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sabato 2 ottobre 2021

Ombre - 581

Dunque, ci sono i “giornalisti sotto copertura”. Che militano per mesi o anni nell’estrema destra, e scoprono che i fascisti si salutano col saluto romano. E che si bara sulle iscrizioni al partito, e sulle quote di iscrizione. Il tutto da “vendere” a un talk-show. Alla vigilia di elezioni, così si fa il botto.
Non è giornalismo, è militanza. Lecita, e anche benvenuta. Ma che miseria.
 
Un tempo la “denuncia” era di destra – del potere, che per antonomasia è di destra. Spiate, dossier, rivelazioni, tutto sempre telecomandato, per i bisogni arcani del potere. In Italia, da decenni ormai, dal “Corriere della sera” di Ottone, che usava perfino giornalisti dei servizi segreti, poi da “la Repubblica” di Scalfari e dal “Corriere della sera” di Mieli, i giornalisti-confidenti-denunciatori sono di sinistra – confidenti dei servizi segreti, e delle Procure della Repubblica. È la destra che si è spostata a sinistra, o la sinistra che è andata a destra?  
 
“La Repubblica” ne dà un esempio oggi, con l’intervista, eccezionalmente fruibile senza spesa,
https://www.repubblica.it/cronaca/2021/10/01/news/il_pm_i_reati_ci_sono_stati_e_gravi_ma_umanamente_sono_dispiaciuto_-320334592/
il grido di dolore del dottor Permunian. Questo dottore, giudice di prima nomina a Locri, una delle aree di maggiore mafiosità al mondo, se l’è cavata perseguitando per cinque anni, con i colleghi Ezio Arcari e Marzia Currao, e col capo della Procura Luigi D’Alessio, il grande criminale Lucano, sindaco di Riace, su denuncia, risultata infondata, di un paesano invidioso, vedendoselo condannato al doppio della pena  da lui richiesta, con una requisitoria di dieci ore (dieci ore). A uno così il quotidiano lava la coscienza.
 
“Sono dispiaciuto”, dice il giudice. Aggiungendo, infine sincero: “Risalirò in Veneto, o in Friuli”. Spitzenkandidat  d’ora in poi di Salvini per ogni grande incarico, con la protezione della sinistra – della sinistra del giornale ex di Scalfari. Un dottore in perfetto stile leghista – magari non da salviniano (“sono stato in Africa”), anzi da chierichetto, contro il ladro di elemosine: è sceso al Sud, ha fatto sporco anche il pulito, se ne risale.  
 
La condanna di Lucano al doppio della pena richiesta dall’accusa, è un atto politico dei giudici del Tribunale, il presidente della sezione Penale del Tribunale, Fulvio Accurso, e la sua ancella e il suo damo del collegio giudicante. Che si lavano la coscienza dando per scontata l’assoluzione di Riace in Cassazione (le spiegazioni che Permunian e D’Alessio, e lo stesso Accurso, ne danno sono da “sentenza suicida”), se non già in Appello. Ma che giustizia è questa? Nemmeno si può dire politica, come lo Stato-mafia in scena a Palermo: è spasso, divertimento, goliardia. Senza responsabilità: giudici e sbirri in Italia possono fare quello che vogliono. Basta non uscire per Locri. 
 
“Mohammed Osman Boburi, conosciuto nelle migliori accademie internazionali, è stato costretto a dimettersi da rettore dell’università di Kabul. Al suo posto i talebani hanno messo Ashraf Ghairat, guerrigliero senza laurea che ha subito escluso le donne”. Che notizia è?
Ghairat è guerrigliero? I talebani sono guerriglieri o terroristi?
 
Tutto in effetti nell’affare Morisi appare organizzato. Compresa l’intervista del capo della Procura di Verona, Angela Barbaglio, al “Corriere della sera”: “Ho l’assoluta certezza che nulla è stato detto da noi e posso assicurare che nulla è stato detto dai carabinieri, quindi sinceramente non capisco proprio questa uscita”. L’uscita no, si capisce: è (l’inizio di?) una campagna di demolizione, della Lega  nel suo punto debole-forte, l’immigrazione e la malvivenza. Quel che non si capisce è la certezza: Barbaglio come Muzio Scevola?
 
La Procuratrice Capo di Verona, 69 anni, quindi alla pensione, sembra divertirsi un sacco: “Si tratta di una storia banale, che risale alla scorsa estate”, “la denuncia risale al 14 agosto”, “per noi è un fatto antico”, “che motivo avremmo avuto di far uscire adesso la notizia?” . Già, che motivo?

Si diverte tanto, la Procuratrice Capo, che denuncia Morisi per il possesso di 0,31 grammi di cocaina  zero trentuno. Occhio di lince, della Procuratrice o dei Carabinieri. Senza nessun senso del ridicolo, per i cronisti che pensosi accolgono la notizia. Ed è il solo ritrovamento di droga a Verona e dintorni? 

E quanto, e da chi, sono stati pagati i due gigolò rumeni della trappola, che da cinquemila euro a notte, duemilacinquecento anticipati, sono passati a zero - nessuno li chiama più? Come faranno a pagarsi la droga - certo di modica quantità, meno dello 0,31 grammi?

Unicredit  prosegue nel massimo silenzio le trattative, con Roma e con Siena, per acquisire il Monte dei Paschi. Cioè, non proprio nella segretezza: si fa dire che della operazione sarebbe opportuno fosse parte il Banco Popolare di Milano - ex, ora Bpm. Che non è una nocciolina.
È una operazione politica questa acquisizione-salvataggio di Mps, oppure una di mercato? Unicredit, Mps, Bpm non sono sul mercato, al listino, sotto il controllo della Consob - non dovrebbero informare su negoziati e trattative, specie se acquisizioni?
 
Mourinho le vince tutte ed è un delirio. Perde il derby ed è un delirio in senso opposto. Immediato. Generale senza eccezioni. Violento, un bulldozer, su carattere, passato, tattica, comunicazione. Non solo Mourinho, il direttore sportivo è insultato, i calciatori uno per uno, perfino Trigoria, il centro sportivo. Solo la proprietà americana – “i Friedkin” – è risparmiata: i soldi si rispettano.
 
Non è Roma, è la Roma dei romanisti - i laziali non sono  da meno, una sconfitta e crolla tutto, ma si vedono, o sono, meno. Nei social, nelle radio, nelle cronache di Roma, niente è risparmiato, e i commenti che si sentono, esacerbati, al mercato, al bar. Non è tifo, è una religione, paurosa.  
 



Meglio l’asino che l’amante

Sulle tracce di Stevenson, “In viaggio con un asino nelle Cévennes”, la maestra Antoinette, un po’ svitata, insegue l’amante, che all’ultimo disdice la settimanella di vacanze insieme per passarla con la famiglia, moglie e figlia, su in montagna. Lo insegue in montagna, sul sentiero Stevenson. E con l’asino. Ma - al contrario di Stevenson, che non era svitato ma inseguiva giovane un amore assoluto, una signora americana già in età, che lascerà il futuro cammino Stevenson quando lui vi arriva per inseguirla - senza il lieto fine. O forse sì: Stevenson ritroverà l’amore della sua vita in America, la sposerà e ci vivrà per sempre, Antoinette rinsavisce con l’asino – la saggezza dell’asino.
Novanta minuti di riposo. Perfino l’incontro inevitabile con la famigliola dell’amante, benché scontato, non crea tensioni. Si può fare un raccontino stravagante, di paesaggi, piccole scene di piccoli personaggi, fra i terribili che si incontrano nei “sentieri” organizzati, con un asino che fa l’asino – ma si sa che gli animali sono di aiuto ai deboli.
Caroline Vignal,
Io, lui, lei e l’asino, Sky Cinema

venerdì 1 ottobre 2021

La Farnesina allo sprofondo

È passata sotto silenzio, ma non al ministero, la storia dell’ambasciatore italiano a Pristina (Kossovo) destituito e processato per associazione a delinquere (traffico di immigrati), benché sia innocente, da sette anni tenuto pervicacemente fuori ruolo dal ministero, malgrado due decisioni del Tar che ne impongono il reintegro. È la storia dell’ambasciatore Michael Giffoni, che si può leggere online. Che la Farnesina gli ha fatto pagare per intrallazzi di un Rugova figlio del padre della patria kossovara – governata peraltro sempre sotto l’ombra di Hashim Thaci, il suo vero creatore (Rugova, il “Gandhi del Kossovo”, è il cache-sex), che era un capomafia, ora sotto accusa all’Aja per crimini di guerra.
Una storia personale, che accompagna però il declassamento del ministero negli stessi anni. Da punta di diamante del governo al niente. In particolare col “giro di walzer” assurdo con la Cina. E con l’abbandono colposo della Libia, che pure era stata in qualche modo recuperata dopo la déroute del 2011 a opera della Francia di Macron e degli Usa di Hillary Clinton, con la riapertura dell’ambasciata. Più in generale con la fuoriuscita dal Mediterraneo. Qui le contestazioni sono molte: l’inerzia con l’Egitto sui problemi giudiziari e penali, l’immigrazione selvaggia, con la stessa Libia e con la Tunisia, la ricerca di fonti di energia nelle aree marine.
Sotto accusa è la gestione del segretario generale Elisabetta Belloni. Che ha avuto la gestione del ministero da Mogherini e Gentiloni, cioè da Renzi, e ora è promossa a capo del Servizi di intelligence.
Successore di Belloni a capo della Farnesina è stato nominato il capo di gabinetto di Di Maio, l’ambasciatore Sequi. Di Maio è per molti, soprattutto a Washington dove non lo invitano, “l’uomo di Pechino”. Sequi ha debuttato col ritiro precipitoso dell’ambasciatore e del personale diplomatico da Teheran a Ferragosto – che in Italia non si sapesse?

Cronache dell’altro mondo - ingiuste (143)

“Gli americani pagano per i farmaci da prescrizione due volte e mezzo più di ogni altra nazione sviluppata”.
“Tra gli american con perdita di udito, solo uno su sette utilizza un apparecchio acustico”.
“Oltre 65 milioni di americani (un quinto del totale, n.d.r.) vivono in aree con un solo fornitore di internet ad alta velocità”.
“Tra aumento dei prezzi e riduzione dei salari, la mancanza di concorrenza costa alla famiglia media americana cinquemila dollari l’anno”.
“Siamo da quarant’anni nella situazione di consentire a società gigantesche di accumulare sempre più potere. Con l’effetto di meno crescita, investimenti più deboli, un minor numero di piccole imprese; troppi americani che si sentono lasciati indietro; troppe persone più povere dei loro genitori”.
(Joe Biden, ordine esecutivo “Promozione della concorrenza nell’economia americana”).

Lockdown in nero, con beffa

 Chiusa in casa, in una Londra deserta, alla prima applicazione, severa, della chiusura per pandemia, la coppia in crisi Anne Hathaway-Chiwetel Ejiofor continua a litigare, dormendo o videotelefonando ognuno dal suo piano nelle pause. Salvo rimettersi insieme alla fine per una rocambolesca truffa, ai danni dei rispettivi truffatori – una truffa su una truffa, anzi su due.
Lui è un ex giovane di belle speranze che ora fa le consegne – un rider col furgone. Limitandosi a sfoghi sporadici di fantasia, quale la lettura di una poesia dal cortile ai condomini alle finestre. Ricattato per via di un precedente penale (una rissa al bar) dal suo datore di lavoro. Che ora lo obbliga a un trasporto in nero, con fatture false, sotto il nome di Edgar Allan Poe, autista di una società fittizia, di un carico importante dai magazzini Harrod’s. Lei è un’americana raffinata che dirige a Londra un business americano di grandi eventi, per conto del quale licenzia fredda i collaboratori locali ora che c’è il lockdown. Il trasporto da Harrod’s è una mostra di gioielli che lei ha curato, attorno a un diamante speciale, di cui in America si decide la vendita a un riccone asiatico che vuole pagarlo in nero in contanti per eludere il fisco americano.
Una prova di forza per Anne Hathaway, sempre in scena con poche pause, che deve sostenere con cambi di registro e estremizzazioni del personaggio, benché costretta alla solita maschera, marmorea. Col compagno, con i collaboratori, e infine con amici, conoscenti e capi azienda. In un sottilissimo gioco di sguardi, pause, tagli. Una storia da niente, animata da una recitazione brillante. In ruoli minori compaiono anche Ben Stiller e Ben Kingsley.
Una sorpresa per lo spettatore italiano, che si rida attorno a ordinarie truffe fiscali – non pagare l’Iva. Una “commedia all’italiana”, non in Italia, a Londra e in America.
Doug Liman, Locked Down, Sky Cinema

giovedì 30 settembre 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (469)

Giuseppe Leuzzi

Il  Sud era reo di ogni peccato nel nazismo – il mito del Nord fu al centro del nazismo. Il film “Ewiger Wald” del 1936, il bosco eterno, mostra la deforestazione in arrivo dal Sud, una peste – la deforestazione dal Sud andava in parallelo con la cristianizzazione: la conversione dei Germani al cristianesimo si fa vedere e si assomiglia alla devastazione delle foreste, al deserto.
 
Le terre dell’osso
In “Eclissica”, il libro di quindici anni di annotazioni e ricordi, Vinicio Capossela si allaccia a Paolo Rumiz, “La leggenda dei monti naviganti”, dividendo l’Italia in verticale invece che tra Nord e Sud, tra la dorsale appenninica, trascurata, abbandonata, l’osso, e il resto. Una divisone che così sintetizza con Fabio Genovesi su “La Lettura”: “In quel caso vedi l’osso interno, la dorsale”, un po’ spopolato perché “la società dei consumi ha deciso” altrimenti: “Spopolanento, dove possibile un po’ di saccheggio energetico (l’acqua, n.d.r.), magari qualche ricettacolo di scorie industriali”.
L’“osso” Capossela vede unito anche linguisticamente: “In termini di lingua, sulla dorsale tra sud delle Marche, Abruzzo, Molise, Sannio… (e dimentica il Tavoliere, n.d .r.), sarà stata la transumanza, ma anche nei dialetti ci sono molte assonanze”.
Conclude ricordando che “le «Terre dell’osso», contrapposte alla «polpa », sono una definizione dell’economista Manlio Rossi Doria”. Di quando al Meridione si studiava.
 
Giù lo Stato, libera mafia
Un colpo al cerchio e uno alla botte, l’Aggiustizia di Palermo non si smentisce: lo Stato-mafia c’è, lo Stato-mafia non c’è. Ma a naso la seconda, come direbbe “Quelo”, è la buona. Il buonsenso avrebbe detto che le indagini di polizia non stanno a spaccare il capello: ci si sporca anche le mani se necessario. Naturalmente senza infrangere la legge - come invece fa spesso il commissario Montalbano, la coscienza del Paese virtuoso. I delinquenti bisogna conoscerli, ci si deve parlare. Cosa che i cronisti giudiziari sanno, ma gli conviene dire il contrario -  un cronista giudiziario c’è se c’è lo scandalo (ma, poi, chi crede ai cronisti giudiziari? si divertono e divertono, una figura del gossip, il “nuovo” giornalismo).
I giudici, invece, che si divertono con la giustizia, in ambiente mafioso, lasciano senza respiro. Il giudice Montato soprattutto, quello del tutti colpevoli, non i mafiosi, no, Berlusconi e tutti i suoi, col processo spettacolo, portato in giro per mezza Italia a onorare i delinquenti, nelle loro residenze carcerarie, con giornalisti al seguito a centinaia -   forse migliaia quando un Graviano doveva accusare Berlusconi. Che condannò tutti, con una sentenza di 5.200 pagine – tutti eccetto Mancino. 
In un processo imbastito, quanti anni sprecati alla Procura di Palermo invece di lavorare, sulle dichiarazioni di Busca. Di Brusca, quello che uccise con le mani e sciolse nell’acido il piccolo Di Matteo, che tirò la cordicella per la strage di Capaci. Cioè: uno come Brusca ha diritto di parlare. Anzi, ha diritto di dire lo Stato mafioso. Montalto, pietà - anche se il giudice non è solo: ai fratelli Graviano lo Stato ha concesso di sposarsi in carcere, al 41-bis, e di farci due figli, uno ciascuno (per indurli a parlare di Berlusconi? in questo caso non lo Stato-mafia?).
“La sostanza, la verità della cosa”, scriveva questo sito recensendo Fiandaca-Lupo, “La mafia non ha vinto”, un paio di anni fa, “è che col processo Stato-Mafia da quindici anni non c’è più mafia a Palermo- Trapani”, dove Messina Denaro passeggia quasi certamente indisturbato, e comunque è “l’area a più alta densità mafiosa.”
Liberare la mafia certo non è un progetto. Né, certo, si può fare di colpo. Ma dire che tutto il resto è mafia è come se. Un come se non ipotetico, ma di immediato, ampio, grande, effetto pratico. Sui Messina Denaro, la cocaina, le estorsioni. Sulla mafia.
 
Pavese calabrese – più che un caso (4)
Ritrovarsi “in Grecia” a Brancaleone ripetutamente inebria Pavese. Al punto di trasfigurare il povero borgo in cui si trova. Sempre nella lettera del 27 dicembre ne fa un esteso elogio. “Fa piacere leggere la poesia greca in terre dove, a parte le infiltrazioni medievali, tutto ricorda i tempi in cui le ragazze ϋδρενούσαι si piantavano l’anfora in testa e tornavano a casa a passo di cratère”.
Greco pure l’abbandono, il passato presentandosi in forma di rovine: “Niente è più greco di queste regioni abbandonate. I colori della campagna sono greci. Rocce gialle o rosse, verdechiaro di fichidindia e agavi, rosa di leandri e gerani, a fasci dappertutto, nei campi e lungo la ferrata. E colline spelacchiate brunoliva. Persino la cornamusa – il nefando strumento natalizio – ripete la voce tra di organo e di arpa che accompagnava gli ozî di Paride θεοοειδής”, divino, “quando sui pascoli dell’Ida mangiava il formaggio delle sue pecore e sognva gli amori di Ελένης  λευκελέου” (“tutta bianca”, Pavese se ne ricderà in Leucotea – Elena in Omero è solitamente “dalle bianche braccia”) – “congiunta seco lui su di un’isola sassosa”.
Riscopre il dialetto, come forma espressiva diretta, “reale”. In più accenni, seppure minimi, della corrispondenza: alcune parole locali, le forme espressive e la forma mentis, senza difficoltà, di compitazione e comprensione, senza forzature. Specie l’espressione lieve, ironica e autoironica, della “zannella” – di cui Pavese non tratta, ne erano all’oscuro del resto probabilmente anche i locali, di fatto ne delinea l’uso: la scherzosità, connaturata alla socialità, su un fondo di irrisione, anche se non cattiva, non personale (in funzione apotropaica, una forma di scongiuro). Il suo primo progetto di libro quattro anni prima, di racconti e poesie, rimasto inedito, aveva intitolato “Ciau, Masino”, e molto vi usava, specie nei dialoghi, il piemontese, il dialetto – il Sud vi era marginale, rappresentato dal “tripolin”, “il Napoli” – lo strimpellatore.  

Non era arrivato bene. Le foto segnaletiche di Pavese confinato (sono nel volume illustrato “Pasolini”, pubblicato da “L’Espresso” nel 2015, a p. 272), foto senza cravatta, lo rappresentano più vecchio (autorevole?) di quello che era: con la camicia slacciata, una di profilo, con enorme zazzera alla faraona, e la mascella gonfia, bassa, una di fronte, con gli occhiali, da maestro di campagna, e una di tre quarti, quasi sportiva, con un sorriso di smorfia abbozzato, come di sfida, con cappello calzato. Pasolini, vale rilevare nell’occasione, non lo apprezzerà, e anzi lo disprezza: in un’intervista del 1972, annota in margine “L’Espresso-Pasolini”, “che la Rai non volle mandare in onda, lo definì «un letterato medio o addirittura mediocre», amato dalla critica solo perché «politicamente cretto»” - mentre era scorretto, impolitico (era una colpa) più di ogni altro scrittore di cui si sappia, e ne soffriva.

Ne emerge disteso, perfino allegro. Cioè a suo agio. In un paese, una lingua, un mondo che si penserebbero a lui alieni. Se non odiosi, in quanto, di fatto, sono la sua prigione, seppure all’aperto. Passando anche sopra a problemi reali, quale la scarsa igiene: “Ho notato che le scrofe, qui numerosissime”, scrive alla sorella Maria il 19 novembre, “viste di dietro hanno una somiglianza impressionante con la vista di dietro delle signorine in genere – tacco alto e fine, gambetta nervosa, vivace sculettamento e codino frisé – e sono tentato di condurmene una a letto per compagnia. Ma non lo faccio perché la came di maiale è un afrodisiaco”. Un raccontino che sembra di uno scrittore calabrese, Zappone, Delfino, lo stesso La Cava.
Contro il freddo ha adottato il “braciere”, annuncia nella stessa lettera, che descrive accurato come “un guerresco bacile di rame munito di maniglie”, eccetera – salvo, per risparmiare, adottarlo nella forma di “catino di scarto”, di lamierino e non di rame, eccetera. Senza rischio di avvelenamento da anidride carbonica, conclude nella stessa chiave: “Col mal di testa, per via del carbone, ci si sveglia presto”.
Brancaleone è un paese, ha scritto a Sturani il 2 novembre, dove tutti, “parlando tra uomini, accennano goderecciamente all’Alta Italia”
– dove sono stati militari, ma questo non lo nota, la grande e sola “esperienza” della vita. E alla sorella, a metà gennaio: “Qui ho molte consolazioni, a parte mangiare carciofini”. Una lettera che conclude: “Sentite questi versi paesani, se non vi paiono notevoli”: “A malatedda meja, a malatedda,\ no jè de morte la to’ malatia,\ bedda, no je tarzane e no quartane,\ solu nu rame de malincunia.\ Vienne a state cu me na settemane\ te la fazzo passà sta malatia.\ Quanne la malatie no t’ha passate,\ tu, rundinella, pigghiala cu mia”.

Sempre a Maria ha mandato il 19 novembre uno dei “bei proverbi popolari” che sente: “Corna di mamma\ corna di canna;\ corna di soro\ corna d’oro; \ corna di mugliere\ corna vere”. Trascrizioni tutte sempre ortogaficamente rispondenti alla pronuncia.
Col nuovo anno l’esigenza è già di “sorpassare Torino e giochi connessi”, 16 febbraio. E a cascata, il 17 febbraio, “è bene rifarsi a Omero”. Con varie elucubrazioni sul modo tecnico di rifarsi a Omero. Compresi gli accorgimenti minimi. Ma per pensare in grande, e narrativamente.     
Brancaleone figurerà in cima al diario, “Il mestiere di vivere”. Che avrebbe avviato proprio nel paese del confino, come “Secretum professionale”. Così scrive nel frontespizio (il diario ha lasciato  manoscritto ma in ordine per la pubblicazione)
 “Secretum professionale
Ott.-dice. 1935 e febbr. 1936, a Brancaleone
(Il Mestiere di poeta, 1934, stampato in Lavorare stanca precede idealmente”)
 
Il primo impatto col luogo del confino, appuntato nel “Mestiere di vivere” il 10 ottobre, è di estraneità: “Questa terra, sotto le rocce rosse lunari, pensavo come sarebbe di una grande poesia mostrare il dio incarnato in questo luogo, con tutte le allusioni d’immagini che simile tratto consentirebbe”. Ciò avverrà molto dopo, nei “Dialoghi con Leucotea”, l’opera di Pavese più distesa, a suo stesso parere – di cui sempre pensa bene, col sorriso. Ora no: “Subito mi sorprese la coscienza che questo dio non c’è, che io lo so, ne sono convinto”. Ma non  senza effetto. “Di qui ho pensato come dovrà essere allusivo e all-pervading ogni mio futuro argomento, allo stesso modo che doveva essere allusiva e all-pervading la fede nel dio incarnato nelle rocce rosse”. Per ora “queste rocce rosse lunari…non riflettono nulla di mio” – “se queste rocce fossero in Piemonte saprei bene però assorbirle in un’immagine e dar loro un significato”.
Poi si precisa un’opportunità – malgrado le trappole del localismo: “Non è letteratura dialettale la mia – tanto lottai d’istinto e di ragione contro il dialettismo”, anzi con “gli occhi aperti su tutto il mondo”, e “specialmente sensibile ai tentativi e ai risultati nordamericani”. Un’esperienza che ora ritiene esaurita, forse per avere “esaurito il punto di vista piemontese”. Da qui un nuovo sguardo sul dialetto, “un nuovo punto di partenza”.
L’inverno di Brancaleone sarà un puntiglioso, ripetuto, riesame del rapporto con i luoghi di origine: la residenza obbligata in un borgo remoto lo riporta al problema delle radici, come rappotarsi a esse proficuamente, per crescere e non per implodere, all’ombra del bozzetto. Se stesso vedendo unicamente sotto l’aspetto del poeta – non ancora il narratore. È a Brancaleone, a contatto cun una realtà diversa, di rocce, mare, donne e uomini, non di letture, per quanto aggiornate, che l’immaginario riprende forza.
(fine)

leuzzi@antiit.eu

La passione si accende con l'estraneo

Titolo flaubertiano per una storia di amour fou. Personale, dell’autrice, Ernaux racconta in forma diaristica, il che la rende più piccante. Con un giovane russo – non proprio giovane, di 38 anni, ma glabro, come un ragazzo, oltre che alto, occhi verdi, biondiccio, mentre lei, se ha l’età della scrittrice, nel 1988 ne ha 48, e senza tacchi gli arriva al mento.
Una confessione? Si direbbe, per aggiungere al piccante degli incontri, ma non è così che avviene: il racconto è proprio flaubertiano, quasi casto. A parte il bisogno dei due amanti di vedersi, a date e ore e luoghi  incerti ma allora subito, per un anno circa. Lei scrittrice invitata nella Russia di Gorbacev, 1988, per turismo  e conferenze, lui accompagnatore-interprete. Con un po’ del mistero che accompagna(va) gli interpreti-guida russi, essendo anche spie.
La storia nasce a Leningrado, alla fine del viaggio della scrittrice, ma prosegue poi a Parigi, dove l’interprete è inviato, all’ambasciata, con generici compiti “culturali” – ma confessa: “Lavoro nella sicurezza, è complicato”. Lui telefona, in giorni e a ore imprevedibili, e lei entra in orgasmo, per sedute di torridi amplessi, da due a quattro ore. Quando non telefona, le manca.
Una storia vera? Un tentativo di uscire dal marchio Ernaux, dei grandi eventi che si dipanano attraverso  fili personali e familiari? Lei stessa non sa decidere, verso la fine del racconto, che cosa sta raccontando, perché non sa che storia ha vissuto: per tutto il rapporto “ho avuto l’impressione di vivere la mia passione sul modo romanzesco, ma non so ora su che modo la scrivo, se quello della testimonianza, o delle confidenze come se ne praticano nei giornali femminili, quello del manifesto o processo verbale, oppure del commento al testo”. 
Storia d’amore, di sesso, di una donna matura – “Lui mi fa dono del suo desiderio”. Lui, A., senza nome, è praticamente muto: lei sa che non sarà “mai sicura che di una cosa: il suo desiderio o la sua assenza di desiderio”. Anzi, di due. “Avevo il privilegio di vivere dall’inizio, costantemente, in tutta coscienza, quanto si finisce sempre per scoprire con stupore e sgomento: l’uomo che si ama è un estraneo”.
Per mettersi alla prova, la scrittrice protagonista si allontana, va a Firenze. Di cui racconta vivace, per variare e rimpolpare il racconto - con un solo errore,  piazza San Michelangelo invece di piazzale Michelangelo. Altro errore, veniale, fa a Padova, nel corso del suo viaggio rituale a Venezia, ogni anno o quasi, quando lui è già partito, attaccando “sulla parete della tomba di sant’Antonio” il ritratto di A., una foto sfocata, l’unico ricordo, come preghiera per un suo ritorno.   
Dal racconto è stato tratto il film “L’amante russo” (“Passione semplice” in originale), in concorso a Venezia. Pieno invece, questo, di scene bollenti.
Annie Ernaux, Passione semplice, Bur, pp. 80 € 8 


mercoledì 29 settembre 2021

Problemi di base - 659

spock

“La vera storia è quella segreta”, Ronald Syme?
 
 “La gente è il più grande spettacolo del mondo, e non si paga il biglietto”, Charles Bukowski?
 
“Meno intelligente è il bianco, più gli sembra stupido il nero”, Gide?
 
“Quanto meno si ha paura, tanto meno c’è in genere pericolo”, Titoli Livio, XII, 5?
 
“Si abbia paura solo della paura”, Montaigne?
 
“Un uomo coraggioso quasi sempre è privo di immaginazione”, Charles Bukowski?

spock@antiit.eu

Ecobusiness

La Ue pesa per l’8 per cento sulle emissioni mondiali di gas serra. Se si realizzasse il Piano di ridurle o catturarle, del 55 per cento nel 2030 rispetto al 1990, le emissioni globali si ridurrebbero dell’1 per cento – non tutto, naturalmente, nell’aria che l’Europa respira.
L’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie) calcola che, con le politiche in corso, in tutt’e cinque i continenti (l’aria circola), nel 2030 si produrranno le stesse quantità di CO2 del 2019. Si investe, enormemente, per restare fermi.
La transizione energetica, nei prossimi trenta anni, richiederà uno sviluppo enorme dell’elettrificazione.  
Nello scenario Aie, per arrivare all’emissione “Net Zero” di gas serra nel 2050 bisognerà più che raddoppiare gli investimenti in campo energetico, dai 2.000 miliardi di dollari l’anno degli ultimi cinque anni, 2016-2020, a 5.000 miliardi entro il 2030, e successivamente di 4,5 miliardi l’anno fino al 2050. Il settore energia, che è poi tutto elettricità, che ora assorbe il 2,5 per cento del pil mondiale, passerebbe al 4,5 per cento nel 2030, per ridiscendere al 2,5 per cento nel 2050.

Cronache dell’altro mondo - generali (144)

Il generale Mark Milley, capo di Stato Maggiore Unificato delle forze armate americane, ascoltato al Senato americano per il disimpegno caotico dall’Afghanistan, per il quale ha rifiutato ogni colpa, ha confermato di avere parlato con Bob Woodward, il giornalista anti-Trump ex “Washington Post”, per l’ultimo suo libro, in cui dice Trump deciso a bombardare la Cina e Milley no. 
Il generale ha riconosciuto anche di avere collaborato con altri autori di due libri in uscita, scandalistici su Washington, la Casa Bianca, il Campidoglio.
Il generale è stato interrogato anche in merito a un articolo del “Washington Post”, su un suo colloquio l’8 gennaio con la speaker  della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi.  Ha confermato che Pelosi voleva sapere quali salvaguardie erano in atto per prevenire un “presidente instabile” dal lanciare un attacco nucleare. “È pazzo. Lei sa che è un pazzo”, ha detto Pelosi. Che è sempre presidente (speaker) della House of Representatives.

Giallo geniale

Con una serie svelta, e senza nomi, Rai 1 se la batte col supermatch Milan-Atletico Madrid, col 20 per cento di audience, quattro milioni stabili di spettatori (certo, molto al di sotto dei 5-6 milioni che seguono lo stracco giochino – dopo tanti anni, immutabile, scontato - dei riconoscimenti, “Soliti ignoti”: il pubblico soprattutto è abitudinario). Una serie franco-belga - più belga, cioè non scontata, che francese. Di storie rapide, da 50 minuti, con giusto il minimo sindacale per gli a parte, personali, familiari, storici, geografici, sentimentali e non. Effettivo anche sul lato comico: la sorpresa è sempre buffa. E Morgane comunque ha – ha già avuto mentre si parla e si ascolta – un’altra idea: la sorpresa è il miglior ingrediente della suspense.
Lo spunto anche non è ricercato: una donna di 38 anni, uno o due mariti e alcuni figli, senza mestiere, colf a ore, ha un quoziente d’intelligenza superiore e “vede” i casi dove altri non ci arrivano, anche se gli indizi sono in superficie. Nulla di medianico o di macchinoso, solo geniale.
Alice Chegaray-Breugnot- Stéphane Carrié- Nicolas Jean, Morgane  - Detective geniale, Rai 1

martedì 28 settembre 2021

Il non detto del voto in Germania

Lunedì alle 13,30 il Tg 1 insiste che tra il candidato socialista e quello democristiano il risultato del voto in Germania  è quasi alla pari, e che si deve ora decidere a chi dei due toccherà la mano per fare un governo. La sera alle 20 dice infine che la Cdu-Csu ha perso nove punti, e che è il peggior risultato della coalizione nella storia della Repubblica Federale. Ma sono molte le cose che ancora non si dicono, non solo al Tg .
Cdu e Csu sono in subbuglio. Si litiga molto, anche contro Angela Merkel. Ci sarà un ricambio generazionale, guidato dai governatori dei Länder ancora a governo Cdu. Nella Cdu il timore è diffuso di non essere più una Volkspartei, un partito popolare di massa.
Il seggio di Merkel per trent’anni è andato a una ragazza socialista.
Due importanti ministri uscenti, Altmaier (Economia) e Kramp-Karrenbauer (Difesa), quest’ultima già prima scelta di Merkel per la sucecssione alla cancelleria, non sono stati eletti.
L’estrema destra Afd è partito maggioritario in Sassonia-Anhalt, sotto Berlino, e in Turingia, due Länder piccoli ma di tradizione e cultura (in Sassonia-Anhalt è oggi Stendal, da cui Stendhal prese il nome letterario).
In Brandeburgo, il Land attorno a Berlino, e Meclemburgo-Pomerania Anteriore (col collegio Ruegen-Geifswald che per trent’anni ha votato Merkel), col mare apprezzato di Rügen sul Baltico, Afd è il secondo partito. Afd è la novità degli ultimi due cancellierati Merkel: prima, per tutto il dopoguerra, la Cdu-Csu aveva saputo canalizzare il voto di protesta di destra.  

Chiuse le celebrazioni sui vent’anni dall’attacco alle Torri Gemelle, anche il processo ai cittadini sauditi implicati nell’attaco, in attesa da quasi vent’anni, è stato rimandato. Nella disattenzione generale.   
Il rapporto Fbi sui collegamenti sauditi con gli attentatori dell’11 Settembre non è vero che non contiene nulla – benché non sia stato in realtà desecretato, contenendo molti omissis. Nella parte resa pubblica un funzionario del consolato saudita a Los Angeles, Fahed al-Thumairy, e un confidente della Cia, Omar al-Nayoumi, hanno ospitato due dei cinque terroristi che hanno colpito il Pentagono, Nawaf al-Hazmi e Khaled al-Mindhar.. Di più, ne hanno organizzato il soggiorno. Materialmente, li ha ospitati il saudita collaboratore della Cia. 

La possessione del sesso

Adattato da “Passione semplice”, dice il film, il racconto lungo di Annie Ernaux, 1991 – “Passione semplice” è il titolo originale del film. Presentato a Cannes l’altr’anno, con poco successo. Ma un racconto forte. Segnato forse nel film dalle immagini insistenti dei corpi nudi avvinghiati, in ogni possibile posizione, che però è la sostanza del racconto originale, della passione scatenata, senza condizioni e senza giustificazioni. Tra una scrittrice affermata e un russo più giovane di cui lei niente sa, se non il nome, ammesso che sia quello vero – forse è una spia, forse ha una moglie che non è sua moglie, forse ha un’altra amante.
Un rapporto di dipendenza. Dalle telefonate di lui. Che arrivano a caso, il giorno dopo o il mese dopo. E sempre rianimano il rapporto, lo accendono: lui viene tra mezzora o fra tre giorni e questo basta, lei non farà che aspettarlo.
Una storia di amour fou. Del desiderio, senza ragioni e senza limiti. Una fascinazione. Che la scrittrice dirà nella seconda redazione della storia dieci anni dopo, “Se perdre”, sempre pretendendola autobiografica, l’irruzione dell’assoluto nella sua vita. Alla soglia dei cinquant’anni, della morte del desiderio.
È su questa seconda redazione in realtà che il film si dipana, non su “Passione semplice”, che è invece un racconto quasi castigato. Danielle Arbid, la sceneggiatrice e regista libanese di “Beyruth Hotel” e altri lungometraggi, attrice in “Riparare i viventi”, segue pari pari le annotazioni di Ernaux. Sarà questa la forza segreta del film, saperlo una storia reale.
“Tutto quel tempo”, scrive Ernaux in “Passione semplice”, “ho avuto l’impressione di vivere la mia passione sul mondo romanzesco”. In “Perdersi” invece (“Se perdre”) - dove pretende di raccontare la storia con le annotazione di diario tra l’ottobre 1988 e l’ottobre 1989, tra un viaggio ufficiale in Russia in qualità di scrittrice, invitata per una serie di conferenze, con l’accompagnatore d’obbligo, col quale avvia una relazione sessuale improvvisa a Leningrado in albergo, e prosegue con lui tempestivamente incaricato all’ambasciata a Parigi per un anno – fa della storia “una figura dell’assoluto, di ciò che suscita il terrore senza nome”. Una possessione, direbbe l’antropologo.   
Danielle Arbid,
L’amante russo, Sky Cinema

 

lunedì 27 settembre 2021

Letture - 468

letterautore

Augusto – Sacro, venerabile - da augur, augure, “consacrato”? O l’“accrescitore” della città, poi del regno, con le sue conquiste – da augeo? O traduzione latina del greco Sebastòs, venerabile, già in uso in Oriente per indicare la divinità, e i sovrani di rilievo, innalzati al rango di divinità alla morte?
 
Autobio
– “Io, sempre la stessa, generata mille volte da questo io, tuttavia”, Annie Ernaux annota nel diario a Venezia nel 1988, nei luoghi dove era stata in viaggio di nozze venticinque anni prima, ora sola, divorziata. E tre anni più tardi, sempre a Venezia: “Non c’è differenza qui tra la mia vita e un romanzo: i personaggi continuano a vivere in qualche posto. Noi passeremo sulla terra…”.

Bovarismo – Tabucchi lo nobilita (“Elogio della letteratura”, in “Di tutto resta un poco”) come “amore non di un’altra persona ma dell’amore”: “Il bovarismo esisteva rima di Emma Bovary: il genio di Flaubert l’ha formulato in letteratura. Flaubert non ha inventato il bovarismo, l’ha semplicemente scoperto”.

Calcio – Gramsci ne fa la celebrazione in un articolo sull’“Avanti!” il 16 agosto 1918, “Il foot-ball e lo scopone” – il calcio opponendo allo scopone, attività arretrata e poltrona: “Osservate una partita di foot-ball: essa è un modello della società individualistica: vi si esercita l’iniziativa, ma essa è definita dalla legge; le personalità vi si distinguono gerarchicamente, ma la distinzione avviene non per carriera, ma per capacità specifica; c’è il movimento, la gara, la lotta, ma esse sono regolate da una legge non scritta, che si chiama «lealtà», e viene continuamente ricordata dalla presenza dell’arbitro. Paesaggio aperto, circolazione libera dell’aria, polmoni sani, muscoli forti, sempre tesi all’azione”. Un’anamnesi perfetta, del calcio, della sua attrattiva.
 
Italo Calvino – Il successo internazionale di Calvino è dovuto alla sua traducibilità, stima Jumpha Lahiri in un saggio sullo scrittore, su “La Lettura” dell’altra domenica. È un complimento? Lahiri propende per il sì, avendo dato da tradurre ai suoi studenti a Princeton un racconto breve di Calvino accolto da loro con entusiasmo, e considerando la vita stessa di Calvino, “sempre divisa”, tar Cuba e l’Italia, l’Italia e Parigi, con New York nel cuore, il melting pot per eccellenza. Traduttore lui stesso, aggiunge, di Queneau – “ma aggiungerei che anche le ‘Fiabe italiane’, raccolte e riprodotte da lui fossero una specie di traduzione”. E considerando infine “la sua passione per gli autori stranieri: la scoperta determinante da ragazzo di Rudyard Kipling, la tesi di laurea su Conrad, autore tra l’ara che scrive in una lingua straniera, e l’amicizia e la collaborazione con Pavese e Vittorini, due autori-traduttori-editori come lui”.

Endecasillabo – “L’endecasillabo aiuta a riprendere ritmo”, spiega sul “Sole 24 Ore Domenica” il linguista Lorenzo Tomasin, presentando il “Manualetto di metrica italiana” del filologo romanzo comparatista Di Girolamo - una disciplina che faceva parte dell’insegnamento medio ma da tempo è desueta. Un tentativo di messinscena questa estate – per gli eventi estivi di Santa Domenica, a Capo Vaticano - di episodi della “Odissea” di Katzantzakis, tradotta da Crocetti, è risultato arduo da mandare a mente e ricordare recitando. Impresa compiuta solo con sottolineature musicali, per suscitare un’armonia di fondo.

Collera – Si annida nella cistifellea, secondo Ippocrate: nella bile gialla. Da qui il soggetto cholericus: magro, logorroico, avido di onori, e irascibile.

Editori - Si moltiplicano nel decennio. Gli editori a stampa, quindi con investimento reale, in carta, tipografia, distribuzione – non editori online. Giuliano Vigini trascrive su “La Lettura” i dati dell’Anagrafe di Alice (Italia, Canton Ticino, Città del Vaticano, Repubblica si San Marino). Nel 2011 gli editori censiti erano 9.738. Cinque ani dopo erano saliti a 16.484, due terzi in più, il 69,3 per cento. Oggi sono  22.231, un terzo in più rispetto al 2016, il 34,8 per cento.

Hemingway - Bukowski (“Storie di ordinaria follia”, 304-5) aveva la migliore redazione della vecchia tesi del suicidio per mancanza di ispirazione: “Dicevano che ero matto”, fa dire al “vecchio Ernie” in “strade notturne di pazzia”, “che mi immaginavo le cose, dentro e fuori del manicomio, dicevano che mi immaginavo che il telefono fosse controllato, che mi immaginavo che la Cia mi stesse alle calcagna…. A dire il vero, avevo un doposbronza micidiale, e sapevo di aver toppato. E quando hanno preso sul serio IL VECCHIO E IL MARE sapevo che il mondo era un mondo marcio” Essendo tornato al suo vecchio stile, ma artefatto: “Lo so che era artefatto, e mi hanno dato IL PREMIO, e mi stavano alle calcagna. La vecchiaia mi piombava addosso. Ciondolavo per casa bevendo come un vecchio scorreggione, che raccontava storie stantie a chiunque volesse ascoltarle. H dovuto farm saltare le cervella”.  

Italia – “L’Italia non è tanto vasta, ma è profonda. Basta scavare un metro e si trovano strati, strutture longobarde, e sotto romane, sotto greche, sotto l’età del ferro e via così” – Vinicio Capossela, con Fabio Genovesi, “La Lettura”.

Librite-Libridine – Un lungo articolo su “The Atlantic” del 14 settembre, “Ebooks are an Abomination”,
https://www.theatlantic.com/books/archive/2021/09/why-are-ebooks-so-terrible/620068/
di Ian Bogost, professore alla Washington University di Media Studies, e disegnatore di videogames, uno che vive dello schermo. parte chiedendo: “Avete forse notato che gli ebooks sono terribili”. Ma non si sa perché – “io stesso”, scrive l’articolista, “non lo so, forse è snobberia”. Poi ci ripensa, e lega il libro ala lettura. All’esperienza di “leggere”: che cosa è leggere. Facile dire che i libri sono qualcosa da leggere, ma che cosa è leggere? La parola è “praticamente inutile, pleonastica, si legge sempre, di tutto, ovunque. Nel nostro caso però è legata alla bookiness, alla libritudine. E che cosa è la libritudine? Il libro esiste da così tanto tempo, e in così tante forme, che è difficile rinunciarvi. Tutto cambia, tutto è cambiato nei millenni, e ora più rapidamente proprio nel campo delle parole e delle immagini, ma il libro è rimasto sostanzialmente lo stesso, perché è legato ala memoria.

Paradiso della sinistra – Stimolato da un connivente Failoni per gli ottant’ani, Salvatore Accardo evoca i “momenti felici” con Abbado, Nono, Berio, Pollini, e Renzo Piano, in Sardegna, a Capo Caccia – “li aveva casa Claudio, io a Capo Testa. Quando all’orizzonte vedevo arrivare la barca di Renzo,  Aguaviva…”. Un gruppo d’eccezione. Tutti eminenti di sinistra – Accardo non cita altri, con cui pure ha lavorato molto, in sintonia. Un iperuranio, che però non suscita simpatia (empatia?): noblesse oblige.

Svenimenti – In uso, nella vita e nei romanzi, nel Sette-Ottocento, poi non più. Solo di donne – raro di uomini, e in questo caso indici di complicazioni (malattia, morte, tradimento).

letterautore@antiit.eu

La pace sarebbe possibile, come a Oslo

Il racconto delle trattative informali, e segretissime, tenute nascoste anche alla Cia, che hanno portato agli accordi di Oslo (1993), tra Israele, primo ministro il socialista Itzak Rabin, ministro degli Esteri Shimon Peres, e l’Olp di Yasser Arafat. Tra momenti drammatici, e comici. Tra due “mondi” che non si erano mai incontrati fino ad allora, ebrei che non avevano mai parlato con un palestinese e palestinesi che non avevano mai parlato con un israeliano. Accordi poi in gran parte disattesi, anche per l’assassinio di Rabin da parte di un israeliano fanatico, ma che comunque portarono alla retrocessione di Gaza e Gerico all’Autorità Palestinese.
Filmato dal regista spartanamente, e in forma didascalica, sceneggiando l’opera teatrale (il maggior successo di J.T.Rogers, premiato sia a Broadway che a Londra, successi di cui lo stesso Sheer è stato regista) da cui è derivato, il racconto tiene bene per circa due ore. Sottofondo del film, prodotto e supervisionato da Steven Spielberg, è che gli Stati Uniti non vogliono un accordo tra Israele e i Palestinesi, e per questo lo condizionano al tutto o niente, a una miriade di impegni specifici, anche contraddittori. Mentre la pace sarebbe semplice, e ha solo bisogno del dialogo, che due che non si sono mai parlati, e anzi mai nemmeno visti, si incontrino.
Bartlett Sheer, Oslo, Sky Cinema

domenica 26 settembre 2021

Ombre - 580

Dunque, la Asl Roma 4 (Civitavecchia) organizza un lungo week-end dei morti per settanta dirigenti – una settantina. Spesato, in resort cinque stella, sotto forma di “evento formativo”, sulle montagne di Rieti. Forse un week-end poco caro benché lungo. Ma di settanta dirigenti? Per questo non c’è nessuno allo sportello, e le code sono lunghe: le Asl sono fatte di dirigenti.
 
La Asl Roma 4 poi rinuncia all’evento formativo, quando cioè i solerti cronisti di “la Repubblica-Roma” lo denunciano. Su iniziativa probabilmente della regione Lazio, pur sempre amministrata dal probo Zingaretti. Senza cronisti al controllo, le Asl vano a ruota libera? Una Asl, la Roma 4, certamente diretta da “manager” in linea col Pd.
 
Il Csm che licenzia in tronco, senza discutere, la (ex) segretaria di Davigo è un perfetto autoritratto dell’autogoverno dei giudici. Sordido: è la sola cosa che il Consiglio Superiore della Magistratura ha avuto da dire sulla sordida vicenda, del giudice Storari a Milano che trafuga atti riservati, e del giudice Davigo al Csm.
 
Con il mercato spot del gas, cioè per contratti singoli invece che per quantità definite a lungo termine,  l’Europa pensava di avere messo nel sacco la Russia, che invece si è prontamente adeguata, e ha fatto moltiplicare le quotazioni per cinque e per dieci. Questo già nei contratti preliminari, alla viglia della stagione fredda, quando la domanda effettiva crescerà per il riscaldamento. In Cina, negli stessi Usa, esportatori di carichi spot, di gas liquefatto, e nell’Europa a corto di ogni riserva.
Perché l’Europa lo ha fatto? Per favorire la pletora di mediatori – commissionari, un business dove non si perde mai. Per favorire il mercato, si dice. In realtà per il mercato della corruzione – il mediatore, grossista, commerciante, non ha nessuna funzione.

Chiede Frattini a Esther Peleg Cohen, che ha fatto rapire il nipote Eitan: “Eitan ha la cittadinanza italiana grazie a lei, gli antenati passati da Livorno. Perché è così contraria all’idea che viva in Italia?” “Sono contenta per me e la mia famiglia di possedere un doppio passaporto, ma sono ebrea e israeliana”. Beh, senza “vaffa” e “che c.”, la signora è ben livornese, parla come Allegri.
 
Ma rincara sullo stesso “Corriere” un corrispondente dal nome tedesco, Ilan Brauner, in ottimo italiano peraltro (il “noto medico legale trevigiano” di google?):”Vanno capite le differenze tra israeliani-ebrei e italiani-ebrei, differenze che in certi aspetti caratteriali sono abissali”. Il caso del piccolo Eitan non è quello di un rapimento di minori, ma di diverse “identità”. Poi si dice che il tribalismo è morto.
 
Il papa che va in giro a dire che i cardinali lo volevano morto era ancora da vedere. Ammesso che sia vero (ma che cardinali sono, che vanno in giro a dire?), i panni sporchi non è meglio lavarli in pubblico? Non c’è più rispetto del pubblico? Non c’è più religione?
 
Più che una campagna elettorale nelle città dove è maggioritaria, secondo i sondaggi e secondo il “nasometro”, a Roma, a Napoli, a Torino e in Calabria, la destra sta conducendo una campagna, nemmeno subdola, contro se stessa, Salvini contro Meloni e viceversa, e entrambi contro Berlusconi. È una destra sopravvalutata rispetto alla sua offerta (Salvini, Meloni)? Ma non è un buon segno, vuol dire che altrove non c’è niente.
 
Sembrano perfino improbabili i candidati di Meloni a Roma e di Salvini a Milano. Nel 2021. Sarà stato anche difficile trovarli. Regge la destra, almeno in immagine, dove c’è ancora Berlusconi, Maresca a Napoli e Occhiuto in Calabria.
Berlusconi, il federatore della destra, lascia macerie. O la destra è irredimibile - non c’è progresso in politica, il peggio è sempre dietro l’angolo: il vecchio Msi di Fini, la vecchia Lega di Bossi-Miglio.

Liscio capolavoro

“Betty Wrong” presenta Elisabetta Sgarbi, e lo schema ludico è chiaro. Inevitabile, vedendo poi subito di che si tratta: i maestri vecchi-nuovi del liscio, il ballo da balera, walzer, polke e mazurke, in una Romagna desertica, con un telefono ancora a gettone, incolbaccati e impellicciati. L’accostamento è inevitabile con “Buena Vista Social Club”, forse per i venticinque anni del capolavoro per caso di Wenders. Con un asso nella manica di Wrong-Sgarbi: narratore, e voce e faccia recitanti, Ermanno Cavazzoni, altro che Ry Cooder - tra Betty-Elisabetta e Cavazzoni siamo a livello di Sorrentino-Servillo.
Si prosegue con inquadrature da Fellini. Con scene e inquadrature di Fellini, il romagnolo per eccellenza. Di una Romagna sempre un po’ artica – del Fellini di “Amarcord”, con la neve, e il nonno perduto nella nebbia spessa - e senza mai un barbaglio di urbano, solo gore e pioppeti. E le musiche naturalmente: il film è il racconto di una musica, solare, malgrado il maltempo, carnale, benché di ritmi centro-europei - tra Vienna e la Polonia come Cavazzoni ben ci spiega. Solare per il “sorriso”, spiega Jovanotti – che si diverte pure lui con la band, con gli Extraliscio. E perché cantate anche bene, da belle voci di robuste cantanti - c’è pure in cameo Orietta Berti.
Cosa manca per il capolavoro? Un po’ di convinzione – un filino di narrazione più spesso, un montaggio meno fisso? Ma anche Wenders, non è che curasse i ritmi. Forse un po’ di attenzione: questo “Extraliscio” è ben andato a Venezia, ed è stato un male, i critici a Venezia devono parlare del capolavoro annunciato, cioè promozionato. Certamente nelle cineteche, se ancora se ne fanno in casa, verrà conservato. O è il gusto postmoderno, della copiatura, che stanca: sorprende solo una vota, poi resta inerte, l’ermeneutica ha questo grosso limite?
Elisabetta Sgarbi, Extraliscio - Punk da balera, Sky Arte