sabato 28 agosto 2021
Appalti, fisco, abusi (208)
Si nasconde il dato - l’Arera, l’Agenzia per le
fonti di energia dice il dato non comparabile - ma si sa che l’elettricità
costa in Italia molto di più che in Europa, di almeno un quarto della media europea.
Un po’ di più per le utenze domestiche, sul 30 per cento, un po’ di meno per
quelle industriali e commerciali, il 20 per cento. E non da ora, da una quindicina
d’anni, da quando la bolletta è gravata dagli “oneri di sistema” – dai contributi
gratuiti agli operatori di energie alternative, non fossili. Che si sviluppano
anche nel resto d’Europa, in qualcuno anche più velocemente che in Italia, ma
evidentemente a un costo minore.
Le ceneri di Pirandello, morto di malavoglia
Il
vero regalo di “Repubblica” oggi non è il racconto di Camilleri, “Il palato
assoluto”, ma quello che Roberto Alajmo fa, confinato a “la Repubblica-Palermo”,
del funerale di Pirandello. Di cui lo stesso Pirandello, agitatissimo dal
pensiero della morte, aveva disposto i dettagli: “Nudo in un lenzuolo… carro d’infima
classe…. nessuno m’accompagni…bruciatemi, e il mio corpo, appena arso, sia lasciato
disperdere…”. In breve, un funerale complicatissimo, per queste estreme
volontà. Alla fine del quale Pirandello restò, incenerito, a Roma, al Verano, in
apposito monumento. Anche se aveva concesso, estrema ipotesi, che “l’urna
cineraria” fosse portata in Sicilia, “ma allora murata in qualche rozza pietra
di Girgenti, dove nacqui”.
Quando
nel dopoguerra se ne decise la traslazione, di cui viene incaricato il
professore Gaspare Ambrosini, “pirandelliano di stretta osservanza”, nota
Alajmo, costituzionalista, costituente, e futuro primo presidente della Corte
Costituzionale, su un aereo speciale della Air Force Usa, ne succedono di tutti
i colori. Tanti che alla fine il professore restò solo - “pure i piloti si dileguarono”, i piloti
americani, “e non ci fu modo di farli tornare indietro…”. Una fine ben
pirandelliana, anche se in gergo, dialettale – sicula: Pirandello non aveva
disposto di spargere le sue ceneri al vento?
Roberto
Alajmo, Il viaggio scaramantico delle
ceneri di Luigi Pirandello, “la Repubblica-Palermo”, 28 agosto, free online
https://palermo.repubblica.it/societa/2021/08/28/news/il_viaggio_scaramantico_delle_ceneri_di_luigi_pirandello-315614598/
venerdì 27 agosto 2021
Ecobusiness
Paolo Mariano vanta su vai elettrico.it le 20 auto elettriche
che ha guidato. Di tutte entusiasta. Perfino della Audi A2, la vetturetta
stretta e scomoda buona per il museo degli aborti: “Negli anni ha visto tre
upgrade di batteria, raddoppiando la proprio autonomia iniziale” – cioè, non
aveva autonomia. Senza contare che, “molto suscettibile al vento laterale”, in
autostrada “può diventare ingovernabile”.
Più entusiasta con Vw E-Golf: 100 mila km. “con
un’autonomia ancora molto interessante” – non sufficiente, interessante. Un
solo problema: il rapidgate su autostrada in estate – “la batteria non è
climatizzata e si scalda facilmente sui viaggi autostradali con temperature
superiori ai 30 gradi”. Cioè: la batteria ricarica poco e male.
Problemi di vario tipo anche con le Tesla. Ma l’entusiasmo
non deflette.
Il programma accelerato della Ue di passaggio alla
mobilità elettrica deve prima superare un ostacolo: la Cina, che ha il
monopolio della produzione di magneti permanenti, e controlla il mercato delle terre
rare, non è più soggetto di mercato affidabile, lo dimostra il blocco delle
forniture di microchip, che ha colpito molta industria meccanica. Il reshoring di queste attività (rilocalizzazione)
è necessario e preliminare. Richiede forti investimenti. E si scontra con le
posizioni dominanti che la Cina ha acquisito in Africa e in Asia nella
prospezione e produzione di terre rare.
La Calafrika, dove non conoscono Kristóf
Crotone
è “in fiamme”, a Vibo Marina “ieri c’erano quarantadue gradi”, “a Crotone
quarantasette invece”. La storia si direbbe ferma, anche in fatto di calura, il
caldo in estate è sempre troppo.
Sei
racconti, o piuttosto scene, di vita: la tendopoli per africani di Rosarno, una
fabbrica di veleni, invisibile, Crotone, città dove “si vive male”, la
malasanità a danno di una ragazza, una manifestazione alla Sapienza, e Roma, o “i
treni che dalla stazione Termini portano in Calabria”. Più altri esercizi in arrabbiatura
di passaggio, sui fatti della vita che il giornale propone. Come il suicidio di
Norman Zarcone, a 27 anni, a Palermo, il genio filosofico cui i baroni
universitari hanno sbarrato il futuro – ma no, il futuro è ampio, ce n’è per
tutti. Un esercizio di bravura su una struttura esile, di cronache e, per lo
più, collere.
Un
progetto ambizioso, di fine scrittura, ricercata, innovativa. Sul solco della
scrittura beat anni 1950 – Kerouac,
Ginsberg et al.. Per un adattamento,
o viraggio al sociale, della “nuova oggettività” del linguaggio scritto – l’invenzione
di Gertrude Stein e Hemingway: la frase breve, l’anticipo, il dialogo in fieri, ripetitivo (tutti nomi assenti, però, fra le tante letture formative che Bubba nomina). Ma come slegato di fatto
dalla vita, passioni e dolori esibendo per cataloghi. Nella forma
racconto-saggio che Saviano ha portato con “Gomorra” al successo di pubblico. Se
non che “Gomorra” è opera di radicale revisione editoriale, e anche dopo rimane
alla rilettura insieme sbiadita e appesantita. Un genere, insomma, difficile da
maneggiare. Che finisce, benché elaborato, nell’invettiva. Prolungata, ma non
più di un moto di stizza.
Resta
una sorta di instant book, benché voluminoso. Un racconto che
riflette un momento di rabbia, o di demoralizzazione. Che però si prolunga,
molto più che un momento, e senza argomenti, non consistenti - forse una
condizione: la depressione, si sa, è muta ma cattiva, micidiale?
Un
caso anche, marcato, di odio-di-sé, la categoria che un secolo fa Theodor
Lessing elaborava per l’ebraismo – con ben altro fondamento: la delusione che
porta all’imprecazione. Che male ho fatto a nascere in Calabria è il sottinteso.
Questo in ogni forma, e quasi in ogni capoverso: la Calafrica, anzi la
Calafrika, un lunghissimo “Roma”, sui calabresi a Roma, al Tiburtino, San
Lorenzo, Monti Tiburtini (ma la maggior parte non sono altrove?), Rosarno naturalmente,
intesa ghetto per africani, o in alternativa a Crotone il centro Sant’Anna, che
gli africani tiene in parcheggio, in riserva - come se non ce ne fossero purtroppo anche altrove. Con riferimenti anche ricercati: Crotone
come Dublino, e Tiro – le quattro età dei quindici racconti “Dublinesi” di Joyce
bloccate dalla paralisi, la città di Didone pietrificata all’arrivo di Enea. In
sintesi: “In Calabria l’ironia se n’è andata da un pezzo”.
Leggerlo
dieci anni dopo l’uscita, un po’ toglie il fiato. Anche perché sembra, viaggiando
in Calabria, modellato sulle gazzette locali, bollettini criminologici - di
“fatti”, certo. Mentre Bubba era già scrittrice affermata, finalista allo
Strega del 2010, esordiente pluripremiata a ventun anni. Scrittrice, calabrese
senza dubbio, di molta energia. E finisce che a un certo punto la Calabria è
l’Italia, luogo piatto, a due dimensioni, l’incudine e il martello. Mentre l’ironia
è la (sola) cosa che della Calabria resta, la “zannella”.
Un
linguaggio? Una forma mentis? La deprecazione.
Ben calabrese, a voler restare in argomento. Ma senza lo scherzo finale: in
Calabria tutti scherzano, dopo essersi sparlati addosso, invece di analizzare e
armarsi – la situazione è grave ma non seria. Specchio di un fondo culturale
diffuso nella regione di Bubba, del rifiuto-di-sé sotto la forma opposta del
legame indissolubile, dell’amore vero, del destino indissolubile.
A
Crotone non vendono Ágotha Kristóf – e a Roma? Si penserebbe sia una battuta per ridere.
Angela
Bubba, Mali Nati, Bompiani, pp. 375
€ 17
giovedì 26 agosto 2021
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (465)
Giuseppe Leuzzi
“Focu
meu, focu meu!” è - era - l’interiezione comune in dialetto calabrese (in tutta
la Calabria, una delle poche espressioni unitarie) iper dirsi in allarme,
preoccupati, timorosi, ansiosi – doppiata da “focu randi, focu randi”,
l’interiezione si voleva doppia, superlativa alla greca.
“Distrutti
dai roghi” di agosto “oltre 158 mila ettari. Come la superficie di Milano, Roma
e Napoli”. I cinque sesti, 136 mila ettari, sono andati distrutti in tre
regioni, Sicilia (79 mila ettari), Calabria (36 mila 500), Sardegna (21 mila
abbondanti). Due isole poco forestate, e in Calabria i Parchi Nazionali. Si è
gridato agli untori, piromani (una forma di follia), pastori, mafiosi, operai
forestali, vivaisti, ma niente di più delle grida. Questo per quanto riguarda
l’origine dei fuochi. Ma gli incendi sono dilagati per l’impreparazione. Che
chiama in causa la politica: regioni, comuni, Parchi Nazionali. Che è sorda e si
capisce. Ma non si capisce perché nessuno gliene chieda conto.
Succede
di leggere i famosi viaggiatori, del Grand Tour, o etnofolklorici, o semplicemente
curiosi, la maggior parte curiose, in
cerca del pittoresco, ormai soltanto in riferimento al Sud – chi va a leggersi
Stendhal su Crema o Goethe su Firenze (non gli piaceva)? E si trovano tante cose
buone e cattive, azzeccate cioè e no, come in tutta la letteratura di viaggio.
Ma i luoghi non ne hanno colpa.
Si tiene a Valentano, nel viterbese,
dopo Marina di Pisa a luglio, un rave party,
una festa selvaggia di una settimana, di musica tekno sfondatimpani, e di droga
libera, con alcol, organizzata da imprenditori francesi e olandesi – imprenditori
dello sballo. Con qualche morto e qualche crisi di dipendenza. Con la polizia
tutt’intorno schierata a controllare, cioè a proteggere. Perché in Italia?
Perché l’Italia è il paese delle Feste della Legalità. Potrebbe essere una risposta.
In Calabria, in Sicilia hanno sostituito
i santi, le processioni.
Il
meridionalismo è morto con la cultura laica
Il
miglior meridionalismo, quando ancora ce n’era uno, nel secondo dopoguerra, è
stato quello dei liberali e delle “terza via”, Rossi-Doria, Compagna: Goffredo
Fofi è perentorio (prefazione a Mario la Cava, “I fatti di Casignana”, 2018):
“Nell’Italia del secondo dopoguerra , gli interpreti accreditati della storia
meridionale si dividevano in quelli che scrivevano su «Nord e Sud», liberali, e
in quelli che scrivevano su «Cronache meridionali», comunisti; e fu tra i primi
e nella «terza via» che trovammo il maggior rispetto per la storia”.
Fofi
non prende in conto la Dc, con Saraceno e la Cassa per il Mezzogiorno, sua
roccaforte – che in efetti fu innovazione laica, importata dall’America del New
Deal, della politica economica del presidente Franklin D. Roosevelt, come
concezione. La Dc non si può certo dire assente dal Meridione, tutt’altro –
anche oggi che una Dc non esiste più: non c’è altro al Sud che il sottogoverno,
e il sottogoverno, sia pure grillino come già berlusconiano, è ferreamente Dc.
Ma, ha ragione Fofi, non nella “questione meridionale”: non ha dato nessuna
visione d’insieme, o proposto una politica che non sia il favore personale.
La
formazione personale di Fofi fu socialista: “Mi furono utili in particolare il
«Mondo operaio» di Raniero Panzieri e gli studi di Gaetano Arfé (lo storico
dimenticato che fu anche direttore dell’“Avanti!”, n.d.r.), o le polemiche e
gli interventi che comparivano sulle terze pagine dell’ “Avanti!” quando le
impostavano e curavano Luciano Della Mea e Franco Fortini”.
Anche
come date, il meridionalismo si è estinto col compromesso storico, secondi anni
1970 e successivi, quando il capo del partito Comunista Berlinguer sostenne la
Dc di Andreotti e De Mita.
Sudismi\sadismi
Il
“Corriere della sera” non trova di meglio per commentare gli incendi in
Aspromonte del suo Grande Inviato Stella. Lo confina alla pagina delle lettere,
ma per aprirla – che il lettore non la salti. L’illustre editorialista predice,
dopo gli incendi, le alluvioni: “La Calabria che brucia d’estate e poi frana
d’inverno”. Con “uno studio” della solita Cgia di Mestre, “le statistiche
Ispra, implacabili”, Francesco Saverio Nitti, Vito Teti, Emanuela Guidoboni,
Gianluca Valensise.
Stella aveva pronto il solito pezzo “pro” Calabria,
di cui è lo specialista al “Corriere”, sulle alluvioni, buono tra un mese o
due, quando ci saranno, e lo curva all’attualità, agli incendi? Si sa come vanno le cose.
La
vigilia di Ferragosto insorge il nodo del personale scolastico no vax. “La
Gazzetta del Sud” mette la Sicilia al primo posto tra gli obiettori, con la
Calabria al secondo o terzo. “La Repubblica” invece documenta che l’incidenza
dei no vax sul personale scolastico è maggiore in Toscana e Liguria. Non c’è
altra cronaca se non nel “cupio dissolvi”.
L’inventore di
Omero
Leonzio
Pilato, traduttore dal greco al latino di Omero, “Iliade” e Odissea”, è
ricordato dal “Sole 24 Ore Domenica”. Portato in punta di penna da Boccaccio e
Petrarca, nei diari e con i corrispondenti, per la sua conoscenza del greco.
Boccaccio specialmente era infatuato del greco, che titolò “Decameron” la sua
raccolta di racconti – parola sconosciuta, se non a pochi.
La
raccolta di saggi “Boccaccio”, a cura di Maurizio Fiorilla e Irene Iocca,
documenta, attraverso la corrispondenza , gli autografi, i documenti
d’archivio, che Boccaccio si prodigò – insieme con Petrarca - per promuovere le
traduzioni di Pilato, decisive per la diffusione in Europa di Omero, dell’epos
omerico. Boccaccio racconta di avere ospitato Pilato a Firenze, di averne
ascoltato la traduzione in latino dell’“Iliade”, e di essersi prodigato per
fargli tenere lezioni pubbliche, tra il 1360 e il 1362. Un codice di recente
lettura, conservato alla Marciana di Venezia, documenta il legame: è un
manoscritto dell’“Odissea” in greco, sul quale Pilato ha inserito la sua
traduzione latina in interlinea, e sia Boccaccio che Petrarca lo hanno annotato
ai margini.
Boccaccio
fu migliore allievo – o fu più interessato alla lingua, mentre Petrarca si
interessava di filosofi e letterati, di
cui collezionava codici, in greco (un paio, Omero e Platone) e latino, uno dei
primi collezionisti. Nei manoscritti di Boccaccio si trovano in quantità
citazioni del greco in greco. In un codice oggi a Toledo, in cui Boccaccio ha
copiato di suo pugno la “Commedia” di Dante, all’ultima pagina pone un
“ritratto” di Omero, scrivendoci sopra il verso di Dante “Homero poeta
sovrano”, e sotto, con mano tenue (la scrittura emerge ai raggi ultravioletti),
un Boccaccius latinizzato scritto in caratteri greci.
Leonzio
Pilalto era di Seminara, che non lo ricorda, nemmeno con una viuzza - come Barlaam, matematico, filosofo,
teologo, che fu tanta parte nella chiesa bizantina e nel dialogo tra le due
chiese.
L’effetto Maroni
Niente
Papeete, Ferragosto in Calabria, Salvini ha fatto la sua tournée des popotes, un po’ accigliato, senza la fidanzata, di
corsa, s’incrociava il suo piccolo corteo, una macchina più una della sicurezza
che sgommavano con i lampeggianti, saltando da un posto all’altro, sempre
disponibile per le foto ricordo, nei Comuni che la Lega amministra, a
Taurianova, a Santo Stefano d’Aspromonte, e in qualche Comune amministrato da
Dc-Pd renziani, sempre accompagnato dal leghista Spirlì, presidente facente funzioni della
Regione. Per preparare il voto dei 3-4 ottobre. In molti Comuni e nella stessa Regione. Con discreta
partecipazione di pubblico, malgrado la velocità delle visite. A Palmi il Pd ha
provato a contestarlo, ma dietro lo striscione non si contavano cinquanta
persone.
Un
leader politico, si direbbe, coscienzioso. D’altra arte, Salvini è ben senatore
eletto in Calabria. Ora, un senatore della Lega per la Calabria – peggio: la
Lega, probabilmente, primo partito in Calabria fra cinque settimane, anche se,
alla Regione, al coperto di un candidato berlusconiano? Non
si saprebbe spiegare l’arcano se non si ricorda un fatto semplice: la baronessa
Cordopatri sconfigge la mafia di Castellace –sconfigge la mafia - grazie al
ministro Maroni. Niente elicotteri, niente Cacciatori di Calabria
elitrasportati, tute nere e facce nere,
né mitra spianati. Una sorta di vedova bianca, del fratello fatto
assassinare qualche decennio prima, da un mandante notorio rimasto impunito,
Saro Mammoliti, una donna in età, protesta in piazza quando al ministero
dell’Interno arriva infine un non democristiano, il leghista Roberto Maroni. E
la mafia si squaglia: è bastato cambiare partito all’Interno.
La
Calabria è ovviamente sensibile a queste cose, e non dimentica. L’ordine, se si
vuole mantenerlo, è anche semplice: basta arrestare e condannare i malfattori.
Saro Mammoliti, messo alle strette, subito si pentì, e la mafia dei terreni,
che aveva dominato il comprensorio di Oppido Mamertina-Castellace per mezzo
secolo, si è dissolta. Certo, col tesoretto in “Svizzera” – e qualcuno, anzi
molti, con la pensione di Stato in quanto “pentiti”. Ma si è propro dissolta.
Il
giudice e il delinquente – 2
Proseguono a Reggio
Calabria, con la stessa allure manageriale
di Seby Becchio, il mafioso ispettore di Polizia e poi assessore al Comune, per
la Cultura, nonché presidente del consiglio comunale, mafioso della famiglia
Serraino, che riforniva di cocaina Milano, le deposizioni di altri, minori,
mafiosi politici. assessori, uno anche sindaco. Ma c’è di peggio fuori
dall’aula, nello stesso Tribunale: fa senso, in un certo senso, che l’ex
sindaco (non con Vecchio) ed ex presidente della Provincia Raffa, sia assolto
dopo cinque anni, e dopo venti da medico e trenta da politico, dalle accuse di
mafiosità, avallate da un Gup e da un Riesame. Fa senso che dica: “Credo nella giustizia”.
E non intende i suoi avvocati, intende proprio i giudici: “Quotidianamente, portano avanti un impegno
gravoso per creare condizioni migliori
di vita in una città difficile come la nostra”.
Che avrà voluto dire il mite ex presidente della Provincia? Che i giudici hanno fatto bene arrestando lui
e premiando Vecchio, ora pentito? Che non lavorano ad agosto con l’aria
condizionata? O non intende altro? Prosegue infatti: “Encomiabile è lo sforzo della Procura della
Repubblica per indagare e trovare la verità su tante pagine oscure del nostro
passato”. Capito il senso? “A cominciare”, prosegure il dottore Raffa, “da
delitti eccellenti (cito solo il caso dell’omicidio del giudice Scopelliti) ancora
insoluti e in attesa di risposte”.
Non
c’è tribunale che tenga, la zannella
per il calabrese è incomprimibile, l’ironia.
leuzzi@antiit.eu
Il vuoto dopo la Bomba
È
lo speciale che la rivista dedicò al dopo-Bomba nel numero datato 31 agosto
1946, ma pubblicato una settimana prima, il 23 – la rivista lo ripropone per il
75mo anniversario della pubblicazione. Ritenuto storico perché rivelava infine
al pubblico americano la verità della Bomba, i cui effetti devastanti il
governo tentava di occultare.
“Un
lampo senza rumore” è il sottotitolo. Hersey fa rivivere i momenti precedenti
l’attacco, con la città e la contraerea già da qualche giorno inquieti perché “qualcosa
doveva succedere”, e quelli successivi. Seguendo le vicende di sei
sopravvissuti, che ancora si chiedono: “Perché continuiamo a vivere mentre così
tanti altri sono morti”. Sconsolati, come il paesaggio che Hersey sa far
“vedere” ai lettori, dello scheletro bruciato della città, fra i sette bracci
di fiume che l’attraversano.
Hersey
è ritenuto l’inventore del giornalismo d’inchiesta narativo: la tecnica di fare
la cronaca di eventi passati usando parte del racconto. Di persone, situazioni,
sensazioni. Prima del suo “Hiroshima” le cronache di guerra erano eroicizzanti,
rumorose, belliche. Hersey usa una prosa minima, quasi diaristica, corriva al
“silenzio” del dopobomba: la meraviglia, la paura, il vuoto.
È
una corrispondenza che è un libro. Originariamente pensata per una
pubblicazione su più numeri. Fino alla decisione, trattandosi di un gesto anche
politico, di pubblicarla tutta insieme, in edizione speciale – che andò esaurita in poche ore, Einstein, che chiedeva mille copie, ebbe difficoltà ad averle.
Curioso
che il dibattito storico su Hiroshima e l’uso dell’atomica non sia andato al di
là, in America, di questa ricostruzione. Così come della liceità – dell’onore?
– della guerra aerea, peggio ancora missilistica. Che l’America ha dilatato,
sia pure in risposta alla Luftwaffe di Hitler e ai bombardieri giapponesi su Pearl
Harbour, fino alle tempeste di fuoco del generale Curtis Le May, proprio in Asia,
fino a Hiroshima compresa.
John
Hersey, Hiroshima, “The New Yorker”,
free online
mercoledì 25 agosto 2021
Torna la banca bianca
C’è aria di militanza politica, sottotraccia, nel
riassetto bancario che si preannuncia tra le seconde file, Bpm. Sondrio, Bper.
La finanza (ex) bianca, già forte attorno a Intesa, il gruppo costruito da
Giovanni Bazoli, che sulle ceneri dell’Ambrosiano ha messo insieme il meglio
della banca lombarda allora targata Dc, attorno alla cassaforte Cariplo, è di
nuovo in movimento. Per l’attesa costituzione del “terzo polo”, del terzo
gruppo bancario dopo Intesa e Unicredit. E per far fronte al non dichiarato ma palese
raid della finanza (ex) rossa, attorno a
Coop-Unipol. Su Bper dapprima, poi attraverso Bper il tentativo su Bpm, e
infine l’attacco a Sondrio, che pure è da tempo partner bancassicurativo (ex
Sai), dichiarando un 10 per cento del capitale sotto controllo.
Gli approcci tra Bpm e Popolare di Sondrio – a breve
anch’essa spa – superano i problemi di perimetri economici per una concordanza
di vedute politiche. È su questo che – per ora – si accantonano le troppe
sovrapposizioni – territoriali e di attivi – dei due gruppi.
Che qualcosa di simile alla vecchia contrapposizione
tra finanza bianca e finanza laica si riproponga è confermato dalla lettura dei
giornali: “Repubblica” e “Corriere della sera” sono schierati pro
Cimbri-Unipol, “Il Sole” ondeggia. Poco si dice dei pesi e dei criteri delle
fusioni prospettate, l’ormai defunta Bpm-Bper, la nuova ipotesi Bpm-Sondrio, la
possibilità (le condizioni) che Bper si agganci. Se ne parla sempre in termini
generici, politici.
Cronache dell’altro mondo – o dell'Afghanistan elettorale (137)
Il presidente Biden s’inginocchia mentre
riceve le campionesse della Wnba, il torneo femminile di basket. Per onorare le
vittime nere della polizia? Per mostrare che è agile – cammina anche
saltellando?
La fuga dall’Afghanistan, lasciando nelle
mani dei Talebani quanti hanno operato in questi venti anni per un paese democratico, sarebbe stata “organizzata”, secondo la stampa progressista, dalla
presidenza per timore che i Repubblicani speculassero su una “nuova ondata” di
immigrati.
La Casa Bianca starebbe ferma alla deadline del 31 agosto, malgrado i
problemi di evacuazione da Kabul, per un calcolo temporale: calcola cioè che prima
si chiude l’Afghanistan, a qualsiasi costo, più tempo ci sarà per l’opinione pubblica
di rallegrarsi che non ci saranno altre vittime in quel Paese tra i militari americani.
In tempo cioè per il voto di mid-term,
il rinnovo parziale del Congresso e delle istituzioni statali ai primi di
novembre 2022.
Un’elezione suppletiva al Senato del Connecticut
ha visto il candidato repubblicano, Ryan Fazio, prevalere sul democratico per tre punti percentuali, in una circoscrizione (Greenwich, Stamford, New Canaan) dove
alle presidenziali Biden sopravanzò Trump di 25 punti.
La Reuters pubblica il rapporto Fbi sui
disordini al Congresso del 6 gennaio in cui si declassa l'assalto dei trumpiani
a un “disordine” senza “un complotto organizzato”. E senza una responsabilità
di Trump. Il 90-95 per cento degli indiziati di reato sono isolati – “one-off
cases”. Era organizzato “in gruppi paramilitari”, di estrema destra, Proud
Boys, Oath Keepers, un cinque per cento, forse, delle persone sotto accusa. Sono
sotto accusi poco più di 170 manifestanti, per assalto o impedimento ad agenti
di polizia. Escludendo i reati di “cospirazione sediziosa” e di “associazione a delinquere”.
Un amico come me
Dell’amicizia.
Delle vite degli altri. Dopo i “Diue amici” di Trevi (dopo le vite degli
altri di Carrère: Philip K. Dick, Limonov, Jean-Claude Roman), che si premia
come il miglior racconto dell’anno, Adelphi pubblica, alla morte dell’autore, bizzarra
coincidenza, due ricordi. Non biografie, ricordi: il memoir oscilla fra il dato e il sentimento.
Di
Bazlen, suggeritore editoriale, resta intatto il mistero. Calasso lo
intensifica nel mentre che ne parla, come ogni altro prima di lui. Ma con una
punta speciale, un sorta di identificazione: Bazlen come Calasso. Non con le
stesse nevrosi, battute, ramificazioni identitarie (la Mitteleuropa), ma con la
stessa presenza remota, l’arcano numinoso.
Roberto Calasso, Bobi, Adelphi, pp. 97 € 12
martedì 24 agosto 2021
Problemi di base afghani - 654
spock
L’America credeva davvero di negoziare con
i Talebani a Doha?
Negoziare con i Talebani?
L’America non ha scoperto l’islam, che
giudica buona cosa la menzogna?
O si impedisce di saperlo, per il
politicamente corretto – che ne direbbero gli americani islamici?
L’America è rimasta a Roma, ai Campidogli,
ai senatori, ai consoli?
Ma gli Afghani, stavano meglio con i
Talebani oppure con gli Americani?
Dice che gli Afghani sono grandi
combattenti: sui campi di papavero?
spock@antiit.eu
Terzo polo bancario tra Bpm e Sondrio
Il terzo polo riparte in terra lombarda, in area
finanza (ex) cattolica, tra Bpm e Popolare Sondrio. I colloqui preliminari
sarebbero avanzati e forse c’è già un negoziato, seppure informale, amichevole.
I due istituti si pestano un po’ i piedi, hanno forte presenza in Lombardia – e
entrambi, curiosamente, a Roma.
L’iniziativa è partita da Bpm. All’indomani della
scalata di Unipol alla Sondrio, che ha trovato soci e management della Popolare
sorpresi. Il cammino fino allora della Popolare era stato in autonomia,
preparandosi ad horas la trasformazione
in Spa. Dopo la scalata di Cimbri, l’uomo azienda di UnipolSai, l’approccio di
Bpm sarebbe stato benvenuto.
Un allargamento a Bper, l’ex Popolare Emilia Romagna,
non è escluso a Milano. L’area Bper è la più indicata per una fusione, senza impedimenti
Antitrust e senza chiusure di sportelli doppioni. Ma i pourparlers
che sono intercorsi per oltre un anno sono interrotti: Bpm ha un peso, in
termini di attivi e di patrimonio, che non consente una fusione alla pari.
La soluzione praticamente definitiva di Mps,
destinata dal Tesoro a Unicredit, ha riaperto i movimenti per un terzo polo,
com’era inevitabile, e sembra affrettarli.
Favole nel Novecento
Apologhi.
Lievi, di una visita, di un incontro casuale, di racconti tramandati, non veridici e
tuttavia reali, luoghi, atmosfere, personaggi simpatetici della letteratura,
Mörike, Weiblinger, Hölderlin. L’uomo dai molti libri un giorno scopre la vita: una ragazzina. Il figlio e fratello abbandonato è un uomo buono, e si guadagna
poteri taumaturgici sulle persone. La cronaca di Mörike e Waiblinger che
portano a passeggio H
lderlin
è la sola circostanziata, ed è anche interessante.
Una
scelta del “Fabulierbuch” di Hesse, un tentativo di riproposta dei fabliaux medievali, da Hesse mediati
attraverso il “Tesoretto”, interrotto dallo scrittore allo scoppio della
guerra, della Grande Guerra, che ne annientava le fantasie di un mondo buono.
La piccola raccolta si legge per la curiosità, per la persistenza di un
pubblico di lettori di Hesse, della sua narrazione semplice, perfino banale, nel
solforoso Novecento.
La
vecchia prefazione di Giorgio Cusatelli inquadra il “Fabulierbuch” e ogni
singolo racconto –con robusta acribia a distanza di trentacinque anni dalla
prima edizione.
Hermann
Hesse, L’uomo con molti libri,
Studio Tesi, pp. 123 € 12,50
lunedì 23 agosto 2021
Secondi pensieri - 456
zeulig
Bellezza – Goethe la vuole totalitaria,
come unità degli elementi del cosmo e insieme come il loro messaggio a noi. Alla
maniera, si direbbe, di Leonardo, che però era meno riflessivo, e come in
medias res, uno fra i tanti elementi del cosmo – come si voleva lo
stesso Goethe, con un di più. però, suo malgrado?, di riflessione critica, e di
principio ordinatore.
Capitalismo – Non poteva
Max Weber legare il capitalismo al protestantesimo. Che, come tale (vedi la
polemica di Sismondi con il cattolicesimo italiano), è fede nella grazia divina
e scelta di vita anti-moderna. Solo chi opera
attivamente è capitalista (borghese, eccetera). Il suo protestantesimo è
pietista, il più affine al cattolicesimo. Vi accenna già Thomas Mann, sul,
finale dei “Buddenbrook”, a proposito si pietismo e di successo negli affari. Ci
vuole, insomma, indulgenza. Soprattutto verso se stessi.
La morale protestante della rinuncia porta al thrift. Il capitalismo è stato teorizzato in Scozia, dove il
calvinismo e il effettivamente
impetrano. Ma non hanno creato ricchezza – fino al petrolio: Il pensiero critico
scozzese era in tema piuttosto un augurio e una speranza.
La parsimonia ha tutte le apparenze della virtù. Come risparmio e
quindi di accumulo della ricchezza. Ma non per il consumo, anzi gli è contraria
– che invece è il motore dell’operosità: è il paradosso di Mandeville, “La
favola delle api”, e della teoria suntuaria, del capitalismo come spesa.
Curiosità – È il
meccanismo, si direbbe, il motore e insieme lo stimolo, il maggiore ingrediente,
dell’intelligenza. L’attenzione, l’intenzione, l’impiego del tempo e delle
occasioni, la voglia, di scoprire e capire cose diverse, nuove, sotto un
aspetto nuovo. La ricerca, l’innovazione metodica, la scoperta a sorpresa,
l’interrelazione con gli altri e il mondo (empatia), che fanno il proprio
dell’animale uomo - dato che all’animalismo bisogna pagare tributo, è
politicamente corretto.
Dialetto – È la radice, il radicamento, della lingua? Che quindi
nasce, è, familiare, locale, tribale? È di Pirandello, del saggio “Introduzione
al teatro italiano”, che nel 1936 apriva la “Storia del teatro italiano” di
Silvio D’Amico, la distinzione tra idea e sentimento della parola: la lingua
evidenzia il concetto della cosa che la parola esprime, il dialetto (la stessa
parola in dialetto) il sentimento.
La
lingua sfiorita di tanta poesia e prosa nascerebbe da una sorta di suo
sradicamento?
Dio – “Se l’occhio non
fosse solare\ non potrebbe mai percepire il sole;\ se non fosse in noi la forza
propria si Dio,\ il divino come ci potrebbe estasiare?” – Goethe, “Xenie miti”.
Ecologia – S’intende la
dottrina (il rispetto) dell’ambiente, ma ne è l’addomesticamento. L’ambiente,
la natura è eccessiva: violenta, imprevedibile, estrema. L’ecologia vi inietta
il rispetto di se stessa, umanità compresa.
È il francescanesimo. Altrettanto indifeso. E inevitabilmente
destinato, come ora il francescanesimo, al rituale?
Globalizzazione - È
antitetica (“in contraddizione”): il più formidabile motore di ricchezza mai
concetto nella storia è anche un motore d’incertezza – una forza che è
debolezza. Non rafforza e libera, ma
indebolisce e asservisce. Ci si aspetta dalla ricchezza individuale una
promozione anche personale, di personalità e socialità, da posto nella storia.
Mentre la globalizzazione agisce a questo campo all’opposto, come un bulldozer
che spiana, non consolidando ma seminando incertezze e paure. La creazione del massimo
profitto giocandosi col massimo d’incertezza individuale. Non soltanto nei
grandi numeri – a certi livelli la creazione di ricchezza è un gioco, una
scommessa continua – ma nella realtà piccole e minime.
Il profitto in realtà non è di tutti, ma di alcuni. Tutti ne beneficiano,
ma a un costo. Che per alcuni pochi è ammortizzabile.
Immaginazione – Resta
fondamento e testimone della realtà anche quando le cose si manifestano in
misura e modalità inafferrabili (ingovernabili, incomprimibili): il terremoto,
il tifone, l’asteroide, il clima, le guerre (niente di più immaginario delle
guerre, per quanto organizzate, nelle motivazioni, negli svolgimenti). Nulla esiste
(resiste) della realtà che si vive senza immaginazione, sia pure storia,
religione, poesia.
Ricchezza e povertà sono relative, in relazione all’immagine che se
ne ha, anche mobile: il povero può essere tranquillo,il ricco inquieto,
eccetera. Si estende anche agli eventi che l’uomo non governa, pur condizionandone
la vita, la nascita e la morte: ci sono nascite assimilate, nell’immaginazione,
alla morte, e morti che s’intendono come non avvenute, se non rinascite. Senza
dover sbracare nel falso o nell’irragionevole: l’immaginazione cortocircuita i
fenomeni più complessi, li sbroglia, imbroglia quelli semplici, moltiplica i
fenomeni. E massimamente opera nel pensiero critico, nella filosofia. In linea
con le definizione canoniche, da wikipedia: “Libera e astratta riproduzione o
elaborazione di dati sperimentali o fantastici”, “Attività o situazione
definita da una partecipazione più o meno intensa al mondo dell’astrazione o
della fantasia”.
È la novità e la forza di Kant, che pure quando voleva essere pratico
(l’antropologia, che insegnò tutta la vita, eccetera) diceva anche scemenze: la
straordinaria insorgenza con lui del soggettivismo, dell’io autorevole e
decisivo, dell’immaginazione irriducibile e inattaccabile al materiale (evento,
cosa), senza però privarsi della relazione col mondo esterno, “oggettivo”, anzi
di queta relazione facendo il suo campo di osservazione.
Stupidità – È l’incapacità
(non interesse) a correlarsi, all’empatia. Si estrinseca nella mancanza di
curiosità, in una forma blanda di autismo . Non cattiva, non necessariamente,
né violenta, ma di limitato, moto ristretto interesse . Visivo, uditivo, cognitivo.
Ripetitiva il più spesso. Ma, poi, violenta anche senza furori o eccessi:
violenta nella negazione degli altri.
La stupidità più diffusa, di senso comune, si intende un esercizio
errato dell’intelligenza. Ma questa non interferisce col modo di essere, di
porsi. Che è invece il nucleo della stupidità per sé, irriducibile.
zeulig@antiit.eu