sabato 3 luglio 2021
Il ministero degli Affari Smarriti – o la Cina alla Farnesina
Gli Emirati dopo la Libia, l’Italia colleziona abbandoni e rifiuti di Paesi che pure molto se ne attendevano, molto avendo anche investito in Italia. Non esistono casi del genere negli affari internazionali. Alleati e clienti si possono pure perdere, ma perché hanno trovato di meglio altrove, non per incuria o incapacità dei beneficiari. La politica estera dell’avvocato di Volturara Appula e del suo ministro degli Esteri Di Maio, il bibitaro dello stadio Maradona, può vantare ora questa primizia.
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La Germania invitata alla ragione
Quattro lettere, scritte dopo
l’impegno di Camus nella Resistenza contro l’Occupazione tedesca. Due
pubblicate, nel 1943 e nel 1944, la terza nel 1945, a liberazione di Parigi
avvenuta, la quarta inedita. Riunite in volume da Gallimard nel 1948, ma in poche copie, Camus si era poi
opposto alle riedizioni e alle traduzioni. Fino all’edizione italiana, 1956,
alla quale antepose una prefazione, per spiegarsi, che qui si ripropone. In cui
scrive di non nutrire sentimenti anti-germanici, di non averli nutriti quando
scriveva le lettere al presunto coetaneo e amico tedesco: “Sono scritti di
circostanza, che possono avere un’aria d’ingiustizia”. E spiega: il “voi” delle
lettere non significa “voialtri Tedeschi” ma “voialtri nazisti”. Camus vuole
sopratutto allontanare il sospetto di nazionalismo, da cui, assicura, rifuggiva
anche nel corso della guerra.
Le lettere sono una sfida alla
Germania sul coraggio. Ce ne vuole molto di più per “avanzare verso la tortura
e la morte” che per marciare al fronte compatti, secondo strategie preparate da
tempo con cura. Aggiungendo: ce ne vuole anche per non soccombere alla
“tentazione di somigliarvi”. E si vogliono una risposta sul terreno della
verità. Partendo dai rimproveri dell’amico: “Tu non ami il tuo paese” e “i
Francesi non amano l’intelligenza”. E contro la “cecità” tedesca, che anche Dio
schiera al servizio del Paese: “Noi siamo partiti dall’intelligenza, e dalle
sue esitazioni”, per finire convinti e vincenti, mentre “voi non distinguete
più niente, non siete più che uno slancio. E combattete ora con le sole risorse
della collera cieca, attenti alle armi e
ai colpi scintillati piuttosto che all’ordine delle idee, intestarditi a
confondere tutto, a seguire il vostro pensiero fisso”.
Un alro che, come tutti poi, pensa ancora in gerra che non ci sarà futuro se la
Francia e la Germania si combattono. Un non ancora filosofo invita la
filosofica Germania alla ragione.
Albert Camus, Lettres à un ami allemand, Folio, pp.
81 € 7
venerdì 2 luglio 2021
I partiti del Capo, o la fine dalla politica
Draghi
dopo Monti marcia a passo spedito. Un provvedimento dietro l’altro. Tutti
contro l’uno o l’altro dei partiti che lo sostengono. Sostenuto dalla destra e
dalla sinistra, per una voglia indilazion abile di governabilità. Dopo che gli
stessi partiti hanno affossato l’ennesima riforma del Governo e del Parlamento in
senso efficientista - la governabilità.
L’irrefrenabile Renzi bocciando, dopo D’Alema, Berlusconi e Craxi, labellandoli
di fascisti.
C’è
una sindrome suicida nei partiti. Tutti i partiti. Che si dice o si vuole
dell’epoca, della disintermediazione, della disinformazione anche. Ma non è
vero – altrove, anche in mondi più proiettati nella contemporaneità, la
politica è sempre viva e attiva. La sindrome nasce da un’errata visione della propria funzione. Che si radica
nella mediocrità del personale politico. Per l’evoluzione rapida dei partiti
italiani verso la formazione personale di questo o quel Capo, il quale vuole collaboratori solo devoti, non intelligenti
né attivi. Un assetto che finisce inevitabile nell’inconsistenza, e nel ricorso
ai governi “tecnici”.
Da
una parte il “partito di plastica” di Berlusconi, che degrada verso l’illusionismo
di Grillo: roba da circo equestre, clownerie e equilibrismi. Dall’altra – Pd, molta
Lega, molto Fdi – i manovali della politica, degli acchiappavoti al minuto (la
pratica, il posto, l’indennizzo) e degli appalti pubblici (corruzione, molta
spicciiola).
L’opinione
pubblica non aiuta. Sommersa dal problema della propria sopravvivenza economica,
sul mercato. Che cerca – probabilmente sbagliando – nella rincorsa della non-informazione
– social, influencer, tweet, cioè battutine. E nella formula “Repubblica”,
della superfetazione che liquida la politica, da sempre invisa a Scalfari,
magnificandola – ognuno lo vede: sei, otto, dieci pagine di Conte e Grillo sono
una esposizione feroce, di fatto, al ludibrio. Il circuito della buona politica,
dell’opinione informata, colta, acuta, equilibrata, si è dissolto – gli analisti
sono settanta e ottantenni, e tollerati come residui.
Letture - 462
letterautore
Calvino – Il “mago”.
Katy Waldman così recensisce la traduzione di “Ultimo viene il corvo”, sul “New
Yorker”: “In «Ultimo viene il corvo»,
una raccolta de primi racconti, troviamo l’uomo dietro il mago”.
Charlot – Arrogante e
fortunato: al Marlowe succedaneo di Osvaldo Soriano, “Triste, solitario y
final”, come al suo idolo e committente Stan Laurel, “Stanlio”. Chaplin non
piace – “non gli piaceva quel’ometto arrogante, al quale andava sempre male nei
film e bene nella vita”. E poi, a proposito di “Joe” McCarthy, che perseguitava
i “comunisti”, a Stanlio che gli obietta: “Anche lui è stato perseguitato. Ha
dovuto andarsene”, risponde brusco: “Guardi, amico, quando in questo paese
perseguitano qualcuno sul serio , è difficile scappare. Chaplin è stato un ribelle
famoso, pieno di donne e di milioni. non avevano interesse a metterlo al
fresco”.
Dante – È stato anche un profeta –
papa Franecsco. E un reporter. Questa è la scoperta di
Cazzullo, autore di un “Dante, il poeta che inventò l’Italia”, sul “Corriere
della sera” – lo stesso che poi lo paragona a Giorgio Bocca: “Dante descrive
terre che conosce bene, come la Sicilia, ma anche terre in cui non è mai stato,
come la Sicilia”.
È
il primo e migliore critico musicale, attesta Riccardo Muti (nella
straordinaria intervista con Cazzullo sul “Corriere della sera” di domenica). Non proprio critico, mestiere
che a Muti non piace, ma quello che meglio di ogni altro ha saputo dire cos’è
la musica. Al canto XIV del “Paradiso”: “E come giga e arpa in tempra tesa,\ di
molte corde, fa dolce tintinno,\ a tal da cui la nota non è intesa,\ così da’
lumi ch lì m’apparinno\ s’accogliea per la croce una melode\ che m rapiva,
sanza intender l’inno”. Che Muti così commenta: “La musica è rapimento, non
comprensione” – e quindi: “Critici musicali, tutti a casa!”.
Fascismo – Fu – è - anche
snobismo. Professato come tale dopo la guerra
- sconfitta su tutti i fronti, disonore, lutti, distruzioni – nella
testimonianza di Malaparte da Capri. Roberto Giardina, presentando su “La Nazione” del 28 giugno la corrispondenza
(recentemente acquisita dalla Biblioteca Nazionale d Roma) che lo
scrittore ebbe con Loula Dombré, sua
amante a Capri negli anni di guerra,
cita da una lettera del ’48: “A Capri principi romani collaboratori
ballano in camicia nera di seta e calzoni bianchi, come ai tempi passati, il
fascismo diventato snobismo”.
Se
ne trovano tracce tuttora, anni 2020, in Versilia, terra dei Ciano, specie al
Forte dei Marmi.
Generi - Sono all’ordine del giorno, ma
nella confusione. Un chance (“la
Repubblica”). Una impasse (id). Una trauma (“La Nazione”).
“la
Repubblica” ha pure, di Mozart, “Così fan tutto” – “la Repubblica-Firenze”,
culla della cultura. È già il giornalismo dei digital expert? “Fanno tutto” non è male, certo, ma un po’
maschilista – solo le donne lo fanno?
Germania – Religiosa,
romantica, non succube della “democrazia”: così la presenta Thomas Mann a
Parigi, invitato per una serie di conferenze e incontri nel 1926. Raccontando
quell’esperienza in “Resoconto parigino”, si difende dall’accusa dei giornali
tedeschi di essersi sprofondato in “uno scandaloso salamelecco nei confronti
dei francesi”. E a p. 22 puntualizza: “Al contrario, spiegai che attribuire al
carattere tedesco un legame profondo e più o meno manifesto con le potenze
dell’inconscio, con le tenebre gravide e precosmiche, una tendenza
all’abissale, all’informe e al caos, che rende noi tedeschi degli eterni
bambini difficili, non significava diffamare la nostra natura, ma piuttosto ascriverle una particolare
attitudine al destino, una vocazione religiosa”.
In
più, il romanticismo, che fu tedesco, per il “suo significato rivoluzionario-rigenerativo” e “il pensiero
storico-filosofico tedesco”, in antitesi con “quella americano ed
europeo-occidentale”, creano delle “resistenze
– di per loro nient’affatto disprezzabili – che ponevano la natura tedesca
storicamente in contrasto con quel che si definisce «democrazia»”.
Giornalismo - Ma era invenzione
già della classicità, spiega divertito un lettore del “Corriere della sera”, se
si compendia, come insegnano i manuali del giornalismo americano, bibbia del
giornalismo, delle regole, nei cinque quesiti: chi, cosa, dove, quando, perché.
C’erano già negli “antichi manuali latini di retorica”,
spiega un Claudio Villa (pseudonimo?) da Vanzago: quis, quid, quo loco, quando, qua re. Anzi,
erano sei, con quomodo, come.
Malaparte – “Scrisse il
suo capolavoro ‘Kaputt’ dalla parte dei nazisti, e cambiò il testo in seguito,
contro di loro”, è la testimonianza di Roberto Giardina, “Malaparte e Loula,
storia d’amore e di volpi” (“La Nazione”, 28 giugno 2021): Ma lo raccontava
lui, e probabilmente non è vero” – “Malaparte amava i suoi difetti e detestava
le sue virtù”.
Morte a Venezia – “Come una
novella di Boccaccio”: Thomas Mann se lo fa dire divertito, raccontando dei
suoi incontri parigini, da un “ragazzaccio americano”, Marcus Aurelius
Goodrich, giornalista del “Chicago Tribune”.
Nazionalismo – “Molto poco
«tedesco»”, lo dice Thomas Mann a Parigi, chiamando a correi la Francia e anche
un po’ la Spagna, nel racconto compiaciuto (“Resoconto parigino”, 47) della
celebrazione che gli è stata tributata ia Parigi nel 1926. Lo nota quando il
suo grande estimatore Charles Du Bos evoca i ripetuti riferimenti dello stesso
Mann a Barrès: “Il nazionalismo tedesco – che, come è stato provato di recente
con notevole arguzia, affonda le sue radici nel romanticismo di Heidelberg
(Th.Mann intende: nel romanticismo europeo – n.d.r.) – è molto poco «tedesco»;
con la sua religiosità «ctonia», la sua venerazione per la notte, la morte, il
suolo, la Storia e il popolo è un fenomeno europeo, anzi «internazionale», al pari
di ogni ostinata volontà oscurantista, ed è rinvenibile in tutta la sua lugubre
sensualità già prima della guerra, sotto appena un po’ di patina spagnola, nel
fondatore della Ligue des patriotes e
nel creatore dell’esprit nouveau” -
Barrès.
Omero – Silvia Avallone su “La
Lettura” lo fa uno stuprator e, femminicida. E ha letto solo l’“Iliade”. Ma lo
ha letto? Quell’Omero?
Leggere
per credere: “La barbarie di Omero”, La Lettura 20 giugno
https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera-la-lettura/20210620/282252373487034
letterautore@antiit.eu
L'amore al cimitero - o la quarantenne felice
“Brio, leggerezza, umorismo e
serietà”: la narratrice li trova nel libro che ha comprato, l’unico della sua
vita, per imparare a leggere, unicamente attratta dalla copertina, con una mela
spaccata, “Le regole della casa del sidro”, e con questa formula la sua autrice,
fotografa di scena e sceneggiatrice, che tanti trucchi quindi ha visto sul set,
va avanti per cinquecento pagine che si leggono con diletto – le più lette da
un paio d’anni a questa parte. La narratrice ha quarant’anni ma una schiena
dritta. È camposantara ma ben viva e vivace: quante storie ascolta, indovina e si
racconta attorno ai morti e ai visitatori, e poi le piacciono i fiori. Sulla
traccia che l’autrice le disegna subito: “Stile diretto perfetto”.
La “cosa” così ben raccontata è una
vita ardente, come a tutti piacerebbe, a quarant’anni poi. La voglia di vivere
di una donna-bambina “abbandonata alla nascita”. Anzi, data per morta.
Cresciuta tra case famiglia e affidi temporanei. Che ha trovato un posto al
cimitero di un paese della Borgogna. Al Nord dunque, ma con grandi aperture al
Sud – Marsiglia, Aix, e il nuovo amante. Reduce da un amore, il suo solo amore,
spontaneo, gaudioso, costante, ma finito nell’abbandono, repentino. Madre di
una bimba amatissima che un incendio alla colonia estiva si è portata via ai
sette anni.
Una donna che tutto sa far
rivivere, i nomi, le date, le memorie. Analfabeta ma con un distinto senso
delle parole, una volta che le ha imparate compitandole nel libro della sua
vita. E una conoscenza minuta, in originale, di tutte le hit, da Elvis in poi. Che si direbbe che stoni, e invece no.
Un racconto che marcia
spensierato, talmente è agile. E non cura le incongruenze, ci marcia sopra. Per
il desiderio inesausto che rinasce. Con l’attesa rispettosa dietro la porta, e
un baciamano. In un cimitero come un giardino, dove tutto rifiorisce, perfino i
beccamorti. La morte violenta del marito violento, e quella accidentale della
bambina alimentando la giusta tensione per tutta la lunga narrazione.
Una celebrazione della vita piena
nell’età adulta. Del desiderio di vita. Straight,
come si poteva dire un tempo, del desiderio di lei per lui, senza correzioni
politiche, o promiscuità, né dark room. Che sia
questo il segreto del successo, oltre la scrittura agile – la voglia di
“normalità”, di leggerezza?
C’è perfino Dio, nella giusta
posizione. Anche un prete, come se ne incontrano di fatto. Una favola.
Valérie Perrin, Cambiare l’acqua ai fiori, edizioni
e\o, pp. 479 € 18
giovedì 1 luglio 2021
Europa allo specchio sui campi di calcio
L’ucraino
Besedin, colpito al ginocchio dallo svedese Danielson, ne avrà per sei mesi di
stop. Ma questo non basta a Gary Lineker per fare ammenda dell’immondo tweet contro
l’espulsione di Danielson. Protestava contro l’équipe arbitrale italiana. L’inglese
presume di avere ragione per sé, perché sa l’inglese.
Si
temono per questo a Roma i tifosi inglesi domani per la partita della
Nazionale. Sono famosi per essere turbolenti, grandi bevitori e padroni del
mondo. Una boria che non è britannica: sempre a Roma gli scozzesi, che vengono
numerosi per divertirsi contro la Nazionale italiana di rugby, sono famosi per
essere civili. Per l’inglese il mondo è una colonia.
Non
si capisce dopo l’eliminazione l’entusiamso dei giornalisti sportivi italiani, Rai
e Sky, per la Francia. Ma non si capiva anche prima, la squadra francese mostrando
limiti evidenti: si costringeva a giocare in difesa, pur avendo un ottimo centrocampo, con Kanté e Pogba, e grandi attaccanti. Miglior
terzino in ogni gara il bomber Griezman. Con qualche contropiede per il velocissimo
‘Mbappé. Ma al calcio si vince di squadra.
E
l’Italia? Sconcerti sul “Corriere della sera”: “Abbiamo costruito una squadra quasi
miracolosa con i cinquanta giocatori che sono convocabili nel nostro declinante
movimento. Per capire da dove veniamo basta un dato: sono rimaste in gioco
sette Nazionali oltre a noi, con 26 giocatori a testa. In totale 182 giocatori.
Sapete quanti di questi giocano in Italia? Solo 14”.
Sondrio appresta le difese contro Cimbri
È risentito a Sondrio come un assalto, più che una
sorpresa, o un investimento, l’ingresso di Unipol col 9, o il 10, per cento nel
capitale del gruppo.
A un mese dall’annuncio di Cimbri, l’ad del gruppo bolognese, il
gruppo valtellinese continua a evitare commenti. Le consultazioni fra i gestori
e i soci di riferimento (gruppi politici, e sociali) sono prudenti. Ma nel
segno della diffidenza.
In teoria i gestori sono autonomi, la proprietà è
diffusa - piccoli azionisti, e una decina di fondi d’investimento. Ma ci sono,
anche se non codificati, dei “soci di riferimento”: le cosiddette “istituzioni”. La galassia “bianca”, per intendersi,
ora anche un po’ leghista. Che diffida. Del gruppo emiliano e del suo ad Cimbri,
molto aggressivi ultimamente. Dopo aver conquistato cioè Bper, l’ex Popolare Emilia
Romagna.
L’attesa è che Cimbri proponga a Sondrio la fusione
che con Bper progettava con Bpm, ora praticamente fallita – sempre per l’aggressività
del proponente. Mentre Sondrio progettava sì un allargamento, ma come
acquirente. E a piccoli passi, come vuole la sua ormai lunga storia.
Il silenzio non significa inoperosità. I contatti
sono continui su come meglio difendersi da Unipol. Senza ancora nessun contatto
col gruppo bolognese.
Le mafie tra cashback e telepass – o la politica economica di Grillo
Familiare,
domestica, personale: dopo tre anni e passa di governo i 5 Stelle non hanno
prodotto altra politica economica – sì, il Recovery Fund, ma è roba di
Bruxelles, senza il contributo italiano. Il ripudio del cashback li trova peraltro impreparati, non sanno che obiettare: lo
hanno lanciato e imposto su impulso delle banche e di Nexi – si spera gratis.
Al costo di 4,5 o 4,8 miliardi per il Tesoro, che sono tantissimo. A favore dei
grillini, il ceto medio-piccolo. Furbi, con quelle centinaia di transazioni da
un euro per concorrere al superpremio di 1.500 euro, ma non per questo
simpatici.
Il
cashback è quanto il governo giallorosso, dei grillini col Pd, ha prodotto. Il
governo giallobruno aveva prodotto il reddito di cittadinanza. Cioè la vecchia
“pensione di invalidità”, invece di un’occupazione - invece di lavorare. Estesa
a tutta Italia, invece che al solo Sud. Pagata dai lavoratori e i pensionati – sono
quelli che coprono i quattro quinti delle entrate pubbliche da reddito. Un
obolo, senza altro senso economico, caro.
Si
giustifica il cashback come norma antiriciclaggio antimafia, mentre è solo un favore a Nexi in
Borsa, e alle altre carte bancarie. A spese dei commercianti. Il pagamento in
contanti non c’entra proprio nulla con le mafie – che sanno peraltro usare le
carte. E nemmeno con l’evasione fiscale. È una forma semplice di pagamento e di
contabilità, con entrate e addebiti immediati invece che a scadenza, da
contabilizzare in un secondo tempo e in apposito archivio.
I
francesi, si arguisce, e gli inglesi usano le carte anche per pagare i cerini.
Male. È una forma di vivere a credito di nessuna utilità per nessuno – se non
in casi eccezionali (e non per piccoli pagamenti). E costosa, dal 12 per cento
in su. L’italiano ne diffida, anche con suo danno: quanti milioni di italiani potrebbero
evitare le code ai caselli dell’autostrada la sera di sabato o di domenica,
magari a conclusione di un viaggio lungo invece che della gita fuori porta, passando
con Telepass? Ma non lo fanno. Sono mafiosi?
Appalti, fisco, abusi (204)
Si
sia vittime di un’ammenda o verbale avventato, in base al codice della strada, con
richiesta di soldi e cancellazione di punti, da parte di un-\a vigile\ssa, gli
stessi, né il dirigente che esamina e avalla la contestazione, sono responsabili.
Non per inavvertenza né per incapacità. Anche se vi hanno costretto a defatiganti
e costose procedure di ricorso – non al Prefetto, per il quale vale solo l’ente
sanzionatore, cioè il vigile urbano stesso e il Gruppo di appartenenza. Una
giustizia padronale.
Semplificazione,
semplificazione. Il 730 precompilato necessiterebbe la lettura di 133 pagine di
istruzioni, a corpo minuto. Semplice, no?
Il
Piano di Riconversione e Resilienza europeo si basa, per la parte italiana,
nell’ammodernamento delle infrastrutture. Cioè in investimenti a gara, in appalti.
Non c’è appalto che non venga contestato al Tar. Con successivo ricorso al
Consiglio di Stato. Quindi non c’è appalto che non ritardi di due anni la
commesa – è la causa maggiore della “perdita” dei finanziamenti europei per le
opere nelle aree sfavorite. Ma si può andare anche oltre i due anni: in Toscana
si è arrivati a otto anni, per l’affidamento delle autolinee regionali, per un
nugolo di ricorsi degli eclusi, comprese le Ferrovie, contro il vincitore, le
ferrovie francesi. E forse non è finita: si studia un ricorso alla Corte Europea.
Nei
ricorsi i ricorrenti chiedono normalmente l’“accesso agli atti”. Che sembra dovuto
– sono gli atti della gara d’appalto, di come e cosa ha concordato chi ha
vinto. Ma non è una garanzia di terzietà: il concorrente bocciato vuole solo
sapere il know-how di chi ha vinto i suoi conti, la sua organizzazione, l’organizzazione
del servizio da rendere. La concorrenza nella procedura italiana non è equità,
ma un modo di imbrogliare, sempre, le carte.
Ombre - 568
A
prima vista il “Conte siamo noi” dei grandi giornali sorprende, il “pilone”
della legislatura se fosse una partita di rugby, se non un Supereroe in tuta:
chi è Conte? Un avvocato, non dei primi, scelto a tenere assieme – in
ballottaggio con Cottarelli, il socio dell’Inter... – grillini e leghisti
all’indomani del voto del 2018 proprio perché incolore, che ora si vuole
capo di un partito del 15, del 17, del 20 per cento, ben più del professor
Monti. Un partito? Con quali voti? Non si capisce.
No,
Conte è probabilmente un falso scopo: un levantino, il democristiano in petto che sempre si agogna riprenda direttamente le redini.
Leggendo
delle imprese (“rivelazioni”) dell’avvocato Amara e vedendolo infine in foto, è
uno che si diverte. Un mucchio. Con chi capita, l’Eni, l’Ilva, e soprattutto
con i giudici. Con i Procuratori della Repubblica. Ai quali apre inchieste a
sensazione, da prima pagina, da talk-show. Ma senza esito. E quindi non si
capisce: come mai è nella manica sempre di qualche Grande Procuratore? Sono
schieramenti di loggia?
I Procuratori
si divertono? Bene. Ma perché non in aspettativa, non pagata – le prime pagine
non mancherebbero ugualmente?
E perché
utilizzano le forze dell’ordine, ora anche le guardie carcerarie, e le mense
carcerarie?
L’industriale
dei giocattoli Preziosi, che fabbrica in Cina il 95 per cento della sua merce, si scopre sotto ricatto delle compagnie di trasporto marittimo, anch’esse cinesi,
che bloccano i 5.500 container della produzione per la prossima stagione
natalizia, chiedendo un aumento dei noli da 10 a “oltre” 60 milioni.
La
Cina comincia a costare, non è più il laboratorio cheap dei consumi di massa.
Ma
non è tutto, constata Preziosi sul “Corriere della sera”: “Abbiamo abdicato
alla supremazia della Cina, fornendole i frutti della nostra ricerca, del design,
del saper fare tecnologico”.
La
globalizzazione non è un gioco a somma zero – si è guadagnato e ora si perde.
Con i noli, ma più con la concorrenza: dai giocattoli alla ceramica, alle automobili,
e agli strumenti di precisione, non c’è cosa che la Cina non sappia fare, anche
di qualità. Il “mercato” (gli affari) è imprevidente.
“Kim
«emaciato» spezza il cuore dei cittadini”. Come se i cittadini di Kim (Jong Un, il dittatore dinastico rosso della Corea del Nord) potessero avere un cuore.
Cinismo?
Ignoranza? Sprovvedutezza? No, la politica in Italia è quella della “Pravda”,
nel migliore dei casi.
Ma
poi ci pensa Kim, il giorno dopo, a profittare della malattia per silurare
tutti i capataz di regime che gli facevano ombra: non hanno affrontato bene la
pandemia. Anche questo senza commento: per il (residuo?) sovietismo è il capo
che decide.
Chi
sono gli svizzeri più ricchi, nella lista Bloomberg? Gli italiani Bertarelli (ex
Serono) e l’armatore Aponte (Msc). Quanto fa la residenza fiscale.
Fa
paura e simpatia il sociologo De Masi che si impanca a paciere fra Grillo e
Conte: un sociologo che non capisce la politica? Ma De Masi è – è stato –
ottimo sociologo politico. E dunque lo fa per gioco. Per un’ora, una mezz’ora
di talk-show, un’intervistina volante, un fondino, magari di riprovazione, come
questo? Siamo ridotti a tanto: un sociologo deve fare lo stupido per dire la
sua.
Rave parties, discoteche, all’aperto certo, stadi,
il virus non ha insegnato niente: si riprendono i contagi in allegria. Come
un’estate fa, negli stessi luoghi, dalle Baleari alla pianura Padana. E chi se
ne frega, i giovani non muoiono, e i vecchi non contano. O alla partita, come Atalanta-Valencia, ottomila contagiati e migliaia di morti, nella sola Bergamo. Più che per
l’ecatombe, non nuova, questa peste del Duemila si potrà utilizzare (ricordare)
come mutamento antropologico – che è poi un ritorno all’antico, almeno a stare
al famoso “riso sardonico”, che accompagnava, dice Propp, l’eliminazione dei
vecchi.
Imbarazzante
quadro di Gabanelli e Ravizza della sanità lombarda. Sul “Corriere della sera”, giornale di proprietà, a lungo esclusiva,
della stessa “sanità lombarda” – il gruppo Rotelli. Per non dire l’evidenza:
che il privato fa l’“eccellenza”, cioè il superfluo, e il pubblico il
necessario, per esempio il covid. Il privato in convenzione, cioè pagato dal
Tesoro, cioè dalle tasse, fa solo quello dove guadagna. Un’impresa anomala, a
utile convenzionato, cioè garantito.
Il
giudice Gamacchio, quello che spendeva a credito nella Milano del Quadrilatero – la più ricca d’Europa - senza
mai saldare il conto, ha stabilito un nuovo record, prima di mettersi in
pensione: ha scritto una sentenza sette anni dopo averla pronunciata. Si
direbbe un goliarda. Ma è stato giudice al Tribunale di Milano, per
quarant’anni.
Sulla
sentenza depositata dal giudice Gamacchio, di assoluzione, la Procura Generale
di Milano fa ricorso. Dopo sette anni. Dopo che gli imputati sono stati assolti
in tutti i gradi dei due processi – il primo , arrivato in Cassazione, era
stato cassato per motivi procedurali. Goliardi anche i giudici, sessantenni,
della Procura Generale? Non c’è più un reato di lite temeraria?
Il
Nobel per la pace Abiy, l’etiope che si annette il Tigré con stupri e fosse
comuni, è
più di un errore del premio svedese: è il modo di essere dell’Africa, dove solo
la violenza conta.
È anche un errore
europeo, quello di estendere i sensi di colpa per il colonialismo fino a
innocentare l’Africa,
del Nord e del Sud del Sahara.
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Si dice in città
Philip Marlowe vecchio e triste
“Triste, solitario y final” è Philip
Marlowe, quello “con la e finale”, il detective mito dei gialli di Chandler. Avanti
con gli anni. E più in bassa fortuna che mai, a gara in derelizione, sporcizia compresa,
col gatto con cui si tiene compagnia. Soriano, argentino biondo e grasso, doppiamente
spaesato quindi a Hollywood, lo coinvolge nella ricerca della memora di Stan
Laurel, “Stanlio”, per il motivo che “Stanlio” prima di morire si è affidato a lui
per sapere perché non lavorava più nel cinema.
Un cult degli anni Settanta presto malinconico. I due fanno a pezzi mezza
Hollywood, specie quella che gli è antipatica, di John Wayne e di Charlie
Chaplin, ricalcando un po’ il western un po’ il catastrofico, con inseguimenti,
pestaggi, pistole, mitra, rapimenti (di Chalie Chaplin agli Oscar). Una comica alla Stanlio (Marlowe) e Ollio (Soriano), ma non si
ride. Si direbbe
Marlowe vittima di Soriano, “il sudamericano biondo”. Oppure Soriano vendicatore, più
che angelo salvatore, dei miti di Hollywood.
Un pasticcio scombinato.
Una curiosa appendice di
“assonanze”, una decina di pagine di Chandler sul suo Marlowe, fa la differenza.
Osvaldo Soriano, Triste, solitario y final. Einaudi, pp.
165 € 9,50
mercoledì 30 giugno 2021
Ecobusiness
Strasburgo,
al centro dell’Europa, terra fortunata per millenni senza terremoti, è funestata
d poco dalle scosse. Le ultime due sono state\ anche
minacciose, 3,5 e 4 di dì scala Richetr. Perché il Progetto Geotermia, che si
paga praticamente per intero con i soldi pubblici,. nell’Ecopark di Reichstett,
ha sconvolto la tettonica. Con soli due pozzi finora perforati - fino a 5 chilometri
di profondità.
Elon
Musk deve ritirare 285 mila autoveicoli dal mercato cinese: il sofrtware di
assistenza alla guida autonoma è risultato a rischio collisione.
La produzione di elettricità da fonti rinnovabili ha
superato nel 2020 nell’Unione Europea l’elettricità prodotta da combustibili
fossili. Il sorpasso è avvento per una diminuzione rilevante
dei consumi di elettricità durante i lockdown produttivi. Ma con un incremento
della produzione da fonti rinnovabili, che ha oltrepassato la
soglia di un milione di Gigawatt\ora – con circa 30 mila gWh in più rispetto a
quella fornita da combustibili fossili.
Il costo dell’energia è
il secondo fattore in Europa, dopo i livelli retributivi, a incoraggiare la
delocalizzazione delle produzioni, a favore di centri produttivi (Cina e India
sopra tutti) dove le fonti di energia sono soprattutto fossili, carbone e petrolio.
Il carcere dentro (di sé)
Subito
dopo essere arrivato al luogo del confino, remoto, tra “terre aride” e una
“spiaggia desolata”, Stefano trasale intravedendo una certa ragazza, che farà
da traccia poi per il racconto, e si ripropone di “affrancarsi dal desiderio”.
Confinato politico, è reduce dal carcere a Regina Coeli, nell’amarezza e non
nella sovversione: “Nessuno si fa casa di una cella”. Per nessun motivo. Ma poi
è la vita, almeno in quell’anno, in quel periodo, a essere prigione: “La cella
era fatta di questo: il silenzio del mondo”. La solitudine. Il carcere? “Meglio
restarci per sognare di uscirne, che non uscirne davvero”.
Stefano
trascorre la sua vita nel remoto paese frastornato e come assente, pur raccontando
la sua esperienza in prima persona. Partecipe degli eventi quotidiani, e della
comunità, ma abulico, assente. A un certo punto verso la fine, quando nella
frazione superiore, ancora più remota, arriva confinato un vero politico, un
irriducibile, forse anarchico, e cerca un contatto, che Stefano cerca di
evitare, chiamerà “vigliaccheria la sua
gelosa solitudine”.
Il
lettore sa oggi che quella solitudine era risentita per un fatto biografico,
l’abbandono da parte della donna per la quale lo scrittore pensava di essersi
sacrificato, con la prigione e il confino. Ma senza questo riferimento
personale, causale, il racconto è in sé curiosamente “kafkaesco”, di una vita
senza appigli, di un mondo che gira in tondo, di spiegazioni che non spiegano.
Scritto
tra fine 1938 e i primi tre mesi del 1939, col titolo provvisorio “Memorie da
due stagioni”, Pavese lo pubblicò solo dieci anni dopo, nel 1948. Insieme
con “La casa in collina”, un dittico che
intitolò, evangelicamente, apostolicamente (il tradimento), “Prima che il gallo
canti” - che tuttora viene ripubblicato come tale, da ultimo nell’ottima
edizione Garzanti, con ampie annotazioni di Gabriele Pedullà. A ridosso di
Carlo Levi, “Cristo s’è fermato a Eboli”, una delle prime pubblicazioni
postbelliche, 1945, d’inaspettato successo, di pubblico e di critica.
“Il
carcere” è, al contrario di Levi, che fa un reportage,
un memoir si direbbe oggi, appena
appena romanzato: una sorta di diario grigio, risentito, lagnoso anche, di un
confinato, senza passioni. Di un confinato politico che ha in dispetto la politica. Il diario
di una vita sbagliata. ridotta a un modo di essere quasi animale.
Pavese
aveva tentato subito di raccontare il confino, nel 1936 appena libero, nella
prosa breve “Terra d’esilio”. Maturando
dopo la guerra dell’impero e l’Asse la radicalizzazione del fascismo e quindi
una scelta politica, più o meno inconsciamente Pavese s’interroga nel 1939
sulla sua capacità d’impegno, se non di fede politica. Oggi, alla luce poi de
“Il mestiere di vivere” e del “Diario segreto”, “Il carcere” si legge anche
come un rifiuto della politica: la politica è come il carcere, una privazione. I
personaggi che girano attorno a Stefano non sono eroici, hanno tutti più o meno
una loro personalità, ma tutti sono vittime delle illusioni politiche. Si vive
senza. Partendo dal maresciallo dei Carabinieri che dovrebbe controllarlo, ed è
invece il suo consigliere benevolo.
Il
rifiuto matura per il rifiuto dell’amata, attivista politica per la quale lui
si è sacrificato e che ora lo trascura e anzi lo dimentica. Questo il lettore
lo sa per certo se ha letto il diario, “Il mestiere di vivere”, e la corrispondenza,
ma è detto, senza riferimenti personali, anche nel racconto: il sacrificio a
che fine?
Si
vive nella provvisorietà. Una donna accudisce Stefano, Elena, disponibile anche
e letto e discreta, ma senza rilievo: “Stefano avrebbe voluto che venisse al mattino
e gli entrasse nel letto come una ,moglie, ma se ne andasse come un sogno che
non chiede parole né compromessi”. Si crea un mito, Concia, di una ragazza
“caprigna”, selvaggia, che è già madre di un figlio del padrone, e non parla,
non guarda. Vive il confino tra “pareti invisibili, l’abitudine della cella,
che gli precludeva ogni contatto umano”.
Un
racconto sottovalutato – la costruzione non invita, sembra perfino scritto di
getto, come viene, non costruito. Per la teorizzazione della “perfetta solitudine”.
Del desiderio di solitudine, o dell’incapacità, con tutti i buoni sentimenti,
di comunicare, fare parte di un mondo, una comunità, un gruppo, un’amicizia. Il
carcere, anche senza ponti levatoi, è l’insignificanza della politica, come qui
spesso si ripete, se non è viltà, quasi professata, comunque riconosciuta.
Sottovalutato
anche per la scrittura, a lettura ultimata, che fa giustizia della prima
impressione. Un racconto di situazioni e caratteri fluidi e non ben contornati,
come molti in Pavese, e di eventi per lo più minimi. Ma l’ambiguità si fa
leggere d’un fiato. E la curiosità: è un racconto ben localizzato,
conoscendo i luoghi e i linguaggi, è ben un romanzo (racconto) di Brancaleone
che Pavese ha scritto: il paese che guarda l’Africa dove ha passato lunghi mesi
al confino politico non è una semplice scena teatrale. Si comincia subito: come
i suoi compagni di conversazione all’osteria, una “scelta” portata dall’età (i
giovani con i giovani), “tutto il paese conversava così, a occhiate e canzonature”.
Subito si fa anche dire: “Siamo gente inquieta che sta bene in tutto il mondo
ma non al suo paese”. Concetto insistito: “Si è vecchi quando si torna al
paese”. Un antropologo di mestiere non saprebbe trovare di meglio, dopo mesi
e anni di osservazione: in Pavese c’è come una identificazione.
Cesare
Pavese, Il carcere, Einaudi, pp. 144
€ 10
martedì 29 giugno 2021
Cronache dell’altro mondo – sanitarie (126)
Le
proiezioni dei Center for Disease
Control and Prevention sono che bel 2025 le morti per overdose negli Stati
Uniti supereranno i 100 mila casi. Portando il totale in venticinque anni a
“oltre un milione”.
Ai
ritmi attuali, nell’anno elettorale 2028 saranno morti più Americani di droga
che in tutte le guerre dell’America.
Il
Lyme Disease, la malattia di Lyme o borrelliosi, diagnosticata per la prima
volta nel 1975, negli Stati Uniti, nella cittadina di Lyme, Connecticut, è
epidemico negli stessi Stati Uniti. Il “New York Times” scrive di 30 mila casi
accertati ogni anno, ma che se ne sospettano dieci volte tanti. Da quando la
malattia è stata diagnosticata, i casi si sono quadruplicati nel Michigan e
decuplicati in Virginia. Una cura valida ancora non è stata individuata.
Non
si deve più individuare un virus o altro germe patogeno dal luogo di origine, anche
se questo potrebbe aiutare nella profilassi (p.es. la variante “inglese” o “indiana”
del coronavirus), ma con sigle, lettere cioè e numeri, possibilmente quelle
cliniche. La denominazione di origine avrebbe impatto razzista, o comunque
accusatorio.
L’accertamento
di una possibile responsabilità dei laboratori cinesi nella formazione e
diffusione del coronavirus ristagna anche per questa riserva.
Giallo come un treno
Un
giallo italiano che fila come un treno. Nel plot,
e nel con orno – il corso di formazione all’Istituto di Medicina Legale,
un’ambientazione accademica che si direbbe perfetta, nel senso della verità
della cosa. Profuso, com’è d’obbligo
– chissà perché i best-seller devono
essere chilometrici (con danno anche economico: limitandoli a 200 pagine,
invece di 400, non se ne potrebbero fare due invece di uno?) – ma il giusto.
Con personaggi di spessore, non a due dimensioni cioè, o piatti. Per un plot a sorpresa naturalmente ma del
tutto vero, in ogni interstizio – se Gazzola lo ha scritto per caso e di corsa,
come dice, allora ha avuto la grazia infusa. La tensione va sull’onda hertziana
giusta, non si sbrodola – e non ha bisogno di effettacci: ogni poche pagine si
riannoda, su questo o quel particolare nuovo
Libero
anche, il giusto. Non c’è il partito preso femminista che fa vangelo: gli
uomini sono anche bravi, e giusti. La storia d’amore è tra una lei e un lui –
anzi due lui. In qualche punto Gazzola si spinge perfino a fare torto alle
donne in quanto estimatrici e acquirenti di arte contemporanea – quando è
risaputo che il business cultura
(compresi best-seller, i
romanzi) è opera di donne.
La
trovata della coinquilina giapponese è geniale, apre un mercato enorme – cinese
sarebbe stata meglio. E c’è anche, a p. 351, a Khartum, tutto quello che
bisogna sapere sull’Africa e invece sfugge - sarebbe stato più utile al povero Regeni del breviario di Cambridge.
Con pochi
svarioni. “Noartri” per il romanesco “noantri”. O la cena al bistroti di Villa
Pamphili. Giustificati: Gazzola è di
Messina, è pure brava ad ambientare tutto a Roma – anche se i belli-e-ricchi
accasati tra viale Manzoni e via Merulana stonano un po’ – l’area è d’immigrazione,
tutto l’Esquilino. L’impasse è del
genere giusto, maschile, ma non l’ortografia (empasse).
Alessia
Gazzola, L’allieva, Tea, pp. 376 € 5
lunedì 28 giugno 2021
Insonnia
Si legge
in treno, quando non si digita
Si legge
al mare, quando non si nuota
Si legge
al caffè, quando si è soli
Si legge
al giardino, quando non si guarda
Si legge
durante le conferenza, quando non si parla
Si legge
ai premi letterari
anche alle presentazioni di libri, quando non
si legge
Si legge
in aereo quando non si beve
(o in aeroporto aspettando l’aereo)
Si legge
a letto, quando non si è soli
Si legge
in casa quando non si dorme
Ma quando si dorme?
Americani a Roma - gay, in allegria
“Nel
1946 e 1947 l’Europa era ancora off
limits per gli stranieri. Ma nel 1948 gli Italiani avevano cominciato a rimettersi
in sesto, dimostrando ancora una volta la loro straordinaria capacità di affrontare
il disastro che così perfettamente è bilanciata dalla loro assoluta incapacità
di affrontare il successo”. Comincia così, nel 1948, a Roma, in un appartamento
dell’American Academy, a una d i un paio di festicciole che Tennessee Williams dà per l’apertura
della casa che ha preso in affitto in via Aurora (porta Pinciana, via Veneto) la
conoscenza di Gore Vidal col già famoso e ricco commediografo. Con un elogio
anche di Roma, “in quei giorni una città tranquilla, dove difficilmente qualcuno era di troppo, a meno che non
fossimo noi, il primo gruppo di scrittori e artisti americani ad arrivare in
Europa dopo la guerra”.
Comincia
anche un rapporto lungo una vita, che Tennessee Williams spesso confonde nella
sue “Memorie” e Vidal precisa, raddrizza, arricchisce con grande verve, anche satirica – “the Bird”,
Tennessee Williams, detto altrimenti “l’autore di ‘Un tram chiamato desiderio’”,
allora trionfante a Broadway, “aveva trentasette anni, ma pretendeva di averne
trentatré, per la giusta ragione che i quattro anni da lui spesi lavorando per
una ditta di scarpe non contavano”. Il tono è questo. Il tema è la queerness, l’omosessualità che allora si
negava e Vidal era già famoso per sbandierare in tutti i toni in tutte le sedi,
sbarazzino ma anche scurrile. E si entra subito in tema: alla festa c’è, calato
da Firenze non invitato, l’angloamericano Harold Acton, poi storico famoso dei
Borboni e dei Medici, che farà degli incontri con i giovani americani, di cui invidia
i liberi costumi, il racconto in un libriccino di pettegolezzi, “More Memoirs of an Aesthete”, nel quale centra la serata invidioso sul ragazzo napoletano che si accompagna all’anfitrione,
che chiama Pierino –
erano anni che non solo Tennessee Williams e il futuro lord Acton navigavano
beati tra Napoli e Capri, e anche (Williams) Taormina, senza riserve e senza
scandalo, anche se l’epoca lgbtqia era di là da venire.
“Pierino”
era Raffaello, precisa Vidal, che poi ha seguito “the Bird” in America, dove si
è sposato e vive con i figli. Di Acton riportando il commento acido: “Né lui
(Tennessee Williams, n.d.r.) né nessuno del gruppo che incontrai con lui parlava
italiano, ma aveva un protegé tipicamente
napoletano che non poteva parlare inglese”. Il tono è questo, dispettoso a sua
volta, ma pieno di “cose”, notizie, persone, fatti. Acton, “una lunga e
meravigliosa vita senza interesse”. Santayana, “stranamente come mia nonna,
diventata improvvisamente calva”. Carson McCullers, “artisticamente dotata e
umanamente spaventosa”, che parla southern,
sempre in ansia per quello che se ne dice e scrive – “Parlava solo del suo lavoro.
Della sua grandezza. Il lugubre accento meridionale cantilenante non si fermava
mai”. Truman Capote, di cui Vidal faceva le imitazioni al telefono, ricorre in
molti aspetti, più di tutti, quando non diceva le bugie e quando le dice, per
un periodo in compagnia di Monster Women (ma
non di Harper Lee, sua coetanea e compagna di scuola, amica di una vita: qui
Vidal ha un buco), che quando andò a Parigi si voleva amante di Camus, e un
certo punto pure di Gide, i quali invece non ne sapevano nemmeno il nome, come
Vidal per caso appura. Paul e Jane Bowles. Frederic Prokosch. Anna Magnani – “il
meglio che si possa dire della Magnani è che le piacevano i cani” (con commenti
furibondi di Marlon Brando). Un Arbasino senza remore.
Un
articolo-saggio che la “New York Review of Books” rispolvera in regalo ai naviganti – per invogliarli
alla sottoscrizione. L’“età dell’oro” non è quella della gaytudine – o forse
sì, anche di questo, quando l’omosessualità interessava anche ai non gay proprio
per essere diversa, per non essere improsatura quotidiana. L’età dell’oro è di
quando gli scrittori facevano testo e personaggio: a Broadway “nella stagione
teatrale 1947-48 andavano in scena 43 nuovi testi teatrali. Nel 1974-75 ce n’erano
18”, in maggioranza testi importati dall’Inghilterra e “raffazzonate commedie
musicali”.
Recensendo
le “Memorie” di Tennessee Williams sulla “New York Review of Books” il 5
febbraio 1976 , Gore Vidal si lascia andare a una gustosissima carrellata di
personaggi “equivoci”, cioè queer,
cioè omosessuali, e aneddoti più o meno veritieri. Del drammaturgo trentasettenne
che ricorda di avere sconosciuto il Vidal aitante, bello, giovane di 22 anni, a
Roma nel 1948, mentre Vidal sa che lo ha seguito a New York sulla Quinta Strada,
mentre lui stava seguendo un altro – non ricorda più chi. Il pettegolezzo gay,
su chi è più gay, elevando a racconto. Ma con qualche spunto critico che sarà
di interesse se ci sarà un ritorno di storia della letteratura . Di Tennessee che
avrebbe sceneggiato nei tanti drammi la sua famiglia: Rose la Sorella. Edwina
la Madre, Dakin il Fratello, Cornelius il Padre,
il reverendo Dakin il Nonno, eccetera. E le conversioni di Williams, da ultimo quella
al cattolicesimo –
la scena finale è di Williams invitato a un ricevimento dai gesuiti, che li
sbalordisce, anzi li stomaca, parlando di Dio.
Gore
Vidal, Selected Memories of
the Glorious Bird and the Golden Age, “The New York
Review of Books”, free online
domenica 27 giugno 2021
Cronache dell’altro mondo – culturali (125)
Si diffonde nelle università americane la presa di distanza dallo studio dei classici.
Considerati “discriminanti”, socialmente, etnicamente, moralmente, e cioè infetti. “È in
corso un generale distacco dal modello europeista”, secondo la ministra italana idell’Università e della Ricerca Scientifica, Cristina Messa. Lo studio dei
classici, aggiunge la ministra, più o meno contestabile, come può esserlo
studiare la Germania del Terzo Reich o l’Italia di Mussolini, è però – è stato,
era - ritenuto formativo della capacità critica, di capire ciò che è giusto o
sbagliato. Per esempio nel razzismo – anche quando è antirazzista.
“Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero
in galera”, ghigna il maestro Muti in un straordinaria intervista oggi con
Cazzullo sul “Corriere della sera” (“Mi sono stancato della vita”):
“Definiscono Bach, Beethoven, Schubert «musica colonialista»: come si fa?
Schubert poi era una persona dolcissima…”.
Ha proposto e fomenta il ripudio dei classici
il professore di Filologia classica di Princeton Dan-el Padilla Peralta. Che il cv dice “dominicano di nascita cresciuto a New York”, dove a 29 anni è diventato
professore alla Columbia University. Grazie ai classici. Nel senso che è
diventato professore di Latino e Greco,
e lo è diventato nell’ottica dei classici, dell’intelligenza e
l’applicazione che si premiano, da studioso della Repubblica Romana e il Primo
Impero. Benché di ascendenza africana.
Miseria della giustizia – o la sovversione permanente
Un giornalista, Allegranti della
“Nazione”, e il politologo della Luiss, di orientamento intimamente liberale, Giovanni
Orsina, già autore di un “La democrazia del narcisismo”, o “storia
dell’antipolitica”, qui si soffermano sulla Giustizia. In particolare Orsina.
Con insistenza, ma sugli episodi noti, e senza cattiveria. Mentre i giudici non
sono dilettanti né improvvisati: sono gente di potere, che ha messo le
istituzioni in scacco.
Il paradigma giudiziario tiene
sotto scacco non la politica, non solo, ma principalmente le istituzioni. Non da ora, sono almeno
trent’anni. E non per un progetto, il colpevolismo non è eversivo, non per
programma:
serve a un posto in più, un incarico in più, un po’ di fama rubata e qualche
spicciolo. C’è di peggio?
Un po’ di comparatismo, anche,
non avrebbe nociuto. Dove altro c’è qualcosa di simile? Nemmeno nei paesi a
giustizia dichiaratamente politica, come in Russia, o in Turchia o in Iran. Lì la
giustizia serve un progetto politico, per quanto discutibile, non un talk-show e
un posto di Procuratore Capo, con la scorta.
Giovanni Orsina-Davide Allegranti, Antipolitica. Populisti, tecnocrati e
altri dilettanti del potere, Luiss University Press, pp. 144 € 15
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