sabato 16 ottobre 2021
Problemi di base pavesiani bis - 664
spock
Dai boomer agli zoomer, le generazioni servono al commercio
Si
fa presto a dire generazione – baby
boomers, Generazione Y, Generazione X: la maggior parte dei giovani negli
anni 1960 non praticava il libero
amore, prendeva droghe, o protestava la guerra in Vietnam. “A un sondaggio del
1967, richiesti se bisognava aspettare il matrimonio per fare sesso, il 63 per cento
dei ventenni disse sì, praticamente nella stessa percentuale della popolazione
in generale. Nel 1969, quando fu chiesto ai ventenni (21-29) se avevano mai
consumato marijuana, l’88 per cento disse no. Quando allo stesso gruppo fu chiesto
se gli Stati Uniti dovevano ritirarsi immediatamente dal Vietnam, tre quarti dissero
di no, più o meno come la popolazione in generale. E la maggior parte dei
giovani negli anni 1960 non erano nemmeno specialmente progressisti”: ai sondaggi
politici tra il 1966 e il 1968 il 53 per cento dei giovani risultava pro Nixon
o George Wallace” – la percentuale era più alta per chi veniva dall’università,
fresco di studi tra il 1962 e il 1965: il 57 per cento.
“È
tempo di smetterla di parlare di generazioni”: Louis Menand, professore di
Inglese a Harvard,, storico delle idee
(“The Metaphysical Club”, Pulitzer 2001, la storia intellettuale e culturale
dell’America Fine Secolo), e del rinnovamento della lingua inglese col primo
Novecento (“Discovering Modernism. T.S.Eliot and His Context”), nonché,
recentemente, del mercato delle idee (“The marketplace of ideas”), sgonfia il
concetto di generazione come si sta imponendo, una sorta di bolla
intellettuale. A fini solo commerciali, di creazione, cinquant’anni fa,
sull’onda del Sessantotto, e poi di sfruttamento intensificato di linee di
prodotti, per teen-ager.
Recensendo
gli ultimi libri in tema, spiega sia la “generazione” sia il “fenomeno teen
ager”. “La scoperta che si possono fare soldi vendendo merci ai teen-agers”, merci
dedicate, distintivo generazionale, “data dai primi anni 1940, che fu anche
quando il termine «cultura giovanile» apparve per la prima volta a stampa”. Erano
anni di guerra, ma la cosa partiva da lontano: più gente era andata al liceo
negli anni 1930. Nel 1910 solo il 14 per cento degli adolescenti, 14-17 anni,
era ancora a scuola. Trent’anni più tardi, nel 1940, quella proporzione era
passata al 73 per cento. E poi è sempre aumentata: nel 1955 l’84 per cento
degli americani in età da scuola secondaria la frequentava (in Europa Occidentale
al percentuale era del 16 per cento). Poi, tra il 1956 e il 1969, le iscrizioni
all’università negli Stati Uniti sono più che raddoppiate, e il segmento
demografico «gioventù» è passato da quattro a otto anni. Nel 1969 era sensato
che ognuno parlasse di stili e valori e gusti dei giovani: quasi la metà della
popolazione era sotto i venticinque”.
Oggi
la proporzione è rovesciata: “Oggi un po’ meno di un terzo della popolazione è
sotto i venticinque, ma la giovinezza rimane una grande base di consumo per
piattaforme social, servizi streaming, giochi elettronici, musica, moda,
cellulari, apps, e molte altre merci, dai pattini motorizzati ai contenitori
ecologici per acqua”. Nasce da qui il concetto di “cultura giovanile” mobile,
con l’esigenza di “ridefinirlo periodicamente”: per mantenere questo mercato in
ebollizione, e per dare al business delle consulenze qualcosa da insegnare alle
aziende che consigliano”.
Questa
è la parte hard del saggio. Che è altrimenti
godibile per documentazione storica e argomentazione. Naturalmente, “non c’è
niente in natura che corrisponda a una decade, o a un secolo, o a un millennio”.
Le differenze sono storiche o sociali, caratterizzazioni, quelle che nell’Ottocento
erano chiamate “entelechie” generazionali. Ma qui la “differenza tra un baby boomer e un Gen-X è significativa
tanto quanto la differenza tra un Leone e un Vergine”.
Louis
Menand, It’s Time to Stop talking about
Generations, “The New Yorker”, free online
venerdì 15 ottobre 2021
Ombre - 583
Nelle
manifestazioni no vax-no green pass a Roma stamani c’erano poche persone, sei o
sette alla Bocca della Verità, una dozzina, ma sparsa, di fronte al Vittoriano.
I tg dell’ora di pranzo, Rai, Mediaset, Sky, ne fanno un grande protesta. Per
incitare alla rivolta? Per stupidità – non c’è la notizia se non c’è la
protesta?
Draghi
porta la solidarietà del governo, nella vignetta di Giannelli, a Landini. Che
dice : “Non avevamo mai avuto così tanta solidarietà e così tante manifestazioni
sull’importanza del sindacato. C’è voluta Forza Nuova”. Una “dichiarazione di esistenza”, più che di
importanza.
Il
Columbus Day è stato ribattezzato da Biden Indigenous People’s Day, festa del
popolo indigeno. Ma non è offensivo? Quando gli indiani usciranno dalle riserve
alcoliche dove gli angloamericani, non Colombo, li hanno confinati, quelli che
non hanno ucciso, vorranno giustamente una qualche festa di liberazione, non
dell’indigenato. Com’è possibile tanta ipocrisia, spacciata per onestà?
Curioso
– ma non molto. Protestano i lettori al “Corriere della sera” perché,
promuovendo le memorie di Ilda Boccassini, ha corredato la recensione
iperbolica di Saviano con un estratto sul suo tentato flirt con Falcone.
Rispondendo
a uno di questi lettori, il direttore Fontana fustiga il doppiopesismo: “Per i
nemici… si può squadernare ogni particolare, anche il più intimo, mentre per le
persone che ammiriamo dovremmo nascondere atti che gli stessi protagonisti
vogliono far conoscere”. Omette di dire che questo succede a sinistra, che la
“buona coscienza” è ora di sinistra, che
prima ne era critica.
“Erdogan sta usando l’Europa: Come? Sfruttando
i migranti, con ogni mezzo”, Battistini e Gabanelli in prima pagine sul “Corriere della sera”. Sembra
una cosa grave, ma come non detto.
È
curioso – ma perché? – che l’immigrazione selvaggia sia fomentata e sfruttata
da islamici, in Turchia, Libia, Tunisia, Marocco. A danno prevalentemente di
islamici.
Tutto
può succedere al voto ma Michetti parte battuto al ballottaggio con Gualtieri
per il sindaco di Roma, da concorrente che partiva con un vantaggio. Parte invece
con l’handicap dei no-vax, i fascisti e fascistoidi dell’assalto allo shopping,
nel primo giorno della (quasi totale) riapertura. Intimorendo negozianti e
moderati, il cuore dell’elettorato di Michetti. Sarà proprio vero che la destra
è stupida.
Il
superportiere Donnarumma si fa scappare la palla dalle mani e infilare sotto le
gambe, al resto ci pensano tre pali, e l’Italia fa 2-1 col Belgio. Non si
riflette abbastanza sullo stellone d’Italia, in questo anno di grazia per lo
sport, Nobel compreso. Sulla congiunzione astrale – eppure, gli astri esistono,
direbbe Galileo.
“Vincere
con i debiti è corretto?”, di domanda e domanda Arrigo Sacchi. E lascia
implicita l’altra metà del discorso: il suo Milan non può spendere da qualche
anno, il fair play finanziario si applica
al Milan senza eccezioni, mentre all’Inter è concesso di tutto. Sarà questa l’egemonia
cinese. A gratis?
In
effetti, si può dire l’Italia, se non il mondo, già nel secolo cinese.
Immaginarsi una proprietà americana dell’Inter, o di qualsiasi Pellegrini o
Cellino, quante Procure non si sarebbe tirate addosso. Sono le Procure sempre
“compagne”, del partito Comunista Cinese? E che c’entrano gli Zhang col Pcc? O
non starà Pcc per partito della Corruzione Continua?
La
signora Jurida Kukaleshi, origini albanesi, da 23 anni in Italia, dove è
sposata e imprenditrice, non può avere la cittadinanza, statuisce l’Interno,
per non aver “raggiunto un grado sufficiente di integrazione nella comunità
nazionale”, avendo preso una multa stradale. L’Italia dei prefetti è al di
sopra di ogni immaginazione, purtroppo.
Non
avere la cittadinanza complica molto la vita di chi è nato all’estero, o pure in Italia da genitori ancora stranieri, soprattutto per chi vuole
lavorare. E per chi ha bisogno di lavoratori, imprenditori o capi famiglia. Non
si calcolano i danni che fanno i prefetti, unicamente interessati all’esercizio
di un potere loro – la legge si può sempre interpretare – ai fini della
carriera: un passaggio di categoria, di ruolo, di mansioni, di titoli.
La
Ferrari perde il podio, e forse la vittoria, al Gran Premio di Turchia per “un
inghippo al pit stop, un mancato input del sistema che indica di
ripartire”. La Formula 1 (come ormai un
po’ tutte le auto) si vince con l’elettronica: ogni bolide è gestito da
centinaia di Ecu, electronic control
units, unità di controllo elettronico, con al centro una Secu, Ecu
standard. Ogni vettura parte con oltre
300 sensori, una Secu che controlla oltre 4 mila parametri di input e trasmette
più di tre Gigabyte di dati in tempo reale ai box, durante un Gran Premio di
300 km. Al pilota compete solo lo sterzo.
Non
si dice la parte più significativa del voto in Germania: che il 76,6 per cento
è andato a votare. E che – ora che si dispone già del flusso dei voti – la Dc tedesca,
la coalizione Cdu-Csu, non ha avuto astenuti, o quasi (50 mila sono calcolati),
ma delusi, che hanno votato Socialdemocrazia (un milione e mezzo), Verdi (poco
meno di un milione), Liberali (mezzo milione). Non c’è più in Germania la polemica
anti-latina di dieci anni fa, ma questa volta sarebbe stata giustificata: il
voto resta partecipato e politico, la Germania non si gingilla con i comici di
piazza, come nel mondo latino, Italia, Francia, Spagna.
Giallo filosofico, sotto osservazione
Un
guazzabuglio. Una mezza pagina folgorante avvia un racconto balordo, di
balordi, con la scusa che tutti osserviamo e siamo osservati – c’è dispendio di
fotografi, registi, operatori, spie e satelliti spia. Aggravato dall’ortografia
alla Bernhard - quella ridotta alla virgola, di cui il tedesco non può fare a meno,
altrimenti non si capisce. Caricatura in terza persona del monologo interiore oflusso di coscienza, joyciano e bloomberghiano - ma in Bernhard il periodare incessante è dell’io, come il flusso di coscienza, e di maestria musicale, qui si pretende in terza persona - e senza ritmo: un guazzabuglio.
Il
quinto o il sesto dei “gialli filosofici” di Dürrenmatt, da cui tenersi alla
larga.
La
vecchia traduzione Marcos y Marcos di Giovanna Agabio, rivista da Roberto Cazzola,
probabilmente non peggiora il risultato (potrebbe?) ma non lo migliora – sono
da compiangere due traduttori invece di uno.
Friedrich
Dürrenmatt, L’incarico, Adelphi, pp.
107, € 15
giovedì 14 ottobre 2021
Teheran a Beirut, come nello Yemen
Gran
viavai di ministri occidentali a Beirut, di Stati Uniti, Francia, Gran
Bretagna, Germania, questa estate, dopo che gli ayatollah iraniani sono entrati
a piedi uniti dentro gli affari libanesi. L’intervento diretto di Teheran a
Beirut data ormai da oltre un anno, da quando la polveriera-porto è saltata, con
centinaia di morti e la rovina di mezza città, svelando l’ammasso di armi e
munizioni di Hezbollah e Amal, i movimenti sciiti libanesi su cui Teheran aveva
fatto fino ad allora conto.
Alla
visite niente è seguito, Teheran ha anzi mano libera. La manifestazione di oggi
contro il giudice Tareq Bitar, che ha incriminato alcuni ex ministri di Amal,
ne è un segno. La manifestazione, organizzata da Amal e Hezbollah per chiedere
la rimozione del giudice incaricato delle indagini sull’esplosione al porto, ne
è la conferma. Amal asserisce che i manifestanti morti sono suoi militanti, e
sono vittime di “cecchini” cristiani, in quanto appostato nel quartiere
cristiano prossimo all’ufficio del giudice. Ma non è così: ci sono stati morti
ma non si sa a opera di chi. La manifestazione è chiaramente intesa a rompere
il fronte nazionale al governo con i cristiani in atto da qualche anno.
Il
giudice Bitar era stato già ricusato da due ministri di Amal, di cui aveva
chiesto il rinvio a giudizio, dopo che erano stati espulsi dal governo per
corruzione, ma senza successo. Per appoggiare le domanda di ricusazione di
altri due ministri convocati da Bitar, Amal e Hezbollah hanno organizzato la
manifestazione di oggi, con l’inento dichiarato di rompere le tregua istituzionale,
in una guera civile mascherata.
Il
giudice Tareq Bitar ha il torto di essere cattolico, benché in fama di
morigerato e inflessibile. È subentrarato a febbraio al primo titolare dell’inchiesta
sull’esplosione al porto, Fadi Sawan, ricusato con successo dai ministri di Amal
che aveva rinviato a giudizio. Colpevole anche lui, benché procuratore militare
in fama di inflessibile, di essere cristiano maronita, cioè cattolico.
Nelle
gite diplomatiche a Beirut, benché a nessun effetto, si sono segnalati per l’assenza
l’Italia e il Vaticano.
Il mondo com'è (433)
astolfo
San Cromazio – Il vescovo di
Aquileia fra 300 e 400, forse originario di Spagna, amico di san Gerolamo,
impegnato contro l’arianesimo, è all’origine di riti “asiatici” (ebrei, egiziani)
entrati nel cerimoniale della chiesa di Roma. Il rito pre-battesimale della
lavanda dei piedi, ora rito del Giovedì Santo. La Pasqua come rito di Passione
e di Liberazione, come nella Pesah ebraica. Il simbolismo animale dei quattro
evangelisti. La croce di san Cromazio, adottata come logo di Cristo, era il simbolo
egiziano della vita: è l’ “albero della vita” di cui in san Giovanni nell’“Apocalisse”:
“Da una parte e dall’altra del fiume si trova l’albero della vita che dà dodici
frutti per ogni mese, e le foglie dell’albero per la guarigione delle nazioni”.
Egeo - La Turchia che vuole le acque
territoriali fin dentro la Grecia ripete la vecchia politica dell’impero persiano,
che portò a un’ostilità di secoli con Atene, Sparta e gli altri potentati ellenici.
Longitudine – È stata a lungo
discussa come problema dirimente delle sfere di influenza coloniale. Il
problema che sarà detto, dopo che a metà Ottocento verrà adottato come
riferimento orario nel mondo il meridiano di Greenwich, dell’antimeridiano di
Greenwich.
Wikipedia lo sintetizza
credibilmente: “In passato la latitudine in
mare poteva essere calcolata abbastanza facilmente; ma la longitudine sembrava
impraticabile. Il problema era assai grave per la navigazione d’altura, allora
del tutto incerta e rischiosa e, come è facile aspettarsi, questa situazione di
incertezza e di pericolosità era particolarmente sofferta dagli inglesi che
allora dominavano i mari. Nel 1714 il Parlamento inglese con il Longitude
Act diede vita ad un’apposita Commissione per la Longitudine con il compito di assegnare
un enorme premio a chiunque fosse stato in grado di inventare un metodo sicuro
ed affidabile per calcolare la misura della longitudine”.
In precedenza, tra i tanti metodi
tentati ci fu quello della “polvere di simpatia”: “Il metodo per la misurazione
che si rifaceva alle proprietà della polvere di simpatia consisteva nel
prendere un cane, procurargli una piaga in modo che rimanesse sempre aperta e
imbarcarlo su una nave. Ad un’ora concordata, per esempio a mezzanotte, nel
porto da dove era salpata la nave si spargeva una sostanza irritante sulla lama
insanguinata che aveva ferito l’animale con l’effetto di provocare dolore al
cane che avrebbe guaito segnalando in questo modo che in quel momento era
mezzanotte sul meridiano di partenza e, conoscendo lora locale, si poteva
dedurre la longitudine”.
Sulla
questione, “polvere di simpatia” o “unguentm
armarium” (v. sotto) Umberto Eco ha impiantato il lungo romanzo “L’isola
che non c’è”. Il protagonista Roberto de la Rive, naufragato su … una nave abbandonata,
riacquistando la memoria ricorda a sprazzi un suo precedente viaggio su una
nave, “Amarilli”, probabilmente in missione per cercare il punto fijo, per ragioni di spartizione delle sfere d’influenza
coloniale, e di questo viaggio ricorda di avere trovato sulla nave un cane, nascosto
ai passeggeri, un cane ferito, ferito in Inghilterra, e ora torturato: qualcuno
sulla nave aveva cura che rimanesse sempre piagato. Ci riusciva con la “polvere
di simpatia”: qualcuno a Londra, ogni giorno, a un’ora fissa, potava alla luce
l’arma della ferita, o il panno imbevuto del sangue del cane, e la ferita si
riapriva.
Occupazione italiana – In vacanza sulla
“costa anatolica”, la Turchia ex greca, il Mephisto della “Domenica” del “Sole
24 Ore” dell’altra domenica rivede “nelle vie del Dodecaneso, lì di fronte, a
Rodi, strade magnifiche e palazzi costruiti quando era il «Possedimento»
(1912-1943), vanto del Bel Paese. Qui oggi gli anziani parlano la lingua di Dante”.
Elenca poi i misfatti dell’occupazione italiana, in Grecia e in Albania, che
sono rimossi – si studia l’imperialismo italiano solo in Africa, e quello
tardo, di Graziani e Badoglio. Un’occupazione che così sintetizza: “L’odio
selvaggio di militari regi contro gli albanesi delle colonie del Protettorato
italiano (19339-1943), passato alla storia per stragi analoghe a quello del
Vietnam. Poco importa la reggia di Tirana per Vittorio Emanuele III (che mai vi
pernottò), capolavoro di Gio Ponti, boiserie strepitose tuttora intatte, a
fronte della storia infamante di giustizia sommaria contro civili greci,
comunità ebraiche (Darmytha e Igoumenitsa) e slave (Kosovo e Macedonia). Il
tentativo scellerato di conquistare la Grecia si risolse con villaggi messi a
fuoco, impiccagioni pubbliche (1942), torture di prigionieri catturati da fascisti
italo-albanesi. A Mallakasha fu una Marzabotto (1944), col seguito di
ritorsioni dei partigiani albanesi contro soldati e carabinieri dopo l’8
settembre”.
Stregoni – Ce ne sono, ce
ne sono stati fino a recente, in Toscana. Lo stregone di Poppi nel Casentino, che pretendeva di sollevarsi
nottetempo su un carro di fuoco e di volare per il cielo, riuscendo nella sessa
notte ad assistere contemporaneamente a tre messe, a Costantinopoli, a
Gerusalemme e a Roma. Uomo pio e non venale, benvoluto dalla popolazione, e dal
parroco. C’era del resto nell’aretino, così si dice, una chiesa della Madonna
delle streghe.
Presso
un altro castello, in Valdarno, tra Valdarno e Valdarno e Valdambra, a
Galatrona, hanno alloggiato per secoli generazioni di maghi e stregoni.
Capostipite, quello di cui si sa dagli annali, Nepo da Galatrona, medico
personale a Firenze di Giovanni dei Medici e poi mago al servizio di Lorenzo il
Magnifico, noto per curare anche gli animali e per praticare incantesimi. La sua
farmacopea era segreta, ma si sapeva di un “unguento armario”, composto da ingredienti esotici: polvere di
mummia, muschio prelevato dal teschio di un morto assassinato, grasso di orsa,
lombrichi. Descritto di statura grande, capelli neri, barba tagliata a
spazzola, carnagione bruna, vestito all’orientale o alla turca, con pantaloni
larghi, cappello a punta, mantello.
Unguento
armario – Quella propriamente detto è
una polvere miracolosa in grado di risanare una ferita se applicata non sulla
ferita stessa ma sull’arma o oggetto che l’ha provocata. L’inventore, negli
anni 1620, ne fu l’inglese Kenelm Digby, cortigiano, “filosofo”, corsaro,
diplomatico, cattolico, viaggiatore e residente anche in Italia, a Firenze, dai
Medici scientisti, e a Roma, che lo chiamò Unguentum
armarium vel Weapon Salve, salvezza dalle armi, e ne pubblicò la
composizione in una pubblicazione che intitolava “Discours sur la poudre de la
simpathie”, sulla polvere di simpatia. Un composto di vetriolo polverizzato e
gomma. Da applicare su un panno insanguinato dalla ferita, oppure sull’arma che
l’aveva provocata.
Il principio era che il composto, se applicato sulla
ferita l’avrebbe naturalmente ustionata. Ma applicato sul panno insanguinato o
sull’arma avrebbe risanato (seccato) la ferita, per un procedimento di
“simpatia”, favorito dai raggi del sole: la luce del sole, trasportando gli
atomi, avrebbe catturato quelli della ferita e quelli del sangue sul panno o
sull’arma, combinandoli per simpatia nella forma della guarigione. Per questo
Digby divenne baronetto, oltre che famoso – ufficialmente Giacomo I lo insignì
del titolo in ricompensa per i servizi da Digby offerti al figlio Carlo a
Madrid, dove l’erede al trono inglese cercava moglie.
Ne
“L’isola che non c’è” Eco fa rientrare anche l’unguentum armarium.
Yiddish - L’adattamento del tedesco parlato, semplificato nella
pronuncia, nella sintassi e nella trascrizione, si è sviluppato a partire attorno al Mille nella
Germani centrale come tedesco più semplice, anzi elementare, a uso delle donne,
come meno alfabetizzate. Specie le donne ebree - gli ebrei figuravano ai tempi
come più ignoranti, poveri e quindi ignoranti.
Questa etimologia
è ritenuta di fantasia, ma non ce n’è una migliore. Le altre sono presuntive, di
una comunità ebraica rispetto a un’altra.
Derivata dal gotico, che dal IV al XVII secolo sopravvisse in Crimea, e quindi
sarebbe la parlata dei cazari convertiti all’ebraismo. La parlata degli slavi e
baltici in area polacca, che si dicevano ebrei per non venire rapiti e venduti
come schiavi.
astolfo@antiit.eu