono farsi vedere nel paradiso di delizie”.
Di suo Baudelaire è violento: ”Il riso vien dall’idea della propria superiorità. Idea satanica se mai ce ne fu una! Orgoglio e aberrazione.” E ancora: “Il riso è una delle espressioni più frequenti e più numerose della follia”. Il riso è “un sintomo di debolezza”. Insomma, “il riso è satanico, e dunque profondamente umano”. E cioè “profondamente contradittorio… Segno di una grandezza infinita e di una miseria infinita – miseria infinita relativamente all’Essere assoluto di cui possiede il concetto, grandezza infinita relativamente agli animali”.
Non è un segno di saggezza: “Il saggio non ride che tremando”. Anche se “non è l’uomo che cade che ride della sua propria caduta, a meno che non sia un filosofo”, che non abbia acquisito la capacità di sdoppiarsi, di vedersi fare. “Gli aniamli più comici sono I più seri, come le scimmie e i pappagalli”. Il riso dei bambini è altra cosa, è gioia. “Una gioia di pianta”, un’efflorescenza: “La gioia di ricevere, la gioia di respirare, la gioia di aprirsi, la gioia di contemplare, di vivere, di crescere”. La chiave? “È in noi, cristiani, che è il comico”. Il riso distinguendo, come malefico, una condanna, dal sorriso.
Stendhal si era esercitato in tema, “Du rire”, anche lui con ambizioni trattastiche. Baudelaire è più diretto, impositivo. Il suo, dice, è “una articolo di filosofo e d’artista”. Altrove, in “L’Heautontimorumenos”, una composizione di “spleeen e ideale” (poi confluita nei “Fiori del male) conclude: “Sono del mio cuore il vampiro,\ uno di quei grandi abbandonati,\ al riso eterno condannati,\ e che non possono più sorridere”. In realtà lavora, e assiduamente malgrado la vocazione da dandy, critico culturale indaffarato ma leggibile e per qualche aspetto sempre nuovo, su aspetti dsparati dell’attività estetica. Buon numero di paginm sono dedicate a E.T.A. Hoffman, specie a “La principessa Brambila”, il racconto romano – “un catechismo di alta estetica”. Altre alla pantomima inglese - che Parigi curiosamente non comprende, gli spettacoli restano freddi – all’insegna dell’eccessivo, “il comico assoluto”.
Sui caricaturisti si era già esercitato nel “Salon” del 1846, la rassegna giornalistica dell’esposizione. I due saggi della raccolta raggruppano in analisi sintetiche ua ventina di artisti. Hogarth è “spirito sfacciato e ipocondriaco”: di lui si dice che è “l’interramento del comico”, Baudelaire preferisce dire “il comico dell’interramento”, epitome di “quel che di sinistro, di violento e di impositivo si respira in quasi tutte le opere del paese dello spleen”, l’Inghilterra. Calotin sa di chiesa. Daumier “un saggio entusiasta”. Grandville “spirito maledettamente letterario”. Gavarni “un artista, bizzarro nella sua grazia”. Goya, che è “sempre un grande artista, spesso terrificante”, introduce nel comico il fantastico.
Quattro pagine si meritano gli italiani, ma succose. La caricatura in Italia è fredda. Per esempio di Leonardo. Compreso Pinelli, più espressivo (trasgressivo) per lo stile di vita che per le sue incisioni. “È un francese che resta il miglior bouffon italiano”, è Callot – che manca nella rassegna dei caricaturisti francesi: “Gli artisti italiani sono più buffoni che comici. Mancano di profondità ma subiscono tutta la franca ebrietà della gaiezza nazionale. Materialista, come è generalmente il Mezzogiorno, il loro scherzo sente sempre di cucina e gabinetto di decenza”.
Charles Baudelaire, De l’essence du rire, Folio, pp. 123 € 2