sabato 7 agosto 2021
Problemi di base - 652
Morire per l’incapacità di amare
Le
due raccolte poetiche di Pavese presentate tal quali, con una introduzione non invasiva
di Paolo Di Paolo, danno un’immagine particolare di Pavese. Lo scrittore cui si
fa ascendere il neo realismo, la narrazione degli ambienti poveri, con “Paesi
tuoi” - pubblicato nel 1941, a maggio, scritto l’estate del 1939 – resta, perlomeno
come tale si presenta, un onanista, solo incupito dalle sue ombre. Sia nei
componimenti della prima raccolta, “Lavorare stanca”, benché bucolici e quasi
idilliaci, di più in quelli dell’ultima, postuma, “Verrà la morte e avrà i
tuoi occhi”, terribile già nel titolo.
Una condizione doppiata dalle
incertezze politiche, dall’adesione tiepida alle ragioni anche le più
giuste della politica – un’incapacità d’immedesimazione di cui aveva coscienza,
ne tratta spesso nel diario, “Il mestiere di vivere”. Vissuta nella seconda raccolta,
inevitabilmente segnata dal tardo e finale amore per l’attrice americana Constance
Dowling, con violenza. Sia nei giorni felici, pochi, sia, di più, prima e dopo, nei
settenari marcianti di “You, wind of March” (alcuni componimenti sono in
inglese), da marcia funebre: “Il tuo peso leggero\ ha riaperto il dolore”. L’ultimo di una serie di innamoramenti
infelici. In parallelo con l’impegno politico controvoglia.
Cesare
Pavese, Poesie, Newton Compton, pp. 160
€ 7,50
venerdì 6 agosto 2021
Letture - 464
letterautore
Ariosto –Non c’è solo Dante nella poesia di
Mandel’stam, nella Russia degli anni 1910-1920. Ariosto ricorre. Lo evoca in particolare
in uno dei componimenti dispersi, del 4-6 maggio 1933, a lui intitolato, riletto
in raffronto all’Italia del tempo: “In tutta Italia il più saggio, il più
gentile,\ l’amabile Ariosto ha perso un po’ la voce”. È “freddo in Europa, buio
sull’Italia.\ Il potere è ripugnante come le mani di un barbiere”. Ma lui non
demorde, “le racconta grosse” – “incantevole miscuglio di mestizia puškiniana\ e
boria mediterranea in una lingua di cicale”.
Capri – Ma è l’isola delle capre – o dei cinghiali:
a seconda che lo si voglia nome latino oppure greco. Il destino dei nomi.
Dialetto – “Il dialetto è sottostoria”, decide
infine Pavese, che ci ha molto cogitato su (“Il mestiere di vivere”, 11 marzo
1949): “L’ideale dialettale è lo stesso in tutti i tempi. Il dialetto è
sottostoria”. Per entrare nella storia bisogna rischiare e scrivere in lingua.
Ma a volte,
Gadda, un po’ anche Pasolini, la storia si afferra col dialetto. O è una storia
falsa – fantastica, inventata, adulterata?
Europa – Si è forgiata nei rumori, di guerra –
Camus lo rileva ad avvio della novella “Il Minotauro o la fermate di Orano”:
“Vi si sente la vertigine dei secoli, delle rivoluzioni, della gloria. Ci si
ricorda che l’Occidente si è forgiato nei clamori. Non c’è abbastanza
silenzio”.
Federico II – Un re nomade, lo dice Rumiz, “È
Oriente”, visitando Castel Del Monte, dove non trova cucine, stanze per la
servitù, una sala del trono – ma nemmeno suppellettili, arredi: “Dove dormiva
Federico di Hohenstaufen? Non stava dentro il castello, ma fuori. Era un re
nomade e dagli arabi aveva imparato a vivere in tenda”.
Italiano – Nei racconti che ambienta a Orano, o
comunque in Algeria con personaggi a lui “vicini”, Camus interpola parole
italiane. Nel racconto “La pierre qui pousse” usa coq, gallo, nel senso di cuoco. Camus era de resto nato in una città
algerina di nome Mondovì, sul mare, al confine con la Tunisia – con l’arabizzazione ribattezzata
Dréan (Orano è al lato opposto, sul mare al confine col Marocco).
Anche Yasmina
Khadra, lo scrittore franco-algerino, nei racconti che ambiente a Orano usa
parole italiane, “ponte”, “omertà”, “mollo”, “porcherie” solo nell’ultimo
romanzo, “L’oltraggio fatto a Sarah Ikker”.
Ne lamenta il
peso, l’influenza, nella breve ripresa poetica del 1933, dopo il decennio di
divieto di pubblicazione per scarso sovietismo (ma alla soglia dell’internamento
poi fatale), Mandel’stam nel maggio 1933, un dei testi dispersi collazionati dalla
vedova Nadežda (nella traduzione di Serena Vitale): “Che tormento l’amore per
il brusio straniero - \ per gli illeciti entusiasmi una tassa sta in agguato.\
Che fare se Ariosto e Tasso, di cui siamo in malia,\ sono mostri dal cervello
azzurro, dagli umidi occhi squamosi…”.
Non ha prodotto
i grandi romanzi perché si scrive corto, annota Pavesre nel diario il 2 novembre
1943. L’italiano si direbbe un popolo di novellatori, non c’è in altra lingua
scrittura novellistica, in poesia e in prosa, più che in italiano. Ma di breve
respiro, osserva Pavese: “La poiesis
italiana ama le grandi strutture fatte di piccoli capitoletti, di parti brevi e
sugosissimi – i frutti dell’albero. (Dante, i brevi canti; Boccaccio, le novelle;
Machiavelli, i capitoletti delle opere maggiori; Vico, gli aforismi della Scienza nuova; Leopardi, i pensieri
dello Zibaldone, ecc. Per non parlare
del sonetto”, Dovrebbe dunque spopola e sui blog, twitter, i social.
“Per questo”,
insiste Pavese, “la poiesis
italiana poco narrativa (dove si
richiede lunga distensione disgorgante: romanzo russo, romanzo francese) è
molto cerebrale e argomentante. È la negazione del naturalismo, che comincerà
infatti con l’informe distesa della narrativa inglese (Defoe)”.
Joyce – Berberova ha in un racconto (“La
grande città”, in “La resurrezione di Mozart”) “l’immortale seminarista di
Dublino”. In effetti lo fu, seppure solo per fare il ginnasio gratis.
Nerina – Il nome poetico “non ha cognome”,
Jhumpa Lahiri in nota ad avvio del suo “Quaderno di Nerina”, il volume di
composizioni poetiche scritto in italiano. Un nome tratto da greco Nereine, una
Nereide, una ninfa marina. “In Sicilia”, Lahiri, ricorda, “è il diminutivo di
Venerina, associato all’aggettivo «nero» per tradizione popolare”. C’è una
Nerina nell’“Aminta” del Tasso, e naturalmente quella di Leopardi, delle
“Ricordanze”. Lahiri vi associa anche Neera, la scrittrice di storie
sentimentali del tardo Ottocento Anna Maria Zuccari, rivalutandola - “le (sue)
numerose opere hanno affrontato la vita e la posizione speciale delle donne”.
Charles Kenneth Scott Moncrieff –
Traduttore\introduttore di Pirandello in lingua inglese, è celebrato per avere
tradotto Proust, la “Ricerca”, quasi in simultanea, a mano che l’opera appariva
in francese, facendone nello stesso tempo un testo “inglese”, senza tradire
l’originale – il pubblico di lingua inglese ha grazie a Moncrieff una conoscenza
migliore di Proust rispetto a quelli di altre lingue europee. Anche se alimenta
controversie interminabili se il suo Proust è Proust, un quasi Proust, un Proust
anglicizzato, o nient’affatto Proust. A cominciare dal titolo shakespeariano,
“Remembrance of Things Past”, invece che, come avrebbe dovuto, “In Search of
Lost Time”. Ma Conrad poté dire che Moncrieff era un miglior traduttore di Proust
scrittore.
Na Proust non
era il suo genere. Pirandello, che tradusse e impose a Londra e in America,
reputava più di Proust.
Se ne fa una
biografia che lo dice soldato e spia, “The Life of C.K.Scott Moncrieff,
Soldier, Spy, and Translator”. Azzoppato in guerra, spia nell’Italia di
Mussolini, morì a 41 anni, a Roma, alla clinica delle suore del Calvario – convertito
in guerra, era molto devoto (è seppellito al Verano). Un “uranista”, come si diceva attorno alla
Grande Guerra per dire omosessuale, amico intimo del famoso segretario privato
gay di Churchill, Edward Marsh. Per questo motivo dopo la guerra decide di
stabilirsi in Italia, dove l’omosessualità non era penale – salutato al pranzo
d’addio dallo stesso Marsh con Noel Coward, Compton Mackenzie e Reggie Turner
(il politburo di quello che
W.H.Auden, dall’interno, chiamava l’Hominter). Italianato per evitare la polizia, vivrà a Venezia e altrove, e
imporrà Pirandello a Londra e in America.
Dolores Prato – La rilegge Jhumpa Lahiri, “Il
quaderno di Nerina”, a proposito di un “romanzo prolisso\ e meravigliosamente
dispersivo,\ le cui pagine, oltre seicento,\ vanno lette senza scavalcarne
una”.
È il romanzo “Giù
la piazza non c’è nessuno”, che Giorgio Zampa, altro irregolare, nonché
curatore della scrittrice, aveva rimesso a nuovo dieci anni fa? Constava in
origine di 1.500 pagine. Che Natalia Ginzburg aveva ridotto a trecento.
Succedeva nel 1980. L’ottantenne Prato, scontenta del digest, riprese a rivedere da sé il suo originale, preparando
questo testo che Zampa s’incaricò di pubblicare nel 1997.
Rembrandt – “Martire del chiaroscuro” - Osip Mandel’stam (8 febbraio 1937, a
Voronež), “padre del buio neroverde”.
Venezia – La “morte
festiva” ci trova Mandel’stam nel 1920 – “I tuoi paramenti, Venezia, sono gravi,\
specchi in cornici di cipresso.\ La tua aria è molata”.
La
stesa che nel racconto di Th. Mann, “La morte a Venezia”, 1912. Molto diversa
dal contemporaneo Proust – che insegue ancora Ruskin.
letterautore@antiit.eu
La solitudine, nell'impero di Stalin
La
seconda stagione della poesia di Mandel’stam. Dopo quella classicheggiante
dell’acmeismo. Nell’isolamento, cui Mandel’štam si costrinse dileggiando
Stalin, nel 1933 – un isolamento che si concluderà targicamente, nel confino a
Voronež, alla frontiera con l’Ucraina, alla confluenza del fiume omonimo col
Don, in qualche tentato suicidio, e una fine oscura (che resta oscura dopo
molte ricerche). Appena uscito da un decennale divito di pubblicazione per
troppo tiepido sovietismo – con in più una rognosa accusa di plagio nella
traduzione del “Till Eulenspiegel”.
Un
personaggio e un poeta molto classico e molto eversivo. Ebreo di nascita e di
cultura, aveva cominciato col proposito di scavalcare il “caos giudaico”, il
“puzzo di bruciato del non essere veterotestamentario”, per riallacciarsi alla Grecia, a Roma, alla
civiltà governata dalla logica. A Roma, la civiltà latina: “La natura è Roma,
Roma rispecchia la natura.\ Vediamo immagini del suo potere civile\ nell’aria
trasparente come in un circo azzurro”. E, con l’acmeismo, a Dante, Villon,
Shakespeare – Dante soprattutto, e Tasso e Ariosto. Amante delle liste – alla
Eco, “La vertigine della lista” (che però non ne tiene conto): il catalogo
delle navi di Omero. Ma molto agì l’educazione cosmopolita e poliglotta
ricevuta: nato a Varsavia, cresciuto a San Pietroburgo, a 16 anni fu a
Parigi, viaggiò anche in Italia e in
Germania, a 19 studiò a Heidelberg.
Una
poesia, questa tarda, di solitudini, e di luoghi, la passione politica e la
società restando ora estranee, prima ancora che proibite. Le impressioni
d’Armenia, Leningrado,Mosca. Con il linguaggio “scientifico”, preciso e
scattante, della sua migliore saggistica - il “linguaggio della luce e
dell’aria”, degli elementi. Da “disegnatore del deserto,\ geometra delle sabbie
mobili”. La vita di relazione essendo impossibilitata: muri di carta, spie,
l’inaccessibile vicino. Di un solitudine estrema, ma visionaria: “Il tuo repertorio,
infinità,\ leggo da solo, non con gli
uomini -\ il selvatico, spoglio prontuario,\ le tavole delle massime radici”.
Molti
componimenti si suppone dal confino di Voronež. Tra “ancora giovani colline”
che lo riportano alla “chiara nostalgia\ del tutto umano chiarore di Toscana”.
Compreso il testo fatidico contro “il montanaro del Cremlino”, “baffetti da
scarafaggio”, “osseta dalle spalle larghe”, che portò alla condanna
inevitabile.
Curati e introdotti da Pina
Napolitano e Raissa Raskina, i cosiddetti quaderni, a lungo “poesie disperse”,
tenute insieme e in vita dalla moglie Nadežda, vengono con l’originale. Con una
profusa introduzione e un corposo apparato di note. La prima traduzione
integrale del cosiddetto “Codice vaticano”, le poesie che Mandel’stam poscritto
scrisse tra il viaggio in Armenia per cui è famoso, nel 1930, e il confino
politico a Voronez, cominciato nel 1934 e durato fino alla morte, per aver
criticato scopertamente Stalin, anche in un epigramma.
Osip
Mandel’štam, Quaderni di Mosca, Einaudi,
pp. 347 € 16,50
giovedì 5 agosto 2021
Ecobusiness
Il rapporto energia-clima non è una novità del G 20
di Napoli, intitolato appunto “Ambiente, Clima ed Energia”. – e conclusosi con
un nulla di fatto, nessun impegno. Era il tema della conferenza sui cambiamenti
climatici di Toronto, 1988. A Toronto si
quantificò per la prima volta la riduzione delle emissioni di CO2, di un 20 per
cento in dieci anni. Da allora sono invece cresciute del 34 per cento.
Non c’è nessun impegno dei paesi petroliferi o
carboniferi a ridurre la produzione dei combustibili inquinanti. Anzi se ne auspica
in questa congiuntura un amento, per evitare l’inflazione da fonti di energia,
da materie prime.
Malgrado ogni impegno in senso contrario, l’uso del
carbone non diminuisce. In Cina copre il 63 per cento della produzione di elettricità.
In India il 72 per cento – in aumento. In Germania il 25 per cento. In Giappone
il 30 per cento.
Fin dalla conferenza annuale del 2009, e poi dagli
accordi di Parigi sul clima, c’è un impegno dei paesi ricchi a finanziare i
paesi poveri per 100 miliardi di dollari l’anno con l’impegno a ridurre il global warming. Sul presupposto che nei paesi
poveri l’investimento nell’energia pulita sarebbe meno costoso, e di attuazione
ed efficacia più radia. Ma nessun trasferimento o investimento è stato fatto
nei dodici anni.
Il piano europeo del 14 luglio, “Fit for 55”,
ridurrebbe le emissioni globali, se attuato nell’interezza, di una percentuale
simbolica, nell’arco di un decennio: di meno di un miliardo di tonnellate di CO2
al 2030, su un’emissione globale prevista in 36-38 miliardi di tonnellate –
appena il 2 per cento.
La legge dei Procuratori ter
Portare
fuori dei documenti d’indagine riservati e comunicarli a un amico, ancorché
membro del Consiglio Superiore della Magistratura, non è reato, secondo il
Csm. Neanche colpa lieve: il giudice che l’ha fatto, Storari, può restare al
suo posto.
Storari
non è nemmeno colpevole di accuse e maldicenze d’insabbiamnto d’indagini da lui
rivolte, anche pubblicamente, al suo capo Ufficio Greco. Sempre secondo il Csm:
quindi può restare al suo posto, benché ribadisca che di Greco non si fida.
Anche Greco piò restare al suo posto: Storari di lui non s’è mai lamentato, non essendosi querelato.
Un
bell’ambientino. Che il giornale di Milano, il “Corriere della sera”, cui lo
steso ufficio confida i suoi segreti, definisce “l’ufficio giudiziario più
rispettato e temuto”. Temuto senz’altro, gli manca solo di arrestare il papa.
Rispettato da chi? A Milano gli stessi giudici dei Tribunali sputano fuoco
contro.
Il
giudice Storari fa tanta paura al Csm? O il suo complice-non complice Davigo?
Qualcuno pensa che la vicenda sia stata impiantata per dare la successione di Greco a capo della Procura milanese, a un giudice di Davigo, di destra - ma il Csm lo boccerebbe.
Gogol in Sicilia
Un
divertimento della centenaria “Adorno”, ora scomparsa, da giovane debuttante, e
uno spasso per il lettore. Le straordinarie avventure del Prefetto, anche lui
“Adorno” , e della Prefettessa, per duecento dense pagine che non stancano di
stupire. L’immagine è sempre vivace, seppure di trivialità – il parco desinare,
come il toscano di “Adorno” scrittric.e direbbe, la “verduredda”, le correnti
d’aria, la vendemmia, la vendemmia, la vendemmia, nella piccola vigna al paese
sopra Aci Trezza, gli Adorno nonni della prima nipotina che non ne saltano un
sospiro, roba di questo genere, e un pizzico, una spolveratina, di democristiani e comunisti alla Guareschi.
Ne
viene fuori un ritratto d’epoca, siamo negli anni 1950, probabilmente immortale
– il piglio è senz’altro gogoliano. Com’era e lavorava una prefettura. Come
viveva una coppia siciliana in età, col loro unico figlio – il fidanzato poi
marito della Adorno scrittrice – con gli attendenti e la serva di casa. I
trasferimenti. Le grane politiche. E un uso del dialetto infine corporeo,
“siciliano”: vero cioè, dopo tanto Camilleri giocoso. Anche perché usato, come
dal vivo, nella borghesia delle professioni, e per interiezioni, là dove cioè è
significante.
La
scrittrice si chiama Adorno – e si chiamerà poi per tutta la sua carriera
letteraria – con nome presuntamente acquisito per matrimonio: perché ai suoceri, che asserisce ritratti dal vero, ha dato il
nome Adorno. Lei è Mila Curradi, pisana, morta a Roma il 12
luglio, con una lunga serie di narrative di successo, dopo questo “Ultima
provincia”, 1962, subito premio Alpi Apuane, sempre sotto lo pseudonimo
portafortuna.
Luisa
Adorno, L’ultima provincia, Sellerio, pp. 173 € 10
mercoledì 4 agosto 2021
No Monti al Quirinale, e no Draghi
Nessuno si è ricordato di candidare Mario Monti al
Quirinale. E allora oggi l’economista già illustre, commissario di lungo corso
a Bruxelles, senatore a vita di Napolitano, salvatore della patria nella crisi
del debito 2011-2013, mette un paletto
alla candidatura di Mario Draghi. Ne mette tre, ma il senso è: fu Draghi ad
affossare l’Italia dieci anni fa.
Monti non lo dice ma celebra il decennale della
lettera con cui il presidente della anca centrale europea Trichet impose
nell’agosto del 2011 un salasso severissimo ai conti pubblici, che Draghi,
presidente subentrante della Bce (a novembre) volle cofirmare. La Bce si eresse
“a «podestà forestiero», travalicando il proprio mandato”. Per imporre
all’Italia una politica sbagliata, allora e dopo, nonché vessatoria: “In
generale, quando nel dicembre 2011 il presidente Draghi chiese il fiscal compact per una più severa
disciplina sul disavanzo e sul debito pubblico di ogni Paese. Nei confronti
dell’Italia, quando nella lettera di agosto Trichet e il suo successore
imposero, e il governo Berlusconi
accettò, che per il nostro Paese, e solo
per esso, l’impegno ad azzerare il disavanzo venisse anticipato dal 2014 al
2013”.
Qualcosa contro Draghi bolle in pentola anche alla Banca
d’Italia. Se l’ex direttore generale Panetta, oggi lui stesso alla Bce, ha
voluto denunciare una settimana fa questa politica monetaria assassina in una
diffusa intervista, sempre sul “Corriere della sera”, su cui Monti,
collaboratore storico, oggi scrive.
Ma qualcosa anche al “Corriere della sera”, al di là
(al di sotto?) dell’appoggio incondizionato di facciata? Se ogni settimana colpisce
Draghi in testa. Non sbagliate, anzi giuste, queste disamine “a babbo morto”
dell’austerità assassina – che il “Corriere della sera”, “la Repubblica”, “Il
Sole 24 Ore” eccetera, “i media”, all’epoca sostenevano, ma questo è un altro
discorso, dell’indigenza dell’informazione. Ma perché questi “decennali”? E
non si è toccata la questione Monte dei Paschi di Siena, non ancora.
Appalti, fisco, abusi (207)
Dunque,
Orcel, ora Unicredit, è quello che ha rifilato Antonveneta al Monte dei Paschi,
a caro prezzo e in controtendenza nel mercato dei merger and acquisitions, portandolo al fallimento di fatto. Quando
alla Banca d’Italia, vigile, c’era Draghi. Ora il cerchio si chiude, con Orcel
compratore per Unicredit della parte ancora in vita di Mps, senza pagarla,
venditore Draghi. Sembra una favola, ma dell’orrore.
Aumenta la Rca ancora nel 2021, dopo essere
aumentata nel 2020, due anni in cui la circolazione privata si è probabilmente
dimezzata. Cosa è la Rca, una tassa, una condanna? Le assicurazioni non si
reggono su un calcolo attuariale, o sono il vecchio esattore? servono ai
buy-back e ai salti in Borsa.
Le assicurazioni sono da qualche tempo protagoniste
in Borsa, di merger and acquisitions per lo più, il settore finanziario più a
rischio. Sono passate dalla protezione (risparmio, sicurezza) all’avventura? Ma
bisogna saperlo.
Una costosa organizzazione pubblica vigila sulle
assicurazioni, Ivass. Vigila ad arricchirle – ad arricchire i manager, tanto
meglio se disinvolti, tra buy-back, cessioni, acquisizioni?
Si
spende comunque molto, in tempo e in denaro (corrispondenze, consulenze
legali), oltre che in energie nervose, per un verbale stradale sbagliato. Ma
non c’è possibilità di rifarsi, anche su vigili a incapacità\insolenza
reiterata. Lo Stato è di diritto, per gli sbirri.
La contessa scalza e il prezzo di essere una stella
Un
polpettone, lo dovrebbe dire un critico, le tre vite della Grande Attrice, cioè
i tre amori – che però non cancellano l’unico e solo, si sa che l’amore è
immortale. Molto 1954. Che però avvince – il romanzo vuole essere romanzesco.
Con una Ava Gardner statuaria, più formosa che mai, sotto un viso semplice. E
Humphrey Bogart che fa Humphrey Bogart, il regista narratore, l’innamorato di sempre. Con mezza Italia:
Rossano Brazzi, l’inevitabile nobiluomo, marito impotente, Valentina Cortese
(nei titoli di testa – allora si mettevano prima - Cortesa), Portofino, Franco
Interlenghi ragazzo, Alberto Rabagliati, e perfino Enzo Staiola, il bambino di “Ladri
di biciclette”, il capolavoro di De Sica.
Richard
Brody, il barbutissimo critico del “New Yorker”, lo rivede come “uno dei grandi
film sul cinema”, sul fare film. Ma strutturato, molto: “«La contessa scalza» è
forse il film di Hollywood più laboriosamente strutturato dopo «Citizen Kane». Come
nel film di Orson Welles, che comincia con la morte del produttore, la storia della
Grande Attrice è raccontata con una serie di flashbacks – a partire dal suo funerale”,
ed è narrata dai suoi tre uomini più importanti. “Manckiewicz era, dopo Welles,
il cinematografaro di Hollywood più literature-mad”.
Manckiewicz
dovette produrre il film, uno dei più grandi successi di pubblico, perché non
trovava finanziatori, attraverso una sua società ad hoc, che chiamò Figaro Inc.
Girò quasi tutto in Europa, dove i costi erano minori, specie in Spagna e in
Italia, una sola scena ambientata in California.
Joseph
L. Manckiewicz, La contessa scalza,
online
martedì 3 agosto 2021
Cronache dell’altro mondo (132)
“Washington Post” non dà la notizia della
straordinaria vittoria di Jacobs sui 100 metri a Tokyo, davanti all’americano
Fred Kerley – che non si è complimentato. Titola: “Obscure Italian from Texas”.
Cioè, non vale la pena parlarne. E poi dice che troppi vincitori nell’atletica
sono risultati dopati. Ma non dice che
la maggior parte sono americani – come nel ciclismo, con Armstrong che vinceva
i Tour de France in serie. Il giornalone non dice che è un anno ormai che Jacobs corre i 100 sotto o attorno ai 10'', ma questo riguarda la professionalità.
Vanessa Ferrari ha perso l’oro a corpo libero in favore
dell’americana Jade Carey per 0.166 centesimi di punto. Ma si sapeva che non
poteva vincere. Doveva vincere Simone Biles, “la più grande atleta del mondo”
per gli americani. Poi Biles, che arrancava in classifica dietro Ferrari, si è
ritirata, senza dare una spiegazione (“ho i diavoli”), e la delusione sarebbe stata troppa per l’America? Una volta gli americani ne avevano per tutti, prodighi anche, ora sono tirchi.
Quali sono i diavoli di Biles, che gareggia da dieci
anni, di cui sei da primatista, sempre su sfide estreme, non
una novellina? Nessuno se lo chiede.
Susan Sarandon, attivista per il senatore socialista
Sanders, ha viaggiato da Los Angeles a New York per capeggiare un picchetto di protesta
davanti all’ufficio elettorale di Alexandria Ocasio-Cortez, deputata
democratica di sinistra, perché non si è impegnata per Medicare for All, un sistema
sanitario nazionale analogo a quelli in uso in Europa. Ma tutto è organizzato
dall’ex comitato elettorale di Sanders.
Nel documento presentato alla on.le Ocasio-Cortez da
Susan Sarandon e il comitato di cui era rappresentante si fa questo appello, al
punto 3: “Chiediamo che usiate i vostri enormi seguiti social media, le
tecniche di contatti con la stampa, la celebrità, per organizzare impegni diretti
a favore di Medicare for All”.