sabato 24 luglio 2021
Problemi di base paraleghisti - 650
spock
L’unità lasciata ai prefetti, da ridere
Camilleri
storico, come gli piaceva, ma aristofanesco, da risate sguaiate. Un racconto non
suo, non di sua invenzione, poiché “si basa in gran parte su fatti realmente accaduti”.
Anzi, raccontati dallo stesso malcapitato protagonista, Enrico Falconcini, “Cinque
mesi di prefettura in Sicilia”. Un signore
di Pescia in Toscana nominato prefetto a Montelusa-Agrigento. Ignorante e incapace,
come si addiceva ai funzionari del neonato Regno d’Italia, che accumula
disastri su disastri e non se ne rende nemmeno conto – dopo cinque mesi il
governo deve sostituirlo.
Camilleri
sceglie la vena comica per narrarne le gesta. Ma pone ancora di più la
necessità di una vera storia dell’unificazione italiana, fuori dalle polemiche
giornalistiche.
Si
ride dall’inizio alla fine. Con una nota in ultimo di come le cose potevano
andare meglio. È il 1862, Garibaldi prova dalla Sicilia a risalire la penisola
per il suo “Roma o morte”. Lo stivale di Garibaldi è quello che il suo
aiutante Ricci-Gramitto, un siciliano alto
e energico, gli ha levato quando fu ferito sull’Aspromonte. Ricci-Gramitto se
lo porta a casa, e ci organizza sopra manifestazioni patriottiche. Alle feste partecipa
anche la sua figliola, che s’invaghisce del figlio di un industriale dello
zolfo, Pirandello, se lo sposerà, e sarà la madre di Luigi Pirandello.
Andrea
Camilleri, Lo stivale di Garibaldi, “la
Repubblica”, pp. 45, gratuito col quotidiano
venerdì 23 luglio 2021
Problemi di base - 649
spock
Meglio i “sapori senza tempo” o quelli
attempati?
“I re sono scomparsi ma i cortigiani sono
rimasti”, Coco Chanel (P. Morand)?
Se mi vaccino sono più libero, o meno
libero, onorevole Fico?
Mi si nota di più se vengo vaccinato, oppure
se non mi vaccino – magari vengo e sto in disparte, Nanni Moretti (fake)?
Black block a Napoli contro il clima: quello
vecchio o quello nuovo?
Ci sono molti lombardi a Roma, anche fuori
del Parlamento, non ci sono praticamente romani in Lombardia, c’è un motivo?
Vogliamo il gas russo senza Putin?
Era meglio il gas di Breznev?
spock@antiit.eu
Le idee nella spazzatura
“Avviene
con le nostre pattumiere come con le nostre idee. Come conoscere i loro vero
destino una volta che le abbiamo lasciate andare nel mondo? Mme Dodin”, la
portiera che lamenta ogni mattina di dover raccogliere i rifiuti, “è la realtà
del mondo”. La mattina presto, fino alle 6,30, quando il ribaltabile della
nettezza urbana irrompe nella rue Sainte-Eulalie, Mme Dodin s’intrattiene col
suo amico lo spazzino Gaston, dopo l’immane sforzo di trasportare la pattumiera
condominiale sull’uscio, e con Mlle
Mimì, una vergine matura, affittacamere, che abita di fronte, sui destini del
palazzo e del mondo. A beneficio anche dei condomini, le sere d’estate quando
si dorme con le finestre aperte.
Un
lungo racconto sulla portiera del condominio ossessionata dai rifiuti – benché
ancora non in regime di differenziata (siamo nel 1954, anche se il racconto poi
confluirà nella tarda raccolta “Des Journées entières dans les arbres”, 1982).
Un esercizio di abilità - tutto è materia di racconto – e un divertimento, per
la scrittrice, che a ogni ripresa si vede intenta a cercare per questo niente
un nuovo tornante, e anche per il lettore. La surrealtà della realtà più banale
– “avviene con le nostre pattumiere come con le nostre idee. Come conoscere il loro vero destino una volte che
le abbiamo lasciate andare nel mondo? Madame Dodin è la realtà del mondo”..
Madame
Dodin è una che “si rifiuta a qualsiasi compromesso con l’umanità”. Ha lasciato
i due mariti, perché bevevano. E i due figli, dai quali si tiene lontana.
Gaston, il suo giovane interlocutore, quarant’anni, “uno spazzino che canta in
latino”, seppure di messa, lo tiene anche lui a distanza, del resto non ci
potrebbe andare a letto, essendo sui sessanta. Si fann gavettoni e altri
scherzi maneschi, perché, dice lui a lei, “non ti stanchi mai di trovare
trucchi per rompere i coglioni”.
Marguerite
Duras, Madame Dodin, Folio, pp. 77 €
2
giovedì 22 luglio 2021
Gobetti uomo del Sud
Gobetti, “un giovane alto e
sottile” nel ricordo di Carlo Levi, fu nei suoi pochi anni, morì di 25 anni, editore,
giornalista, politico, filosofo politico, slavista (“Il fiore del verso russo”),
e uno degli oppositori più temuti da Mussolini, benché ancora agli inizi della
sua “lunga marcia”, con la chiusura d’autorità delle sue attività editoriali, l’attacco
fisico impunito dei fascisti per strada, l’esilio, benché volontario – morì a
Parigi poche settimane dopo l’attacco torinese.
Ci sono molti aspetti di Gobetti
che meritano una ripresa, una riflessione. Per primo l’ “operaismo liberale”, che
ipotizzò su “La rivoluzione liberale”, la più pregnante delle sue creazioni
giornalistiche, sulla traccia di Gramsci e il suo “Ordine nuovo”, dove aveva cominciato
a scrivere, seppure solo di teatro - come già Gramsci sul quotidiano del partito Socialista. Spadolini ne ripercorre molti, in vari interventi
su pubblicazioni diverse, soprattutto su “Il Mondo” e su “La Stampa”, da
storico e da politico. In Gobetti individuando il personaggio e il pensiero che
più lo hanno sostenuto nella sua avventura politica, da ministro di vari
governi in varie funzioni, da ultimo come presidente del Senato, e nel mezzo da
presidente del consiglio. Un anno e mezzo soltanto a palazzo Chigi ma denso: la
guerra in Libano, la strage di Palermo contro Dalla Chiesa, la P 2, il
sequestro e la liberazione del generale Dozier, lo schieramento in Italia, a
Comiso, dei missili a testata nucleare Curise, l’inflazione al 22 per cento, la
visita di Arafat in Italia, la malevolenza degli alleati di governo, i democristiani
soprattutto – Spadolini si reggeva sull’autorità del presidente della Repubblica,
Pertini.
Cosimo Ceccuti, il presidente
della Fondazione Spadolini Nuova Antologia che fu collaboratore di lungo corso
di Spadolini, custode della sua sterminata biblioteca personale, ha raccolto i
tanti saggi sparsi che lo storico del giolittismo, e politico di fede
repubblicana, ha dedicato a Gobetti. Uno in particolare incuriosisce, “Gobetti
uomo del Sud. All’attacco del parassitismo”, su “La Stampa”, 18 maggio 1993, un
anno prima della morte.
Il 2 dicembre 1924 “La rivoluzione
liberale” pubblicava l’“Appello ai meridionali”, steso da Guido Dorso e firmato
da molti intellettuali. È il testo che propone una rilettura del Risorgimento,
e la questione meridionale come “la questione italiana”. Gobetti è d’accordo. A
maggio era stato a Palermo, osservatore acuto, come testimoniano le sue “Lettere
dalla Sicilia”, pubblicate via via su “La rivoluzione liberale”. L’anno prima,
a gennaio, si era recato a Napoli per incontrare Benedetto Croce – per presentare
a Croce la moglie, una forma di tributo. Pubblicava Nitti, dopo che perfino la
casa editrice Bemporad , nota Spadolini, “con quell’insegna ebraica”, gli aveva
chiuso “le porte in faccia”. Sturzo collaborava con “La rivoluzione liberale”,
Zanotti Bianco, Giuseppe Lombardo-Raidce. E Giustino Fortunato.
L’“Appello ai meridionali” era
seguito dall’impegno a pubblicare in ogni numero del settimanale una pagina
dedicata alla “Vita meridionale”. Gobetti conveniva con Einaudi, nota
Spadolini, e indirettamente con Salvemini, nella denuncia del protezionismo e dell’interventismo
pubblico in favore dell’industria, quindi del Nord. Nella denuncia del
giolittismo: “La nuova economia italiana del Nord”, scrisse, “sorgeva come
industria protetta, rinnegando ogni senso di dignità”. Mentre “l’iniziativa del
Sud, subito dopo il’61 connessa col brigantaggio e con l’eredità del vecchio
regime, aveva reso impossibile il formarsi di condizioni obiettive” di
produzione, finendo per adagiarsi in “parassitismo e beneficenza”. Era il giudizio di Giustino Fortunato, il
fallimento del “liberalismo dei conservatori”.
Mentre “un’industria nata liberisticamente non sarebbe stata l’antitesi
della vita agricola, ma l’avanguardia”.
Negli ultimi momenti convulsi, l’aggressione
fascista, la chiusura delle sue attività voluta da Mussolini, la nascita del
figlio Paolo, la decisione di andarsene a Parigi, per fare solo l’editore, non l’agitatore
politico, è a Giustino Fortunato che confida per lettera le sue decisioni.Un
mese dopo, a Parigi, sarà morto. Con Fortunato Gobetti purtroppo dooveva condividere
l’amara constatazione che il fascismo avrebbe trovato inerte il Meridione.
Spadolini conclude con Fortunato: “Il Meridione non disturberà il fascismo. Servirà
plebeamente Mussolini. Come ha sempre servito tutti, salvo a darne la colpa
agli spagnoli e ai Borboni, quintessenza del nostro sangue e della nostra carne”.
Non soltanto il fascismo, si può aggiungere: il Meridione non disturberà
nessuno, servemdo via via i Lauro locali o la Dc, poi Berlusconi, e ora Salvini
e Di Maio. Il Sud è, diciamo politicamente, servo.
Giovanni Spadolini. Gobetti, un’idea dell’Italia, Luni, pp.
455 € 25
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (461)
Giuseppe Leuzzi
Ragionando
con un amico delle Grandi Madri del Mediterrameo, Paolo Rumiz si trova a
evocare (“Madre nostra che sei nel mare Mediterraneo”, “Robinson” 17 luglio)
“quella fila di Madonne nere, sibille, parche, menadi, prefiche, erinni che affollano la sacralità del nostro
Meridione”. Altro che “la donna del Sud”: il Sud sarebbe femmina, in regime
patriarcale?
“Sul confine
scomparso di quella che fu la Cassa del Mezzogiorno – nato grazie a quella”,
scrive Federico Fubini sul “Corriere dela sera” martedì, “l’impianto
da un miliardo di dosi”, di vaccini anti-covid. Ad Anagni. Non si fa un
bilancio della Cassa del Mezzogiorno – basta il nome, il Mezzogiorno, il Sud.
Ma Pomezia, Frosinone, l’Abruzzo tutto, i residui centri industriali in
Campania, e altrove, molto la Cassa ha
creato bene.
Sudismi/sadismi
“Racconta
l’estate”, il quotidiano “la Repubblica”, con Paolo Di Paolo, “sulle orme di
Pasolini”. In quattro tappe, partendo da Salerno. Per i sessant’anni dal
“celebre viaggio” di Pasolini – in 24 ore mille km., o erano duemila km. in 48
ore. Un viaggio che il quotidiano così sintetizza: “Sessant’anni fa lo
scrittore cercava un mondo che non esisteva più. Nel Meridione, scriveva, la
notte è ancora quella di molti secoli fa”. Mentre “oggi qui la gente dice: «Il
coprifuoco non era bello, per carità, però si vedono scene mai viste, scene da
pazzi»”. Cosa che, per la verità, a Di Paolo dice “un bagnante di mezza età” –
uno che “ci affida un’intemerata sugli eccessi del «cattolicamente corretto»”. Ma
poi si lamenta della mancanza di pudore.
Quando
si arriva al Sud non c’è rimedio – “falla come vuoi, sempre è cucuzza”, dice il
calabrese.
La mafia cattiva imprenditrice
Un colpo alla dottrina
della mafia imprenditrice. Isaia Sales anticipa (“la Repubblica”, 17 luglio), uno
studio di tre ricercatori della Bocconi, Antonio Marra, Donato Masciandaro e
Nicola Pecchiari, sulle imprese mafiose, create o comprate dalle mafie, da cui
risulta che “le aziende a partecipazione criminale e mafiosa, contrariamente a
quello che abitualmente si pensa, corrono più rischi di fallire rispetto alle
altre presenti sul mercato perché presentano in genere una redditività più
bassa, un debito più alto e una minore liquidità”.
Il linguaggio è cauteloso,
ma il dato è evidente. “Abitualmente” è parola anche imprecisa, andrebbe detto
“contrariamente a quanto siamo indotti a pensare” – chi conosce anche un solo
mafioso sa che non è affidabile, non saprebbe esserlo, nemmeno sciacquandosi la
bocca a Cambridge.
Lo studio si basa su 1.840
imprese lombarde “collegate con diverse modalità al crimine organizzato,
utilizzando i dati dell’Agenza Informazione e Sicurezza Interna (Aisi)”. La
conclusione sarebbe che “le mafie incidono in maniera notevole sull’economia della
parte più avanzata del Paese (dove si produce il 25 per cento del Pil nazionale),
ma ciò non determina un miglioramento della produttività delle imprese coinvolte”. Conclusione anch’essa cautelosa,
ma insomma: la mafia non è manageriale, può spendere ma non sa gestire.
Un colpo al tutto mafia,
all’epica mafiosa. Che i mafiosi non sono buoni investitori si sapeva: il
clan calabrese degli Alvaro ci ha rimesso qualche milione, a via Veneto, tra il
Café de Paris e il grande bistrot California. Lo stesso il (presunto) clan
Mattiani di Palmi, sempre a Roma: dove aveva rilevato l’Antica Pasticceria
Bella Napoli alle Sette Chiese, e col Vaticano, che aveva procurato le
necessare licenze edilizie, e un mutuo veloce di favore, aveva riconvertito in
pochi mesi, in tempo per il Giubileo 2000, un vecchio convento monacale ormai
disabitato, il Luz Casanova, nel Grand Hotel Gianicolo, con roof garden vista
san Pietro. Espropriati entrambi, gli Alvaro e Giuseppe Mattiani.
P.S.- Questi due casi però
necessitano un poscritto. Sia gli Alvaro che Mattiani hanno poi avuto indietro
i beni dalla Cassazione – Mattiani da subito, già in Appello: il suo delitto
era stato di candidarsi a sindaco, per questo fu prontamente fatto inguaiare da
uno dei Gallico, mafiosi invece professi e condannati. La mafia è poco
imprendoriale, ma che dire della giustizia?
Legge speciale
per il Sud
Il
diritto penale le esclude, il diritto democratico, costituzionale: le leggi “speciali”
non ci possono essere, discriminatorie. Ma per il Sud sì. Non contro il Sud,
contro le mafie. Che, come è noto, sono al Sud.
Un
inedito, solitario, riesame del decreto legge 164, 1991, che compie trent’anni,
di Paolo Riva per “Buone notizie”, il settimanale del Terzo Settore del
“Corriere della sera”, lo spiega con pochi dati (il dl 164 è stato abrogato nel
2000, ma lo scioglimento amministrativo delle amministrazioni locali è rimasto
nel Testo unico sull’ordinamento degli enti locali, Tuel, n. 267 del 2000,artt.
143-146): il Prefetto può mandare a casa un consiglio comunale, col sindaco, a
suo giudizio. Come usava fino a qualche decennio fa con il “confino di
polizia”. Confidando i Comuni, di
qualsiasi dimensione, di mille o di centomila abitanti (a Roma si è arrivati,
almeno un paio di volte, dopo la giunta Carraro e il sidnaco Marino, ai
X due o
tre milioni, quanti ne conta la capitale), a tre funzionari di prefettura, per
un anno e mezzo, con auto e autista, pagati in sovrappiù, per “non fare”.
Un
“confino” di cui la Corte Costituzionale nel 1993 ha confermato la validità. In
questi termini: lo scioglimento dei consigli comunali va considerato l’extrema ratio dell’ordinamento per
salvaguardare la funzionalità della pubblica amministrazione. Funzionamento che
invece viene del tutto bloccato perdurando il commissariamento. Che poi lascia
tracce sempre negative, in termini di efficienza amministrativa, e perfino di
presenza fisica. A Roma queste tracce sono ancora visibili dopo l’ultimo
commissariamento: l’assentesimo è aumentato e gli uffici sono ingovernabili. Il
precedente commissariamento, nel 1993, s’era affrettato a cancellare l’appalto
della rilevazione del patrimonio immobiliare del Comune: il Campidoglio
possiede cieca 40 mila unità immobiliare, si ritiene, non si sa, molte di
pregio, si ritiene, non si sa, da cui percepisce quanto non basta a pagare gli
uffici del patrimonio.
La
legge del 1991 è stata applicata 356 volte. Per “quasi il 90 per cento al Sud,
Calabria, Campania e Sicilia”. La quota meridionale è ingrossata perché alcuni
comuni sono stati sciolti più volte. Riva cita Marano, nel napoletano, ma Platì
si può aggiungere, in Calabria, e San Luca – paesi dove le elezioni comunali
vanno deserte, tutti hanno qualche parente più o meno oberato da carichi
pendenti.
Per
lo scioglimento la legge prevede che ci siano “concreti, univoci e rilevanti
elementi sui collegamenti degli amministratori con la criminalità organizzata”.
Ma a volte basta una semplice cuginanza con un portatore di carichi pendenti –
anche non intervenuta dopo il voto, antecedente alla compilazione delle liste
elettorali ma allora non rilevata. Sui “collegamenti” vigilano i Carabinieri,
con i carichi pendenti, in un quadro giudiziario cioè, e anche con la “note di
servizio”, informali, di caserma.
Decidono
i prefetti: la legge riporta all’Italia dei prefetti spadoliniana, cioè
giolittiana.
Mafie
Lorenzo
Tondo racconta dei tanti delitti di mafia impuniti – lo fa sul “Guardian”, che
è un giornale ingleose, in Italia l’argomento non appassiona. A Carini, in provincia
di Palermo, Vincenzo Agostino ha visto a giugno, dopo trentadue anni, una condanna
per l’assassinio del figlio poliziotto, Antonino, e di sua moglie Ida, incinta
di cinque mesi, mentre passeggiavano sul lungomare. Antonino collaborava con i servizi di intelligence, alla caccia dei altitanti.
A
Soriano Calabro Filippo Ceravolo, 19 anni, ucciso nove anni fa per sbaglio, per
avere accettato un passaggio in macchina da un amico che invece era nel mirino
della ‘ndrangheta locale, attende ancora giustizia. Nonostante i killer,
quattro, siano stati individuati. I genitori di Filippo e la sorella vivono tra
depressioni e tentati suicidi.
A
Foggia Francesco Marcone è stato assassinato nel 1995 nella tromba delle scale
del suo condominio: era il direttore dell’ufficio del registro e aveva
denunciato “la corruzione del suo stesso ufficio e l’evasione fiscale di
diverse aziende”. Ucciso non si sa ancora da chi.
Tondo
racconta vari casi di giustizia negata di “quattro regioni dell’Italia
meridionale con una tradizione di crimine organizzato”, avverte il giornale. E
viene da chiedersi: da chi? Ma non sfugge nemmeno lui, Tondo, di Sciacca, alla sociologia da caserma: la giustizia non
funziona per l’omertà. Cioè: i morti non parlano, nemmeno i loro parenti.
Perché, si sa, della mafia tutti sanno tutto.
Ma
questo, in parte, è vero: i Carabinieri hanno sempre molte confidenze – a
parte le lettere anonime.
Il clan come
esca
Domenico
Forgione, mite scrittore di storia locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte, si è
fatto sette mesi di carcere un anno e mezzo fa perché “intercettato” in storie
di mafia. Scarcerato a inizio anno trova ora la forza di spiegare il suo caso:
incredibile. Ha subito detto all’interrogatorio di convalida dell’arresto che
lui non era lui, che lui non aveva mai parlato con i criminali. Ma né il gip né
il riesame gli hanno creduto – semplice, non lo hanno ascoltato.
La
Direzione antimafia di Reggio Calabria agitava contro Forgione un “coacervo” di
indizi. Senza però mai produrli. Finché, minacciata, non ha accettato una
perizia fonica, che il Ris di Messina ha certificato: Forgione non era
Forgione.
Lo
stesso hanno accertato, dopo lunga contesa procedurale, le perizie foniche per il vice-sindaco di Sant’Eufemia,
Idà, e per il presidente del consiglio comunale, Alati, arrestati insieme con
Forgione.
Eyphemia,
l’inchiesta di Sant’Eufemia, ha portato a 65 arresti, in mezza Italia: Milano, Bergamo,
Lodi, Pavia, Novara, Perugia, Ancona, Pesaro-Urbino, oltre che localmente.
Tutti ruotanti attono al famoso clan Alvaro di Sinopoli. Che però è su piazza
da almeno sessant’anni ormai, sessantatré per l’esattezza, e sempre a piede
libero.
Il
clan serve come esca? Gli arresti per collusione con gli Alvaro saranno ormai
migliaia – era già a Roma una trentina d’anni fa, avendo rilevato il Café de
Paris a via Veneto, e il California, un bistrot su tre piani, nell’adiacente
via Bissolati. Saranno questi Alvaro, nell’intimo, collaboratori di giustizia?
Farebbero un buon giallo: vendicarsi dei propri nemici, o anche solo di quelli
dei Procuratori della Repubblica, semplicemente accostandoli.
Il
Café de Paris, benché confiscato, è tornato di recente nella disponibilità degli
Alvaro. Un avviamento ora azzerato, però che soddisfazione.
Puglia
Al
Bano canta in chiesa a Andria al matrimonio di conoscenti e il vescovo
s’infuria. Ma forse non è mai andato a vedere come si fa un matrimonio oggi, in
chiesa. Un business: Bari vanta 31 location per matrimoni, ville, castelli,
palazzi, monasteri, saloni.
Anche
Carla Bruni canta al matrimonio, questo non in chiesa, all’hotel Crillon, del
calciatore Verratti a Parigi. Ma gli ospiti hanno travolto la première Dame intonando insieme, in
coro, “Felicità”, di Al Bano. Se Parigi avesse lu mere, sarebbe una piccola
Bere.
Rumiz
la mette al Nord. Qualche anno fa, 1999, scrivendo delle sue peregrinazioni
estive, “Capolinea Bisanzio” (ora in “È Oriente”), Rumiz faceva il vecchio
gioco dei quiz al concorso militare per ufficiale di complemento – è più a Est
Trieste o Napoli, etc.? Il Sud volendo un Oriente: “Prova a guardare dal
Gargano la retta infinita che divide il verde dell’Adriatico dal giallo andaluso
del Tavoliere”.
Ma di fatto Rumiz ricalcava la meridionalità del Sud, con qualche
annessione al Nord: “Lo Stivale s’inclina, la Puglia non è affatto Sud ma
guarda a settentrione. L’Adriatico è il mare del Nord. I latini lo chiamavano superum, mentre il Tirreno era inferum, meridionale”.
Con
le migliori intenzioni, ma senza fiato. Insistente: “Se dal Gargano tiri una
linea verso ovest, incontri la Catalogna, profondo Nord della dirimpettaia
Spagna”.
“A
Manduria, dove vivevo con la mia famiglia, non c’erano librerie. Zero”, lamenta
con Antonello Guerrera, sul “Venerdì di Repubblica”, lo scrittore Franeesco
Dimitri, che torna in libreria con un fantasy scritto in inglese – si scrive
come si fanno i film? Era ventisei anni fa, Dimitri aveva tredici anni, e non
riusciva a leggere “Il Signore degli anelli”. Si penserebbe perché, un po’,
illeggibile. No: “Era il Sud feroce”, conclude. Sarà per questo che se ne è
andato a Londra.
Di
Manduria quando Dimitri era bambino si hano ottimi ricordi – fu nel 1946 o 1947
la città più ricca d’Italia, quella che oggi è Varese o Bologna secondo “Il
Sole 24 Ore”, avendo olio e vino. Del resto, lo stesso Dimitri poi lo dice:
“Quando ero ancora in quinta elementare”, quindi a dieci anni, “mio fratello
Arcangelo aveva comprato per sé ‘Lo Hobbit’, edizione Adelphi. Lo lessi
anch’io, tutto d’un fiato”.
Conversando
con la commessa di pasticceria a Patrasso, nell’attesa della traghetto, una
ragazza che parla l’italiano, ha viaggiato in Europa, sbarcando a Bari, chiediamo
l’impressione che fa a una giovane greca l’arrivo in Italia. “Tutto è grande è
la risposta”, dopo una pausa. E specifica: gli uliveti, gli agrumeti, i campi,
allora, di grano. Sottinteso: in raffronto alla Grecia, dove tutto è minuscolo.
Grande è l’epiteto della Magna Grecia.
Mantiene la
primazia in tutto il Sud, in fatto di politica e di istituzioni. Rispetto a Napoli
per esempio, o alla Sicilia, aree più popolose e a vocazione più scopertamente
– dialetticamente – politica: Salandra, Di
Vittorio, Moro, Conte (Boccia, Bellanova), eccetera, i fratelli Salvi, Cesare e
Giovanni, che hanno gestito per qualche decennio mezza giustizia. O economica
di Stato: Menichella (Banca d’Italia), Di Cagno (Enel), Sette (Eni).
O forse non ha più “gente famosa” delle altre regioni. Ma non fa pesare una pugliesità – come la
napoletanità, la sicilitudine. Lo stesso i suoi tanti artisti, specie i
musicisti, Muti, Modugno, Arbore, eccetera. Il Sud si obera di una finta tradizione,
fine a se stessa, che finisce per fare zavorra, la Puglia va invece veloce.
leuzzi@antiit.eu
Cronache dell’altro mondo (129)
Il
Senato del Texas ha applicato la cancel culture
a Martin Luther King. Né “I have a dream” né la “Lettera da una prigione di
Birmingham” si possono insegnare a scuola. Il Senato del Texas è evidentemente
repubblicano, ma non senza titolo per decidere, ai termini della cancel culture.
Afroamericani in battaglia
sui social contro la ginnasta italiana Vanessa Ferrari e in difesa del loro
idolo Simone Biles, per un commento razzista che però non c’è mai stato. Un
commento contro Biles era stato postato da un’altra ginnasta italiana, Carlotta
Ferlito, che alla finale alla trave ai mondiali di Anversa, 2013, era stata
declassata di un posto, fuori medaglia, per un ricorso vinto da Biles. Il
commento di Ferlito era: “La prossima volta io e Vanessa (Ferrari, n.d.c.) ci
dipingeremo il volto di nero per vincere”.
Biles è alta 1,43, per 47
kg.. Ferrari 1.46, per 47 kg.. Ferlito 1,60, per 55 kg. È diverso il peso
specifico – o anche questo è razzismo? Agli americani non piace perdere, come
alle italiane, e gli afroamericani evidentemente sono americani. Biles è già
stata dichiarata in America, prima dell’Olimpiade di Tokyo, “la più grande
atleta del mondo”
Dopo oltre cento anni la squadra di baseball di
Cleveand cambia nome: non più “Indians”, nome ora irrispettoso dei nativi
americani, ma “Guardians”. Lo stesso aveva fatto un anno fa esatto la squadra
di football americano di Washington, i “Redskins”, che si erano ribattezzati
anonimamente , dopo il 1937, Washington Football Team.
Ha fatto campagna contro Trump, prima e dopo la sua
elezione a presidente nel 2016, autore anche di un best-seller anti-Trump, “Elegia americana”,
commentatore per quattro anni anti-Trump di “The Atlantic” e opinionista del
“New York Times”, ma ora è un trumpiano convinto. Al punto da concorrere per il
Senato in Ohio, dove la vittoria per un repubblicano è improbabile, agitando i
temi di Trump, per primo la vittoria rubata da Biden. È James David Vance,
barbuto quarantenne. È anche affermato venture
capitalist – per questo si suppone che attaccasse Trump – e come tale si
presenta.
Afroamericani in battaglia sui social contro la ginnasta italiana Vanessa Ferrari e in difesa del loro idolo Simone Biles, per un commento razzista che però non c’è mai stato. Un commento contro Biles era stato postato da un’altra ginnasta italiana, Carlotta Ferlito, che alla finale alla trave ai mondiali di Anversa, 2013, era stata declassata di un posto, fuori medaglia, per un ricorso vinto da Biles. Il commento di Ferlito era: “La prossima volta io e Vanessa (Ferrari, n.d.c.) ci dipingeremo il volto di nero per vincere”.
Biles è alta 1,43, per 47 kg.. Ferrari 1.46, per 47 kg.. Ferlito 1,60, per 55 kg. È diverso il peso specifico – o anche questo è razzismo? Agli americani non piace perdere, come alle italiane, e gli afroamericani evidentemente sono americani. Biles è già stata dichiarata in America, prima dell’Olimpiade di Tokyo, “la più grande atleta del mondo”
Dopo oltre cento anni la squadra di baseball di Cleveand cambia nome: non più “Indians”, nome ora irrispettoso dei nativi americani, ma “Guardians”. Lo stesso aveva fatto un anno fa esatto la squadra di football americano di Washington, i “Redskins”, che si erano ribattezzati anonimamente , dopo il 1937, Washington Football Team.
Ha fatto campagna contro Trump, prima e dopo la sua elezione a presidente nel 2016, autore anche di un best-seller anti-Trump, “Elegia americana”, commentatore per quattro anni anti-Trump di “The Atlantic” e opinionista del “New York Times”, ma ora è un trumpiano convinto. Al punto da concorrere per il Senato in Ohio, dove la vittoria per un repubblicano è improbabile, agitando i temi di Trump, per primo la vittoria rubata da Biden. È James David Vance, barbuto quarantenne. È anche affermato venture capitalist – per questo si suppone che attaccasse Trump – e come tale si presenta.
La legge dei Procuratori – bis
“Ci
sono 57 mila pendenze, con già oggi altrettante prescrizioni, solo nel
distretto di Napoli, e non per effetto della riforma approvata dal consiglio
dei ministri ma per una situazione di gravità estrema, una violazione ai
diritti delle vittime e degli imputati”. Un ministro della Giustizia finalmente
non di categoria, Maria Cartabia, non ha problemi a dire la verità ai giudici napoletani
che sollevavano la solita ammuìna contro ogni (eventuale) obbligo di lavorare. “I
processi non rischiano per colpa della riforma”, così “il Messaggero” titola
“la lezione di Cartabia ai giudici di Napoli”.
Napoli
è un caso a parte, e lo sa bene la mezza Italia che per qualche secolo l’ha
sofferta. La Napoli non dell’ingegno e del fare applicato, inventivo,
faticatore, ma la Napoli che si vorrebbe nobilissima, dei “professionisti”. Del
non fare – giudici figli di giudici nipoti di giudici, primari figli di primari
nipoti di primari, tutta l’insolenza che farebbe inorridire una democrazia, con
l’insensibilità ‘ncoppa alla presunzione. Vent’anni fa il Procuratore Capo di
Napoli Cordova litigò con i suoi sostituti, specialisti, a suo dire, del “non
andare” meglio del “non fare”. Con montagne di procedimenti mai aperti, oltre alla
montagne di quelli finiti nella sabbia. Finì che Cordova fu rimosso, dal Csm, su
filippica di Giovanni Salvi, il giudice di tutti i processi “delicati”, Ustica,
Pecorelli , Calvi, fratello di Cesare Salvi, senatore e ministro ex Pci.
Ora
i giudici non hanno più altri giudici con cui interloquire, ma la Unione
Europea, che non vuole affidare i suoi miliardi agli esperti del “non
andare”.
È
curioso che, oggi come vent’anni fa, i giudici recalcitranti siano automaticamente
annessi dalla sinistra politica. Questa è un’altra storia, ma è parte
importamte dell’insieme. Sono annessi dalla sinistra per modo di dire (loro
personalmente spesso sono fascistissimi): da “la Repubblica”, col suo filo
diretto con i giudici sempre e comunque, allora con D’Avanzo (fascista professo
e non pentito) ora con una selva di “cronisti giudiziari” – e quindi dal
“Corriere della sera” (c’è altra sinistra all’infuori delle due tribune, di
comodo – per chi?).
Bandiera
alternativa dei giudici è “Il Fatto Quotidiano”. Da sinistra, questa, o da
destra? Travaglio lo nega (D’Avanzo no) ma pure lui era di destra, pura e dura.
L’ordinamento giudiziario è l’unico resto del fascismo – dopo un secolo ormai.
mercoledì 21 luglio 2021
La legge dei Procuratori
“L’impianto da un miliardo di dosi”, di vaccini anti-covid,
ad Anagni, la Catalent, da “un sabato notte del marzo scorso”, col nuovo corso allora
inaugurato dai nuclei Antisofistcazione dei Carabinieri, “ha avuto continue
visite e ispezioni da parte dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di
Finanza”. Manca la Polizia, ma il resto c’è stato tutto e abbondante. Per quattro
mesi le polizie d’Italia hanno cercato i “vaccini «nascosti»”, scrive sarcastico
Fubini sul “Corriere della sera”. Si voleva trovare un caso di mercato nero dei
vaccini. Lo hanno cercato dov non potevano trovarlo, in una multinazionale? Dove
erano sicuri di non trovarlo?.
Non è inefficienza, è l’azione penale passata in
mano alle Procure della Repubblica. Dalle indagini alle conclusioni. Cosa sia avvenuto
a Frosinone Fubini non lo dice. Ma ciò che dice raffigura il Procuratore della Repubblica
camilleriano, o montalbaniano, a tutto interessato meno che al crimine.
Ma c’è di peggio. A metà anni 1995 il più grosso
scandalo della Repubblica, l’ammanco di 1.300 miliardi di lire alla Rizzoli-Corriere
della sera, esito di ruberie diffuse e continuate. non fu né denunciato né
perseguito. Lo denunciò, come abbiamo spiegato in “Mediobanca Editore”,
Deloitte, il revisore dei conti. E non fu perseguito: i profittatori se la cavarono
con vantaggiosi patteggiamenti, un paio, i più senza un solo avviso di reato. Mentre
contemporaneamente, per la stessa tipologia di delitti, la Procura di Milano mandava Carabinieri,
Finanza e Dogane alla Mediaset di Berlusconi, due e tre volte al giorno, da 500
a mille ispezioni in un anno. Senza esito, se non su un punto: la negoziazione
estero su estero dei diritti delle opere acquisite.
Era questo uno dei canali di aufofinanziamento dei
dirigenti della Rcs, spiegava “Mediobanca Editore”, 1997, in casi acclarati, ma
non fu mai perseguito. Lavorandoci sopra, invece, la Procura di Milano ha ottenuto
infine, dopo vent’anni, la famosa condanna di Berlusconi.
L’azione penale in mano ai Procuratori della
Repubblica è inefficace: lenta, e per lo più sbagliata. Si vede contro le mafie:
a fronte di pochi, anche per questo eroici, perché isolati, l’incuria o inefficienza
dei più. O nella diffusissima corruzione – si è perfino dovuto creare un’apposita
Autorità anti.corruzione.
L’azione penale dei Procuratori
è “efficiente” - anche se spesso, a fine
ciclo gudiziario, inefficace o nulla - contro i nemici personali dei
Procuratori stessi. O di partito. E a fini (immediati) di carriera – se servono
cento, duecento incarcerazioni per diventare Procuratore Capo. L’azione penale
è obbligatoria up to a point, a
discrezione.
Tycoon in volo per vendere internet spaziale
Sembra
una cosa goliardica e quasi fantascientifica, il viaggio suborbitale dei neo
ricconi, Branson, Bezos e Musk, una decina di minuti sparati da un razzo. È
invece una promozione di internet spaziale, una banda larga celeste, al costo
fra i 30 e i 100 euro al mese. Branson con Virgin Media, Bezos con Blue Origin,
Musk con Space X.
Musk
è partito per primo. La sua Starlink in due anni ha già posizionato 1.600 satelliti
a bassa orbita, fra i 1.100 e i 1.325 km. dalla Terra, mobili. E avrebbe già
raccolto mezzo milione di abbonamenti, a 100 euro al mese, per connessione tra
i 50 e i 150 megabit al secondo – punta al milione entro l’anno. Bezos ha in
progetto Amazon Kuiper, un investimento da dieci miliardi di dollari, per una costellazione
di 3.200 satelliti su orbite dimezzate rispetto alla Starlink di Musk.
Ma
prima di tutti è arrivata l’europea Eutelsat, che ha una quota del 24 per cento
di OneWeb, il gruppo di telecomunicazioni spaziali cerato dal governo britannico
col gruppo indiano Bharti Global. Eutelsat propone in una decina d apesi – in
Italia attraverso Tim – abbonamenti alla banda larga satellitare a partire da
30 euro al mese. Tim promoziona la novità con tremila abbonamenti a 19,90 euro
in più dell’abbonamento telefonico, con antenna e modem in comodato d’uso.
Uno
studio Eurconsult prevede a fine decade 110 milioni di utenti della banda larga
satellitare. Per un mercato da quasi 13 miliardi di dollari – 12,7.
Roma nel 1940 sembra oggi, malinconica
Brevi
ritratti di “personaggi” e situazioni romane, del 1940-42, attorno a via Veneto
e a Cinecittà, oppure no, che sembrano degli anni 1950-1960, e ancora oggi si ritrovano.
Forse non con frequenza, ma ugualmente caratterizzati: il “bel ragazzo”, la “serata
d’arte nella taverna in finto stile antico”, le amiche che l’autista scarica
all’osteria popolare, per i “fagioli con le cotiche”, la “signora ironica”, “le
acque”, la “domenica al mare”, col trenino, da Piramide, i “cinematografari”, i
“forti industriali dello schermo”, le signore dei Parioli che si preparano a prendere il mezzo pubblico. Nel negozio di barbiere, con manicure,
entra anche “il figlio del re di Spagna,”, Juan Carlos, “bel ragazzo”.
Sarà
l’attrattiva di questo scrittore, catanese trapiantato a Roma, un tempo molto amato
anche dai critici, Cecchi, Montale, Bo, Gigli, poi del tutto dimenticato, che
ora si ripropone (l’editrice La Nave di Teseo ne ha ristampato “Tutte le
opere”). Di una città che non cambia, in quasi un secolo ormai – “poche cose
sono più malinconiche”, si può concordare con lo scrittore. Senza contare che
nel 1940 la città si poteva presumere addormentata, narcotizzata da Mussolini,
mentre oggi rema – naviga, rema poco - nel Duemila.
Ercole
Patti, Quartieri alti
martedì 20 luglio 2021
Ecobusiness
Ammonta
a oltre due tonnellate, ovvero l’equivalente del peso di un Suv di grandi
dimensioni, il cibo sprecato ogni anno pro capite nei paesi del G 20. Poiché io
non lo spreco, e voi nemmeno, quanto
sprecheranno gli altri, due e tre camionate – come si fanno le statistiche?
Vokswagen
(con Audi e Porsche), Bmw e Daimler-Mercedes sono stati multati dall’Antitrust
europeo per essesi accordati a ritardare lo sviluppo delle tecnologie che limitano le emissioni inquinanti. In
segreto? Sono stati multati in segreto? Poiché non se ne è saputo niente. La
multa è di di poco meno di 900 milioni.
Entra in vigore la direttiva europea contro gli
oggetti di pastica monouso, dalle cannucce al cotton fioc. Con che
esito? Quello di favorire industrie alternative, di plastiche non monouso.
L’effetto antinquinamento è nullo, spiega Nathalie Gontard, autrice di “C’è
vita senza la plastica. Perché farne a meno, prima di morire soffocati”, ricercatrice
e imprenditrice di materiali alternativi. Si poteva consentire l’utilizzo di
materiali biodegradabili per questi prodotti monouso. Che sono la soluzione, molto
meglio che produrre plastiche
multiuso.
La plastica è “materiale straordinario!”, spiega
Gontard, ma contaminante e indistruttibile. Quindi anche micidiale:
“Bisognerebbe fermarne subito il consumo”. Questo non è possibile, “alcune
plastiche sono necessarie, ma dobbiamo limitarci a questa ristretta categoria”.
Landolfi impossibile
Un Landolfi giocoso. Apre “La passeggiata”, tre pagine di nulla, parole senza più senso estratte dallo Zingarelli – allora il vocabolario più diffuso. Un giallo elucubrato su una notazione di Gaboriau, una parodia. Allevatori di polli in batteria finiti dentro una rete più grande, gestita da polli giganti. Un esercizio sarcastico di filologia inventiva su S.P.Q.R. Qualcuno nel cosmo ha letto di un pianeta Terra, padre e figlio si chiedono cosa possa essere.
Chiudono la raccolta due brevi testi molto landolfiani. Uno, da ultimo, sui modi del raccontare. Il penultimo è la confidenza di un compagno di viaggio, che la inventa e la modula per compiacere il suo occasionale interlocutore, che presume scrittore - una esemplificazione del romanzesco.
Un Landolfi scherzoso come lo è sempre stato, benché divagante, fantastico, metafisico, loico, segreto. Ma sempre da remoto, intellettualistico. Una lezione in classe sulla morte prende cinquanta pagine: un racconto filosofico, ma non alla maniera di Voltaire, no, di filosofia vera, argomentata, un dialogo platonico, più frammentato. Freddo di programma, il lettore di racconti si smarrisce.
Un Landolfi risentito. La raccolta è assortita in appendice di due testi testi polemici, “Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni” e “Fatti personali”, l’ultimo testo, questo, proposto al “Corriere della sera”, cui Landolfi collaborava, che però non lo pubblicò. Contro Leone Piccioni, che pure si era speso molto per Landolfi, nei premi leterari, nelle critiche, in televisione, e contro Paolo Milano e, a lungo, Montale (Fatti personali”), rei di essersi occupati, con benevolenza, dei “Racconti impossibili”. Perfino contro Geno Pampaloni, che alla periclitante Vallecchi aveva passato la pubblicazione della raccolta nel 1966, malgrado le limitazioni imposte dall’autore: niente scheda, niente risvolto, niente presentazioni, niente promozioni, interviste, conferenze.
Un risentimento di cui Giovanni Maccari,
che cura il volume, non si dà ragione. Trovandola in ultimo in una sorta di
complesso di superiorità, per quanto irriflesso. Essendo Landolfi “l’autore di
limpide speculazioni linguistiche come il ‘Dialogo dei massimi sistemi’ (1937)
e ‘La Dea cieca o veggente’ (1962)”, e “uno scrittore poliglotta, ipercolto e,
si è detto, insieme a D’Annunzio, il più addentro alla lingua italiana del
Novecento”. Ma è la narratività che lo isola. Un paio di racconti brevi,
centrati sul romanesco, lingua e caratteri, nella forma ironica di Gadda, ne
mostra la distanza dalla narratività dell’Ingegnere – Landolfi non esce dal
bozzetto
Tommaso
Landolfi, Racconti impossibili,
Adelphi, pp. 195 € 14
lunedì 19 luglio 2021
Ecobusiness
Il ministro dell’Ambiente Cingolani non si
smentisce: la transizione ecologica? “Confermo, potrebbe essere un bagno di
sangue”. Se non sarà graduale, e mirata sui bisogni generali e non su interessi
di parte - di mercato industriale, di mercato politico: “Per cambiare il
sistema e ridurre il suo impatto ambientale bisogna fare cambiamenti radicali,
che hanno un prezzo. Dovremo far pagare molto la CO2, con conseguenze, ad
esempio, sulla bolletta elettrica”.
Più
radicale ancora l’ex ministro dell’Industria, l’economista Alberto Clò, specialista
delle questioni energetiche, ammonisce su “La Nazione-Il Resto del Carlino”
contro una transizione affrettata, quale quella del piano Ue: “Fa danni sociali
e riduce le emissioni globali solo dell’1 per cento”. L’Europa conta poco,
riflette mesto l’ex ministro: ha già fatto molto e può fare ancora poco, il
problema delle fonti di energia fossili è la Cina.
Il
problema paventato da Cingolani è stato sollevato col governo tedesco, che ha ispirato
il piano di Bruxelles, dal presidente francese Macron: l’industria automobilistica
francese, ora franco-italiana, dovrebbe chiudere. E lo stesso il nucleare, che
in Francia copre ancora il 70 per cento della produzione di elettricità, ed
è considerato “pulito”.
Profumo di Chanel, pepato
“La
piccola figura tormentata da indiana jivaro”
si racconta. Con fedeltà, chissà, ma molto alla Morand.
Ritorna nella vasta produzione di
Paul Morand questo autoritratto di Gabrielle “Coco” Chanel, nel revival Chanel in corso, per i
cinquant’anni dalla morte. Nel quadro di una riaffermazione del marchio di
fabbrica “France” nei piani del presidente Macron. Con le trionfali celebrazioni
in costume alle sfilate di Parigi, sulla scalinata del Palais Galliera, e con
la mostra “Gabrielle Chanel, Manifeste de Mode”, nello stesso palais, un edificio dell’800 restaurato
per ospitare mostre. Il percorso stilistico e di vita di Mademoiselle, dalla prima
marinière, 1916, allo Chanel N° 5,
1921, al tailleur, di più
generazioni, al little black dress e
al prêt-à-porter. Di una stilista sempre
avanti agli altri, e sempre nel gusto dei più. Con pezzi provenienti da varie
collezioni e musei importanti, il Victoria & Albert, il Momu di Anversa, il
De Young di San Fancisco.
È notevole il personaggio. Tutto
fatto da sé. Solitaria ma non zitella. Anche se con pochi amori, non più di due grandi amori nella lunga vita,
e non di comodo. In gioventù col “bell’inglese” Boy Capel”, “essere di una
vasta cultura, di un carattere originale”, “inglese beneducato”, fornitore di
guerra, molto amato da Clemenceau, che la “installa in un hotel a Parigi”, presto
morto in un incidente d’auto. E dieci anni più tardi, nel 1924, a 41 anni, già
stilista famosa, col bellissimo e ricchissimo duca di Westminster, altro
britannico, l’uomo più ricco del mondo, per dieci anni (secondo questa
“memoria”, per cinque secondo wikipedia) – una relazione probabilmente
promozionale, come sarà quella di Onassis con Jacqueline Kennedy: il duca aveva
una moglie, la seconda o terza, e non viveva a Parigi. Dopo un intermezzo con
Paul Iribe, “l’uomo più complicato che abbia conosciuto”.
Con molta Italia. Il Lido entra
nella narrazione come il faubourg Saint-Honoré, un posto di casa, il Lido di
Venezia. I viaggi sono molteplici nella penisola, col Veronese, il parmigiano,
Roma, Leonardo, e altri riferimenti domestici – tra le due guerre l’Europa era
nazionalista ma ancora cosmopolita, meno identitaria di oggi.
Un carattere forte, che qui si
esemplifica in tante storie, piccole (con le dipendenti) e grandi, con gli
amici, i titolati, i potenti. Un mestiere studiato. Un mestiere: l’invenzione
con le mani, la prova, l’aggiustamento, l’innovazione provata e riprovata, mai
l’eccesso - la moda “concettuale”, o l’illusione per i fresconi, per quanto
ricchi. Con molte notazioni, via via, su personaggi piccoli e grandi:
Diaghilev, grasso, pieno d’anelli, instancabile, maestro d’innovazione e di
cultura ai francesi, Picasso, la contessa Adhéaume de Chévigné, née Sade, personaggio proustiano,
Stravisnsky, un flirt che rischiò di diventare amore, e in breve, con vista
acuta, Colette e Cocteau. E i “trucchi”, o criteri, del “taglio”, del mestiere.
Molto sua, di Chanel, è la rivendicazione centrale: aver preso la donna
inutile, superflua, adorna, per lo più di stravaganze, anteguerra e averla
vestita come persona attiva - una che “si sente”, si conosce e cammina, non
naviga.
L’autobiografia è però di fatto un
testo morandiano. Anche perché è scorretto: Morand si approfitta per saldare
alcuni suoi conti aperti. L’avrebbe scritto nell’inverno del 1946, così vuole
il sito del marchio, basandosi su una serie di conversazioni avute con Chanel in
un albergo di St. Moritz, su invito di lei. Lo stile è della confessione-confidenza,
ma è un testo di Morand, scritto dopo la morte della stilista e pubblicato nel
1976.
La griffe di Morand - benché già accademico di Francia, dopo il lungo
ostracismo del generale De Gaulle, per essersi schierato in guerra, da
diplomatico in servizio, col regime di Vichy - è nella reiterazione di alcune
sue fisime, oggi politicamente scorrette ma non censurate in questa riedizione:
sugli ebrei (Morand non si priva nella sua lunga opera, prima e dopo la guerra,
di sottolineare il forte legame etnico fra ebrei), e sugli “invertiti”. Ma
anche contro l’intellettualizzazione della moda, dai sarti a Roland Barthes: la
“poesia sartoriale” è un bel pezzo satirico. Nella prima idiosincrasia rientra
la reiterata, perfino estenuante, vendetta contro Misia Sert, il “personaggio”
più influente della scena parigina tra le due guerre, nata Godebska, “pianista
e modella russa”: “asiatica”, modella a 15 anni per le prostitute di Toulouse-Lautrec,
Renoir, Vuillard e Bonnard, “cinquant’anni tra i grandi artisti e nessuna cultura”,
“una inferma di cuore, strabica in amicizia, zoppa in amore”, “anima ebrea”,
che solo si cura degli ebrei.
Con la - inevitabile? anche nel 2021? anche nelle celebrazioni? - rimozione del collaborazionismo, antisemita, che accomuna i due, Chanel e Morand. E, curiosamente, della passione di Coco per la caccia che fu la parte grossa della relazione col duca di Westminster - certificata anche da Churchill, stranito da tanto vigore.
Paul Morand, L’allure de Chanel, Folio, pp. 248 € 7,50
domenica 18 luglio 2021
Ombre - 570
Con l’alluvione in
Germania e nelle pianure di Nord-Ovest, in Belgio e Olanda, la fine del mondo si
vuole vicina. Ma era stata altrettanto micidiale l’acqua in Germania vent’anni
fa, allora con allagamenti sul suo fianco di Sud-Est, Austria, Ungheria, Repubblica
Ceca, Russia. Le alluvioni sono i terremoti della Germania, che ha grandi
fiumi.
Le alluvioni in Europa
sono state, nei numeri dell’Oms, circa 400 dal 1975 in poi. Con oltre tremila
morti.
5
Stelle e Lega sono contro i vincoli alla libera circolazione, per evitare –
ridurre - i contagi. Ma non lo dicono – alla quarta ondata poi si vota, a
ottobre. Lo fanno dire dai loro rappresentanti nell’autorità per la Privacy, Guido
Scorza e Ginevra Cerrina Ferroni.
Quest’ultima,
professoressa fiorentina di diritto costituzionale figlia di un comunista,
moglie di un barone, salviniana dichiarata (ma ha saputo evitare di venirne immolata
a Nardella al voto per il sindaco due anni fa), sembra inappellabile: “Gravissimi
gli effetti sui diritti e sulle libertà dei cittadini”. Ma la Costituzione non
ha l’art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo
e interesse della collettività”? E la Corte costituzionale, in più sentenze? E il buonsenso: posso andare in moto senza casco, in auto senza cintura? Dio li fa, e poi li perde.
L’ex
presidente del consiglio Conte, che pure è uomo di legge, non vuole la riforma
Cartabia della Giustizia. Non per un motivo, così: la riforma della Giustizia è
stata la sua, anche se lui non l’ha fatta.
“la
Repubblica”, che sostiene la riforma Cartabia, e il Pd, annuncia: “Il Pd
difende il testo Cartabia, ma se si ridiscute il testo è pronto a proporre il lodo
Orlando”. Cioè a non fare nessuna riforma della Giustizia. Sinistra sinistra –
a meno che non sappia quello che dice (nei giornali succede).
Salvini col Pd contro Meloni
era da vedere - Salvini a sinistra...
Salvini deve difendersi contro
i sondaggi pro Meloni - Salvini a sinistra non è pensabile. Ma non è venuto in
mente al Pd di sgambettarlo, al Copasir come al consiglio Rai? O ritiene
Salvini meglio di Meloni? O non ritiene niente, giusto porta a casa qualche
posto in consiglio d’amministrazione?
Il Tar del Lazio annulla
la multa dell’Antitrust alle compagnie telefoniche che si erano inventate il
mese di 28 giorni. Dunque, si scopre che il mese di 28 giorni, cioè un abbonamento
mensile in più sull’anno, non è materia penale, anche se è una grossa sopraffazione
– per molto meno si va in prigione (qui la truffa è di molti milioni, al mese).
Ma di sanzione amministrativa. Che per di più si annulla: la giustizia amministrativa,
cioè lo Stato, dice le ladrone telefoniche vergini e martiri.
Siena, Calabria, Roma, il
Pd ha difficoltà a trovare candidati –mentre a destra i candidati sono troppi.
Nessuno vuole esporsi? È cosi - a partire da Zingaretti nel 2016. Il partito non
attira, ma non si chiede perché.
Lunedì
si festeggia a Roma in pompa e in piazza la vittoria all’Europeo di calcio. Il
“Corriere della sera” commosso cavalca l’entusiasmo con uno speciale martedì:
“Cuore azzurro”. Con foto-ricordo, ritratti, commenti, evocazioni epiche. Lo stesso
giorno il prefetto di Roma Piantedosi convoca Fiorenza Sarzanini, la detective
del quotidiano, e denuncia l’evento: “Mai autorizzato”. Possibile? No, il
Prefetto mette “le mani avanti”.
Ma,
poi, un prefetto è un prefetto – un burocrate. Piantedosi si segnala, per dine
una, per non avere mai affrontato in due anni il problema della discarica di
Roma - si vede che non esce mai in città. O, per dirne un’altra, per il record di
zero permessi di soggiorno in un anno, a fronte di 16 mila richieste, in base
alla legge che regolarizza gli immigrati con contratto.
Il
prefetto non conta, è il giornale che cavalca tutto, anche lo scandalismo: il
giornale della borghesia che copia i popolari inglesi, quelli che pompano la
merda.
Fino
al 19 luglio la Gran Bretagna è in semi-lockdown: restrizioni agli
assembramenti, mascherine, distanziamento. Ma lo stadio di Wembley è sempre
strapieno, di tifosi liberamente ammassati, bercianti.
Lo
è stato anche quando non giocava l’Inghilterra.
La
cattolicissima ex ministra della Difesa Pinotti difende il ddl Zan tal quale. Anche
contro i suoi vescovi. Mentre la presidente di Arcilesbica vuole assolutamente
cambiarlo – “non difende la donne”. Non c’è più religione.
Aequa
Roma è, malgrado il nome, l’esattore del Comune di Roma. Averci messo a capo
uno che non ha i titoli non è un svista.
Ma c’è una nomina giusta della sindaca di Roma Raggi, a cominciare dagli
assessori, in cinque lunghi anni?
È
anche vero che il personale 5 Stelle è fatto così, di arraffatori di posti,
altro che il Sud. Il titolo – il posto - contraddice, certo, l’uno vale uno. Ma
questa uguaglianza ha un solo senso, non democratico.
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Sinistra sinistra
Il piccolo chimico Sacks - e Levi che non c'è
“Sono
cresciuto nella zona nord-occidentale di Londra, prima della seconda guerra mondiale,
in un’enorme casa edoardiana”. Da genitori entrambi medici. Che in ambulatorio,
in casa, e in altri ambienti tenevano disordinati flaconi di medicine, ”la
bilancia per pesare le polveri, i portaprovette e la vetreria, la lampada a
spirito” e “farmaci, lozioni, elisir – sembrava una vecchia farmacia”,
eccetera, il microscopio, i reagenti. Insomma, Oliver Sacks ha avuto un’infanzia
“chimica”. E in questo primo volume delle memorie la ricostruisce.
Dettagliato, non appassionante. Sacks sa raccontare i casi degli altri
meglio dei suoi: è sempre scrittore gradevole, “veloce”, ma alla fine di queste
memore non resta molto. Se non lo stupore per l’assenza, in questo racconto del
2001, di una “infanzia chimica”, del minimo riferimento a Primo Levi. Che per
primo aveva saputo far parlare gli elementi, nel “Il sistema periodico” - il “Carbonio”
meglio del tungsteno, ben più curioso. In una raccolta piaciuta anche in
America, dove l’inglese Sacks ha vissuto e lavorato una vita. Stupisce anche
per essere Levi, ebreo come Sacks, forte nella memoria ebraica.
In
effetti, questa prima biografia è molto, solo, autocentrata. E celebrativa. Lo
psichiatra Sacks dirà solo in punto di morte nel 2015, nell’ultimo volume di
memorie, di essere omosessuale. Una “confessione” peraltro da succès de scandale, per rinsaldare la
fama, da ottimo scrittore di bestseller
– questo, il minore dei suoi successi, ha in italiano già otto edizioni o ristampe.
L’autobiografia
dello scienziato è insidiosa. O forse solo rivelatrice: questa del professor
Sacks come di miglior scrittore che ricercatore.
Oliver
Sacks, Zio tungsteno, Adelphi, pp. 317
€ 15
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