venerdì 9 luglio 2021
Europa allo specchio sui campi di calcio
Fa la faccia feroce lo stesso Ceferin dopo il rigore che ha regalato all’Inghilterra la finale contro la Danimarca. Ma al massimo ci sarà, se ci sarà, una multa. Rosetti intanto conferma al Var per la finale l’olandese Van Boekel, lo stesso che al Var ha convalidato il non-rigore a carico della Danimarca, pur vedendo che non c’era, come tutti al replay. E come arbitro designa Kuipers, al quale Verratti sta antipatico - perché napoletano? Rosetti non è Ceferin, e invece sì.
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (460)
Giuseppe Leuzzi
Partono
dalla Turchia, cioè come un tempo dalle vechie Alicarnasso, Efeso, Mileto,
Focea, città greche, e approdano a Crotone – cioè da Locri a Sibari. Su vecchie
carrette, con motori sfasciati al minimo, da abbandonare all’arrivo, seguendo
correnti e venti, e anche in barche a vela, seppure moderne. Sono i migranti
dal Medio orente, Iraq, Siria, Pakistan, Afghanistan, India, Bangladesh, che
passano per i trafficanti curdi. Oggi come duemila, duemilacinquecento anni fa.
La Magna Grecia è creazione delle corenti marine, e dei venti.
Non
c’è pasticciere del Sud che non sappia fare il panettone, anche buono, più
spesso ricco, arricchito per maggior valore aggiunto. Non si trova invece da
Roma in su, in Toscana, in Liguria, uno che sappia fare la granita. Che pure è
facile da fare, costa poco e vale molto. Il rifiuto è a monte.
Una
paleografia ravennate del 1226, dunque, scipperebbe alla Sicilia, a Jacopo da
Lentini e alla scuola siciliana, il primato del volgare in poesia.
Ma
è sempre attorno a Federico II, un tedecso, che nasce così imperativamente, in
radice, l’Italia – anche il volgare di Ravenna è ben italiano: “Quando eu stava
in le t’ cathene…”
“Intanto
va sgombrato il campo da preconcetti. Il Mezzogiorno conta più di quanto si
crede”. Il Mezzogiorno è l’ultimo tema
della lunga (due pagine) intervista del direttore del “Sole 24 Ore”, Tamburini,
con Carlo Messina, ma l’uomo azienda di Banca Intesa non ha dubbi: “Se fosse
uno Stato dell’Unione europea (il Sud) sarebbe all’ottavo posto nella classifica
dei 27 paesi europei per presenza d’imprese manifatturiere, con un ruolo
importante nella catena del valore su scala perfino europea”. E, aggiunge, “si
può fare molto di più”.
L’annuncio
che Stellantis localizza a Termoli il megaimpianto per le sue batterie
elettriche suscita solo domande su quanto lo Stato italiano “pagherà” in
contributi. E se l’impanto si facesse in Francia? O anche in Italia, ma a
Mirafiori?
“L’attaccamento
che proviamo per la nostra terra natale rientra in un’emozione che non si
spiega in modo razionale. È istintivo; è una specie di pietà filiale che si
ancora nel più profondo di noi stessi senza darci argomenti irrefutabili” – lo
scrittore algerino di lingua francese Yasmina Khadra, “Le Baiser et la
Morsure”. Una specie di pietà filiale.
Basta la parola
Emerge
il caporalato periodicamente, a Foggia o a Rosarno - e nel casertano
naturalmente, l’ex Terra di Lavoro, giardino d’Italia, diventata Terra dei
Fuochi (a opera di casertani e altri campani volenterosi). Mentre c’è ovunque
in Italia, nel Veneto, in Toscana, in Emilia, dappertutto dove ancora si
coltivano frutta e verdure. È il sindacato che altrove non lo denuncia?
Nemmeno
questo è vero: in Maremma il sindacato rileva questa estate “almeno 200 padroni
senza scrupoli”, che sfruttano maghrebini e cingalesi, a 3-4 euro l’ora,
“raramente si sale a 6”, per “dieci ore al giorno, a volte anche dodici”,
trasportati “su carri bestiame”, vecchi camion scoperti e senza sicurezza, agli
ordini di un numero di caporali stimato fra 135 e 200, “imprenditori” di
manodopera, da tempo internazionalizzati, con compari nei paesi di origine dei
lavoratori, con i qual esigere il “pizzo” per i trasbordi, e per i documenti
necessari all’ingresso in Italia. Mafia? No naturalmente, siamo in Toscana.
C’è
caporalato e sfruttamento anche nei cantieri della Versilia, da Viareggio al
Magra, specializzati nella nautica di lusso e di lusso estremo – yacht da 150
metri. Il sindacato spezzino lo ha accertato e lo denuncia. Ma a nessun
effetto. “Umiliazioni pesanti e violenze continue” sono state registrate sugli
operai immigrati del comparto, in prevalenza bengalesi. Pagati 5 euro l’ora,
per turni di 14 ore, “nei reparti più insalubri, come il trattamento e la
pitturazione dell’acciaio”. Ma neanche questo fa notizia.
“Più di quattro milioni di olivi
abbandonati in Toscana”, e numerosi marchi, Bertolli, Carapelli, etc., che si
fregiano del luogo d’origine toscano. Olii di ogni provenienza e miscugli di ogni
genere, venduti anche a 4 euro, al litro!, come se fosse extravergine - etichettato
“extravergine imbottigliato dall’olivicultore” X, “olio controllato e garantito
da X, Toscana”.
“La Nazione” registra su una pagina la
perdita, per la sola Riviera apuana, tra Marina di Carrara e Marina di Massa,
18 km. di costa, di 2,2 milioni di turisti in dieci anni, quasi un terzo dei
turisti registrati nel 2010. E sulla pagina di fronte il progetto di allargare
il porto di Carrara, che è già vuoto così com’è, e il cui primo allargamento,
quarant’anni fa, con una nuova banchina, ha portato all’erosione dei profondi
arenili che facevano la bellezza della Riviera, da ricostituire ogni anno con
costosi e terrosi ripascimenti, da proteggere con squallidi pennelli, il mare
in gabbia. L’appalto la vince su tutto, nella Toscana lorenese, così bene
amministrata.
Sulla stessa
Riviera Apuana e sulla Versilia i fiumi riversano inquinanti di ogni genere,
in percentuali quattro e cinque volte i livelli tollerabili, perché il trattamento
delle acque non funziona – là dove un depuratore c’è. Tutta la costa Toscana
risulta inquinata dai fiumi, eccetto la piccola spiaggia di Capalbio. Ma la Toscana
mantiene ben diciassette bandiere blu – solo tre in meno rispetto al 2020 (per
questo sorpassata dalla Campania), a pari merito con la Puglia. Particolarmente
fitte nel tratto più inquinato che risulta alle analisi, e si vede a
occhio, Versilia e Riviera Apuana. Mentre una mostra fotografica alla Fortezza
da Basso a Firenze può mostrare convincente spiagge toscane paradisiache, senza
risparmio di photoshop, sui toni del rosa e del celeste.
Per arrivare a
queste meraviglie fecali bisogna fare da Roma l’A 1 che è sempre intasata, ventiquattro
ore, fino a Firenze, dtretti fra i tir, con code di ore, e poi la Firenze-Mare, tortuosa e stretta. Oppure
l’Aurelia. I cui sindaci hanno impedito la costruzione dell’Autostrada, per oberare
la vecchia statale di migliaia (vero) di segnali di limiti di velocità, e
imbrogliare il viaggiatore, collazionando multe generose. Il vecchio istinto dei banditi
di passo della vecchia Maremma, che taglieggiavano i devoti in pellegrinaggio a
Roma lungo la via Francigena. Ma anche il taglieggiamento è portato a onore:
viva la multa.
Che altro? Si
paga il mare in Toscana due e tre volte più caro che sulle spiagge naturali e
le acque cristalline in Calabria. In Versilia quattro volte la Costa Viola, di Palmi, Bagnara e Scilla. Ma ciò di cui possiamo leggere oggi sulla Calabria sono,
sullo stesso “Sole 24 Ore”, la “Storia dell’antindrangheta”, cioè della
‘ndrangheta, probabilmente accurata, di Danilo Chirico, e il docufilm “Il paese
interiore” di Luca Calvetta e Massimiliano Curcio, detto da Ascanio Celestini,
coivolgente, ma su Vito Teti e le sue ricerche antropologiche, su una Calabria
inevitabilmente oscura.
Basta a volte il
nome, e la Calabria sa solo di zolfo. Niente spiagge rosate, né mari acquamarina. Niente nemmeno olii di oliva, non che se ne vedano in giro di origine calabrese.
Il
nome conta. Anzi è tutto.
Non
saperlo è una colpa. Capitale.
Mafie
L’ex
sindaco di Carrara Zubbani è stato labellato dalla grillina Bottici, poi senatrice,
di “mafioso”. Otto anni fa. Si è querelato, ma dopo otto anni il Senato ha
dichiarato che non può portare la grillina
in giudizio, l’accusa di mafioso, in tv, non ritenendosi offensiva.
Si
può dire la stessa cosa rovesciando le parti? Una grillina che si avvale
dell’immunità parlamentare, altrimenti labellata mafiosa, è mafiosa?
Il tutto mafia ha
favorito a Roma i magistrati che lo hanno imposto, e ha danneggiato la città,
gravemente, per otto lunghi anni ormai. Pignatone presiede il Tribunale del
Vaticano, il suo vice Prestipino è il suo successore a Roma, Procuratore capo.
Sull’assoluzione del sindaco
Alemanno, dalle accuse di mafia e di avere favorito, lui ex picchiatore
fascista, la coop rossa di Buzzi, uno non sa che dire, la giustizia in Italia è,
al meglio, complicata. Ma quanti danni non ha fatto la Procura siciliana a Roma
col suo canone mafioso. Un disastro. Mentre non ha perseguito la mafia romana
dei vigili urbani che perseguitava il sindaco Marino, e anzi ha mandato il
sindaco benemerito a processo, benché senza fondamento.
“A
Firenze il mattone si conferma bene rifugio per eccellenza e una casa su
quattro viene acquistata per investimento, non per abitarci. E addirittura il
74 per cento degli acquisti sono effettuati in contanti”. Addirittura, tanto è
l’amore per Firenze, niente mafie.
A
Bolzano e provincia (Alto Adige, Sud Tirolo), area al settanta per cento
tedescofona, almeno 2.500 tra medici e infermieri, una buona metà del totale in
servizio pubblico, non si sono voluti vaccinare. Ma senza denunciarsi e senza
essere denunciati: leAsl hano molti problemi a individuarli, per poter
programmare l’assistenza in casi di contagio. Omertà?
Dei
115 che, successivamente, dopo un mese, sono stati sospesi dal servizio, solo
un 10 per cento si è vaccinato, gli altri sono certi di essere reintegrati.
Si
è inventato il cashback per favorire Nexi e le altre carte di credito, e lo si
paga caro, quasi 5 miliardi di soldi pubblici (una cifra énaurme). Giustificandolo con l’antimafia – “sono le mafie che
comprano in contanti”.
Cioè,
si crea, e si finanzia, un’antimafia che è una mafia – atipica, certo, non
spara, non che si veda.
Napoli
“Aggiustatutto” è il nuovo mestiere di Napoli, dopo la
pandemia, per far fronte alla nuova disoccupazione, ma anche alla nuova domanda
– stare troppo a casa crea disordine. In linea con la vecchia teoria di Alfred
Sohn-Rethel, il filosofo tedesco che a Napoli fra il 1924 e il 1926, frequentando
pescatori e officine meccaniche, elaborò il saggio “L’ideale dello sfascio” - “Das Ideal des Kaputten. Über neapolitanische
Technik” (poi ricompreso nella raccolta “L’invitation au voyage zu Alfred
Sohn-Rethel”, 1979): da ogni cosa se ne trae un’altra.
Due
inchieste a San Marzano, su due casi di passate di pomodoro egiziane che
sarebbero state spacciate per italiane, bastano a Milena Gabanelli e al “Corriere
della sera” per tuonare contro, una paginata. Con accuse subordinate di
caporalato e sfruttamento schiavistico. Mentre la raccolta del pomodoro,
secondo l’associazione di settore, Anicav, è meccanizzata, “per il 100 per
cento al Nord e per oltre il 90 per cento nel bacino Centro Sud”. Dove il
restante 10 per cento riguarda principalmente San Marzano, “prodotto di qualità
che va raccolto a mano”, e colture limitate di collina con forti pendenze.
San
Marzano come la Terra dei Fuochi. Quando tutta la Lombardia e mezza Emilia
trattano i rifiuti velenosi di mezza Europa, inquinando fino alle falde
idriche. Che a San Marzano si indaghi su due possibili frodi, non accertate, su quantitativi
limitati, denunciate da altri operatori locali (meridionali), mentre non si
indaga in Lombardia sul commercio di sostanze velenose non degradabili, questo
naturalmente non è caporalato, e quindi non fa notizia. Anche perché è diffuso,
benché criminoso, e da decenni.
È
l’Italia, l’idea dell’Italia: Edith Bruck, reduce dalle persecuzioni
antisemite, nelle quali ha perso i genitori, arriva a Napoli, giovane ballerina di
fila, da avanspettacolo, e ritorna a vivere, confida a Lorenzo Guadagnucci
sulla “Nazione”: “Arrivai in Italia nel ’54 e a Napoli per la prima volta mi
sentii davvero accolta. C’era un’atmosfera che faceva venire voglia di
rimanere, pur senza capire una sola aprola d’italiano. Poi arrivai a Roma”.
Gianluigi
“Gigio” Donnarumma, di Castellamare di Stabia, calciatore (portiere) e Mino
Raiola, di Nocera Inferiore, residenza a Montecarlo, procuratore, sono al top
del turbo capitalismo, facendosi pagare, molto, sia l’atleta che il suo
patrocinante, per non giocare. Lo sceicco ElKhalifa del Paris Saint Germain si
è preso in costoso comodato il portiere non per farlo giocare – ha già un
ottimo portiere, assieme ad altri cinque, quindi ne avrà sette (in una rosa di
ben quaranta titolari) – ma per il lustro, e in conto future plusvalenze da
cessione. Napoli non manca mai d’ingegno, sia quella porosa di W.Benijamin, sia
quella riparatrice di Sohn-Rethel: inventiva e applicata. Perché non è, non è mai stata,
la Lombardia?
Prima
tutti a vaccinarsi, al punto che non ci sono abbastanza vaccini in dotazione.
Poi, a metà giugno, chiuse le scuole, centri vaccini deserti. Le Asl vanno a cercare
i prenotati uno per uno e non li trovano. Napoli è sempre rapida, e eccessiva,
nelle decisioni.
Montigelli è andato a Castellammare per il dopo-Europeo Rai e, rifiutandosi i familiari di Donnarumma di esibirsi, fa inquadrare il terrazzo di un villino con dei panni stesi ad asciugare. Il cliché del Sud è indistruttibile.
È il toponimo più diffuso in Grecia –
dopo Calabretto. Due nomi beneauguranti, questo dell’abbondanza, quello del
nuovo inizio. La Napoli-Napoli è invece immutabile. Oppure ogni sua mattina va
considerata un nuovo inizio – mattina-mattana?
Emilio Fede, 90 anni, sulla sedia a
rotelle, a Napoli per i funerali della moglie, è svegliato di notte in albergo
da due poliziotti che devono controllare l’autorizzazione a lasciare temporianeamente
Milano, dove sconta una condanna ai servizi sociali. “Sono stati un’ora”,
spiega: un tempo infinito per il controllo di un documento.
L’anno scorso, a 89 anni, a Napoli per il
compleanno della moglie, Fede era stato arrestato mentre pranzava al
ristorante. Sempre per lo stesso motivo – l’anno scorso l’autorizzazione
richiesta e ottenuta dal Tribunale di Milano non era arrivata in tempo a Napoli,
un disguido? Anche la Polizia è esemplare a Napoli, tricche e ballacche – di cui
è nota peraltro l’efficienza, per esempio contro gli scippatori e i ladri
d’auto.
Si
celebra Salerno sul “D.” di “la Repubblica. Per il recupero del centro storico,
il fronte del porto di Zara Hadid, la vivacità culturale. Dimenticando la
vecchia università rimodernata , con campus, a Fisciano. Dimenticando che è
tutto opera di De Luca, poi presidente della Regione Campania. Di cui si parla,
quando se ne parla, come se fosse il personaggio di Crozza, da ridere.
Il ritorno alla normalità a Napoli dopo
il coronavirus il “Corriere della sera” celebra commissionando all’incolpevole
de Giovanni l’elogio del “Gambrinus”, il caffè storico. E lo scrittore -
s’immagina volentieri: debuttare in prima pagina sul “Corriere della sera” fa
piacere a uno scrittore - si adegua al meglio. Certo, un po’ di colore ci vuole
nei giornali, troppo piombo. Ma a Napoli c’è solo quello.
Dietro l’imbattibile, anche se infrequentabile,
Liguria, la Campania sale al secondo per numero di “bandiere blu” (siti
balneari in sicurezza) fra le regioni. Anche di questo si deve dare merito alla
“macchietta” De Luca – non c’è giornale che ne sappia parlare diversamente?
Le
sue “poesie del ‘27”, rileggendole, Pavese trova nel “Mestiere di vivere” di
“sbrodolata e napoletana ingenuità”. Intendendo sentimentali, da canzonetta
napoletana. Poiché aggiunge: “Ne abbiamo le palle piene dell’amore”. Pur
lamentando che il Piemonte non avesse
canzonette, dovesse cantare quelle napoletane – all’epoca della leva
obbligatoria i giovani del Nord facevano il militare al Sud.
Pavese
sentiva molto la “piemontesità”, una sorta di leghismo liguistico e poetico.
Va
in Campania la quota maggiore del reddito di cittadinanza, il 22 per cento del
totale. Napoli è la prima provincia in Italia per reddito di cittadinanza, in
assoluto e in rapprto alla popolazione.
A
Napoli e provincia una persona su sei ne beneficia, per un totale di oltre 157
mila nuclei familiari. Uun numero equivalente a quello dell’intero Nord.
Il
“Corriere della sera-Corriere del Mezzogiorno” deve sospendere la (non) sottile
campagna razzista contro il presidente
della regione Campania De Luca perché online si può ascoltare il suo invito, in
ottimo inglese, ai turisti nelle isole del Golfo. La rete è più veritiera dei
media? C’è più malanimo nei media che in rete?
Veniva
irriso De Luca qualche giorno prima anche perché voleva vaccinare subito le
isole, per poterle dichiarare covid free,
e far ripartire il turismo, di cui le isole, bene o male, vivono. Poi si è
scoperto che la cosa ha una logica e funziona. Ma De Luca, essendo
“napoletano”, non ne ha merito.
leuzzi@antiit.eu
Omaggio a Lilibet, da Dublino - in segno di pace
È il 1940, Londra è sotto il blitz tedesco. I reali, Giorgio V e la regina, non
vogliono lasciare la città, per condividere moralmente i pericoli dei sudditi,
ma come tutti i padri pensano di mandare le figlie, Elisabetta e Margaret, in un posto
remoto, più sicuro. A Dublino l’ambasciata inglese chiede al governo irlandese,
che si è dichiarato neutrale in guerra e sempre diffida di Londra, asilo per due “bambini”, due ragazze, di 14 e di 10 anni. Andranno a Tipperary, che
esiste realmente ma è un posto remoto, nel castello di un lontano parente.
Sotto lo pseudonimo col quale
firma da decenni i suoi libri avventurosi, in genere gialli, John Banville
contrabbanda una delle sue storie rarefatte (l’edizione italiana riporta il “Benjamin
Black” originale a John Banville). Con poco o nessun movimento, se non
impercettibile, e lunghe fantasmagorie su non eventi, che delineano forti caratteri
e siuazioni anche drammatiche. Qui si tratta nientedimeno che della regina
Elisabetta, quattrodicenne “già bossy”,
padrona e amante del cavallo Prince, e della sorella Margaret, dieci anni,
fantasiosa e impertinente.
Che altro? La vita da sfollati si
svolge senza problemi. Un tributo di Black-Banville alla novantenne regina,
subito indirizzata come oggi la conosciamo, con l’affettuoso Lilibet? Il lungo romanzo non ha altro senso. Un po’ di suspense c’è, per i residui dell’Ira che, se sapessero
l’identità delle due ragazze, non si priverebbero di un attentato, ma tenue, in
sordina.
Il fatto sarebbe storico, delle due
principesse sfollate per un periodo in Irlanda, anche se le biografie e le
storie dei Windsor non lo citano. È comunque un’idea, attorno alla quale
sospetti, sussurri e intrighi montano, ma sul piano personale e caratteriale. Di
“tipi” irlandesi, giovani, belli, ricciuti, o anche ubriaconi, o grassi con la forfora, e confusi. Di inglesi che
inglesizzano, ridicolizzati più che satirizzati, il segretario d’ambasciata, il duca ospite, la sua governante –
roba da “Downton Abbey”, vista e rivista. Con la lentezzza, purtroppo, di Banville.
La chiave è forse questa, di un
irlandese anglicizzante, quale Banville è. Qui scettico sulla persistente
anglofobia del suo paese, pur con tutte le colpe dell’Inghilterra per sette
lunghi secoli: non perde occasione per dirla masochista. Come quando si pensò
d’imporre il gaelico invece dell’inglese. O, a proposito di un maggiore
dell’esercito de Valera che sarà determinante nella vicenda delle principesse, dove si
ricorda il padre della patria Eamon de Valera per il no frapposto alla proposta
di Churchill di unificare le due Irlande se Dublino si schierava in guerra con gli Alleati e
apriva i suoi porti alla Marina britannica. I nazionalisti irlandesi, terroristi, sono vigliacchi e malvagi.
Il complotto contro le principesse è seguito con ironia. Il mondo inglese è ritratto
invece con simpatia, il re Giorgio V con la sua balbuzie, e col buonsenso, le
principesse, la loro custode, l’agente dei servizi segreti Celia Nashe. Un omaggio è tributato da ultimo anche al principe Filippo.
Benjamin Black, Le ospiti segrete, p. 336 € 19
giovedì 8 luglio 2021
Europa allo specchio sui campi di calcio
Si vede Wembley stracolmo, la sera alla partita, di
tifosi urlanti, l’uno sopra l’altro, senza traccia di mascherina, e poi stano
qui a misurarci le distanze sui marciapiedi, e aspettare in fila all’edicola. Non
è sensato.
La regola Uefa del 25 per cento della
capienza degli stadi non si applica a Londra – effetto Brexit?
Per molto meno il cardinale Borromeo, quello della
peste di Manzoni, non è stato fatto santo. Per avere ordianto una processione
quando la peste si temeva, così si disse, diffondendola (il cardinale obbediva
a un precetto del cugino maggiore Carlo, cui era devoto, il quale invece era
stato fatto subito santo, perché aveva altre vie – ma questo è un altro
discorso).
Ma questa Inghilterra post-brexit è molto italianista. Southgate ha insegnato a non prendere goal. E parla con le mani con i suoi giocatori, li tocca, se li abbraccia - cosa che Mancini non fa.
Fa molto il giro la foto di Chiellini che scherza con
Jordi Alba al sorteggio del campo per i supplementari. Ma chi ha visto la partita
sa che non è vero: Chiellini ha provato più volte a far sorridere il catalano, abbracciandolo anche e
strattondanolo , ma quello è rimasto sulle sue - sembra seccato, ma forse presentiva
la fine. Italiani e spagnoli saranno fratelli in latinità, ma di padri o madri
diverse.
I guardalinee segnalano i fuorigioco in ritardo,
anche di un minuto. Avvertiti dal Var?
Al momento del rigore che ha deciso Inghilterra-Danimarca,
con i due palloni che ballavano nello stesso angolo di campo, proprio davanti
al guardalinee, questi non si è mosso. Il Var non lo ha avvertito?
Kjaer, il danese del Milan, il migliore dei suoi, è
quello che li ha condannati, con l’autorete – ma sarebbe stato un goal di
Sterling. Gli dei sono omerici, imprevedibili.
La regola Uefa del 25 per cento della capienza degli stadi non si applica a Londra – effetto Brexit?
Ma questa Inghilterra post-brexit è molto italianista. Southgate ha insegnato a non prendere goal. E parla con le mani con i suoi giocatori, li tocca, se li abbraccia - cosa che Mancini non fa.
I guardalinee segnalano i fuorigioco in ritardo, anche di un minuto. Avvertiti dal Var?
Al momento del rigore che ha deciso Inghilterra-Danimarca, con i due palloni che ballavano nello stesso angolo di campo, proprio davanti al guardalinee, questi non si è mosso. Il Var non lo ha avvertito?
Kjaer, il danese del Milan, il migliore dei suoi, è quello che li ha condannati, con l’autorete – ma sarebbe stato un goal di Sterling. Gli dei sono omerici, imprevedibili.
Cronache dell'altro mondo (127)
Britney Spears, che intanto ha prodotto quattro album, di successo, ha capitanato un tour che ha fatturato 131 milioni di dollari, si è esibita per quattro anni in uno spettacolo di successo a Las Vegas, è da dieci anni sotto conservatorship, sotto tutela. Del padre e di un avvocato che lei non ha scelto. Un regime più rigido della tutela, poiché riguarda anche la vita personale e quotidiana. Questo perché, per l’uso di stupefacenti, era entrata in una clinica di disintossicazione - di sua volontà. In un paese che si fa bandiera della libertà.
Due settimane di spoglio e maggioranza di pochi voti per Eric Adams, su Kathryn Garcia, alle primarie del partito Democratico a New York per la candidatura a sindaco di New York – cioè per l’elezione a sindaco (a New York chi vince le primarie Dem darà automaticamente sindaco, i Repubblicano sono pochi): ottomila voti su un milione circa. “Una procedura di conteggio pasticciata porta all’attenzione nazionale la lunga storia cittadina di cattiva gestione del voto”, minimizza “The New Yorker”. Due settimane per scrutinare i voti per posta. E il “voto anticipato”. Con esiti da accettare, ma non controllabili.
Dopo il voto, l’ufficio elettorale aveva detto che avevano votato 800 mila persone. Ora risulta che hanno votato 940 mila. Il voto alle primarie di New York è complicato quest’anno perché si è introdotta la preferenza: l’elettore poteva indicare cinque candidati, in ordine di preferenza.
Ha vinto Adams, nero, come vuole il politicamente corretto, anche se poliziotto, e uomo di varia opinione - è stato a lungo Repubblicano. Un voto etnico: Garcia vince a Manhattan, Adams a Harlem, Queens e altri quartieri popolari.
La popolazione dell’Alabama è al 28 per cento nera. Ma non decide le elezioni, grazie ai regolamenti elettorali, in termini di residenza e alfabetizzazione, e al gerrymandering (la configurazione delle circoscrizioni elettorali).
Ombre - 569
La
Festa dell’Unità è sospesa a Firenze e Livorno. Non per il covid, perché non si
trovano volontari.
L’aveva
riaperta Renzi, gli ultimi volontari erano dunque renziani.
Seimila
attendati a Santa Maria del Monte a Pisa, per un rave party di “tre giorni di musica e sballo”, questo il programma senza
distanziamenti né protezioni, e niente: non sono droghieri o baristi, non vanno
puniti.
Ci
sono al rave anche un paio di
banchetti per la droga. “La Nazione”ne mostra uno, col cartello “MD e coca euro
20”. Tutto singolarmente normale, anche l’ “ambulante” che gestisce il banco, una donna robusta, come è un po’ di tutti i
commerci sul litorale toscano, ex contadine di recente povertà, intraprendenti,
faticatrici.
L’Italia
riapre le esportazioni militari verso gli Emirati Arabia e l’Arabia Saudita che
il governo giallorosso, su iniziativa dello stesso ministro degli E steri, Di
Maio, aveva deciso a gennaio. Cosa è cambiato in pochi mesi? Che al governo c’è
Draghi, e a Washington Biden. Il divieto rispondeva agli interessi dell’Iran,
che combatte nello Yemen by proxy ,
con gli insorti Houthi. L’Iran i cui
interessi sino patrocinati dalla Cina. Si è già dimenticato, mal’Italia è stata
filo-cinese.
“Novantenne
violentata per vendetta, fermato un 19nne. Asti, il giovane era residente in un
campo nomadi”. Non un rom, non uno zingaro naturalmente, solo un “residente in
un campo nomadi”. Non bisogna essere razzisti,
e quindi il nome non si dice.
“Tempo
fa la vittima lo aveva denunciato per furto” , il giovane residente in un campo
nomadi. E i Carabinieri evidentemente, non essendo razzisti, non hanno fatto
niente.
Spike
Lee, nominato presidente della giuria a Cannes, si profonde nella promozione
del festival: “Questo è il più grande festival del mondo”. Assicura anche che
nel suo paese, gli Usa, i neri sono “uccisi come animali”. E, scritturato da
Netflix, si spreca a spiegare che cinema e streaming possono coesistere – anche
se il Festival è anti-Netflix. Fa senso un opportunista in veste di martire,
che capitalizza sul colore della pelle.
L’onestà
di Sarri a Sportitalia fa risaltare di più la gestione disastrosa del calcio in
Italia – nel caso, della Juventus, il
club più organizzato e titolato. Si capisce come la stessa Juventus si è applicata
a distruggere i futuri campioni, Spinazzola, Berardi, Bernardeschi, Rugani,
Kean - e ora ci prova con Chiesa, Rabiot, perfino De Ligt, comprato per 70
mililoni.
Il
Vaticano contro la magistratura londinese sul caso Becciu, il palazzo comprato
nella capitale inglese con l’obolo di
san Pietro a caro prezzo, per favorire il mediatore, non è normale: la magistratura
londinese non è parte nel procedimento, è giudice. Ma decide contro il Vaticano
senza nemmeno analizzarne le carte. È massoneria contro Vaticano?
È
curiosa questa coloritura della magistratura inglese, nel 2021 ancora come nel
caso Calvi, il banchiere “suicidato” a Londra.
465
morti in montagna nel 2020, qualcuno di essi tra i soccorritori, 268 soccorsi
in pericolo di vita, 1.213 feriti gravemente, 4.093 feriti in modo leggero,
3.635 illesi: si va in montagna come in guerra. Il soccorso alpino è un non piccolo
esercito: oltre 43 mila soccorritori mobilitati, qualcuno dei quali ci ha lasciato
la vita, per quasi trentamila giornate “al fronte”, impegnati in oltre
diecimila missioni, per due terzi “in terreno impervio” – cioè in assetto alpinistico.
Di
chi è l’Inter? Guido De Carolis ha difficoltà a tracciarne sul Corriere della
sera” la proprietà, talmente è tortuosa. La Milano pro-cinese, come vogliono i
mercati, si scopre inetta. Conte, però, che è un semplice allenatore, l’aveva
capita e se n’è andato – facendosi pagare per non lavorare. Le cose si sanno,
ma non si capiscono.
Milano
gabbata dai cinesi? Dopo la Pirelli dell’interista massimo Tronchetti Provera, quando
in Cina si sparse la voce che Milano era terra proficua di caccia, l’Inter era
diventata proprietà di una “multinazionale” in realtà poco proiettata all’estero,
ma di cui la città e il club si vollero orgogliosi, il gruppo Suning. Per
scoprire presto che il gruppo è indebitato, che lucrava sull’Inter come il
predecessore indonesiano, prestandole soldi a tasso altissimo, e che forse è in
amministrazione controllata, alla maniera cinese, commissariato dallo Stato ma
senza atti formali, attraverso Alibaba, ora ufficialmente sotto controllo
pubblico, e, via una finanziaria lussemburghese, da un fondo d’investimento di
diritto americano, Oaktree, che non si sa chi rappresenti, cui Suning l’avrebbe
mollata per 275 milioni di dollari – un debito che non pagherà.
Otto
milioni di italiani sospettosi del vaccino
non sono pochi. Tra essi 200mila insegnanti. E un migliaio di medici.
Curiosamente,
obiettano più i medici degli infermieri –poche centinaia.
Ben
sei milioni di ultrasessantenni mancano all’appello per la vaccinazione anti-covid.
Proprio quelli che sono più a rischio.
Muore
Boniperti, per più generazioni “la” Juventus, ma la Juventus se ne dimentica.
La Famiglia è gelosa – non videro l’ora di sbarazzarsi del management
indipendente, Giraudo-Moggi, anche a costo della retrocessione? Ma è un fatto
ovunque: a Firenze ora con Antognoni, come a Roma con Totti, o alla stessa
Juventus con Del Piero.
Non
ci sono più bandiere nel calcio, Maldini è un’eccezione. Contano i conti –
Maldini in questo è bravo, ecco perché fa eccezione. Ora il calcio è i
direttori sportivi, con le alchimie contabili, e un apparato di promozione
personale.
“Finanziavano
il terrorismo. Un milione di euro alla Jihad in Siria, quattro arresti a Bari”.
Non di baresi, di arabi. Collettori di fondi pro terrorismo tra gli immigrati
islamici. Ma questo il giornale non lo dice, il giornale non è razzista. E
invece lo è, che l’immigrazione prospetta come violenta, e protetta.0
Etichette:
Affari,
Il mondo com'è,
Informazione,
Sinistra sinistra
I Diavoli del cardinale dietro gli untori
Il
cardinale, spiega Armando Torno, che ha ripescato la memoria, l’ha tradotta e cura
l’edizione, è diverso dall’agiografia che ne fa Manzoni nel romanzo. Un intellettuale,
non ha altri interessi, non politici, nemmeno familiari, autore di scritture
sterminate, di cui non si riesce a stabilire una bibliografia accurata, promotore
della Biblioteca Ambrosiana, teorico del “museo”, ma quanto succube del cospirazionismo,
che pure critica. Critica la teoria dei “Principi” che vogliono avvelenare la
città, ma non quella degli untori. Lui personalmente, secondo la testimonianza
del “residente” di Venezia in una delle appendici con cui Torno arricchisce la
pubblicazione, ha ordinato la tortura per alcuni “hostiarii” e chierici che
avrebbero unto “le cappelle, et le sedie dei canonici nel duomo”. E degli
untori che sotto tortura non confessano ipotizza che sia il Diavolo a
impedirglielo.
Lo
stesso Ripamonti, “La peste di Milano del 1630”. cui Manzoni si rifà, non conoscendosi
all’epoca questa testimonianza diretta del cardinale, di cui Torno include tra
le appendici parte del cap. III, lo testimonia: gli untori non erano una
diceria. Nel magistero del cardinale del resto si contano una decina di processi
alle streghe.
Il
memoriale, qui riprodotto in originale e in traduzione, è uno degli ultimi
scritti del cardinale, se non l’ultimo. È vivace, anche troppo. Pieno di casi
specifici, di buon effetto narrativo. Della peste Federico Borromeo ha una
concezione tutto sommato realista, dei contagi se non dell’infezione. Critica
le autorità (perdute nell’ipotesi cospirazionista… ), gli assembramenti, i
tanti involontari depistaggi, si direbbe oggi, comprese le pozioni miracolose. Ma,
nel quadro della punizione divina, sono i Diavoli che alimentano il contagio –
con gli untori ci sono i monatti, qui non nominati così ma rappresentati come
poi in Manzoni, e anche in misura pù raccapricciante: povera gente, soprattutto
del contado, che si curava dei morti per spogliarli.
Fulmineo
il racconto che, in versione travisata, sarebbe servito a Camus per uno degli episodi
de “La peste”, sugli scettici: il ballo dei milanesi al cimitero, dove finiranno
per tornare poi tutti morti. No, la storia è in sei righe a p. 81 della traduzione,
cinque nel’oroginale latino, alla fine del cap. 6: “Nel sacro giorno dell’Ascensione
in quel quartiere della città che si chiama Porta Tosa alcuni dissoluti
ballavano in qualche modo con atteggiamento di insolente scherzosità. Accadde che
la sera tutti quelli furono trovati contaminati dalla peste e portati via entro
i recinti del lazzaretto; lì furono tutti privati della vita”. E chi sa
qualcosa di Porta Tosa ricorda che essa raffigurava una dona che si radeva il pube
– una prostituta, la moglie del Barbarossa, una imperatrice bizantina che non
volle aiutare Milano contro il Barbarossa?
Una
lettera del residente della Serenissima il “primo gennaro 1630” attesta che il
clero ambrosiano si oppose, con successo, alla raccomandazione del cardinale di
fare la quaresima, durante la peste, “all’uso Romano”. Cioè nella penitenza per
tutti i quaranta giorni dela quaresima, invece che saltuariamente.
Torno
spiega l’origine e il lungo travaglio del recupero, e arricchisce il testo, in
originale e in traduzione, di alcune lettere del cardinale nei giorni della
peste, di un estratto del Ripamonti, delle lettere del residente veneziano, di
alcune pagine della “Vita di Federigo Borromeo” di Biagio Guenzati, e delle “Preghiere
a Gesù” disposte per l’occasione dal cardinale.
Federico
Borromeo, La peste di Milano, La
Vita Felice, pp. 256 € 13,50
mercoledì 7 luglio 2021
Europa allo specchio sui campi di calcio
Lezione
di calcio, bello, a Wembley della Spagna all’Italia, che però in qualche modo
vince. E di Luis Enrique a Mancini, che alla fine però è il solo a uscirne
felice. La lezione di un allenatore che non ha vinto nulla, né alla Roma né al
Barcellona e neppure, ora, in Nazionale. Il bello è nemico del calcio?
L’arbitro
Brych, avvocato, si vede che non ha giocato al calcio. Non capisce il peso di
certi (molti) falli, sul fisico e sullo sviluppo del gioco, limitandosi a
sanzionarli come da regolamenti – più che altro ora ridotti a non toccare il
piede dell’aversario. Il “ponte” di uno spagnolo a Belotti, che cade così sulla
schiena, pesantemente e senza ammortizzatori, per Brych non è nemmeno fallo
veniale. O il placcaggio continuo di Jordi Alba e Busquets su Verratti.
In
tema di bello vincente al calcio, il presidente della Liga spagnola, Javier
Tebas, ha una spiegazione affascinante: è ora feudo del calcio degli Stati – i
principi arabi che si comprano squadre in Francia e in Inghilterra. In polemica
con Guardiola, allenatore del Manchester City degli sceicchi di Abu Dhabi, che lo invitava a imparare
dall’Inghilterra come vendere il calcio, Tebas ha ritorto: “Sarebbe bello che
(gli inglesi) ti insegnassero qualcosa sulla macroeconomia del calcio, sugli
effetti dei club statali sull’inflazione dei salari, sulla demografia, sulla
penetrazione della pay tv, sulla Cina”. Aggiungendo: “E sull’assoluzione del
Tas, dal quale attendiamo notizie”. Come a dire sulla corruzione: il Tas,
Tribunale Internazionale dello Sport, che vigila sul fair play finanziario dei club (che non si indebitino troppo,
eccetera, in Italia severo con Milan e Inter), per garantire una equa (fair) competizione, ha assolto lo
spendacccione Manchester City da ogni addebito un anno fa, e non ha ancora
depositato le motivazioni. Nell’attesa, Tebas condanna il calcio degli
sceicchi: “Non sono investitori, sono distruttori di denaro e creano inflazione” – e rivolto a Guardiola: “Avresti vinto così tanti titoli senza
doping economico?”.
Appalti, fisco, abusi (205)
Salvare il Monte dei Paschi non è difficile, spiega
l’ex ministro Tremoti al “Corriere della sera”: basterebbe che la Fondazione,
che si agita per tenere il. banco in vita, a Siena, riunciasse alla causa per
quattro miliardi: “Che senso ha la lite?”, si chiede Tremonti: “Se vince
distrugge la banca e non ottiene l’effetto politico di conservare Mps a Siena”.
Si va alla scadenza per Mps in assoluta apatia, per
la ricapitalizzazione. Con Unicredit, che il Tesoro a lungo ha surrettiziamente
prospettato come il cavaliere bianco, si è defilata – il nuovo uomo azienda,
Orcel, vuole nel suo primo bilancio liberarsi di tutte le pendenze. E altri
“compratori” non ci sono.
Si ricapitalizzerà a opera dello Stato, quando la
Bce avrà completato gli stress test. E poi, ancora altro Stato… Una nuova Alitalia?
Più
di quattro milioni di olivi sono censiti abbandonati in Toscana, un coltura
tradizionale per al quale la regione andavba famosa cioè abbandonata, da tempo,
mentre i marchi storici, Bertolli, Carapelli, e nimerosi altro, si fregiano del
luogo d’origine Toscana. Vendendo olii di ogni provenienza e miscugli di ogni
genere etichettati come “extravergine imbottigliato dall’olivicultore X”, che
non lo è più da tempo, e “olio controllato e garantito da Y, Toscana”.
Le
multe come chiave della malapolitica? Si moltiplicano i Comuni in dissesto – da
ultimo Taormina, che pure si penserebbe Comune ricco. Taormina fallisce per
crediti che non riesce a incassare. Ma nell’occasione l’Anci spiega che molti
falliscono per bilanci falsi, dove mettono all’attivo cifre che sanno
irrecuperabili. Soprattutto le multe dei vigili ubani (circolazione, annona).
Fra tutti Roma, che dalla sindacatura Veltroni e fino al 2015 (la legge poi è
cambiata) ha segnato all’attivo centinaia di milioni di entrate per multe che
sapeva non esigibili (scadute, infondate), le famose “cartelle pazze”.
Si
mettono poste attive anche false per poter spendere come se le stesse fossero
certe, da entrate certe.
Sono
i vigili urbani una potenza ricattatoria, invece che
una polizia municipale? A Roma hanno palesemente ricattato il sindaco
Marino, poi riuscito assolto. Con la vicenda di una Panda rossa di famiglia
parcheggiata in area proibita, e con gli scontrini del rimborso spese.
Fiancheggiati da giornalisti sotto la loro protezione?
Marino
aveva cominciato a moralizzare il mondo dei vigili urbani. Assolto Marino, la
Procura di Roma non ha mai aperto un’indagine sulle false accuse.
Il partigiano americano
“Una storia antieroica della
Resistenza” è il sottotitolo, ma non polemico. È una sorta di fiaba, un romanzo
d’invenzione: la vicenda di una persona, un individuo, giovane americano
tornato in Italia con la madre alla vigilia della guerra, a diciott’anni, passando
dal college di Philadelphia al liceo classico di Pescara, infatuato delle glorie
fasciste, ma presto disilluso al liceo. Dapprima da un compagno di scuola
ebreo, rifugiato da Vienna (succedeva anche questo sotto le leggi
antiebraiche….). Poi dall’esito inglorioso in guerra, nel 1943: il 25 luglio,
la distruzione di Pescara sotto i bombardamenti un mese dopo, e l’8 settembre lo
portano alla creazione di una banda partigiana con gli amici più intimi. Renato
è bello e affidabile, e abile nei travestimenti, il gruppo si gasa e osa sempre
di più, finché in un attacco a un convoglio militare tedesco Renato uccide un
ufficiale tedesco. Catturato, s’immolerà, in presenza della madre all’ora della
fucilazione, lanciandosi in avanti verso i fucilieri per creare scompiglio e
consentire ai suoi due compagni di eclissarsi, salvandosi.
Una storia semplice. Che Ennio
Flaiano ricorderà subito, il 20 dicembre 1944, sul “Risorgimento liberale”:
“L’ho conosciuto nel 1939, appena arrivato dalla Pennsylvania. Era convinto,
come tutti gli italiani all’estero, del fascismo e dei suoi destini, ma gli
erano bastate poche settimane per disilludersi e adesso troviamo il suo nome,
Renato Beradinucci, a capo di una lista di fucilati”. Un vero martire, o eroe,
che però non conta nella storia, che è fatta da storici, in Italia di partito,
rossi o bianchi – qualcuno anche nero. Un caso di storia locale, che Petricelli
ha ricostruito, oltre che sui documenti
del giovane, e con la testimonianza di Ennio Flaiano, col riconoscimento
pubblico del sacrificio del giovane partigiano, medaglia d’oro al Quirinale nel
1957, presidente Gronchi, e con
testimonianze di prima mano, familiari. Renato partigiano si nascondeva in casa
di una prozia di Petricelli. E suo padre, Luigi Petricelli, seguì da vicino lo
sviluppo della vicenda nel 1957, quando per il riconoscimento al Quirinale
venne in Italia il padre di Renato, Vincenzo. Che da Roma poi si recò sul luogo
dell’eccidio, San Pio delle Camere, con il suocero, su una Fiat 1100 E nera,
per cercare la spia del figlio e ucciderla. Panico. All’anagafe comunale
falsificarono le carte, e dissero la spia morta da tempo. La Fiat nera era del
padre dello scrittore.
Un buon uso delle fonti. Ottimo
anche il contesto. L’Abruzzo cruciale nel 1943: la fuga del re da Ortona,
Mussolini a Campo Imperatore, la linea Gustav che tagliava in due la
regione. Renato è avventato come ogni
uomo di coraggio: era inseguito da una taglia, spiega Flaiano, era stato cioè
individuato, indicato da qualcuno, ma questo non lo portò a nascondersi. Provò
anzi a passare il fronte, con tre compagni, uno dei quali morì alla cattura. La
delazione fu pagata 5 mila lire e tre chili di sale.
Un buon Archiivo di cultura
moderna, dell'editrice pescarese specializzata in studi dannunziani.
Marco Petricelli, Il partigiano americano, Ianieri, pp.
304 € 17
martedì 6 luglio 2021
Secondi pensieri - 453
zeulig
Anima – Roba di Platone e Aristotele.
Cioè della filosofia, come è giusto, quando comincia a scriversi, a repertarsi
– a confrontarsi, eccetera. L’essere umano non può non avere un’anima – ne va
della filosofia, non ce n’è senza un’anima, più anime in dialogo. È argomento aristotelico
ma evidente già all’uomo dell’acciarino, del primo fuoco. Nello stimolo (istinto)
che lo ha portato a provare e riprovare, di cui è difficile (impossibile)
enucleare una formazione evolutiva. È l’istinto, il principio dell’anima, un
riflesso nervoso? E quando l’anima si disgrega così il giudizio – è il problema
della follia?
Quest’anima può essere
regolata da neuroni, cellule, sinapsi, ma implica una capacità di giudizio individuale
e indipendente, per quanto condizionata - da storia, geografia, parentela,
imprinting. Cui una discendenza si può
costituire, di linguaggi ereditati, di civiltà, culture, storie. Ma il tutto
prende senso solo se regolato da un principio autonomo, e più se è complesso.
Corpo - “Il corpo esiste in funzione
dell’anima. Quando essa lo ha lasciato, non rimane nulla di prezioso. Non c’è più una persona. Solo materia che si
disgrega e si disperde. A tutti gli effetti una
cosa”. – Aristotele, “De Anima, Libro II, capitolo 1, 412b 25-27. Ma non
c’è anima senza corpo. Sì, nella memoria. Ma quello è un altro soggetto, anima
e corpo, più soggetti – il campo dell’ermeneutica è sterminato.
Natura – È potente e dinamica. Questo
essenzialmente: la natura è mobile – come dice Aristotele. Si caratterizza per
questo, per essere estremamente mobile. L’opposto del suo senso pratico, del
sentito comune. L’atto vi evolve in potenza, nel linguaggio di Gentile, e la
potenza nell’atto. In una molteplicità quasi caleidoscopica - secondo cioè
regole e secondo non regole (umori, stati transitori, casuali, concomitanze
fortuite di eventi diversi: casualità).
La fisica, la
scienza della “natura”, è studio dei movimenti, di stati transitori non di
stati fissi o statici. Tutto è dynamis,
movimento, sia esso appetito o condanna, delle piante, gli animali, tutte le
cose viventi, anche le “inanimate”, l’acqua, l’aria, la terra, il minerale, il
virus, il neurone.
È della natura
come dell’uomo in quanto essere naturale – e di ogni essere vivente, a
cominciare dall’ameba, anch’essa viva di curiosità, desideri, appetiti (e del
resto significa proprio cambiamento, trasformazione).
Esce, se ce n’era
bisogno, “rivoluzionata” dal covid - evento peraltro non eccezionale, anzi in
questo Millennio post-moderno fatto “normale”, la diffusione incontrollata di
virus letali, per cause non accertabili. Rivoluzionata in senso filosofico – lo
scienziato non ne ha mai sottostimato il capitale, imbattibile e ingovernabile,
se non con l’applicazione, con la “tecnica”. In particolare quella del
paradigma heideggeriano, della sua svolta “verde”, per il contadino e il
montanaro contro la tecnica – svolta certo non opportunista, conoscendo l’uomo
(parliamo d’altro…), benché minimalista, da pensiero debole. Il virus è natura:
sorprendente, letale. E ingovernabile, se non con la tecnica, e con molta
applicazione tecnica.
Si presta a
equivoci. Tuttora, in epoca scientista quante altre mai. La senatrice a vita
Cattaneo, biologa, può ricordare due voti del Senato, del Senato della
Repubblica, per metodi “naturali” senza senso, né scientifico e nemmeno di
buonsenso: il “metodo Stamina”, cura con “poltiglie di cellule” somministrate a
caso da “guaritori”, e ora per una “agricoltura biodinamica” che non è niente –
una idea di Rudolf Steiner, simpatico esoterista. Questo “senso della natura”,
nel paradigma oggi felicemente imperante dell’ecologia, della protezione
dell’ambiente, alza salvaguardie dalle azioni dell’uomo inconsiderate ma anche,
e più, della natura – terremoti, venti (cicloni, tornado, trombe d'aria), acque (alluvioni, mareggiate, maremoti o tsunami), virus. L’idea della natura come
maestra morale è poetica, pararomantica, di Woodsworth, Thoreau, sul solco oggi
dell’ecologia. Ma poetico è anche l’opposto, da Lucrezio in poi, anzi da Omero,
che esordisce con la pandemia.
Nazionalismo – “Molto poco «tedesco»”
lo dice Thomas Mann a Parigi, chiamando a correi la Francia e anche un po’ la
Spagna, nel racconto (“Resoconto parigino”, 47) della celebrazione che gli è
stata tributata a Parigi nel 1926: “Il nazionalismo tedesco – che, come è stato
provato di recente con notevole arguzia, affonda le sue radici nel romanticismo
di Heidelberg (Th.Mann intende: nel romanticismo europeo – n.d.r.) – è molto
poco «tedesco»; con la sua religiosità «ctonia», la sua venerazione per la
notte, la morte, il suolo, la Storia e il popolo è un fenomeno europeo, anzi
«internazionale», al pari di ogni ostinata volontà oscurantista, ed è
rinvenibile in tutta la sua lugubre sensualità già prima della guerra, sotto
appena un po’ di patina spagnola”, in Barrès, di origini spagnole. Un rifiuto
molto nazionalista tedesco.
Thomas Mann ha del
resto nei suoi tanti scritti ripetuti riferimenti a Barrès – più che a
qualsiasi altro intellettuale o scrittore francese: è il reagente del suo
nazionalismo, la giustificazione. È solo nel secondo dopoguerra che il
nazionalismo tedesco susside.
Romanticismo – In una fase, anni 1920, in cui diffida delle
“fantasticherie notturne”, del “complesso di terra, popolo, Natura, passato e
morte, à la Joseph von Görres”, di
“oscurantismo rivoluzionario”, di cui sono “stipati i cerebri dei tedeschi”, Th.
Mann contesta (“Resoconto parigino”, pp. 60-65) Baeumler, di cui ammira l’erudizione,
che nella riproposta di Bachofen distingue due romanticism, “un vero romanticismo e un romanticism solo
di nome”. Novalis e Friedrich Schlegel “sarebbero dei «cosiddetti romantici»,
ancorati nel Settecento, inficiati dal razionalismo, e quindi disprezzabili”.
Con una “virile – troppo virile – idea del futuro”. Mentre “veri romantici sarebbero” Arndt, Görres,
Grimm e Bachofen, “in quanto sono gli unici a essere dominati e determinati nel
profondo dal «grande ritorno», da una concezione materna e notturna del
passato”. Insomma,la palude “tedesca”, fangosa.
Th.Mann in realtà apprezza
Baeumler: “Nulla di più interessante; è un lavoro profondo e magnifico, e chi
conosce la materia ne rimane affascinato”. Ma vuole sottrarre Nietzsche al suo
abbraccio, al piano di Baeumler di “misurare Nietzsche col metro di Bachofen”. E
qui inciampa. Baeumler, dice Mann, inscrive Nietzsche “nella linea di Zoega,
Creuzer, Grimm, K.O.Müller e Bachofen contro il «classicismo superato e
obsoleto» di ottimisti, razionalisti ed esteti quail Winckelmann, Voss,
Bachmann, Mommsen e Wilamowitz”. Ignorante delle “sacre tenebre della preistoria”,
con una concezione razionale del mito. Th. Mann lo apparenta invece a Goethe.
Legame del tutto incongruo, se non per il “germanesimo alto e formativo” che Th. Mann attribuisce loro – sempre nel
quadro dei primati, del pensiero razionale-nazionale, strana simbiosi.
Suicidio - Schopenhauer è contro perché è un atto di libertà – perciò
condannabile. Una decisione che implica l’esercizio del giudizio, che implica
uno spazio di libertà. E quindi un segno di attaccamento-riconoscimento alla-della
vita.
Quella di darsi la morte è
comunque una scelta. Si introduce nel non essere, la morte, un atto di volontà
che è comunque un altro modo di esere. Per di più nela più totale libertà,
quanto ai tempi, modi, luogo. Una scelta.
Il rifiuto della vita dovendo essere radicale. Per esempio per lui Schopenauer,
che non ha cessato un solo istante di essere operoso, nelle liti familiari e
accademiche, nei viaggi, nella scrittura, nelle complicate vicende di
pubblicazione, e di diffusione delle pubblicazioni, nonché di pensiero, di
riflessione, perché no, quindi attivo, soggetto di scelte, di libertà?
Il nichilista suicida
introduce la libertà con l’atto stesso con cui professa al top il suo nichismo. Si direbbe una contraddizione . Uno dei tanti
sofismi della “filosofia tedesca”, labirintica – non c’è pensiero se non è
labirintico. Schopenhauer è come Nietzsche, miglior scrittore che pensatore,
suggestivo, divertente.
Tecnica – Ma non è l’uomo?
La sua capacità d’intelligenza, invenzione, adattabilità, manualità? A partire
dal fuoco? L’interdetto di Heidegger un solo senso può avere: della tecnica che
soverchia l’intenzione, il programma. Dell’energia nucleare diventata Bomba. Di
facebook che alimentasse la guerra di tutti contro tutti invece dell’amicizia.
Delle tante fantasie che si accompagnano ai sogni, di robot, golem, “programmi”
o altri chip o fusibili che si ribellano al creatore e padrone uomo… - fantasia
vecchia come il fuoco, all’inizio della storia. Che non aiutano, come si dice: la
tecnica nasce, e si sviluppa, in continuo, si rinnova, si adatta, non su queste
fantasie ma slle necessità o bisogni che via via emergono – le “sfide”.
zeulig@antiit.eu
Il pentamerone di Goethe- o Goethe di avanguardia
Il “pentameroncino” di Goethe, di racconti
tra il fatuo e il fantasioso, con la storia di cornice. Scritti su richiesta di
Schiller, che anche lui debuttava nel romanzesco (“Il delinquente per avere perduto
l’onore”, “Il visionario”), per la rivista che lanciava, “Die Horen”. Cinque racconti,
due di fantasmi e d’amore, due di morale, e la “Fiaba” del titolo di questa
edizione (il titolo della raccolta è “Conversazioni di profughi tedeschi”). Un
testo, quest’ultimo, in cui si procede di lena ma senza un “significato” finale,
uno scioglimento – che Goethe non volle mai esplicitare, neppure su richiesta di
Carlyle, al quale di solito si confidava.
Non c’è la peste in Germania, ma le invasioni
napoleoniche. Goethe le fa rivivere attraverso le conversazioni, piacevoli, animate,
anche irritate e controverse, di una nobile famiglia in fuga: la baronessa di
C., gentildonna colta e di fine spirito, il sacerdote cattolico illuminista,
il nipote ribelle. I germanisti molto li apprezzano, come opera seminale,
anticipatrice della narrativa realistica in Germania nel prosieguo dell’Ottocento,
Kleist, Stifter, Keller, Storm, Droste-Hülshoff. Doppiamente anticipatrice,
poiché la “Fiaba”, Märchen, il racconto
del titolo, anticiperebbe invece il filone romantico, dei Novalis, Tieck,
Eichendorff, Arnim, Brentano. Ma allora contro le intenzioni di Goethe, che il
romanticismo combatté – dopo aver posto lui stesso le fondamenta dello Sturm
und Drang, col suo Werther.
Rileggendolo, curiosamente, molte
forme narrative vi si possono dire anticipate, in Germania è fuori. La fuga di
massa disordinata davanti all’invasione (poi ripresa in parte da Tolstòj, ma
soprattutto da Céline nella trilogia della guerra). Il sacerdote illuminista, forzatamente
cattolico – solo il cattolico, arguisce Thomas Mann in “Resoconto parigino”,
sfida Dio – prototipo del mamniano Naphta, il gesuita della “Montagna magica”.
Il giovane nobile “rivoluzionario”, nella fattispecie filo-Napoleone, molto
stendhaliano. È goethiano il rifacimento di storie antiche, dichiarato
(Manzoni) e non (dichiarato ma come artificio, lo Stendhal delle “Cronache
italiane”).
Goethe, Fiaba, Passigli, remainders, pp. 199 € 6
lunedì 5 luglio 2021
Sotto la Montagna - Th. Mann a raffica e il polpettone Europa
Il
sacerdote cattolico (qui elevato a gesuita, il cattolico causidico) quale
interlocutore dell’inquietudine - l’uomo di fede che tranquillamente litiga con
Dio è in Germania cattolico - è trovata di Goethe: benché pagano dichiarato di
formazione protestane, o forse per questo, Goethe ne fa il deuteragonista di “Conversazioni di profughi tedeschi”, il suo decameroncino attorno alle invasioni
napoleoniche.
Ci
sono molte novità, cioè letture a chiave, di questo che si vuole un capolavoro
di Th. Mann, ritradotto da Renata Colorni per una maggiore aderenza
all’originale manniano, ma questa non c’è. Sarebbe servita? Il racconto resta
lo stesso faticoso – questa “Montagna”, sia essa incantata oppure magica, per
quanto di settecento pagine, è un racconto, non c’è romanzo, non c’è trama,
malgrado le tante morti, spesso però suicide, troppo facili (il suicidio è
artificio facile: restando inspiegabile, il romanziere non lo deve rendere
plausibile). Senza succo, cioè, alla fine.
La
riedizione è succosa ma per il paratesto, se a uno piace la filologia. È il doppio
del racconto, per le note, il commento e
l’introduzione di Luca Crescenzi, e il saggio di Michael Neumann che lo
accompagna.
Una
riedizione, dopo quella Corbaccio del 1965, con la traduzione di Ervino Pocar, che invita a una lettura a chiave, un po’
curiosa un po’ gossippara. Sappiamo dallo stesso Th. Mann che Leo Naphta,
gesuita, marxista, nato ebreo, è una parodia di György Lukács. Ma questo non ne
alleggerisce la lettura – né la fine, tra duelli e suicidi. L’italiano Lodovico
Settembrini, che duella con Naphta interminabilmente, non è il Settembrini patriota
che ipotizzava Croce, ma “un carducciano” fervente, dell’inno a Satana,
massone, creato un giorno di settembre – anche questo non ne alleggerisce il
filosofare. Altri ce ne sono.
Un
racconto nato come un aneddoto, la visita di Th. Mann alla moglie in sanatorio
in Svizzera nel 1912. Ironico, sulle disgrazie dell’ipocondria, con cui il
malato più o meno immaginario infetta amici e congiunti. Meno romantico e più sarcastico della morte in agguato del precedente, fortunato, “Morte a Venezia”. Un racconto presto abbandonato, anche per il sopravvenire della guerra, e trasformato dopo la carneficina
in una sorta di ballata mortuaria – tra empiti erotici naturalmente, una madame
Chauchat (“fica calda” in francese nella lettura a chiave) – al balcone di un’Europa
ormai solo invisibile: non c’è panorama fuori dalle terrazze del sanatorio. L’aria
è claustrale, benché si ragioni quasi sempre all’aperto – la cura erano i bagni
di sole, l’aria “pura”
“La Montagna” come romanzo dell’ipocondria? La malattia che si
coltiva è una condanna per ogni altro su cui pesa, parente, innamorato, amico.
Si spiega che se ne possa fare gigantesca vendetta, con gli eletti confinati in
un sanatorio per reggia, e con un dottore per re: una scena grottesca, insopportabile,
di maschere. È anche, volendo, un teatrino dello psicologismo, fin-de-siècle. E
una micro rappresentazione dell’Europa? Un’agghiacciante – lunga, insistita,
irata – presa in giro: della sensibilità di fine Ottocento, o morbosità,
della estenuazione del romanticismo? Scritta dopo la carneficina. Una fin de partie.
Del romanticismo perenne, anche: introspezione, inerzia, culto del disordine e
del dolore, autogratificazione.
Tutto, insomma, e niente. Perché poche cose di Thomas Mann non
sono ironiche: i “Buddenbrook”, “Giuseppe”, “Morte a Venezia”, per quanto
melodrammatico – ma anche nei “Buddenbrook”, anche in “Giuseppe”, anche in
Tadzio…. Alcune volte è feroce. In “Sangue velsungo” per esempio. Qui nell’
“innamoramento” di Castorp – le donne, la malattia. O nelle cineserie dei
titoli: “Rispettabile annuvolarsi del volto”, “Zuffa dell’eternità (è
l’“innamoramento”) e luce improvvisa”… Th. Mann fa il verso all’ipocondria,
al romanticismo estenuato, per ridere del quale gli viene buono perfino Carducci,
e alla noia come arte, all’introspezione inerte. Di una “profondità di petto”,
se la tubercolosi si potesse dire in musica, cioè esterna.
Vent’anni dopo, scrivendone nel 1939, benché già profugo politico e
in temperie di guerra, tenterà di salvare il tutto battendo su questo tasto: un
concentrato di svariati mondi spirituali risucchiati dalla voluttà della morte.
Che non è falso: tutti quelli che entrano al sanatorio, sia pure per una visita
di poche ore, “hanno” una malattia. E (quasi tutti) in un modo o nell’altro finiscono per morirvi. Ma si
può dire anche al contrario: va, anche casualmente, al sanatorio chi è
“portato” alla malattia, e finisce per esempio suicida – ce ne sono, più di uno.
Ma Thomas Mann può non essere cosciente che ha ridicolizzato un mondo, con
ragli acutissimi e sberleffi anche troppo insistiti (per esempio l’“innamoramento”
di Castorp, il trickster, lo snodo
del folle dramma)?
Certo
è che Th. Mann recupera con questo polpettone il respiro europeo, dopo la
caduta nel basso, piccolo tedesco, piccolissimo, che lo aveva traviato con la
guerra. Dopo cioè le “Considerazioni di un impolitico”, di petty nationalism,
becero, berciante. Lui se ne è palesemente qui liberato, vuole dire, narratore compiaciuto
(da qui l’ironia), concionando sui destini con grande libertà, e con ampiezza di
riferimenti, meglio se incogniti, “trovati” – il lettore un po’ meno. Finisce
con un duello, fra il massone e il clericale, e un suicidio – si potrebbe dire
anche di chi, non è spoiling: non c’è
suspense, solo un po’ di confusione (più
di un po'?).
Prendendolo come un romanzo, cioè con una tela di fondo, e non
come un racconto, un aneddoto, una novella semiseria, sarebbe agghiacciante.
Perché tanta rabbia? E tanta ipocrisia? Il Grande Borghese, Th. Mann era
terribilmente in dissidio: col mondo che lo circondava, come spesso dice, e lo onorava, da decenni ormai, e
quindi, come si suol dire, al fondo con se stesso. Ma, se così è, per portare
le colpe di altri. Questa “storia ermetica”, nell’“addio” finale di Castorp, è
una resa dei conti con qualcosa che l’autore non riesce a liquidare, o non può.
Che non è la Germania – la difenderà anche contro gli Usa che l’avevano
ospitato esule e onorato. E non è se stesso, Thomas Mann è inscalfibile: lui è,
e solo lui, un Buddenbrook, un signore del “reale”, delle cose solide - o
meglio degli “uomini vestiti di nero” (“per porre una severa distanza fra sé e
le epoche nelle quali vivevano”), qui sotto i nomi di Castorp e Settembrini, il
conservatore e il rivoluzionario, entrambi tutti d’un pezzo.
O era lui così? Più positivo, quindi, che sarcastico. Una
curiosità resta la lettura seriosa che fa dell’Italia: era così l’Italia un
secolo fa? Una seconda curiosità è la ricorrenza di molti tempi agostiniani,
delle “Confessioni”: storia, tempo, memoria. Sarebbe stato più ovvio trattarli
alla maniera di Aristotele, “Fisica”, e più divertente, o di Platone, “Timeo”. Il problema è sempre quello: chi è Thomas Mann?
Una
edizione da biblioteca, certo. Ma meglio intonsa? Senza “chiavi” un polpettone
indigesto.
Thomas
Mann, La montagna magica, Meridiani,
pp. CLXXXIII + 1422, ril. € 80
Problemi di base - 647
spock
“Il senso di colpa è un non senso”, Cristina Campo?
“Il piacere sospende il pensiero della morte”, cardinale di
Benis?
“Se non sei libertino non sei libero”, Giorgio Ficara?
“L’angoscia vera è fatta di noia”.
C.Pavese?
“Non c’è felicità se non condivisa”,
Yazmina Khadra?
“Solo chi è molto infelice ha il diritto
di compatire un altro”, Wittgenstein?
Il diritto?
spock@antiit.eu
domenica 4 luglio 2021
Il Pcc è vecchio
Minaccioso,
il presidente Xi si è preso per il centenario del Parito comunista cinese
Taiwan. Hong Kong nemmeno citandola, considerata cioè parte della Cina, anche
se continua a protestare. E niente, una notizia come le altre: si direbbe che
la Cina, se non è un qualche exploit economico dei suoi tycoon, per i media italiani non esiste.
Xi
si è voluto ripetutamemte minaccioso. Fino al mussoliniano “un miliardo e
quattrocento milioni di cinesi”. E niente. Il “Corriere della sera” ha fatto la
storia dei cent’anni del Pcc, come se interessasse a qualcuno. “La Repubblica”
si è affidata a un commento di Rampini,
intelligente ma senza rilievo grafico – come a dire: lo mettiamo perché è stato
in Cina a lungo, è prevenuto, ma si vuole uno scrittore e bisogna tollerarlo.
Oggi
il “Corriere della sera” non può più fingere, anche perché “La Lettura” ha
commissionato al vaticanista Franco un lungo pezzo sui rapporti tra il Vaticano
e Taiwan, e l’ambasciatore Romano ha dedicato a Xi la sua rubrica domenicale.
Dove dice cose importanti, di un partito Comunista che non ha più carica
vitale, è solo una congrega di vecchi burocrati, forte della polizia e
dell’esercito ma senza anima, e più dopo essere stata purgata dal dittatore Xi.
Cioè,
sembrerebbero cose importanti. Ma contenute in un piccolo box. Come a a dire:
l’ambasciatore ha un ottimo passato - in effetti fa 92 anni – e va tollerato.
Europa allo specchio sui campi di calcio - c’è Oliver, vince la Spagna
C’è
un arbitro inglese, Oliver, che regolarmente viene designato quando una squadra
spagnola deve vincere. Dev’essere un
portafortuna. In Spagna-Svizzera sono stati gli svizzeri a far vincere la
Spagna, sbagliando i rigori, ma Oliver li aveva preceduti, espellendo il loro player migliore, Freuler.
Oliver
è diventato per questo famoso. Per essere stato promosso arbitro internazionale
a soli trent’anni. E poco dopo per aver dato rigore al Real Madrid a tempo
scaduto (il recupero di un minuto prolungò a tre minuti), consentendo al club
spagnolo il passaggio del turno in Champions League – a spese della Juventus.
Il
rigore lo portò alla ribalta, e l’arbitro Oliver ribaltò la storia dicendosi
minacciato di morte (dalla Juventus?) e obbligato per questo a cambiare casa.
Una storia, però, anche questa a lieto fine. Per lui in questo caso e non per
la Spagna: la nuova casa è più grande e in area migliore della precedente.
La
minaccia di morte fu un’idea della moglie dell’arbitro Oliver, anch’essa arbitro.
Che però “l’amore a Madrid” lo ha dichiarato pubblicamente.
Non
c’è più la punizione per placcaggio, anche a due mani. C’è solo per mani, anche
involontario, e per tackle – il tackle è proibito, meglio non provarci,
porta all’ammonizione.
Non
c’è più la simulazione. L’inglese Maguire che attende a terra con la coda
dell’occhio l’ammonizione del calciatore tedesco che lo ha spinto. Il belga Doku
che si butta appena Di Lorenzo lo tocca – rigore! Immobile che si torce per
terra un paio di minuti buoni, ostacolando anche l’attacco dell’Italia, e appena
Barella segna insorge a esultare.
Philip Dick, il romanzo di Carrère
Carrère esordiva nel 1993 nel
genere biografia non documentata di uomini che avrebbero potuto esere illustri
con l’allora semisconosciuto Philip K. Dick. Intraprendendo finalmente la strada
del successo.
Scorrendo nuovamente questa sua
memoria di Dick si festa colpiti dalle somiglianze con lo stesso Carrère poi
emerse. Nessuno studio preliminare del soggetto: il racconto è basato sulla
lettura di una biografia di Dick, quella di Lawrence Sutine, “Divine
invasioni”: “Li dentro c’erano i fatti di cui avevo bisogno e che non avrei
potuto trovare da solo senza andare in California”, spiega ora, soldi e tempo
sprecati. Dall’“eccellente lavoro di Sutine” ha così preso venti pagine di appunti,
eventi e date, un quaderno che ha poi messo da parte senza mai più aprirlo, e ha
scritto il romanzo di Dick. Ossessionato - lui non lo dice ma noi possiamo –
dal Dick che definisce “monogamo seriale”, un altro se stesso insomma, per una
sorta di imprinting degli uomini nati a cavaliere della guerra, dominati da un
SuperIo che per una scopata pensava di dover mettere in gioco tutta la vita,
specie del partner.
Lui, Carrère, c’era arrivato già
a trent’anni, con due romanzi e qualche moglie. E nessuna voglia più. Nemmeno di
scrivere. Un blocco che il suo agente letterario gli consigliò di superare dedicandosi
al genere biografia – così la vulgata voluta da Carrère per dire i suoi libri
più fortunati, Dick, Limonov “Vite che non sono la mia” (la cognata
dell’epoca che moriva di tumore), “L’avversario” (Jean-Claude Ronad, che per
nascondere i debiti ha ucciso i genitori, la moglie e i figli), e un po’ di Russia – o di Carrère in Russia.
Carrère ama molto il racconto di
se stesso trasposto sotto altre spoglie. E così dice Dick “il Dostoevskij del
nostro tempo”. Solido alla rilettura, e
quasi filosofico: il romanziere dell’epoca, degli “anni ruggenti” postbellici. Un
narratore visionario, di un tempo disarticolato. Invece di un futuro ipotetico,
scrittore di un altro passato: un’altra storia, un’altra realtà, che si
sottrae, si trasforma, si maschera – inafferrabile. Con singolari anticipazioni
nei romanzi di tutta le tematiche commerciali relative oggi alla rete: intrusioni,
furto dei dati, la privacy
come un affare. Profeta anzi dell’iperrealtà. E inventore del falso
falsificatore.
In un certo senso è vero: Dick, benché farraginoso, si può anche
leggere come un fenomenologo. Il più coerente e approfondito anzi tra i
fenomenologi, con i continui piani sommersi che porta in superficie, dei
fenomeni spirituali e anche fisici – giunse a diagnosticare al figlioletto
Christopher un’ernia strozzata che i medici non vedevano, dai sintomi.
Ma scrivava alla
disperata – questo Carrère nojn lo dice. Per una vita problematica,
materialmemte, e psicologicamente. Per
scrivere si aiutava con ogni sorta di eccitante, dalla anfetamine “in su”. Al
costo di un ricorrente sentimento di inadeguatezza negli intervalli, e quasi di
depressione. E sempre ricaricato a scrivere da donne impietose: la madre, le
tante mogli, relazioni che da monogamo riteneva di dover subito santificare, e
da un paio di amiche determinanti, anche loro conviventi ma senza rapporti
intimi – una lo convertì al cattolicesimo, un’altra alle droghe pesanti. E
“come sempre quando si sentiva colpevole, s’inteneriva sul suo proprio conto”,
si ricaricava e ripartiva. Con attacchi peraltro ricorrenti di paranoia, in cui
tutte le sue debolezze erano colpa di qualcuno, l’Fbi al tempo del maccarthysmo,
la Cia al tempo della guerra fredda, o la Russia, e un paio delle mogli - una
la fece ricoverare in manicomio. O di schizofrenia. Questa anzi costante, nel
sottofondo, nella scissione costante della realtà – informazione, visione,
persone, anche vicine, futuro, presente, passato.
Effetto anche,
probabilmente, di un’esistenza breve e dura. La gemellina morta di pochi giorni
per l’inettitudine della madre. La madre solitaria, avventurosa e castratrice.
Il padre ridotto alla maschera antigas degli arruolati della prima guerra
mondiale e poi perduto – sarà quello che lo seppellisce. Il maccarthysmo, con
l’Fbi alle calcagna. Nixon e il Watergate. La Cia e i Russi. E l’incredibile
era “Lucy in the Sky”, Lsd, anni 1960. Dopo un’adolescenza tutta musicale – al
punto che, con la madre, era in grado di riconoscere qualsiasi brano di musica
classica dalle prime note. A Oakland, già negli anni 1950 “il centro del mondo”
delle libertà”, a partire dall’abbigliamento, e dal fumo. Scrittore per caso,
ma subito furioso: subito all’esordio, prima di anfetamine, Lsd, eroina, alcol,
e altri corroboranti. Carrère-Sutine censisce un’ottantina di racconti, sette
romanzi di fantascienza, e almeno undici romanzi “seri”, mainstream, tutti rifiutati (un giorno
arrivarono quindici rifiuti), fino che Dick non ne coltivò più l’ambizione.
Sposato già da ragazzo, lo sarà un’altra mezza dozzina di volte, talvolta con
un figlio. Sopravvissuto a vari suicidi. Finché in ultimo, benché diviso tra
furori e cliniche psichiatriche, diventa amministratore del condominio dove ha
comperato casa.
Una sorta di
alter-biografia: Carrère sente Dick suo “eguale”, da cultore del genere, da
ragazzo e poi da scrittore - autore di almeno un remake da
Mattheson, “La Moustache”. Il titolo è la traduzione dell’originale, una
citazione da “Ubik”, fra i racconti più citati di Dick.
Emmanuel Carrère, Io sono vivo, voi siete morti,
Adelphi, pp. 351 € 19
Iscriviti a:
Post (Atom)