I genitori sono ingombranti, i figli no.
sabato 5 giugno 2021
Problemi di base giornalistici - 643
spock
Tutti hanno oggi un’idea, tutti
giornalisti?
Cioè, nessuno giornalista?
“Il giornalismo, grande surrogato dell’impegno”, Elsa de’ Giorgi?
O dell’ingegno?
“Meno si legge il giornale più cose si sanno”, O. Wilde?
Meglio i fatti o meglio le opinioni?
Quali fatti, e fatti da chi, e come?
La catastrofe non turba il filosofo
Il terremoto in Calabria nel 1783
come quello di Lisbona del 1755: una catastrofe da fine del mondo, che
interroga la filosofia. Un colpo, l’ennesimo, alla Ragione nel secolo del suo
massimo fulgore. Che Placanica ripercorre sulle fonti d’obbligo, che hanno
fatto il secolo, ma anche su quelle locali. Attonite, preoccupate, ragionate.
A conti fatti, si direbbe un’accettazione
alla fine piatta, senza nessun rivoluzionamento. Né nel pensiero, nella fiducia
nell’opera dell’uomo. E neppure, tutto sommato, nelle opere d’ingegneria. Si
impara poco dalle catastrofi – il Millennio accumula virus pandemici, e il
risultato è più o meno uguale, l’indifferenza.
Ragione fa rima con rassegnazione,
oltre che – più che? - con rivoluzione.
Augusto Placanica, Il filosofo e la catastrofe, Einaudi,
pp. 259, ill., ril, € 20
venerdì 4 giugno 2021
C’era una volta la Fortezza Europa
Vent’anni fa, ricorda “The
Economist”, l’America usciva dal crac delle dot.com. La Cina era ancora nel
guado dal passato maoista verso l’economia di mercato. Tra i due sorgeva la
Fortezza Europa, proponendosi con la nuova moneta, e un mercato unico fiorente,
a un futuro “spettacolare”. Oggi l’America e, ancora di più, la Cina sono in
ascesa, contando per per il 76 per cento
delle aziende più valide. La quota europea è scesa dal 41 al 15 per cento.
Dei 19 maggiori gruppi
creati negli ultimi 25 anni anni che valgono oltre cento miliardi di dollari,
nove sono americani e otto cinesi. Nessuno europeo. I grandi gruppi non sono di
per sé migliori dei piccoli, spiega il settimanale, ma testimoniano di una
“sana ecologia degli affari”.
L’Ocse calcola che Stati Uniti
e Corea del Sud (e Cina) hanno già un pil pro capite al livello pre-pandemia. Nel
quadro di una revisione molto sensibile sulla stima precedente della stessa
Organizzazione: l’economia mondiale, grazie ai vaccini, dovrebbe crescere quest’anno
del 5,8 per cento. Per l’Europa ci vorrà ancora un anno – e non per tutti i
paesi della Ue – per tornare ai livelli pre-crisi.
Quando Corleone sbarcò a New York
Titolo consolatorio - c’era, cioè
non c’è più. L’originale è “The First Family”: la storia di Giuseppe Morello,
il primo corleonese in America, o uno dei primi, e il primo organizzatore di
mafia, della mafia siciliana. Detto “l’artiglio” perché aveva una mano
deforme, ma organizzatore implacabile.
Un volume profuso, prolisso, f rutto di letture apparentemente interminabili
(la bibliografia è sterminata, specie di articoli locali, delle più disparate
gazzette). Un giornalista britannico, del “Telegraph” e dell’“Independent”, vi
si è dedicato con la passione dell’entomologo, dell’anatomopatologo. In grado
di correggere perfino le date e le circostanze familiari della famiglia Morello,
che i Morello cioè non conoscevano o citavano a vanvera –“Giuseppe Morello, il
primo grande capo della mafia di New York, era nato nel 1863 o nel 1870,se non
addirittura nel 1880”, a seconda dei vari testi o documenti consultati, ma
niente di tutto questo: “Contattando l’ufficio di stato civile della sua città
natale siciliana, Corleone, venni a sapere che la data giusta era il 2 maggio
1867, un fatto che la sua stessa famiglia a quanto pare non conosceva, dal
momento che la tomba reca l’anno 1870”.
Dash ha letto “almeno 10 mila
pagine” di atti processuali. I riferimenti e le note sono migliaia. Quelle
mafiose sono agiografie di molto impegno: c’è concorrenza nel genere,
evidentemente, opoure gli avvocati vigilano (quelli americani sono specialmente
occhiuti: la diffamazione paga, seppure di un criminale).
Tra i tanti delitti la famiglia
Morello praticava specialmente la falsificazione della carta moneta. Per somme
anche enormi. Molto Dash sviluppa il contesto, di e attorno a New York, fino a Petrosino
e oltre. Con un dettagliatissimo indice analitico, dei nomi e degli argomenti,
da soddisfare ogni curiosità. E una ammirevole bibliografia. O deprimente: a
che pro tante energie. Non è nemmeno una storia di grandi crimini. Piuttosto
precisa, puntuale, documentatissima, seria. Finiti i conquistatori, gli imperi,
le invasioni, le guerre dei trenta e dei cento anni, consumate presto anche la
storia politica o dei partiti, sociale, di genere, la storia contemporanea si
caratterizza come storia del crimine. Quasi con piacere – Dash non è uno
storico, ma è come se.
Mike Dash, C’era una volta la mafia, Newton Compton, pp. 332, ril, € 9
giovedì 3 giugno 2021
Secondi pensieri - 450
zeulig
Discrezione - “Discrezione”
è titolo di Mary de Rachewiltz, dove narra la sua prina vita, fino alla
giovinezza, abbandonata dai genitori, Ezra Pound e Olga Rudge, conviventi non
sposati e impegnati nelle rispettive carriere artistiche, in una famiglia
tirolese, e suona più come indiscrezione - fino all’arrivo degli americani nel
1945. È stato poi titolo di Pierre Zaoui, filosofo, “La Discrétion, ou l’art de
disparaître” (tradotto col titolo invertito, come “L’arte di scomparire. Vivere
con discrezione”). Della discrezione come resistenza in un mondo che vuole e
privilegia apparenze e clamori, specie di se stessi – una discrezione esemplata
su Baudelaire, Blanchot, Deleuze, Kafka, Virginia Woolf, Benjamin. Ma confina,
nelle lettere come in ogni professione, con l’inesistenza, l’autocancellazione:
bisogna farsi strada, sgomitare, gridare, e esserne convinti.
La discrezione è d’obbligo in paese, in una comunità stabile, quella
dove Mary de Rachewiltz ha vissuto fin ai vent’anni, dove l’ostentazione si
paga. Ma la discrezione non paga, è solo un modo per uscirne indenni: il paese
non eleva e ricuce, nel senso che restringe, tiene avvinti. È
un’economia ristretta, che comporta una mentalità.
Dolore – Può non essere
pedagogico, non dare (insegnare) nulla. Per la perdita di Waldo, figlio molto
amato, di soli cinque anni, Emerson sperimentò un dolore che non era il dolore
per la perdita. ”Soprattutto mi addolora non riuscire ad addolorami”, a sentire
il dolore come qualcosa di reale, o sufficientemente reale, scrisse in una
lettera la settimana dopo l’evento - “I
chiefly grieve that I cannot grieve”.
Ci ritornò sopra due anni dopo nel saggio
“Experience”, 1844, sui limiti della razionalizzazione della vita, dell’ultraintellettualismo
– l’esperienza è confusa e confonde. E a
proposito della perdita, del dolore: “La sola cosa che il dolore mi ha insegnato
è di sapere quanto è superficiale. Che, come tutto il resto, gioca in superficie,
e non mi introduce nella realtà, per un contatto con la quale pagheremmo perfino
il caro prezzo di figli e amanti (Emerson stava per perdere anche la moglie,
malata di tbc, n.d.r.). È Boscovich che ha scoperto che i corpi non vengono mai
in contatto? Bene, le anime nemmeno toccano mai i loro oggetti. Un mare innavigabile
lava con onde silenti tra noi e le cose che amiamo e con le quali conversiamo.
“Il dolore ci rende anche idealisti. Nella
morte del mio bambino, allora, più di due anni fa, mi sembrava di avere perduto
una bella proprietà – non di più. Non posso portarlo più vicino a me. Se domani
mi si informasse della bancarotta dei miei principali debitori, la perdita dei
miei beni sarebbe un grosso danno per me, forse, per molti anni: ma mi
lascerebbe come mi ha trovato – non migliore né peggiore. Lo stesso è con
questa disgrazia: non mi tocca: qualcosa che io fantasticavo parte di me, che
non poteva essermi strappata senza strappare me, non ingrandita senza
arricchire me, mi abbandona, e non lascia cicatrici. Era caduca. Mi addolora
che il dolore non può insegarmi nulla, né farmi fare un passo avanti nella
natura reale”.
Ci sono delle differenze nel conto
profitti e perdite spirituali, era l’argomento di Emerson. Alcune, anche se profonde, non
contano. La morte di un bambino, per quanto adorato. Mentre si impara per molto
meno: “Un grand’uomo”, scriverà Emerson in “Compensation”, “sospinto,
tormentato, sconfitto, ha la possiiblità di imparare qualcosa: è stato sfidato
nel suo ingegno, nella sua virilità: ha accumulato dei fatti; impara sulla sua
ignrtanza; si cura di concetti sbagliati; impara la moderazione e reali capacità”. Mentre il dolore per la
morte del bambino è tanto profondo che non è compensabile. E questo conduce a
una sorta di rimozione.
Dissimulazione – O la virtù della menzogna - O.Wilde? Khomeiny?
Genitorialità
-
Si vive con il padre e con la madre e poi a un certo punto non più. Non devono
o non possono provvedere, sono incapacitati, sono malati, col tempo muoiono, secondo
l’ordine del tempo. Ma la memoria no, resta sempre con noi –e anzi si magnifica
(amplia, insiste.
Lo stesso però è delle cose, degli
eventi esterni, anche accidentali. La memoria è selettiva e non lo è, e più
persiste delle cose o eventi accidentali, più di quelli propri, personali,
caratterizzanti, duraturi. Una casa, non la propria, una strada, una siepe, anche
solo un oggetto, meglio (peggio) se di uso quotidiano, il filo interdentale, il
sapone neutro, il riscaldamento (raffreddamento) dell’automobile…
Intellettuale – “Prima del romanticismo non esisteva l’intellettuale, poiché non
esisteva contrapposizione fra vita e conoscenza”, C. Pavese, “Il mestiere di
vivere”, 5 novembre 1942: “Accorgersi che la vita è più importante del
pensiero, significa essere un letterato, un intellettuale; significa che il
proprio pensiero non si è fatto vita”.
È una condizione limitativa.
Mercato - “Il gioco che non fa giocare. Marchi, offerte,
sigle: oggi il Mercato è la scacchiera in cui si finisce intrappolati”. Pezzo
d’antologia sul mercato (il “gioco”, d’azzardo?) di Claudio Magris sul
“Corriere della sera”. Si è meno liberi con questo mercato, molto meno.
Psicologia – “È il rimedio
dei poveri” - Savinio, “Enrico Ibsen”, 67 (“il profondismo è il rimedio dei
poveri”). Tutto si può piegare a uno scopo in qualche modo utile, senza danno per chicchessia. E ogni argomentazione si può validare,
basta un minimo di accortezza nella gestione dell’informazione.
È la panacea e il placebo degli strizzacervelli – a meno di una certa pratica, empatica o simbiotica. Si può andare in analisi tutta la vita? Sì, come dal confessore, oggi padre spirituale - senza la grazia (la fede).
Spiritualismo – Va col
materialismo - in italiano andrebbe meglio detto spiritismo. Dilagò nel secondo Ottocento, torna in forze oggi. Nel mondo
anglosassone, prevalentemente, che più si ritiene o si vuole scientista.
Fu forte nell’epoca vittoriana, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
In una col positivismo. Con credenti eccellenti: Conan Doyle, il narratore
“scientifico”, Wiliam James, i fisici Marie e Pierre Curie, il biologo evoluzionista
Alfred Russel Wallace. Credenti nel metodo
scientifico che, nonché non opporsi al campo spirituale, ne avrebbe invece
provato la sua esistenza. Nel clima Excelsior di Fine Secolo, fine Ottocento. Che si sarebbe
coronato con la Grande Guerra, il culmine dell’imperialismo – tedesco, ma dell’epoca. L’epoca attuale, della Grande Illusione che la globalizzazione economica
alimenta, nuova pietra filosofale della
ricchezza, vede anche il ritorno delle contese imperiali, e degli spiritualismi
invece delle religioni - agli spiritualismi si possono assimilare, in chiave di
autorefenzialità, i fondamentalismi delle religioni istituzionali (“ognuno la
sua chiesa”).
Parlare con i morti è pratica corrente, oltre che in Gran
Bretagna, dove almeno trecento Chiese spiritualiste sono tuttora in funzione,
negli Stati Uniti, patria del materialismo.
Negli Stati Uniti più di un
centinaio di Chiese spiritualiste sono in attività. Oltre a innumerevoli siti
nelle piattaforme online e televisive, Instagram, Facebook,Tik Tok, che offrono
servizi psichici. Quasi un terzo degli americani ritengono
di avere parlato con i morti, i più fuori dalla chiese organizzate, dalle fedi
in qualche modo ufficiali, con vangeli e maestri. Per una spesa che il “New
Yorker” calcola in almeno due miliardi di dollari l’anno.
Storia – “Non si può
chiedere che gli storici siano obiettivi, ma bisogna pretendere che siano onesti”,
G. Salvemini.
zeulig@antiit.eu
Le mafie dei commissari ad acta
La
costruzione del nuovo ospedale di Vibo Valentia, in attesa da un quindicennio,
avviata nel 2919 su impulso del prefetto Guido Longo, l’ex questore catanese famoso
“acchiappalatitanti”, un’opera da 144 milioni, si ferma da ieri per attentati
mafiosi: due grandi automezzi da carico distrutti, escavatore gigante
danneggiato. Con lo stesso Longo spavento dei mafiosi richiamato a novembre dalla pensione, un
anno dopo l’avvio dei lavori dell’ospedale da lui fermamente voluto, quale commissario regionale alla Sanità.
Si
fatica, sempre in Calabria, ad avere accesso
al Comune per le più semplici pratiche. Il ricevimento è stato ridotto a
due giorni. Dei due giorni a poche ore. Queste poche ore raramente funzionanti:
un giorno c’è la quarantena, un giorno la disinfestazione, e questa settimana,
non si dice, i ponti, chi ha fatto il primo e chi sta facendo il secondo. Perché
la struttura è commissariata, anch’essa per mafia, e i commissari dovrebbero
venire da fuori, da lontano - una grossa fatica, benché il viaggio sia conteggiato nelle ore di lavoro, il trasporto sia su macchina di servizio, con autista, e in premio si riceva una diaria.
Perché
tre commissari per un comune di non più di tremila abitanti? Perché un commissariamento di un anno e mezzo
quando basterebbero i pochi mesi, le poche settimane, per i comizi elettorali? E
perché chi decide i commissariamenti sono gli stessi funzionari di prefettura
che poi diventano commissari?
E
soprattutto: perché non si arrestano e si condannano i mafiosi invece di
agitarli come spauracchio? Non ci volevano – non ci vogliono – particolari virtù
medianiche a Vibo Valentia per proteggere il cantiere dell’ospedale e colpire i
ben noti mafiosi dei subappalti. Si dicono commissari ad acta – propria?
“Solitamente
il commissario ad acta è scelto fra i
dipendenti di un’amministrazione che esercita il potere di vigilanza nei
confronti dell’Autorità che ha emanato l’atto impugnato”, wikipedia. Il controllore che beneficia se stesso, che
diritto è? È parte dell’antimafia o della mafia?
L’Italia
dei prefetti non era una buona Italia già negli studi di Spadolini,sulla
gestione della cosa pubblica
nel periodo giolittiano, fertile di malaffare, un secolo e passa fa.
Giallo messicano – ieri come oggi
Una dei racconti recuperati
postumi, subito dopo la morte dello scrittore. Non il più felice: per la location alla moda, probabilmente, nel
1970, di gran grido, o sennò per nient’altro.
Uno delle serie esotiche. Che non
riescono a spolverare il vecchio metodo del “chi è stato”. Con investigatori
improbabili. Un po’ sbrodolati.
C’è Acapulco, Che è, era, gran
nome, quando queste cose usavano, anche più di Portofino, i luoghi dei ricchi.E
l’opulenza abbonda, anche nelle mance agli sbirri. Condita di un po’ di
nostalgia russo-ucraina: le principesse del titolo, signore di Acapulco, madre
figlia e nipote, sono Rudescenko. L’ambiente anche c’è tutto, il Messico come
uno se lo immagina, e Acapulco. Perfino la storia regge, o reggerebbe -
Scerbanenco non si scervella, la manipola come viene.
Va però veloce, molto meglio
delle serie “internazionali” (esotiche) che si leggono adesso. E sa di cose
viste – diavolo di un uomo, che stava a scrivere diciotto ore al giorno, come
avrà fatto a conoscere così bene (anche) Acapulco? con tutto il Messico
d’intorno? E, ci credereste?, in pieno fulgore, Acapulco è un luogo di
misfatti. Si comincia così: “Un morto, al Messico, è semplicemente un morto.
Specialmente ad Acapulco, ogni giorno viene commessa una media di sei omicidi,
tre quattro rapine e una dozzina di risse con feriti anche gravi, la bellezza
del luogo e i miliardi che vi scorrono, per misteriose ragioni psicanalitiche e
sociali, rende la gente più violenta e dedita all’uccidere”.
E ancora. Alla festa delle
principesse – è un giallo alla Poirot, di tutti possibili colpevoli – “ci sono
perfino i cinesi, eccoli lì, che stanno tramando per cinesizzare il Messico”.
Giorgio Scerbanenco, Le principesse di Acapulco, Garzanti,
remainders, pp. 94 € 3,12
mercoledì 2 giugno 2021
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (458)
Giuseppe Leuzzi
Il Sud sabaudo
Fa senso rivedere su “La Lettura”, con l’evidenza della grafica, il
risultato regione per regione del referendum sulla Repubblica, ci cui è oggi il
75mo anniversario: il “muro di Ancona” del comico Ferrini c’è stato veramente.
Sopra di esso perfino il Piemonte, sabaudo da un millennio, votò per la
repubblica, 57 a 43. Il fronte repubblicano s’incrina nel Lazio, appena sotto
il 50 per cento - 48,63. Dal Lazio in giù, a partire dall’Abruzzo, è un mezzo
plebiscito. In Molise, Puglia e Sicilia è addirittura 1-2 a favore della
monarchia. Per un’istituzione moribonda ovunque. E che già allora veniva
incolpata dei disastri del Sud, dell’“annessione”, dell’insensibilità, delle
ruberie (il re Umberto si sospettava di ogni appalto).
Come dire che il Sud non capisce. Come va l’Italia, come va il mondo. Potrebbe
essere ua chiave.
Reggono le monarchie in alcuni staterelli asiatici. E nel Nord. Dell’Europa -
anche in Spagna, ma non volentieri: Belgio, Olanda, Danimarca, Regno Unito,
Svezia (e i granducati, ma lì di comodo, per gli affari fiscali).
La squadra del giudice
Muore un Grande Giudice Grande Animatore del Grande Sport nella Grande
Città con Grande Cordoglio del Grande Giornale cittadino. È il giudice che ci
ha rovinati, con quattro decreti ingiuntivi nel mese di agosto, uno a settimana
prima e dopo il Ferragosto, avallando per buono dall’Alto della Sua Autorità
immediatamente esecutiva le cambiali dei “cugini” strozzini, e non
calcolando le ricevutine di pagamento, seppure autografe – non avevano nemmeno
la marca da bollo! – che il Tribunale di prima istanza aveva invece debitamente
conteggiate, dichiarando estinto il debito e chiedendo la
restituzione\distruzione delle cambiali. Con un decreto i “cugini” si prendevano
la casa, con uno la campagna con la casa, con uno il frantoio, e con uno ogni
bene mobile e immobile nella disponibilità di papà.
Un fulmine a ciel sereno, atteso il verdetto favorevole del giudice di prima
istanza, anche se non di prima nomina, Giuseppe Gambadoro, che si era andato a
spulciare tutte le ricevutine e, benché in sede civile, avesse avvertito netta
la puzza di usura, fatto il semplice raffronto fra i pagamenti attestati dalle
ricevutine e le cambiali in mano agli strozzini. Un processo penale non si poté
fare, l’avvocato disse: “Non c’è in repertorio una condanna penale per usura” –
possibile, nel 1987? Ma il giudice coscienzioso aveva comunque ristabilito la
verità.
Un fulmine a ciel sereno, per essere precisi, non è vero, oltre che stracco
modo di dire. I “cugini” in Appello al Grande Giudice si erano affidati
all’avvocato Panuccio, avevano fatto sapere ghignando, “che non perde una causa
in Appello” - “costa ma rende”.
Questo è un classico in Calabria: ci sono – ci sono stati - avvocati che
vincono – che vincevano - sempre le cause. Il più famoso è
l’avvocato Mazzeo di Palmi, che è stato poi presidente democristiano della
provincia, e candidato non fortunato al Senato. A Reggio l’avvocato Alberto
Panuccio era famoso per vincere le cause in Appello. Un coetaneo del Grande
Presidente. Di cui “chi ha avuto la fortuna di conoscerlo si è arricchito di
valori”, dicono le celebrazioni.
Il Grande Giudice rigettò anche, con immediatezza, bisogna riconoscere, invece
delle solite lungaggini giudiziarie, la domanda di sospensiva dell’esecutività
a motivo della tarda età di papà. Pendente il ricorso dello stesso in
Cassazione, di cui era già stata accertata la fondatezza giuridica. E senza
colpa, naturalmente: il giudice decide in autonomia, in base a scienza e
coscienza.
Niente famiglie niente mafie…
Tremila ettari agricoli concimati con veleni, tra Lombardia, Piemonte,
Emilia, Veneto, il cuore della Padania, da una ditta bresciana che vi ha
scaricato, per anni, almeno 150 mila tonnellate di fanghi tossici.
L’equivalente di 150 mila tir, cioè una cosa che si vede, non uno sversamento
di soppiatto, di notte. E niente, niente criminalità organizzata. Niente preti
dal pulpito. Niente articoli. Giusto uno, per stigmatizzare un geologo che se
la rideva.
La mafia dei rifiuti è solo nella Terra dei Fuochi. E nell’Aspromonte, dove
però i rifiuti non ci sono.
Non è del resto un mistero, non da ora, da almeno mezzo secolo, che la Padania
serve da scarico, a pagamento, dei residui tossici delle lavorazione svizzere e
tedesche. Ogni tanto se ne sa qualcosa. Ma senza scandalo. Gli accordi si
fanno, tra industrie e smaltitori ma senza mafie: al Nord la criminalità non è
organizzata.
…. O la mafia sconfitta dall’eugenetica
Si dice mafia la criminalità organizzata, cioè familiare, tra padri e figli, o
tra fratelli, e allora certo c’è bisogno di famiglie numerose, che al Nord non
ci sono più, da qualche generazione. Oppure le mafie sono a cupola. Ma neanche
la cupola sembra essere genere nordico. Al Nord tutto è organizzato ma non la
malavita.
Però, allora c’è speranza: col calo demografico le mafie familiari andranno
finalmente a finire? Sarebbe infine il trionfo che l’eugenetica attende da un
secolo buono: eliminiamo le nascite “cattive”, improduttive, morbose, pericolose,
e la pace scenderà in terra.
Si dice delle donne, mogli, figlie, sorelle, che sfidano le mafie familiari,
eroine, madri coraggio eccetera. Ma se non fanno più figli è ancora meglio, si
evitano ritorsioni. L’inverno demografico sarà l’arma vincente? Dove non
arrivano i Carabinieri, arriva lo zero nascite.
L’impero di Vigata
“Il lavoro del regista è essenziale: mette in scena il sottinteso”,
Francesca Marciano con Cecilia Bressanelli su “La Lettura”. Il regista
trasforma il racconto in immagini, le mette in scena, e le racconta (le monta),
con i tempi e i tagli. Sulle avventure di “Montalbano”, con il relativo non
piccolo boom economico del Sud-Est della Sicilia, fino a prima dei “Montalbano”
l’area più depressa della Sicilia, da Agrigento a Pozzallo, campagne aride,
città semiabbandonate, mari poco curati, si è creato un monumento a Camilleri.
Che lo merita per il personaggio, ma non per la Sicilia che ne ha
beneficiato, che lui non conosceva – era a conoscenza di pochi, fuori Noto non
c’era nessuna attrattiva, ad Avola nel ’68 si sparava ai braccianti, ed è stato
poi un miracolo (delle cooperative di sinistra) l’invenzione nel deserto di
Vittoria dei “Pachino”, il pomodoro a peso d’oro – come poi del
“Nero d’Avola”, che forse ha soppiantato il Chianti come vino più venduto.
Dunque il piccolo miracolo della Sicilia di Sud-Est è stato politico, ed era
già in atto da qualche decennio. Ma è stato Sironi, il regista dei “Montalbano”
ad azionarlo alle dimensioni che ora conosce – secondato dal suo produttore,
Carlo Degli Esposti: mai serie tv è stata così ricca di ambientazioni, esterni,
caratterizzazioni, un mondo di attrattive. Posti dove nessuno si sognava di
andare, da Gela, anzi dalla stessa Agrigento, a Porto Palo, sono
così diventati attrazioni. Una Sicilia “inventata” da un emiliano e un
lombardo, anche questo è parte del miracolo. Sironi in particolare, con la
sigla monumentale, curioso, luminosa, creativa, che di borghi fatiscenti ha
fatto rocche splendenti, e di spiagge abbandonate miraggi. Cin un lusso di
interni, ognuno scelto con cura, tra il fantasioso e il fantastico, ognuno per
qualche memorabile.
Come varia la geografia economica, basta poco. Basta Alberto Sironi, regista
peraltro dimenticato, e le mafie scompaiono d’un tratto. Ci vuole così poco
(senza offesa per Sironi) per ribaltare il Sud? Sì, basta la fiducia, anche
solo un poco, purché zittisca le prefiche - i prefichi. O bisogna affidare la
Sicilia ai padani?
Stato mafia?
Brusca libero è la legge, quindi nulla da eccepire. Una legge voluta da una
delle sue tre-quattrocento vittime, il giudice Falcone, anche se ne beneficia un assassino tra i
più crudeli che si ricordino nelle cronache nere. Ma non si cancella lo
sconcerto che un simile personaggio se la cavi così bene. Tra i cittadini e
tra, conoscendoli, gli stessi mafiosi, che prima che bestie sono calcolatori.
Tra l’altro, Brusca esce dopo una carcerazione non punitiva, e tra mille
benefici, piccoli e grandi. A partire dai permessi premio, in realtà contrattualizzati: una settimana di vacanza (organizzata e pagata dallo Stato) ogni 45 giorni di detenzione, già da una ventina di anni - di che stropicciato gli occhi.
La legge voluta dal giudice Falcone, per indurre i mafiosi a tradire, avrà
senz’altro avuto l’effetto voluto – è dubbio, ma ammettiamo che l’abbia voluto,
che abbia indotto molti a parlare. È però una lotta alla mafia che sa di mafia.
Il famoso Stato-mafia.
Si parla di Stato-mafia a proposito di probabili trame segrete tra corpi più o
meno segreti dell’apparato repressivo, poliziotti, carabinieri, e malviventi. È
perciò curioso leggere il plauso a Brusca libero di uno dei maggiori assertori
dello Stato-mafia, il giudice e politico di estrema sinistra Pietro Grasso:
“Segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la
libertà, se non collaborarono, non la vedranno mai”. E perché dovrebbero vedere
la libertà?
La guerra alle mafie con i pentiti è infetta. Con i pentiti per i benefici di
legge. Diverso il caso delle vittime (per esempio le mogli, le figlie, i figli)
della coercizione mafiosa, che si ribellano (si pentono) per disperazione.
Sicilia
Damiano Caruso di Ragusa è il ciclista che è riuscito a sollevare un po’ di
entusiasmo al Giro d’Italia. Che è sceso quest’anno fino a Foggia, vale a dire
all’altezza di New York.
Sempre la Sicilia dà lustro ed entusiasma l’Italia, dunque anche nel ciclismo.
L’Italia senza la Sicilia sarebbe monca, si sa: un po’ di fenici, un po’ di
greci, un po’ di arabi, perfino di tedeschi, e molti normanni, con la poesia, i
limoni, il marsala, i vini bianchi, i rossi, i teatri greci, la musica, i
romanzi celebri, il teatro celebre, e ora anche il ciclismo. Alla sommatoria fa
più di tutta la Padania.
Sciascia, raccontò Camilleri da ultimo a Cazzullo sul “Corriere della sera”
(“Camilleri: gli scontri con Sciascia”) “era di un anticomunismo viscerale. Nei
giorni del sequestro Moro lui e Guttuso andarono da Berlinguer e lo trovarono
distrutto: Kgb Cia, disse, erano d’accordo nel volere la morte del
prigioniero. Sciascia lo scrisse. Berlinguer smentì, e Guttuso diede ragione a
Berlinguer. Io mi schierai con Renato”.
“Un’altra cosa non mi convinceva di Sciascia”, continua Camilleri
nell’intervista: “Nei suoi libri a volte rendeva la mafia simpatica”. Il boss
don Mariano che discetta di “uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e
qaquaraquà”, ne “Il giorno della civetta”, a teatro faceva ridere. Allo stesso
boss Sciascia fa dire: “Lei è un uomo”.
In effetti, il boss (prima di Riina) è anche un notabile. Ma
Camilleri dissentiva: “La mafia non ti elogia, la mafia ti uccide”.
“La Sicilia per Sciascia è come una donna”, Álvarez García, “Le zie di
Leonardo”. Dopo avere osservato meravigliato, insieme con Vincenzo Consolo e
Caterina Pilenga, che non ci sono donne nei romanzi di Sciascia, “salvo quando
occorre piangere sui cadaveri dei morti ammazzati o quando bisogna fare le
corna ai mariti”. Ma non salva nulla, della Sicilia come delle donne, arguisce
l’ex sacerdote cattolico già grande amico di Sciascia.
A Lucio Piccolo Álvarez García spiega, quando già era in crisi con la vocazione
sacerdotale, che Sciascia ha torto, che i siciliani sono religiosi, pieni di
santuari e di devozioni: “Sciascia confonde religiosità con cattolicesimo. Io
credo che i siciliani non riusciranno mai a essere veri
cattolici proprio perché sono troppo religiosi. Hanno venerato come
santi perfino i delinquenti! Pensi al culto che i palermitani tributavano alle
anime dei «decollati»”.
Ancora Tomasi di Lampedusa, inclemente con la sua isola, il
“ragionier Ferrara”, suo (o di suo padre) procuratore legale presso gli
affittuari di Salina, lo dice “individuo di teneri sentimenti, varietà umana
rarissima in Sicilia”.
Il disprezzo dei “borghesi”, parvenu e avari, Gioacchino
Lanza Tomasi condivide con l’autore del “Gattopardo”. In nota ai “Racconti” li
fa - in un inciso alle diatribe successorie che portarono i nobili alla rovina
(n.37, p. 90) – mafiosi, anzi della mafia i fondatori: “La mafia aveva difatti
avuto origine tra gli imprenditori agricoli. L’impresa rendeva in fitto e
potere e i campieri erano la sua milizia armata”.
Castelvetrano, oggi (1957) “cittadina civettuola e ambiziosa”, Tomasi di
Lampedusa ricordava prima della Grade Guerra “borgo lugubre, con le fognature
allo scoperto ed i maiali che si pavoneggiavano nel corso centrale; e miliardi
di mosche”. Basta poco, a volte.
Casteveltrano è poi diventata centro dell’uva Italia, l’uva da tavola degli
italiani - e di buona parte dell’olio di oliva. Immune evidentemente alla
mafia, benché “patria” e forse rifugio di Messina Denaro e altri capicosca.
Della serie la Sicilia impossibile, o dell’odio-di-sé. Tomasi di Lampedusa,
esempio insigne, inalterabile, fin dai primi viaggi ai vent’anni, di notabile
sradicato, ha, tra i notabili del paese materno, Santa Margherita Belìce, con
l’accento sulla i, prima della Grande Guerra, un Ciccio Neve, “che viveva con
una sorella pazza”. E aggiunge, fra parentesi: “Quando si conosce bene un
villaggio siciliano si vengono a scoprire innumerevoli pazzi”.
Romantica, o aromatica: non sarà materia di refusi, mentali? Gioacchino Lanza
Tomasi, riordinando le carte dell’autore del “Gattopardo”, trova a un certo
punto nel racconto “Lighea” (o “La sirena”) il mare “aromatico”. Ma è quello che
Tomasi di Lampedusa intendeva. Giorgio Bassani aveva corretto, nella prima
edizione dei racconti: “Il mare, il mare di Sicilia è il più colorito, il più
romantico…”. Tomasi aveva scritto invece: “Il mare, il mare di Sicilia
è il più colorito, il più aromatico…”.
Fa senso rivedere su “La Lettura”, con l’evidenza della grafica, il risultato regione per regione del referendum sulla Repubblica, ci cui è oggi il 75mo anniversario: il “muro di Ancona” del comico Ferrini c’è stato veramente. Sopra di esso perfino il Piemonte, sabaudo da un millennio, votò per la repubblica, 57 a 43. Il fronte repubblicano s’incrina nel Lazio, appena sotto il 50 per cento - 48,63. Dal Lazio in giù, a partire dall’Abruzzo, è un mezzo plebiscito. In Molise, Puglia e Sicilia è addirittura 1-2 a favore della monarchia. Per un’istituzione moribonda ovunque. E che già allora veniva incolpata dei disastri del Sud, dell’“annessione”, dell’insensibilità, delle ruberie (il re Umberto si sospettava di ogni appalto).
Come dire che il Sud non capisce. Come va l’Italia, come va il mondo. Potrebbe essere ua chiave.
Reggono le monarchie in alcuni staterelli asiatici. E nel Nord. Dell’Europa - anche in Spagna, ma non volentieri: Belgio, Olanda, Danimarca, Regno Unito, Svezia (e i granducati, ma lì di comodo, per gli affari fiscali).
La squadra del giudice
Muore un Grande Giudice Grande Animatore del Grande Sport nella Grande Città con Grande Cordoglio del Grande Giornale cittadino. È il giudice che ci ha rovinati, con quattro decreti ingiuntivi nel mese di agosto, uno a settimana prima e dopo il Ferragosto, avallando per buono dall’Alto della Sua Autorità immediatamente esecutiva le cambiali dei “cugini” strozzini, e non calcolando le ricevutine di pagamento, seppure autografe – non avevano nemmeno la marca da bollo! – che il Tribunale di prima istanza aveva invece debitamente conteggiate, dichiarando estinto il debito e chiedendo la restituzione\distruzione delle cambiali. Con un decreto i “cugini” si prendevano la casa, con uno la campagna con la casa, con uno il frantoio, e con uno ogni bene mobile e immobile nella disponibilità di papà.
Un fulmine a ciel sereno, atteso il verdetto favorevole del giudice di prima istanza, anche se non di prima nomina, Giuseppe Gambadoro, che si era andato a spulciare tutte le ricevutine e, benché in sede civile, avesse avvertito netta la puzza di usura, fatto il semplice raffronto fra i pagamenti attestati dalle ricevutine e le cambiali in mano agli strozzini. Un processo penale non si poté fare, l’avvocato disse: “Non c’è in repertorio una condanna penale per usura” – possibile, nel 1987? Ma il giudice coscienzioso aveva comunque ristabilito la verità.
Un fulmine a ciel sereno, per essere precisi, non è vero, oltre che stracco modo di dire. I “cugini” in Appello al Grande Giudice si erano affidati all’avvocato Panuccio, avevano fatto sapere ghignando, “che non perde una causa in Appello” - “costa ma rende”.
Questo è un classico in Calabria: ci sono – ci sono stati - avvocati che vincono – che vincevano - sempre le cause. Il più famoso è l’avvocato Mazzeo di Palmi, che è stato poi presidente democristiano della provincia, e candidato non fortunato al Senato. A Reggio l’avvocato Alberto Panuccio era famoso per vincere le cause in Appello. Un coetaneo del Grande Presidente. Di cui “chi ha avuto la fortuna di conoscerlo si è arricchito di valori”, dicono le celebrazioni.
Il Grande Giudice rigettò anche, con immediatezza, bisogna riconoscere, invece delle solite lungaggini giudiziarie, la domanda di sospensiva dell’esecutività a motivo della tarda età di papà. Pendente il ricorso dello stesso in Cassazione, di cui era già stata accertata la fondatezza giuridica. E senza colpa, naturalmente: il giudice decide in autonomia, in base a scienza e coscienza.
Niente famiglie niente mafie…
Tremila ettari agricoli concimati con veleni, tra Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto, il cuore della Padania, da una ditta bresciana che vi ha scaricato, per anni, almeno 150 mila tonnellate di fanghi tossici. L’equivalente di 150 mila tir, cioè una cosa che si vede, non uno sversamento di soppiatto, di notte. E niente, niente criminalità organizzata. Niente preti dal pulpito. Niente articoli. Giusto uno, per stigmatizzare un geologo che se la rideva.
La mafia dei rifiuti è solo nella Terra dei Fuochi. E nell’Aspromonte, dove però i rifiuti non ci sono.
Non è del resto un mistero, non da ora, da almeno mezzo secolo, che la Padania serve da scarico, a pagamento, dei residui tossici delle lavorazione svizzere e tedesche. Ogni tanto se ne sa qualcosa. Ma senza scandalo. Gli accordi si fanno, tra industrie e smaltitori ma senza mafie: al Nord la criminalità non è organizzata.
Si dice mafia la criminalità organizzata, cioè familiare, tra padri e figli, o tra fratelli, e allora certo c’è bisogno di famiglie numerose, che al Nord non ci sono più, da qualche generazione. Oppure le mafie sono a cupola. Ma neanche la cupola sembra essere genere nordico. Al Nord tutto è organizzato ma non la malavita.
Però, allora c’è speranza: col calo demografico le mafie familiari andranno finalmente a finire? Sarebbe infine il trionfo che l’eugenetica attende da un secolo buono: eliminiamo le nascite “cattive”, improduttive, morbose, pericolose, e la pace scenderà in terra.
Si dice delle donne, mogli, figlie, sorelle, che sfidano le mafie familiari, eroine, madri coraggio eccetera. Ma se non fanno più figli è ancora meglio, si evitano ritorsioni. L’inverno demografico sarà l’arma vincente? Dove non arrivano i Carabinieri, arriva lo zero nascite.
“Il lavoro del regista è essenziale: mette in scena il sottinteso”, Francesca Marciano con Cecilia Bressanelli su “La Lettura”. Il regista trasforma il racconto in immagini, le mette in scena, e le racconta (le monta), con i tempi e i tagli. Sulle avventure di “Montalbano”, con il relativo non piccolo boom economico del Sud-Est della Sicilia, fino a prima dei “Montalbano” l’area più depressa della Sicilia, da Agrigento a Pozzallo, campagne aride, città semiabbandonate, mari poco curati, si è creato un monumento a Camilleri. Che lo merita per il personaggio, ma non per la Sicilia che ne ha beneficiato, che lui non conosceva – era a conoscenza di pochi, fuori Noto non c’era nessuna attrattiva, ad Avola nel ’68 si sparava ai braccianti, ed è stato poi un miracolo (delle cooperative di sinistra) l’invenzione nel deserto di Vittoria dei “Pachino”, il pomodoro a peso d’oro – come poi del “Nero d’Avola”, che forse ha soppiantato il Chianti come vino più venduto.
Dunque il piccolo miracolo della Sicilia di Sud-Est è stato politico, ed era già in atto da qualche decennio. Ma è stato Sironi, il regista dei “Montalbano” ad azionarlo alle dimensioni che ora conosce – secondato dal suo produttore, Carlo Degli Esposti: mai serie tv è stata così ricca di ambientazioni, esterni, caratterizzazioni, un mondo di attrattive. Posti dove nessuno si sognava di andare, da Gela, anzi dalla stessa Agrigento, a Porto Palo, sono così diventati attrazioni. Una Sicilia “inventata” da un emiliano e un lombardo, anche questo è parte del miracolo. Sironi in particolare, con la sigla monumentale, curioso, luminosa, creativa, che di borghi fatiscenti ha fatto rocche splendenti, e di spiagge abbandonate miraggi. Cin un lusso di interni, ognuno scelto con cura, tra il fantasioso e il fantastico, ognuno per qualche memorabile.
Come varia la geografia economica, basta poco. Basta Alberto Sironi, regista peraltro dimenticato, e le mafie scompaiono d’un tratto. Ci vuole così poco (senza offesa per Sironi) per ribaltare il Sud? Sì, basta la fiducia, anche solo un poco, purché zittisca le prefiche - i prefichi. O bisogna affidare la Sicilia ai padani?
Stato mafia?
Brusca libero è la legge, quindi nulla da eccepire. Una legge voluta da una delle sue tre-quattrocento vittime, il giudice Falcone, anche se ne beneficia un assassino tra i più crudeli che si ricordino nelle cronache nere. Ma non si cancella lo sconcerto che un simile personaggio se la cavi così bene. Tra i cittadini e tra, conoscendoli, gli stessi mafiosi, che prima che bestie sono calcolatori. Tra l’altro, Brusca esce dopo una carcerazione non punitiva, e tra mille benefici, piccoli e grandi. A partire dai permessi premio, in realtà contrattualizzati: una settimana di vacanza (organizzata e pagata dallo Stato) ogni 45 giorni di detenzione, già da una ventina di anni - di che stropicciato gli occhi.
La legge voluta dal giudice Falcone, per indurre i mafiosi a tradire, avrà senz’altro avuto l’effetto voluto – è dubbio, ma ammettiamo che l’abbia voluto, che abbia indotto molti a parlare. È però una lotta alla mafia che sa di mafia. Il famoso Stato-mafia.
Si parla di Stato-mafia a proposito di probabili trame segrete tra corpi più o meno segreti dell’apparato repressivo, poliziotti, carabinieri, e malviventi. È perciò curioso leggere il plauso a Brusca libero di uno dei maggiori assertori dello Stato-mafia, il giudice e politico di estrema sinistra Pietro Grasso: “Segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborarono, non la vedranno mai”. E perché dovrebbero vedere la libertà?
La guerra alle mafie con i pentiti è infetta. Con i pentiti per i benefici di legge. Diverso il caso delle vittime (per esempio le mogli, le figlie, i figli) della coercizione mafiosa, che si ribellano (si pentono) per disperazione.
Sicilia
Damiano Caruso di Ragusa è il ciclista che è riuscito a sollevare un po’ di entusiasmo al Giro d’Italia. Che è sceso quest’anno fino a Foggia, vale a dire all’altezza di New York.
Sempre la Sicilia dà lustro ed entusiasma l’Italia, dunque anche nel ciclismo. L’Italia senza la Sicilia sarebbe monca, si sa: un po’ di fenici, un po’ di greci, un po’ di arabi, perfino di tedeschi, e molti normanni, con la poesia, i limoni, il marsala, i vini bianchi, i rossi, i teatri greci, la musica, i romanzi celebri, il teatro celebre, e ora anche il ciclismo. Alla sommatoria fa più di tutta la Padania.
Sciascia, raccontò Camilleri da ultimo a Cazzullo sul “Corriere della sera” (“Camilleri: gli scontri con Sciascia”) “era di un anticomunismo viscerale. Nei giorni del sequestro Moro lui e Guttuso andarono da Berlinguer e lo trovarono distrutto: Kgb Cia, disse, erano d’accordo nel volere la morte del prigioniero. Sciascia lo scrisse. Berlinguer smentì, e Guttuso diede ragione a Berlinguer. Io mi schierai con Renato”.
“Un’altra cosa non mi convinceva di Sciascia”, continua Camilleri nell’intervista: “Nei suoi libri a volte rendeva la mafia simpatica”. Il boss don Mariano che discetta di “uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e qaquaraquà”, ne “Il giorno della civetta”, a teatro faceva ridere. Allo stesso boss Sciascia fa dire: “Lei è un uomo”.
In effetti, il boss (prima di Riina) è anche un notabile. Ma Camilleri dissentiva: “La mafia non ti elogia, la mafia ti uccide”.
“La Sicilia per Sciascia è come una donna”, Álvarez García, “Le zie di Leonardo”. Dopo avere osservato meravigliato, insieme con Vincenzo Consolo e Caterina Pilenga, che non ci sono donne nei romanzi di Sciascia, “salvo quando occorre piangere sui cadaveri dei morti ammazzati o quando bisogna fare le corna ai mariti”. Ma non salva nulla, della Sicilia come delle donne, arguisce l’ex sacerdote cattolico già grande amico di Sciascia.
A Lucio Piccolo Álvarez García spiega, quando già era in crisi con la vocazione sacerdotale, che Sciascia ha torto, che i siciliani sono religiosi, pieni di santuari e di devozioni: “Sciascia confonde religiosità con cattolicesimo. Io credo che i siciliani non riusciranno mai a essere veri cattolici proprio perché sono troppo religiosi. Hanno venerato come santi perfino i delinquenti! Pensi al culto che i palermitani tributavano alle anime dei «decollati»”.
Ancora Tomasi di Lampedusa, inclemente con la sua isola, il “ragionier Ferrara”, suo (o di suo padre) procuratore legale presso gli affittuari di Salina, lo dice “individuo di teneri sentimenti, varietà umana rarissima in Sicilia”.
Il disprezzo dei “borghesi”, parvenu e avari, Gioacchino Lanza Tomasi condivide con l’autore del “Gattopardo”. In nota ai “Racconti” li fa - in un inciso alle diatribe successorie che portarono i nobili alla rovina (n.37, p. 90) – mafiosi, anzi della mafia i fondatori: “La mafia aveva difatti avuto origine tra gli imprenditori agricoli. L’impresa rendeva in fitto e potere e i campieri erano la sua milizia armata”.
Castelvetrano, oggi (1957) “cittadina civettuola e ambiziosa”, Tomasi di Lampedusa ricordava prima della Grade Guerra “borgo lugubre, con le fognature allo scoperto ed i maiali che si pavoneggiavano nel corso centrale; e miliardi di mosche”. Basta poco, a volte.
Casteveltrano è poi diventata centro dell’uva Italia, l’uva da tavola degli italiani - e di buona parte dell’olio di oliva. Immune evidentemente alla mafia, benché “patria” e forse rifugio di Messina Denaro e altri capicosca.
Della serie la Sicilia impossibile, o dell’odio-di-sé. Tomasi di Lampedusa, esempio insigne, inalterabile, fin dai primi viaggi ai vent’anni, di notabile sradicato, ha, tra i notabili del paese materno, Santa Margherita Belìce, con l’accento sulla i, prima della Grande Guerra, un Ciccio Neve, “che viveva con una sorella pazza”. E aggiunge, fra parentesi: “Quando si conosce bene un villaggio siciliano si vengono a scoprire innumerevoli pazzi”.
Romantica, o aromatica: non sarà materia di refusi, mentali? Gioacchino Lanza Tomasi, riordinando le carte dell’autore del “Gattopardo”, trova a un certo punto nel racconto “Lighea” (o “La sirena”) il mare “aromatico”. Ma è quello che Tomasi di Lampedusa intendeva. Giorgio Bassani aveva corretto, nella prima edizione dei racconti: “Il mare, il mare di Sicilia è il più colorito, il più romantico…”. Tomasi aveva scritto invece: “Il mare, il mare di Sicilia è il più colorito, il più aromatico…”.
leuzzi@antiit.eu
La Repubblica non si può governare - e non si sa perché
“Origini e aporie dell’Italia bipolare”
è il sottotitolo e il tema. La Seconda Repubblica presa sul serio, come
passaggio dalla dinamica consociativa alla logica dell’alternanza - governa chi
vince. Una raccolta eccezionale - il problema Italia è argomento quotidiano, e da conversazione da bar, ma chissà perché non di studi. Se non che questi studi benemeriti cadono in una legislatura di pieno consociativismo, e
della specie deteriore: non tra forze differenti ma vicine, quanto invece tra
forze opposte - qualcosa del tipo “Franza o Spagna purché se magna”. Tra le forze
opposte dei 5 Stelle e Lega un primo governo, in secondo tra altre due forze
opposte, 5 Stelle e Pd, e ora tutti quanti insieme, meno un solo partito.
Merito della raccolta è, per una
volta, di sottolineare la componente estera. Non quella del “vincolo estero”, della
museruola ai bilanci, credenza che, benché animata dalle migliori intenzioni,
da Ciampi a Draghi, ha immiserito l’Italia. No, della politica estera in senso
proprio, diplomatica e militare: l’Italia, sia pure il laboratorio politico
che si pretende, non sta nel vuoto. Nella globalizzazione, con gli Stati Uniti,
col Mediterraneo del Sud, con la Cina.
Importante la riflessione di Spiri.
Al di là di Mani Pulite, l’approssimazione è sempre grande negli Usa, si
direbbe in generale, comunque per l’Italia. Meglio andrebbe detto: l’approssimazione
è grande nella politica estera Usa, ma con l’Italia in modo particolare. Anche
con Kissinger, il più europeo (e colto) degli americani. Degli Stati Uniti che
sono anche il solo alleato che ha sempre concesso qualche spazio all’Italia in
questo lungo dopoguerra, col petrolio e il gas Eni, con l’Urss quando ancora c’era,
con le politiche mediorientali, in Algeria, in Libia, in tutta l’Africa. Molto
di più, p.es., rispetto ai tranelli e le imboscate della Francia e della Gran
Bretagna, o all’arcigno muso duro tedesco, sui conti, i prestiti, i sostegni (quando ne ha avuto bisogno
l’Italia, quando ne ha avuto bisogno la Germania di Bonn, con il comunismo a
Berlino, era tutto un accorrere in Italia…). Senza politica estera non si esiste
– non si vive soli singolarmente, in una comunità, un villaggio, un paese, c’è
sempre una socialità da curare. Chi si fa pecora il lupo se la mangia. Senza
una politica estera non si è – che ora invece si affida ai bellimbusti, per le
gite fuori porta, con ambasciatori impennacchiati a dare l’annuncio e tenere la
coda.
E della Repubblica, che ancora stenta
dopo settantacinque anni, che dire – che è poi il tema dei vari studi qui traccolti? Bonini,
lo storico delle istituzioni politiche, rettore della Lumsa a Roma, Ornaghi, già ministro della Cultura
di Monti, politologo alla Cattolica, Spiri ricercatore di Storia politica a
Bologna: un trio d’eccezione (con una lunga serie di collaboratori e coautori:
Pagnoncelli, Vera Capperucci, Andrea Possieri, Andrea Ungari, Paolo Pombeni,
Carlo Guarnieri, Daniela Preda, Michele Chiaruzzi) lascia il problema insoluto.
Come insolubile. Per non voler dire le cose come stanno – a parte gli intrighi
letali della presidenza Scalfaro, contro Craxi (e contro Berlusconi, nel fatale 1994, che pure avrebbe risolto il nodo pensioni, e quindi debito pubblico?). La
presunta Seconda Repubblica è l’esito di un’aggressione feroce, di carrieristi
ignobili, qualcuno anche spia, legato agli Usa. Col concorso del partito
Comunista Italiano alla frutta, al suo “tanto peggio tanto meglio” all’estrema
unzione. Al riparo della legge. Una aggressione a freddo alla politica italiana, troppo indipendente
negli schemi Est-Ovest. Che un’Italia che era instabile ha fatto non
stabilizzabile. Il problema del maggioritario, dell’alternanza, o del consociativismo, c’era e c’è, e fa la
maggioranza dell’opinione: nessuno mette in dubbio che l’Italia andrebbe governata,
in qualche modo, con lungimiranza, con chiarezza. Ma non si può risolvere: ogni
tentativo, di Craxi, di D’Alema, di Renzi, viene frustrato. Ci sarà un motivo,
no?
Benché tra mille peripezie, la
Repubblica è giunta ai 75 anni. Meriterebbe un po’ più di attenzione: più
incisiva, fattuale, meno di maniera. La Costituzione non è un’attenuante. O sì? Questa raccolta perlomeno ci prova. Il tema è succulento, ma altrove si fa finta di nulla.
Francesco Bonini-Lorenzo
Ornaghi-Andrea Spiri, La Seconda
Repubblica, Rubbettino, pp.300 € 18
martedì 1 giugno 2021
Problemi di base ragionevoli - 642
spock
“Nessuno rinuncia a ciò che conosce”, C.
Pavese?
La memoria è una condanna – una prigione,
una tortura?
“Non manca mai a nessuno una buona ragione
per uccidersi”, C. Pavese?
“Hanno ragione gli idioti, i pazzi, i
testardi, i violenti tutti – meno le persone ragionevoli”, id.?
“Le prove non sono nelle ragioni”, Alain?
Perché dire allora la verità?
Quale?
“Non
c’è che l’inconscio che non mente”,
Dada?
spock@antiit.eu
Vecchia Italia
Un capolavoro della letteratura di viaggio che
non si ristampa. Di viaggio in genere, oltre che in Calabria, a piedi, nel
1911, e al Sud. Di viaggiatore inglese, come il genere, dei Burton, di Chatwin, Levi, Leigh Fermor, ma già da ragazzo italianato, insabbiato a Capri. Personalità poliedrica, di
molteplici interessi, la mineralogia come la biologia, il greco come il latino,
pianista provetto. Una persona, prima che uno scrittore, di personalità forte,
umoralità ricca.
Si viaggia lungamente, prima di
mettere piede in Calabria. A piedi prevalentemente, a dorso di mulo, con una lunga
serie di mulattieri imbroglioni, e con mezzi di fortuna.
Si entra
nell’ordinario-meraviglioso subito, con
il “frate volante”, san Giuseppe da Copertino. È il prologo alla storia più
straordinaria, di “Milton in Calabria”: la scoperta che un poema analogo a quello
di Milton, un “Adamo caduto”, era stato redatto e pubblicato un paio di decenni
prima a Cosenza, opera di Serafino della Salandra, confratello del frate volante – un’opera per la
quale Douglas pagherebbe 8000 grani e non gli 80 del vecchio catalogo, ma deve
limitarsi a quanto ne legge sulle riviste, soprattutto quanto un Mr. Bliss
Perry ne ha scritto sulla rivista americana “The Atlantic Monthly”.
Ci sono già gli “intrusi
africani”. “Esiste qui un tipo di fisionomia inconfondibilmente semitico: capelli
ricci, pelle scura e naso a uncino. Essendo fuori causa una discendenza
fenicia, possiamo supporgli un’origine
saracena, tanto più considerando che gli ebrei del Medioevo non conclusero mai
matrimoni misti con cristiani”.
Ci sono i “parchi naturali” di
oggi, il Pollino, la Sila, l’Aspromonte. Con le loro vegetazioni e le loro forti
diversità, climatiche, antropiche. Ci sono gli albanesi di Calabria, presenza
cospicua. E il brigantaggio, un racconto horror
– riportato all’origine, la rivolta anti-francese, contro l’assurda leva obbligatoria
imposta dagli invasori francesi (con l’aiuto, anche, Douglas ne è certo, di
criminali fatti sbarcare dagli inglesi).
Un volume pieno di storie. Una
lettura consolante anche per la non piccola soddisfazione di vivere per qualche
ora in un mondo non leghista, non ancora, non asfittico e malevolo, quale è l’Italia da ormai
mezzo secolo.
Norman Douglas, Vecchia Calabria
lunedì 31 maggio 2021
I commissari al non fare
Dopo undici anni di commissariamento, la sanità in
Calabria è al suo peggio. Al peggio di tutta l’Italia, con i Livelli essenziali
di assistenza (lea) in caduta libera: l’ultima rilevazione della Corte dei
Conti li dà all’ultimo posto in Italia, a quota 125. Ben al di sotto della
sufficienza, che si colloca a quota 160.
La Calabria è stata particolarmente sfortunata
nelle scelte governative dei commissari – fino alla farsa di un anno fa:
incapaci o inutili. Ma è l’istituzione che fa acqua.
Il commissariamento funziona in azienda, con la
legge Prodi. L’azienda è un corpo singolo, individuato, articolato, e attivo.
Non va nella Funzione Pubblica. Per due motivi. Perché è riserva di funzionari
pubblici, non di manager con una carriera e una prospettiva. È gestita da gente
cioè che non ha competenze specifiche, se non burocratiche, e non ha stimoli,
se non cavarsela senza danno. E perché agisce su un corpaccione informe.
Compresa la sanità, che si fa figurare organizzata su criteri aziendali ma è
pur sempre un carrozzone.
Portato alla luce critica nella sanità, in Calabria
come in Campania, a Massa eccetera, il commissariamento è specialmente funesto
dove è più diffuso, nei Comuni, qualora gli organi elettivi siano per un
qualche motivo invalidati. Un lungo periodo in questi casi s’impone,
diciotto mesi, di commissariamento,
senza mai un risultato positivo che si ricordi – l’attività dei commissari è di
bloccare ogni attività.
Cronache dell’altro mondo - spiritualista (119)
“Quasi un terzo degli Americani sostengono di
avere comunicato con qualcuno che è morto. E spendono collettivamente più di
due miliardi di dollari l’anno per servizi psichici su piattaforme vechie e
nuove. Instagram, Facebook, TikTok, televisione: quale che sia il mezzo, c’è un
medium. Come i chiaroveggenti nei secoli passati, quelli di oggi riempiono anche
auditorium, sale di lettura, ritiri.
“Campi
sorici, come Lily Dad in New York e Cassadaga in Florida, sono in pieno boom,
con decine di migliaia di persone che li frequentano ogni anno, per sedute collettive,
servizi di culto, servizi di assistenza e guarigione, conferenze.
“Molti
frequentano non ogni anno ma ogni settimana: ci sono più di cento chiese
spiritualiste negli Stati Uniti, più di
trecento nel Regno Unito. Ma i più dei credenti stanno al di fuori delle chiese
organizzate.
“I numeri crescenti riportano a fine Ottocento,
quando fra otto e undici milioni di persone si identificavano come spiritualisti
nei soli Stati Uniti” –The New Yorker”. Su una popolazione allora di 50
milioni di abitanti.
domenica 30 maggio 2021
L’Italia commissariata
Draghi
va avanti come un bulldozer, ogni giorno un colpo, ma con la sapienza (l’accortezza,
la prudenza) del politico navigato. Per una sapienza politica infusa - sa
tenere a bada i partiti, pur essendo stato una vita ormai lunga fuori dai partiti?
O non perché i partiti, questi partiti, sono domabili, bestioline, quasi
domestiche? Entità fantasmatiche, virtuali, di sondaggi fuori dall’assenteismo,
ora al 50 per cento?
Un
governo, di Draghi, del resto buono e forse ottimo. Ma in una linea fuori partito,
anche se non anti-partito, non ufficialmente, nin parlamentarmente. Una linea
ormai consolidata. La verità di Mani Pulite, avallata dall’unico presidente non
pulito della Repubblica, Scalfaro, è una serie di governi “tecnici”: Dini,
Ciampi, Monti, Draghi. Non c’è l’analogo in Europa e nel mondo. Di un Paese commissariato,
ormai da venticinque anni. Neanche per caso – un solo caso, per dire, un’eccezione,
invece di una serie come in Italia.
La doppia verità, una storia che non si fa
È
stato un buon padre ed era un uomo buono”,
ha potuto dire Meris Corghi, figlia di Giuseppe, nell’atto di contrizione per
le colpe del padre, uno che aveva ucciso con due colpi di pistola alla tempia
un ragazzo di 14 anni, contro il parere dei partigiani semplici che lui
comandava, solo perché era un seminarista. Si po’ essere buoni e imbecilli (il
seminarista non fu il primo e non fu l’ultimo)? No. Ma l’imbecillità non
c’entra, assicura ancora la figlia Meris, ora buona credente, papà era
“accecato dall’ideologia”. Un’ideologia, dunque, dell’eliminazione, non dell’avversario
ma di chiunque.
È
breve ma impressionante il quadro che Cazzullo fa sul “Corriere della sera”
delle stragi comuniste nel reggiano, tra il 1944 e il 1945 – in aggiunta,
certo, a quelle nazifasciste. Di innocenti, cioè gente che non c’entrava con la
guerra né con la politica, stragi appunto di preti e seminaristi, e di
contadini isolati.
Morto
Giampaolo Pansa, che si prese le ultime contumelie, resistenti quindi fino a
pochissimi anni fa, si può infine
cominciare a parlare della storia e del ruolo del partito Comunista nella storia
della Repubblica. Mas solo in (brevi) articoli di giornale, per accenni. Quante energie deviate o soffocate.
L’Italia
sconta ancora la colpa di essere stata fascista, per vent’anni. E si gloria di
avere avuto la più forte presenza comunista dell’Europa libera, per cinquanta e
forse sessant’anni – la deriva veltroniana e bersaniana, “democristiana” e “capitalista”
(liberalizzazioni a sfare, grande distribuzione, multinazionali,
delocalizzazioni, outsourcing) è l’ultimo atto della lingua di legno, della doppia
verità. Non remoto e forse solo in sonno.
La doppia verità è – sarebbe - un bacino storico
immenso, di eventi, testi, testimonianze, documentabile, accessibile. Ma non
agli storici, per disappetenza – o la storia politica soffre di allergie?
Giallo Europa giovane
Due ragazze, una “fredda
berlinese” e una “passionale italiana”, amiche di penna che si incontrano
alternativamente a Berlino e a Milano,
in viaggio in autostop da Milano a Berlino incappano in un sedicente
conte che pretende di portarsele a Parigi e arricchirle come squillo (oggi
escort) di lusso e nel commercio della coca, avendo loro sottratto i
passaporti, e quando tentano di difendersi a colpi di borsetta non reagisce,
stecchito. Un approccio semplice, e fulminante: quante avventure si preannunciano
alla seconda pagina.
Scerbanenco, autore apprezzato in
Francia, ambienta la vicenda subito al di là della frontiera, nella valle del
Rodano, tra Chambéry e Lione, per rendere omaggio alla “efficientissima polizia
francese”. Il cui dominus nella vicenda, il funzionario giovane che la seguirà
e la sbroglierà è tanto duro nel mestiere quanto innamorato, dolce, della
berlinese, vecchia conoscenza di questa primissima Europa dei giovani.
Un romanzo, non un semplice
giallo. Con capovolgimenti di scena ogni due pagine. E con tutto l’occorrente: fughe,
inseguimenti, bugie, tradimenti, carte false, corse in autostrada nella
Germania controllata da russi, e russi (con un omaggio all’Ucriana). C’è già
pure il Modello Epstein, delle ragazze giovani e vergini vendute agli amici
ricchi e potenti. Ma con personaggi a tutto tondo. Con polizie efficienti in
mezza Europa. E con la patina del primo “Esramus” europeo: la voglia di
viaggiare, in autostop, allora si poteva – succederà l’interrail, e poi
l’Esramus propriamente detto. Con un intreccio, anche, d’amore, credibile, non
di maniera. Tra un romantico maschio e la femmina disinvolta – un dato molto
realistico, che la storia delle donne fa male a trascurare. Si direbbe un
capolavoro del genere.
Pubblicato postumo nel1972.
Scerbanenco, autore prolificissimo, di un numero sterminato di racconti, rosa,
gialli e di ogni colore, e di una settantina di romanzi, compresi un ciclo messicano, uno bostoniano (Arthur
Jelling) e uno milanese (Duca Lamberti), era morto nel 1969 di 58 anni – dai
quali bisogna sottrarre i primi, improduttivi, impiegati a emigrare
dall’Ucraina a Roma prima e poi a Milano, senza padre, un professore di latino
e greco ucciso nella rivoluzione, e con un
italiano problematico, senza studi, nemmeno le elementari, apprendista,
operaio, conducente di ambulanze. Che non è una biografia all’americana, è –
era stata – la sua squallida realtà. Nel 1943, finalmente approdato al “Corriere
della sera”, il fascismo scrollò, e dovete cautelarsi, come tutta la redazione, con un paio d’anni
di “esilio” in Svizzera.
Giorgio Scerbanenco, Europa molto amore, Garzanti,
remainders, pp.194 € 3,82
Scerbanenco, autore apprezzato in Francia, ambienta la vicenda subito al di là della frontiera, nella valle del Rodano, tra Chambéry e Lione, per rendere omaggio alla “efficientissima polizia francese”. Il cui dominus nella vicenda, il funzionario giovane che la seguirà e la sbroglierà è tanto duro nel mestiere quanto innamorato, dolce, della berlinese, vecchia conoscenza di questa primissima Europa dei giovani.
Un romanzo, non un semplice giallo. Con capovolgimenti di scena ogni due pagine. E con tutto l’occorrente: fughe, inseguimenti, bugie, tradimenti, carte false, corse in autostrada nella Germania controllata da russi, e russi (con un omaggio all’Ucriana). C’è già pure il Modello Epstein, delle ragazze giovani e vergini vendute agli amici ricchi e potenti. Ma con personaggi a tutto tondo. Con polizie efficienti in mezza Europa. E con la patina del primo “Esramus” europeo: la voglia di viaggiare, in autostop, allora si poteva – succederà l’interrail, e poi l’Esramus propriamente detto. Con un intreccio, anche, d’amore, credibile, non di maniera. Tra un romantico maschio e la femmina disinvolta – un dato molto realistico, che la storia delle donne fa male a trascurare. Si direbbe un capolavoro del genere.
Pubblicato postumo nel1972. Scerbanenco, autore prolificissimo, di un numero sterminato di racconti, rosa, gialli e di ogni colore, e di una settantina di romanzi, compresi un ciclo messicano, uno bostoniano (Arthur Jelling) e uno milanese (Duca Lamberti), era morto nel 1969 di 58 anni – dai quali bisogna sottrarre i primi, improduttivi, impiegati a emigrare dall’Ucraina a Roma prima e poi a Milano, senza padre, un professore di latino e greco ucciso nella rivoluzione, e con un italiano problematico, senza studi, nemmeno le elementari, apprendista, operaio, conducente di ambulanze. Che non è una biografia all’americana, è – era stata – la sua squallida realtà. Nel 1943, finalmente approdato al “Corriere della sera”, il fascismo scrollò, e dovete cautelarsi, come tutta la redazione, con un paio d’anni di “esilio” in Svizzera.
Giorgio Scerbanenco, Europa molto amore, Garzanti, remainders, pp.194 € 3,82