sabato 6 novembre 2021
Cronache dell’altro mondo repubblicane (148)
In Virginia, stato da sempre democratico, dove il presidente Biden ha vinto un anno fa con uno scarto su Trump del 10 per cento dei voti, il partito Repubblicano conquista per la prima volta i posti di governatore, vice, e Procuratore Generale. Con un programma di ristabilimento della scuola tradizionale.
Moro non era rassegnato – e non è quello del “santino”
Quel
che impressiona di più, a rileggere le lettere di Moro dal carcere, a parte il
fatto che il suo ragionamento politico era giusto, è la scelta dei destinatari.
Scrive ai familiari, ai collaboratori e alle istituzioni, compresi Andreotti in
quanto presidente del consiglio, e Cossiga ministro dell’Interno – al presidente
Leone, ai presidenti delle Camere, a Craxi, al segretario dell’Onu Waldheim. Ma, nel mezzo, a una scelta eteroclita di interlocutori, qualcuno nemmeno vicino a lui:
gli onorevoli Misasi, Rosati, Dell’Andro, Pennacchini, i diplomatici Cottafavi
e Malfatti di Montetretto - Cottafavi forse sì, ma Malfatti veniva dai “Mau-Mau” di Fanfani.
C’erano messaggi trasversali nei destinatari? Pennacchini presiedeva il
comitato parlamentare servizi segreti. Misasi potrebbe stare per Sismi, perché
no – Moro scrive di aspettarsi molto dalla “intelligenza ed eloquenza” di
Misasi, che era un taciturno. C’è più di una volta l’allusione alla volontà delle
potenze, cioè degli Stati Uniti, dietro la decisione di non trattare.
Soprattutto
c’è il ragionamento, giuridico e morale, della salvezza di un ostaggio. Inoppugnabile, già nella prima lettera
a Cossiga ministro dell’Interno. Primo, sono processato in quanto presidente Dc
e non in quanto Moro, per le “responsabilità
della Dc”. Secondo, usa in Francia e in Germania non trattare con i terroristi, ma in Germania nel 1975, quando
il leader dei democristiani di Berlino Lorenz faceva campagna per l’elezione a
sindaco e fu rapito dai terroristi (da un Movimento 2 Giugno), il governo
federale di Bonn due giorni appena dopo il rapimento trattò la liberazione,
rilasciò cinque anarchici e pagò un riscatto, e Lorenz già cinque giorni dopo
il rapimento era libero. Non c’era stato a Berlino un eccidio, come a via Fani
(di cui Moro non sapeva), ma non trattare non era comunque una risposta, era solo una condanna
a morte. Qualcosa da eccepire? Un ostaggio va comunque salvato.
Ripubblicate
da Gotor per i trent’anni, nel 2008, con un ricco apparato, il doppio delle
lettere, molte informazioni se ne ricavano, ma non sul senso del rapimento, e
del messaggio (le tante lettere – di cui molte fra le prime sono di testamento….). Non parla mai degli uomini della scorta, eppure li aveva visti morti, nel sangue. I carcerieri ne hanno selezionato le lettere? O è - in Moro era forte - l’albagia del cattedratico, ancora in faccia alla morte? Non parla mai dell’ Italia, che pure usciva da un momento molto difficile, il primo shock petrolifero e finanziario, e si apprestava a entrare in una seconda crisi altrettanto pericolosa.
Il “santino” Moro è già più che abbastanza celebrato, la storia vorrebbe di
più. Per esempio di svincolare Moro dal
“santino”, di martire del futuro partito Democratico, ex Pci e ex Dc messi
insieme. Essendo notorio, testimoniato, documentato, che Moro accedette al
compromesso storico per necessità e non per scelta, temporeggiando, nella
forma deteriore dei governicchi Andreotti. In anni di gravissima crisi
finanziaria per l’Italia, dopo il primo shock petrolifero, nell’autunno del 1973 - la Banca d’Italia aveva le riserve
monetarie ridotte a 500 milioni di dollari, niente.
Ma
non c’è solo l’accoppiata incongrua Moro-Berlinguer. Nelle lettere c’è una
presa di distanza, anzi una condanna,
della Democrazia Cristiana, ripetuta, argomentata, che dice e non dice, e
lascia morire Moro, senza colpa. A partire dal fidatissimo “Zac”, Benigno Zaccagnini,
ora vituperato con parole nette, per l’inerzia, l’incapacità, perfino l’immoralità
– salvare una vita, quando se ne ha l’opportunità, è un obbligo.
Aldo
Moro, Lettere dalla prigionia,
Einaudi, pp. 400 € 13,50
venerdì 5 novembre 2021
Cronache dell’altro mondo - razziali e di genere (147)
Il Senato del Texas ha passato una legge
che impone agli atleti di gareggiare secondo il sesso di nascita, per evitare
la competizione nelle gare femminili di atleti maschili di nascita – una legge
femminista?
L’imprenditore repubblicano Glenn
Youngkin, nuovo governatore della Virginia, una roccaforte democratica, ha associato
come sua vice in campagna elettorale, eletta ora con lui, una giovane
afroamericana, Winsome Eral Sears, la prima donna, e donna di colore, alla
carica in Virginia, immigrata da pochi anni con i genitori dalla Giamaica.
Repubblicano è nella democratica Virginia
anche il primo ispanico Attorney General.
Youngkin, che ha basato la campagna elettorale
sul diritto all’istruzione, si è impegnato ad abolire per decreto (executive order) l’insegnamento della storia
americana secondo la critical race theory, come una storia cioè di razzismo. .
In una contea del Texas a predominanza
latina, nel voto amministrativo del 2 novembre, il 75 per cento ha votato repubblicano.
Ombre - 586
“Ho
sentito tutti, e poi decido io”, Salvini dopo avere riunito i parlamentar della
Lega sulle critiche di Giorgetti. Era così anche al tempo di Bossi, con Maroni –
anche se si poteva allora arguire che Bossi, essendo il fondatore e il
veggente, era intoccabile. La Lega, molto lombardo-veneta, molto settentrionale,
si direbbe un partito del Capo nella Scienza politica. Ma il capo della Lega è
nei fatti un sciamanno, un predicatore.
Giorgetti
è simpatico, e non è trinariciuto. Però, l’idea di fare di Draghi un presidente
della Repubblica che fa anche il presidente del consiglio, ma questi leghisti,
come ragionano? Va bene niente studi, pazienza, ma un minimo di senso?
Il
provvido Gasperini regala due gol a Cristiano Ronaldo. Quanto basta per farne l’eroe
della giornata, invece di Dybala, che di gol ne ha fatti due di suoi, altri li
ha quasi fatti, e altri li ha fatti fare. Il calcio inglese è über alles – o è questione di scommesse?
Quanto hanno fatto le scommesse online, prima e dopo la liberalizzazione in
Italia, per “lanciare” il calcio inglese . in Italia come altrove?
Conte
prende al Tottenham, squadra di secolo rango inglese, il doppio di quanto
prendeva all’Inter, squadra blasonata in Italia. L’Inghilterra, il
thatcherismo, il mercato, con i nobilastri arabi e i furfanti russi, hanno
ammorbato anche il calcio.
Sulla
Cop26, la conferenza di Glasgow, che si sa non prendere nessuna decisione sul
clima, l’ “Economist” fa la copertina, con molti articoli. Certo l’ “Economist”
non è l’Italia, ma un minimo di riflessione sul G20 romano? L’opinione pubblica
è dappertutto provinciale, nazionalista.
Anche
in Italia fa più cronaca Glasgow che Roma, malgrado i tanti risvolti, anche pettegoli,
di costume , curiosi, che hanno infiorettato l’assise romana. I media italiani
si regolano secondo i media internazionali, cioè anglosassoni. Il nazionalismo
in questo senso paga – c’è ancora un nazionalismo in Inghilterra, potenza
decaduta da qualche decennio, e negli Stati Uniti, che si vogliono al tramonto.
È
di prammatica, nelle grandi assise internazionali, che i leader di Germania,
Francia e Gran Bretagna, a Roma Merkel, Macron e Johnson, si facciano ritrarre
col potente di turno, a Roma il presidente americano, come a dire: “L’Europa,
eccola qua”, dei tre imperatori. Una furbata, una misera cosa. Oggi perfino con
l’anti-europeo Johnson. Ma non c’è altra Europa.
Halloween
è la Festa dei morti (Dia de los muertos)
messicana, pre-colombiana. Copiata in tutto e per tutto, nella ricorrenza, le
maschere, i vegetali intagliati, la sfida alla morte. Ma è un’origine che
nessuno studio contempla, nemmeno in questi tempi di critical race theory. Gli studi etnografici, di Frazer compreso,
solo vanno alla ricerca di radici celtiche, se non
germaniche.
Al
tempo della nemicissima Unione Sovietica, Mosca si faceva un dovere di onorare sempre
e comunque le forniture di petrolio e di gas. Che enti e paesi occidentali non
si facevano scrupolo di comprare, malgrado la cortina di ferro e le bombe
atomiche. Poi con Putin, che pure non è tanto temibile come Brenev, l’Europa ha
fatto la faccia offesa per la Crimea, e ora si lamenta di non avere il gas di
cui ha bisogno, o di non averlo a prezzi considerati. Putin non è certo peggio
di Breznev. L’Europa che cosa è?
Va
alle stelle il prezzo del gas, di cui ci sono riserve sterminate nel mondo.
Contro quindi tutte le regole di mercato: è carissimo un bene disponibilissimo
in quantità illimitate.
Un
altro paradosso – ma è una stortura, una stupidaggine – è che il prezzo del gas
triplica e quadruplica proprio mentre le cosiddette assise internazionali del
clima lo mettono fuori corso. Per farlo pagare ancora più caro?
Fellini filologo, con Zanzotto
Una
lettera di Fellini iperletterato, che chiede aiuto a Zanzotto, dovendo doppiare
il “Casanova”, “spericolatamente girato in inglese” già nel 1976), per una
fonetica veneta. Che non sia però un dialetto comune, intende goldoniano,
allora si rappresentava molto Goldoni, in teatro e in tv, “raggelato in una cifra disemozionata e stucchevole”
– una lettera da leggere per intero, Fellini era molti Fellini. Zanzotto risponde
con una plaquette - il nucleo di
questa riedizione, insieme col poemetto “Filò” - di una ventina di
composizioni, in lingua e in veneto-veneziano, inventato ma dal suono
verosimile: armonioso, liquido, scivoloso. Con una parafrasi-variazione del
“Cantico dei cantici” che è invece riprodotto (arrangiato) in latino – un
latino alla san Gerolamo.
Un divertimento e un saggio di fine cultura – due
divertimenti, e due saggi. Un blocco di eptastici (strofe di sette versi), con
invocazione aggiuntiva a Venezia, Venaga, Venusia – “Recitativo veneziano”. E
una “Cantilena londinese”, a proposito della gigantessa veneta che Casanova
incontra a Londra, finita “in un miserabile luna-park, in seguito a un
matrimonio infelice”.
“Questi
due componimenti li avevo già scritti”, annota Zanzotto. Come per una sodale,
naturale, complicità o identificazione con Fellini. E li fa seguire da una paginetta
che è una dottissima disquisizione sul dialetto, suono e immagini, “destini e
«comportamenti» - “restava per me, e resta, l’incognita del «dialetto», della
sua scacchiera particolarmente infida”.
Un
gioiellino. La plaquette originaria,
Edizioni del Ruzante, 1976, con disegni di Felini, e una introduzione di Cristiano
Spila. “Recitativo
veneziano” è in italiano e
in veneziano inventato, casanoviano nel senso che è pieno di riferimenti
sessuali. “Cantilena londinese” è una filastrocca, in petél, il
linguaggio infantile, sperimentato da Zanzotto già nella raccolta “La beltà”,
che distorce le parole e crea nonsense
– teorizzato in “La beltà” come un controcanto alla lingua, una sorta di
liberazione dall’angustia delle regole; un linguaggio inventivo come già Dario
Fo usava in teatro.
“Filò”,
una seconda sezione, aggiunta alle due iniziali per Fellini, è scritto in dialetto
trevigiano.
“Filò”
e “Per il Casanova” sono inclusi nel volumone Oscar “Tutte le poesie”.
Andrea
Zanzotto, Filò. Per il Casanova di Fellini, Einaudi, pp. 84, ill. € 9
giovedì 4 novembre 2021
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (473)
Giuseppe Leuzzi
A colloquio
con Martini sulla “Stampa”, l’ex ministro socialista Rino Fornica ricorda. “Nel
1944 conobbi Benedetto Croce nella villa dell’ingegner Laterza. A un certo punto,
parlando di violenza politica, Croce disse: “Vi siete mai chiesti come mai in
Italia non c’è stato un corpo spietato come le SS? Rispose: da noi poliziotti e
carabinieri sono tutti ragazzi del Sud, ragazzi di buon cuore. Pensate invece
se fossero stati tutti toscani…”.
Il V Congresso
del Pci, “il primo legale”, tenuto a Roma a fine 1945, propose l’affido temporaneo
dei bambini poveri dei quartieri disastrati di Roma, Napoli, Cassino, a causa
dei bombardamenti, presso famiglie dell’Emilia-Romagna. “L’accoglienza fu al di
sopra di ogni aspettativa”, racconta Miriam Mafai in “Una vita, quasi due: “Migliaia
di bambini affamati, storditi e irrequieti vennero nutriti, rivestiti, mandati
a scuola, curati”.
Poi, negli anni
1970, in Romagna i casolari abbandonati furono murati perché non li occupassero
immigrati dal Sud. La politica ha un ruolo.
Maurizio
Costanzo, omaggiato con una pagina da Cazzullo sul “Corriere della sera”, si
supera. “Intervistai Trump a New York, dopo l’11 settembre. Gran paraculo”,
dice: “Poi andai al Madison Square Garden a parlare con gli italoamericani. Lì
ho capito cos’è la ‘ndrangheta”. Cioè? “Tutti tenevano in casa la foto di
Mussolini. Una volta, nel New Jersey, chiesi del bagno: aveva rubinetti d’oro”.
Quelli ce li aveva anche De Mita a Nusco, li vendono negli (ex) “smorzi”, i negozi di sanitari.
Nordici e latini
Sul
piroscafo tedesco su cui fa ritorno in Europa nel 1938, dal Messico dove si è
recato per il reportage “Le vie senza
legge”, Graham Greene trova la
segregazione: “Sembrava vi fosse a bordo una quantità di spagnoli - si poteva
riconoscerli all’accento – ma i camerieri li segregavano accuratamente per i pasti,
un servizio per i latini ed uno per i nordici”.
Quando uno dei
cuochi “balza”, o cade, “fuori bordo” e il piroscafo blocca la marcia - “più di
quattro ore navigammo in cerchio, cercandolo” – “qualche segno di irritazione
si fece manifesto tra i nordici: una specie di leggero odio rabbioso per l’uomo
che aveva causato loro un contrattempo. Quanto ai latini, non se ne curarono
per nulla”.
Nord e Sud “pari
sono”, si potrebbe dire col Duca di “Rigoletto”.
“Vi è
qualcosa di spaventosamente mondiale”, commenta poi Greene, “in una nave quando
si è liberata dalle acque territoriali. Ogni nazione ha la propria privata
violenza”. Succede perfino, pare, sulle navi da crociera. E dunque è meglio non
provarci con gli ammassamenti in aree circoscritte, con le unificazioni?
Il reddito del Sud
Fa senso, al netto
del “colore” della comunicazione oggi d’obbligo anche per le forze dell’ordine,
il numero delle truffe sul reddito di cittadinanza, e la “qualità” delle stesse,
accertate dai Carabinieri nei quattro mesi estivi in mezzo Sud, Campania, Puglia,
Basilicata, Molise, Abruzzi. I tanti con carichi penali, perfino capimafia in
attività, quelli con la Porsche o la barca, imprenditori di vario genere,
gestori o proprietari di appartamenti, garage, scuole di ballo, 9.247 abusivi
tra le (poche) decine di migliaia di
casi analizzati - “c’è persino chi si è inventato di avere dei figli”.
Poi ci sarebbero
– qui non c’entrano i Carabinieri, ma ognuno lo può vedere - tutti i percettori
del reddito di cittadinanza per i quali “è sempre meglio che lavorare”. E
questi sono soprattutto giovani, che tardano a farsi un mestiere – i mestieri vano scomparendo al
Sud, trovarvi un idraulico, un falegname, un elettricista è più difficile che a
Roma.
Una goccia,
un’elemosina. Un abito mentale? Il bisogno c’è, e si diffonde in Italia, in tutta
l’Italia, la povertà è in aumento, il sussidio è sempre più necessario. Ma fra
i giovani?
Il “santino” di Giuditta Levato
Nel movimento
contadino per l’occupazione delle terre, dagli Abruzzi alla Sicilia, nel dopoguerra,
si distingue quello delle province calabresi di Catanzaro e Cosenza – oggi di
Crotone - sul versante jonico. Avviato per primo a fine 1944 grazie alla legge Gullo, così denominata dal
ministro dell’Agricoltura, socialista di Cosenza, che riconosceva a cooperative
di contadini il diritto di coltivazione di terre abbandonate o incolte, seppure
di proprietà – il racconto, romanzato solo un poco, è di Mario La Cava, “I
fatti di Casignana”. Nei contasti tra i contadini e i proprietari, che risposero
alla legge Gullo avviando in varie prefetture pratiche per la restituzione dei
terreni, si ebbe un incidente mortale, il 28 novembre 1946, a Calabricata, nel
comune di Albi, poi denominato Sellia Marina, in provincia di Catanzaro. Nel corso
di una contestazione fra i contadini coltivatori e il proprietario Pietro Mazza,
un colpo partito, non si sa quanto accidentalmente, dal fucile di un guardiano
del Mazza ferì una giovane donna, Maria Levato, 31 anni, madre di due figli e
in attesa del terzo. Ferita all’addome, Maria Levato fu trasportata dapprima a
casa, e poi all’ospedale, ma non resse alla ferita.
Miriam Mafai
ne fece il “santino” per conto del partito Comunista – come racconta nell’autobiografia,
“Una vita, quasi due”, p.97: “Giuditta Levato, già madre di due figli e incinta,
viene uccisa dalla pallottola di un agrario, e diventa rapidamente il simbolo
di queste battaglie (per l’occupazione delle terre, n.d.r.). Il Pci preparò in
suo onore quel che chiamavamo un «santino», con la sua immagine e, sul retro,
poche parole che ne ricordavano il sacrificio. Fu Luigi Longo a volere che
preparassimo questa sorta di immagine sacra, fui io a scriverla anche se a
distanza di tanti anni non ne ricordo il testo. Ma è possibile che abbia
inserito le parole che la giovane donna pare avesse pronunciato, prima di
morire, a chi le stava accanto: «Ai miei figli dirai che sono partita per un
lungo viaggio, ma che tornerò…»”.
Calabria
Si dice gli
Abruzzi e le Puglie, ma la Calabria. Mentre è, da tutti i punti di vista,
linguistico, mentale, economico, ambientale, anche naturale – sono diversi i mari,
seppure con lo stesso nome, le montagne, le campagne - le Calabrie, come lo era
nel Regno borbonico. Le differenze sono enormi, storiche e culturali, l’unità è
solo geografica, il “piede”, la lunga penisola appesa al troncone appenninico.
La varietà può essere un asset. Oppure un handicap: la politica è in
Calabria sezionata, localistica, e quindi inefficiente – inutile quando non è
dannosa.
Nello
scandalo Monte dei Paschi di Siena, il più grave scandalo bancario dopo quello
della Banca Romana degli anni 1890, l’unico colpevole accertato è Giuseppe
Mussari, di Catanzaro. Uno dei calabresi che saranno ferali a Massimo D’Alema –
l’altro è il calzolaio che gli forniva le scarpe milionarie. D’Alema dunque
come un piccolo Giolitti senza un (quasi calabrese) Salvemini . che lo accusi,
ma affossato da due calabresi?
Vanta 180
vitigni antichi, “autoctoni”, un record,
tra cui i rossi gaglioppo e magliocco, e i bianchi greco, mantonico e
pecorella, e non produce quasi vino. Giusto 90 mila ettolitri l’anno, poco più
della Basilicata - ultima regione in Italia per la produzione di vino, se si
eccettua la valle d’Aosta. Il Molise, con una superficie di un quarto, poco
meno, e altrettanto montuoso, ne produce due volte e mezzo.
Giovanni
Visconti Venosta, sedici anni, di famiglia nobile, scende a fare la rivoluzione
a Milano a marzo del ’48 contro l’Austria, armato” di “un distintivo di protesta”,
una coccarda tricolore, e “con il suo bravo cappello alla calabrese, indossato
in quei giorni da chi volesse ostentare i suoi sentimenti di italianità”
(Luciano Bianciardi, “Il Risorgimento allegro”, 9). Nei giorni delle Cinque Gornate di Milano che accesero il Risorgimento.
Maurizio Fiorino,
dopo Peppe Smorto, sente il bisogno di raccontare tipi simpatici incontrati
quale e là per la Calabria, giovani soprattutto. Storie volutamente non singolari, giusto normali – lo fa la settimana del 18
settembre su “D\Lui” di “Repubblica”, il supplemento generato dalla vulcanica
Palermi. La Calabria non sa – non riesce, non le è consentito – trovare una normalità,
di fare, di pensarsi. Sempre di fretta, sempre in fuga, irriflessiva.
La Camera di
Commercio di Cosenza fa un concorso giornalistico per chi presenta al meglio la
Calabria. Non necessariamente per apprezzare, ma fuori dai cliché. È un
tema che questa rubrica ha agitato fin dall’inizio, quindici anni fa, dell’immagine,
del “discorso su”. Compresa, come dice il presidente della Camera di Commercio
di Cosenza Klaus Algieri, l’immagine che se ne fanno “gli stessi calabresi” –
l’odio-di-sé è il peggior veleno.
Il freddo
s’addice ai calabresi? “C’è tanta espressività nella faccia dei calabresi”,
annota la giovanissima viaggiatrice inglese Emily Lowe nel 1855 nel suo “Donne indifese in Calabria”, “che vi
si può leggere tutto quello che hanno in mente, per cui non c’è motivo di
considerarli con sospetto. Erano di gran lunga gli uomini più belli che
avessimo visto, in quanto il freddo degli inverni calabresi conferisce loro una
freschezza quasi inglese”.
“Tutto
all’estremo, come i loro fiumi”, ancora la giovanissima Lowe trova “i
calabresi”: “Che o precipitano in torrenti impetuosi , o si seccano lasciando
un alveo arido e duro, ma non scorrono mai abbastanza lentamente per
riflettere”.
Fu
“L’Arlesiana” di Francesco Cilea, il compositore di Palmi, a lanciare la
carriera di Enrico Caruso. Fu con “I pagliacci”, opera ambientata in Calabria, dove
Leoncavallo aveva vissuto da bambino, con l’aria “Vesti la giubba”, che Caruso
ebbe il suo maggior successo, al Metropolitan di New York.
“Quantum
(poco) mutatus ab ille”, mutata nel caso della Calabria. A sfogliare lo
speciale che “Il Ponte”, la rivista fiorentina, dedicò alla Calabria nel 1950,
un numero doppio che diventò quadruplo. Nel reprint organizzato da Gianfranco
Manfredi e Pantaleone Sergi presso la Bios di Lamezia “La Calabria quale era e
qual è” viene dato come il titolo dello speciale. Ed è come la regione si fosse
fermata a settant’anni fa, con meno energie – idee, personalità, progetti,
voglia.
Molti i
titoli, di autori calabresi, del tipo “Calabria sconosciuta”, “Terra
incognita”. “Storia segreta”. Di fatto la Calabria è sconosciuta ai calabresi.
Proiettati, dalla scuola, dalla storiografia (quella locale è solitamente dilettantesca),
dalla letteratura, fuori di sé. Salvo per tristi eventi e personaggi, più
spesso per i cliché di eventi e personaggi, impositivi e ripetitivi, immutabili
nei decenni. Senza la grandiosità o il fascino del gotico, del noir -
protervia e basta.
“Le parole di un
grande scrittore” ritornano alla memoria della protagonista di “Dove mi trovo”,
il racconto italiano della scrittrice indo-americana Jhumpa Lahiri, quando dalla terrazza di
case osserva il sorgere del sole: “Io, dopo un poco, fuggo interrorito all’ombra…”,
il sole riducendolo “un elemento ancora più piccolo di questa terra, un verme o
una pianta…”. È Corrado Alvaro, un racconto de “Il mare”.
leuzzi@antiit.eu
Gadda storico, comico
L'“ironia
demoniaca” (© Citati?) del risvolto alla prima edizione Gadda esercita sui
tre Luigi di Francia, il XIII, il XIV e il XV, insieme col gusto del pettegolezzo
e il pessimismo della storia del duca di Saint-Simon, dal quale attinge i
suoi aneddoti – Giulio Cattaneo, compagno di banco di Gadda alla Rai, lo
attesta nel primo memoriale sull’Ingegnere, “Il gran Lombardo”: “Saint-Simon
era uno dei suoi autori prediletti, e anche il cardinale De Retz”. Gadda si diverte a fare il Gadda, i Luigi di Francia sono comodo bersaglio per le frecciatine del suo scontento. Intrighi, splendori, genialità (Molière),
squallori, gemme e malattie, passioni e odi, con condimento di veleni.
Marina
Bertoldi riedita con notevole apparato un testo collazionato da Citati per Garzanti,
in fretta nel 1964, a ridosso del successo del “Pasticciaccio”, inventariando
l’enorme massa di inediti dell’Ingegnere, per sfruttare il successo finalmente
di pubblico. Traduzioni per lo più, animate solo un poco da Gadda. E quel poco
con scarsa perspicuità. La regalità e l’eleganza della corte dei Luigi – dopo
Gadda, in questi ultimi sessant’anni, ben diversamente scandagliata, ma anche
prima. Lo splendore della Montespan – a patto di non ricordarsene i ritratti.
L’occhio vivace e l’intelligenza di Mazzarino. Il genio di Molière,
naturalmente, contro venti e maree. La tristezza giovanile di Luigi XV – che però
non sarà re libertino, procuratore di una notevole massa di testi licenziosi?
Saint-Simon
amava i pettegolezzi, e Gadda ne fa tesoro. Il viso di Maria de’ Medici, la madre
di Luigi XIII, tronfio, gioviale, soffuso di una “ombra di ocaggine”. Il
francese di Mazzarino “di timbro siculo-romanesco”, e biascicato, al punto da
trasformare “il «decreto di unione» (arrêt
d’union)…in un arresto di cipolle: in un «arrêt d’oignons»”. Luigi
XIII è malaticcio e detesta “di tutto il cuore il gentil sesso” - e com’è che
riesce a dare alla Francia un “marmocchiaccio”? Luigi XIII,
ancora lui, è un “falso Luigi”, figlio di un Orsini – ma allora Maria de’ Medici,
la madre, non era proprio oca? Questa la dicevano gli Spagnoli, i nemici della
Francia, ed è derivata da Michelet, “Histoire de France”, anch’essa in molti
volumi come le “Memorie” del duca. Sempre in questa chiave, mater semper certa, pater nunquam, e sempre
da Michelet, viene “Giacomo I d’Inghilterra, il figlio alquanto slombato di
Maria Stuarda e del cantante Rizzio”. Quanto al Re Sole, “l’affermazione
recisa, vigorosa della regalità coincide col ‘regno’ della Montespan. La
mediocrità francese (dice uno storico francese) supera allora se stessa,
raggiunge le altezze, le cime sconosciute” – con Montespan?
Sono
testi compilati, per molti indizi, prima della guerra. La ripicca antifrancese è
costante. “In Francia, la istituzione della camera ardente (è) creata a
perseguire gli avvelenatori e le avvelenatrici” – “persone d’ogni ceto e d’ogni
rango hanno avuto a che fare coi veleni, coi relativi processi”. Con una
curiosa conclusione – dopo la “tragicommedia” delle tasse, dell’imposizione
fiscale: l’opposizione alla monarchia nasce perché nessuno vuole pagare le
tasse.
Anche
l’amato Manzoni si era cimentato con la storia, dei Longobardi, della Rivoluzione francese, ma con
applicazione, sulle fonti, e la critica delle fonti. Questo Gadda è un cronista
giornalistico, coscienzioso ma disimpegnato. “Gadda storico” era la fascetta
inventata da Citati-Garzanti nel 1964, con l’aggiunta: “libro prezioso e
divertente”.
Degne
di nota le numerose tavole fuori testo, di personaggi, ambienti e situazioni, collazionate da Citati-Garzanti già alla prima edizione.
Carlo
Emilio Gadda, I Luigi di Francia,
Adelphi, pp. 305, ill. € 15
mercoledì 3 novembre 2021
Senza Trump, tornano i repubblicani
In Virginia, nell’Election Day
2021, il governatore uscente democratico, Terry McAuliffe, è sconfitto da un
uomo d’affari, Glenn Youngkin, repubblicano. Youngkin, prendendo le distanze in
campagna elettorale da Trump, avrebbe riportato alle urne gli elettori
repubblicani moderati che hanno disertato il voto presidenziale un anno fa. Ma
sostiene la stessa politica anti-immigrazione di Trump, e ha detto che
abolirà per decreto (“ordine esecutivo”), come proponeva Trump, l’insegnamento della storia a scuola secondo
la Critical Race Theory, sul presupposto di una storia degli Stati Uniti basata
sugli scontri razziali.
Nel New Jersey, altro
Stato dove si è votato per il governatore, il democratico Philip Murphy, governatore uscente, eletto nel 2017 col 56 per cento, supera il repubblicano Jack Ciattarelli per
pochi voti, a scrutinio ancora aperto. Nell’ultimo sondaggio elettorale, la
settimana scorsa, Murphy era dato avanti di 11 punti. Anche in New Jersey la campagna
prudente del candidato repubblicano avrebbe portato al voto molti indecisi.
Problemi di base alimentari - 668
spock
Perché le castagne si possono gonfiare con
l’acqua?
Anche la carne francese, con gli estrogeni?
E le patate con meno silicio?
Perché del pollo del supermercato al forno
rimane poco più delle ossa?
Perché si vendono come pomodori incroci
che di pomodoro hanno solo il colore’
C’è latte nel latte?
Di che sono fatte le nespole spagnole, a
ottobre?
spock@antiit.eu
Il giardino suona
Maina,
animatore e musicista, l’ha sperimentata a Ferragosto e l’ha riproposta per
l’Ottobrata romana, sempre nello stesso sito, Villa Sciarra, sempre nello
stesso programma, Giardini del Suono: l’installazione musicale è site-specific. Nel quadro di un progetto
comunale, prodotto da Roma Culture, che dovrebbe portare ad animare “l’ambiente floreale, botanico e
naturale ma anche estetico e monumentale”. Suonano, risuonano, le acque e l’aria:
le fronde, le fontane, le persone in movimento.
Le installazioni di Maina sono particolarmente sensibili nel piccolo
emiciclo dei Dodici Mesi,
al centro del quale il visitatore anima con i suoi movimenti una scansione
musicale originale, e alla Fontana dei Putti, i cui zampilli si trasformano in
suoni concertanti. Una sorpresa, e insieme
l’apertura di una vasta area sensoriale incognita, quella dell’udito - spotify
e le cuffie non sono propriamente fatti per sviluppare l’udito quanto per
ottunderlo.
Valerio
Maina, Water in music, installazione
Villa Sciarra, Roma
martedì 2 novembre 2021
Il giorno dei morti
Cimitero
C'è
luce, ma senza domani,
Fiori
che ridono senza profumo,
E pure
il passato
Torna
confuso
Eccetto
che di una cosa,
L'amore
dei morti per il figlio
Anche da
vecchi, malati, umiliati,
Il
sorriso dentro generoso.
Divertirsi con i matti
Da
un’idea geniale dello stesso regista, un filmetto semplice e avventuroso
(sceneggiato del documentario cinque ani fa dello stesso De Biasi, sull’esperimento
condotto dallo psichiatra Santo Rullo – “Crazy for football aveva vinto il
David di Donatello 2016): un campionato mondiale di calcio fra squadre nazionali di matti. Di calcetto a
cinque, con la mobilitazione però di gran numero di “convocati”.
Sergio
Castellitto, lo psichiatra visionario, e Max Tortora, il mister recuperato alla
solitudine della vedovanza, e della tombola, gigioneggiano il giusto, quanto basta
per allentare la tensione del fatto vero. I matti si divertono, pur tra le mille
irrefrenabili paturnie, voci, visioni, madri divoranti, padri, e divertono. Con un pizzico
giusto di dramma.
Una produzione, si vede, svelta, e a basso costo, ma
riuscita.
Volfango
De Biasi, Crazy for football. Matti per
il calcio, Rai 1
lunedì 1 novembre 2021
Secondi pensieri - 461
zeulig
Anarchia – L’approdo di un
liberalismo conseguente, secondo la migliore dottrina liberale, Constant e
Croce compresi. Ma una configurazione diversa ne emerge con l’emergenza covid.
È emersa con l’emergenza, ma già in atto, da qualche decennio, negli Usa, e quindi in Europa: la dittatura delle
minoranze. La protezione dei diritti dei singoli che prescinde dal fatto
specifico per imporsi come legge pe tutti. Che sia la razza o colore della pelle,
il sesso, la lingua, come ora con la libertà di vaccinarsi, o anche di negare
il virus. Una sovversione nel nome delle minoranze. Ma non nel senso del diritto uguale per tutti, in quello
della minoranza impositiva. È illogico che l’anarchia sfoci nel totalitarismo,
e antistorico. Ma è un fatto.
Chiesa – È la prima
democrazia. E lo resta, nell’organizzazione, nella cooptazione aperta. Col
potere di nomina molto temperato, anche dal voto. Anche nella ricchezza e bellezza
dei suoi templi. A condizione che siano sfoggiate – usate.
La democrazia nasce e si articola nella chiesa. E nella chiesa-tempio
è assoluta: il ricco e il povero si costeggiano, dialogano nella preghiera, si
affiancano nella comunione, eucaristica e parrocchiale, comunitaria: tutti
uguali di fronte a Dio, al confessionale, nella pratica, pia e non. Ricchezza e
bellezza sono a beneficio di tutti, e una consolazione e un sostegno per i
poveri e i deboli.
Dio – Nel credo giansenista
si trova Dio soltanto quando si teme
di averlo perduto: solo la disperazione conduce alla speranza. Una morale
involontariamente consolatoria?
Felicità – È breve, e
sempre “perduta”. Mario Soldati ottantenne (“Paseo de Gracia”) la identifica
nella “Nona” di Beethoven, all’adagio
molto, al cantabile, della
tempesta che scema “sottovoce, con un
fruscio unito e leggero, quasi un mormorio d’attesa”. Una sospensione? Una
“melodia non sviluppata”, non più ripresa: “La udiamo due volte sole”, ripetuta
“pari pari dagli strumentini come una lieve eco, un appunto segreto, un sacro pro-memoria”.
E presto svanita: “Non ritorna più, nella musica, il breve cantabile della felicità perduta. Non ritorna più, nella vita, la
felicità”.
Giansenismo – Il nucleo
della dottrina di Giansenio è la predestinazione: anche dopo la venuta e il
sacrificio di Cristo la grazia non è per ognuno, ma solo per i predestinati, coloro
a cui Dio imperscrutabile concede la grazia – la fede cioè e la salvezza. In
subordine, vengono in Giansenio il rigorismo morale, l’episcopalismo, e la Bibbia,
con i Padri della chiesa.
Tutte le subordinate sono state assunte dalla chiesa romana post-conciliare.
Adotterà anche la predestinazione?
Infinito – Il “cosiddetto
infinito”, si dice, cioè “l’universo del possibile”. Cioè l’infinito. Il paradosso-pleonasmo
è illustrato dallo scrittore Tabucchi nel saggio-conferenza “Chiardiluna” (ora
in “Di tutto resta un poco”): “L’universo, assicurano (gli astrofisici), è
una materia prodotta da una scintilla primordiale:
il Big Bang. In quanto materia, è in espansione nel nulla, e anche se è incommensurabile
possiede un perimetro, cioè è finito. E se l’universo è finito, non c’è niente
di infinito in lui a parte l’immaginazione umana che ha saputo concepire il concetto di
infinito. Il paradosso consiste nell’aver concepito l’idea dei numeri infiniti in
matematica per misurare un universo finito in fisica”.
Lettura - È funzione
“occidentale”, delle “religioni del libro”, islam compreso (dove la scuola è
iniziazione al Libro). Nel culto indù non ci il “libro”, un testo scritto. Non
si dà ai fedeli, per lo più analfabeti,
qualcosa da leggere o cantare. In Cina la scrittura è un mezzo estremamente
selettico – specialistico, complesso – e quindi la lettura. Le biblioteche sono
occidentali.
Pax Romana – O
dell’imperialismo: il sogno (l’ideologia) dell’imperialismo: esportare, fare,
la cultura degli altri, di ognuno, di tutti. In una linea di progresso, ad majora, nell’uguaglianza del diritto
– in un situazione di diritto. Mutuata dall’impero romano, dall’uniformità di
legge e linguaggio che per secoli si è (è stato) imposto nel mondo antico. Per
poi alimentare, col Rinascimento nel Cinquecento, il principio dell’unità (Frances
Yates, “Astraea”, il cui sottotitolo è “The Imperial Theme in the Sixteenth
Century”). Al quale si era conformato il cristianesimo romano. Un principio,
un’idea, risuscitata (riprodotta) contemporaneamente dagli imperi coloniali,
della conquista come civilizzazione, o adesione-costrizione a un modello
unitario di civiltà e cultura. Sotto la spinta inizialmente e la benedizione
della chiesa.
La pax americana ne è
l’ultima espressione? Fallita, anche se vincitrice, per l’americanizzazione del
Vietnam, della Cina – non della Russia. Si dirà dell’America come della Grecia di
Orazio, che conquistò Roma vittoriosa? Ma allora dopo averci provato con
numerose guerre “di civiltà”, dopo l’instaurazione della stessa pax nel 1945, tutte perdute o quasi.
Verità – È femmina – come il genere
grammaticale greco-latino? Analizzando il percorso d’inveramento come quello della
procreazione e la nascita – il parto.
Così è perlomeno in Platone, nello stesso “Simposio” che fa agire
Socrate come maestro di verità. Per il
fatto stesso che il dialogo introduce Diotima di Mantinea, sacerdotessa
straniera di cui Socrate, la voce cioè di Platone, sostiene di essere stato allievo.
Allievo di una “maestra di verità” – l’unica donna (nome, personaggio) femminile
della filosofia greca. Che la sua parte nel dialogo articola come metafora della
gravidanza e del parto, le funzioni di cui la donna è unica detentrice.
Funzioni maggiormente gravide (imponenti) nella classicità greca, che ne fa
parte costituente del più ampio deinon
femminile - il tremendo, oscuro, terrorizzante femmineo: la maternità come via
alla verità mentre è lato oscuro – deinon
– della femminilità. La verità che viene dall’oscurità è ossimoro facile, ma
anche mito ricorrente – pregno, anche se di che cosa non si sa: mantiene vivo,
aizza, lo spirito di ricerca, il domandarsi. Posto che il domandarsi sia ciò a
cui si è ridotto, si deve ridurre, il pensiero. Sofia certo è femmina.
zeulig@antiit.eu
Senza religione senza legge
“Tra
l’1 novembre 1931 e il 28 aprile 1936, quattrocentottanta chiese cattoliche,
scuole, orfanotrofi, ospedali, furono chiusi dal governo o destinati ad altro
uso”, nella sola Città del Messico. Le stesse leggi furono applicate in tutto
il Messico. Gli officianti religiosi, e anche i praticanti, furono vessati come
traditori, e giustiziati a vista, dopo maltrattamenti e torture.
È
l’effetto laicizzazione, forzata. È l’effetto Stato. Lungamente e a più riprese
Greene inveisce contro: “Lo Stato… sempre lo Stato!” E “quanti idealismi”
non ha consumato, “si pensi ai Fabiani e
a Mr. Shaw nel suo abito di Jaeger” - firmato. Molto Greene esercita l’ironia.
Ma in un quadro di indignazione: “Forse l’unico organismo che nel mondo odierno
efficacemente - a volte con successo –
avversi lo Stato totalitario, è la Chiesa cattolica. In Germania motociclisti
distribuiscono l’enciclica papale (la “Mit brennender Sorge” di Pio XI, con
bruciante preoccupazione, e del cardinale Pacelli segretario di Stato, n.d.r.)
segretamente di notte; in Italia l’Osservatore
Romano ha stampato ciò che nessun giornale italiano osava stampare:
proteste contro il bombardamento di Guernica,
gli attacchi contro città aperte”. Nel Messico la ragione di Stato ha
fatto il peggio possibile nella storia, dopo l’Inghilterra della regina
Elisabetta – il regime elisabettiano ritorna più volte come termine di paragone
del potere assoluto ipocrita.
Tutto
questo vissuto nel 1938: al tempo della guerra di Spagna, che mobilita gli
scrittori, Graham Greene va in Messico – mentre a Londra si discute un processo
per diffamazione intentatogli da Shirley Temple. E scritto nel 1939, mentre a
Londra si fanno le esercitazioni per i bombardamenti aerei. Per denunciare le persecuzioni religiose - “La
lotta religiosa nel Messico 1938” è il sottotitolo di questo viaggio,
organizzato con l’editore Longman come controcanto alla questione spagnola, e
scritto in forma di corrispondenze. Greene, cattolico in questo momento devoto,
gira per tutto il Messico – fino al Chiapas, malgrado gli enormi problemi fisici di
avvicinamento, che lo portano alla depressione, il più radicalmente laico delle
province, dove i peggiori crimini antireligiosi si sono perpetrati. E
dappertutto trova facili pistoleros, sotto il grande cappello a cono, donne da
poco, corruzione, sporcizia, e capataz politici grassi e viziosi. Qualcuno di essi s’ingegna
di andare a trovare e intervistare, ma di malavoglia, tanto è sicuro che verrà ucciso presto dagli
avversari. Con contorno di turisti americani senza qualità. Unica consolazione
San Cristobal de las Casas, a 2.000 metri, nella Sierra Madre, al cuore del
Chiapas, dove si celebra infine messa, in stanze private, per la Settimana Santa.
La
Spagna incontra al ritorno. Il piroscafo è pieno di giovani, e gioani famiglie
con bambini, in “camicie azzurre con i fasci della Falange ricamati sulla tasca”.
Quando scrive, a Londra sotto la minaccia dei bombardamenti, non prende
partito: “Erano molto rumorosi e spensierati, senza bravate; si sentiva che
andare in guerra era una delle funzioni naturali dell’uomo”. E aggiunge: “Vi
era anche qualcosa di piacevolmente dilettantesco nel loro fascismo”.
Bizzarro
reportage, singolare, unico. Lo scrittore sapeva a cosa andava incontro, ma
non nelle forme dello squallore e dell’odio che quotidianamente lo sopraffanno:
“Non sono mai stato in un paese”, e il lettore sa che ha viaggiato molto, anche
nell’Africa che allora si poteva dire primitiva, “dove tutto il tempo fossi
così consapevole dell’odio” – “la sensazione di una bontà umana” è “ciò che di
rado si trova nel Messico”. Al punto che infine, di scorcio, se lo rimprovererà:
a Londra sporca e distratta, malgrado la guerra incombente, si trova a
chiedersi “perché mai avessi preso in tanta antipatia il Messico: era pur
patria lì”.
La
stranezza dell’opera è accentuata dalla traduzione d’autore, di Piero Jahier.
Strano oggi anche il soggetto, il Messico: fino alla guerra, perdurando la coda
“repubblicana”, cioè massonica, del secondo Ottocento, era uno dei grandi Stati della terra.
Graham
Greene, Le vie senza legge
“Tra
l’1 novembre 1931 e il 28 aprile 1936, quattrocentottanta chiese cattoliche,
scuole, orfanotrofi, ospedali, furono chiusi dal governo o destinati ad altro
uso”, nella sola Città del Messico. Le stesse leggi furono applicate in tutto
il Messico. Gli officianti religiosi, e anche i praticanti, furono vessati come
traditori, e giustiziati a vista, dopo maltrattamenti e torture.
È
l’effetto laicizzazione, forzata. È l’effetto Stato. Lungamente e a più riprese
Greene inveisce contro: “Lo Stato… sempre lo Stato!” E “quanti idealismi”
non ha consumato, “si pensi ai Fabiani e
a Mr. Shaw nel suo abito di Jaeger” - firmato. Molto Greene esercita l’ironia.
Ma in un quadro di indignazione: “Forse l’unico organismo che nel mondo odierno
efficacemente - a volte con successo –
avversi lo Stato totalitario, è la Chiesa cattolica. In Germania motociclisti
distribuiscono l’enciclica papale (la “Mit brennender Sorge” di Pio XI, con
bruciante preoccupazione, e del cardinale Pacelli segretario di Stato, n.d.r.)
segretamente di notte; in Italia l’Osservatore
Romano ha stampato ciò che nessun giornale italiano osava stampare:
proteste contro il bombardamento di Guernica,
gli attacchi contro città aperte”. Nel Messico la ragione di Stato ha
fatto il peggio possibile nella storia, dopo l’Inghilterra della regina
Elisabetta – il regime elisabettiano ritorna più volte come termine di paragone
del potere assoluto ipocrita.
Tutto
questo vissuto nel 1938: al tempo della guerra di Spagna, che mobilita gli
scrittori, Graham Greene va in Messico – mentre a Londra si discute un processo
per diffamazione intentatogli da Shirley Temple. E scritto nel 1939, mentre a
Londra si fanno le esercitazioni per i bombardamenti aerei. Per denunciare le persecuzioni religiose - “La
lotta religiosa nel Messico 1938” è il sottotitolo di questo viaggio,
organizzato con l’editore Longman come controcanto alla questione spagnola, e
scritto in forma di corrispondenze. Greene, cattolico in questo momento devoto,
gira per tutto il Messico – fino al Chiapas, malgrado gli enormi problemi fisici di
avvicinamento, che lo portano alla depressione, il più radicalmente laico delle
province, dove i peggiori crimini antireligiosi si sono perpetrati. E
dappertutto trova facili pistoleros, sotto il grande cappello a cono, donne da
poco, corruzione, sporcizia, e capataz politici grassi e viziosi. Qualcuno di essi s’ingegna
di andare a trovare e intervistare, ma di malavoglia, tanto è sicuro che verrà ucciso presto dagli
avversari. Con contorno di turisti americani senza qualità. Unica consolazione
San Cristobal de las Casas, a 2.000 metri, nella Sierra Madre, al cuore del
Chiapas, dove si celebra infine messa, in stanze private, per la Settimana Santa.
La
Spagna incontra al ritorno. Il piroscafo è pieno di giovani, e gioani famiglie
con bambini, in “camicie azzurre con i fasci della Falange ricamati sulla tasca”.
Quando scrive, a Londra sotto la minaccia dei bombardamenti, non prende
partito: “Erano molto rumorosi e spensierati, senza bravate; si sentiva che
andare in guerra era una delle funzioni naturali dell’uomo”. E aggiunge: “Vi
era anche qualcosa di piacevolmente dilettantesco nel loro fascismo”.
Bizzarro
reportage, singolare, unico. Lo scrittore sapeva a cosa andava incontro, ma
non nelle forme dello squallore e dell’odio che quotidianamente lo sopraffanno:
“Non sono mai stato in un paese”, e il lettore sa che ha viaggiato molto, anche
nell’Africa che allora si poteva dire primitiva, “dove tutto il tempo fossi
così consapevole dell’odio” – “la sensazione di una bontà umana” è “ciò che di
rado si trova nel Messico”. Al punto che infine, di scorcio, se lo rimprovererà:
a Londra sporca e distratta, malgrado la guerra incombente, si trova a
chiedersi “perché mai avessi preso in tanta antipatia il Messico: era pur
patria lì”.
La
stranezza dell’opera è accentuata dalla traduzione d’autore, di Piero Jahier.
Strano oggi anche il soggetto, il Messico: fino alla guerra, perdurando la coda
“repubblicana”, cioè massonica, del secondo Ottocento, era uno dei grandi Stati della terra.
Graham
Greene, Le vie senza legge
domenica 31 ottobre 2021
Il mondo com'è (434)
astolfo
Bombardamenti – La notte dell’11 giugno
1940, la notte dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e alla Gran
Bretagna, Genova è bombardata. Dal mare, dalla flotta francese. Senza effetti
visibili. Ma il 9 febbraio 1941, sette mesi dopo la dichiarazione di guerra, Genova
è semidistrutta dal mare, dal cannoneggiamento di una squadra britannica partita
da Gibilterra, la H Force, con la portaerei Ark Royal, tre incrociatori da battaglia,
e una vasta flottiglia di cacciatorpediniere. Che giunse indisturbata davanti a
Genova, la Marina italiana essendosi disposta a coprire, chissà perché, la Sardegna.
E indisturbata si allontanò. L’obiettivo dell’attacco navale inglese era d’infiacchire
il vertice che Mussolini doveva avere con Franco tre giorni dopo alla Spezia
per venire a capo delle titubanze del Caudillo, di indebolire la posizione
italiana. L’efeftto fu la semi-distruzione die Genova, cantieri navali e città.
Quella
dei bombardamenti è una storia documentabile, nella cronologia e negli effetti,
che però non si fa: l’Italia vi è stata soggetta dal primo giorno di guerra - la
Germania ne soffrirà di più, ma a guerra ormai sostanzialmente perduta.
Wikipedia
ricorda tra i più pesanti il bombardamento su Roma di Nord-Est, specie sul
quartiere San Lorenzo, del 19 luglio 1943, con mille bombe d’aereo, circa 1.060 tonnellate,
che fecero tremila morti e undicimila feriti (1.550 morti e 4 mila feriti nel
solo, piccolo, quartiere di San Lorenzo), e quello di un mese dopo esatto su
Foggia, con “oltre 9.000 vittime”. Tantissimi furono anche per tutto il 1943 i
bombardamenti su Reggio Calabria e dintorni, con 24 incursioni solo sulla città.
I bombardamenti
si fecero più pesanti a partire appunto da 1943, dopo che gli Alleati presero
il controllo del Nord Africa, da dove potevano operare con i bombardieri pesanti.
Quado gli inglesi entrarono in città, il 9 settembre 1943, Reggio era per il 70
per cento distrutta o gravemente danneggiata – 3.986 morti si erano contati
sotto le bombe e 12.043 feriti.
Più
colpito dai bombardamenti alleati fu il Centro-Sud, nel 1943-44, da Ancona e
Livorno fino a Palermo – e sul versante Adriatico Treviso e Zara.
Costituente – Alle elezioni per l’Assemblea Costituente,
1946, il primo voto popolare dopo il fascismo, il 2-3 giugno, la Democrazia Cristiana
vinse col 35 per cento dei voti, oltre 8 milioni. Secondo venne il Partito Socialista
(Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) con poco meno del 21 per
cento, 4,8 milioni di voti, il Pci terzo con poco meno del 19 per cento, 4,4
milioni di voti. Erano presenti anche i Liberali, i qualunquisti, i monarchici,
il partito Repubblicano e il Partito d’Azione. A Roma il Pci venne in terza
posizione, dietro la Dc e i Repubblicani.
Prima di
fissarsi sui blocchi politici, il voto era molto fluido. Come è stato successivamente,
dopo la fine del patriti tradizionali della Repubblica, negli anni 1990.
Defenestrazione di Praga – Si ricorda Praga
per la “Primavera” del 1968, con l’invasione poi sovietica. Ma l’effetto Praga
forse più incisivo, che decise nella guerra fredda le frontiere della cortina
di ferro, si ebbe nel 1948, e influì non poco sull’esito che si conosce al
primo voto per il Parlamento della Repubblica. Il voto fu vinto non dalla Dc,
che ancora non aveva un’organizzazione capillare, ma dal Vaticano, che mobilitò
le parrocchie – e le Madonne, con le processioni propiziatrici, il turismo delle
statue miracolose, i “pianti” della Madonna
– “pianse” per prima la Vergine di Santa Maria degli Angeli ad Assisi,
poi la Madonna di Rocca San Felice in Irpinia, e altre Madonne in Garfagnana e a Cagliari. Ma il colpo
principale all’ambizione del Fronte Popolare di proporsi come forza politica
dominante, forte del successo ala Costituente del 1946, quasi il 40 per cento
dei suffragi, lo diede la “defenestarzione di Praga”: a fine febbraio Stalin
aveva voluto un colpo di Stato violento contro il governo Masaryk, peraltro
dominato dal partito Comunista Cecoslovacco, per mettere fine ai negoziati sul
piano Marshall, Masaryk fu cooptato nel nuovo governo, nominato in pratica da
Gottwald, il segretario del partito Comuniata, su indicazioni precise di Stalin,
come ministro degli Esteri, e due settimane dopo morì “suicida” dalla finestra,
quaranta giorni prima del voto del 18 aprile. Il Pci di Togliatti era
programmaticamente fuori dalla linea staliniana, ma non per l’elettorato – la “defenestrazione
di Praga” alla vigilia del voto in Italia fu risentita dentro lo stesso Pci
come un colpo inferto da Stalin alla sua autonomia.
Massisti - Prima che
“marinai della Xma Mas” del principe Borghese, la definizione che resiste nel
vocabolario, furono i ribelli alla levée en
masse napoleonica, introdotta da Giuseppe Bonaparte re di Napoli all’inizio
del 1806. Dei calabresi, che rifiutavano il servizio militare obbligatorio e subito
si costituirono in corpo armato con gli inglesi, che intanto confrontavano militarmente
la Francia anche nel Sud Italia. “Nel
1806 scapparono i generali e scappò il re; restò in Calabria don G.B.de Micheli
con gruppi di disperati «massisti» a far guerra all’armata di Massena: e di
questa guerra egli, con lettere, relazionò la Corte di Napoli. rifugiatasi in
Sicilia”, come recita il racconto di quegli eventi, l’unico che si ricordi, “I massisti e l’armata di Massena in Calabria (prefazione di Luigi Filosa). Lettere-relazioni del v.Preside G.B.Demicheli e Lettere-quasi petizioni del sac. don Antonio Presta”.
Un movimento analogo, anch’esso singolarmente taciuto dalla
storiografia, nacque spontaneamente in Sicilia nel 1943, dopo l’8 settembre,
quando i giovani furono richiamati alle armi per combattere con gli Alleati
contro i tedeschi nel continente. Animato da Maria Occhipinti, fu un movimento
di donne prevalentemente, madri, mogli, familiari dei richiamati, che protestarono
a lungo nelle piazze, al grido “non si parte”. Ma non pacifico, non per i
prefetti e i questori. A Palermo furono schierati, contri quelli del “non si parte”,
carabinieri e altri militi in assetto da guerra, che fecero ventisette
morti e “centinaia” di feriti. A Catania, dopo Palermo, i
manifestanti assaltarono e devastarono il Municipio. A Piana degli Albanesi,
fuori Palermo, e a Comiso du proclamata la Repubblica.
C. K. Scott Moncrieff – Charles
Kenneth Scott Moncrieff, scozzese di nome e di spirito, il traduttore e divulgatore
di Pirandello nelle librerie e i teatri di Londra e di New York, è il Proust
dei lettori della “Ricerca” in inglese. La traduzione della “Ricerca”, che
intraprese dopo la guerra, mentre altri traduttori per altri editori si cimentavano
nella stessa impresa, fa da allora testo. E viene letta come un Proust
temperato dal gusto di Moncrieff, più jamesiano che proustiano, più al gusto di
Henry James Con un titolo generale che fa ancora testo, molto famoso, ma è derivato
da Shakespeare, “Remembance of Things Past”, invece del letterale “In Search of
Lost Time”.
Fu un
personaggio stravagante, ma che molto operò in campo culturale, pur avendo
vissuto quarant’anni o poco più. Lasciò dopo la guerra Londra per l’Italia –
dove morirà, a Venezia, nel 1930. Perché, scrisse a un amico, voleva “fare sesso
senza avere la polizia addosso”. Uranista senza complessi, come si dicevano
allora gli omosessuali (Gide per esempio), ma come molti scrittori inglesi suoi
contemporanei e amici o corrispondenti, Noël Coward, Edward Marsh (il
segretario di Churchill) Compton Mackenzie, Reggie Turner (il politburo dell’accolita che W.H.Auden chiamava
Homintern, l’Internazionale omosessuale), non professo, l’omosessualità essendo
perseguita per legge. In Italia disi divertirà a fare la spia, e a fare sesso
occasionale nei vicoli di Firenze, Pisa e Venezia – così scriveva agli amici
invidiosi. Ma le sue traduzioni di Pirandello, che lui poneva sopra Proust, e
di Proust fanno ancora testo.
Cominciò a
tradurre Proust nel 1919, reduce di guerra azzoppato a una gamba. Aveva
cominciato a scriver e in ospedale, per la rivista di Chesterston “New Witness”,
da neo catecumeno cattolico. Subito poi si era legato al poeta Wilfred Owen –
incontrato al matrimonio di Robert Graves. La morte di Owen, a novembre del
1918, lo mise in urto con Osbert Sitwell, che gliene fece rimprovero, del potente
trio familiare dei Sitwell (con la sorella Edith e il fratello Sacherell), con
una polemica in cui non mancarono allusioni maligne alla sua omosessualità. Scambiò
con Proust vari suggerimenti sulla traduzioni, senza tenere conto in generale
dei suggerimenti di Proust. Accentuando
anzi nella traduzione, secondo la critica, le velature jamesiane di Proust. Rendendo
Proust nel complesso, scrive Adam Gopnik, “più elusivo e enigmatico” di quanto
Proust non sia. Degno di nota, sempre in questa aura di allusione, il rifiuto di
intitolare “Sodoma e Gomorra”, così diretto, il racconto esplicito dell’omosessualità
maschile, preferendo un anonimo “Cities of the Plain”.
astolfo@antiit.eu
La ragazza Miriam
Come essere figli di due
artisti, nomadi, tra Roma, Poveromo, Genova, Parigi, poveri, senza senso
pratico, vivendo un’infanzia felice. E a sedici-diciassette anni entrare
naturalmente in politica, con i piccoli atti di opposizione a Mussolini e ai
tedeschi. L’inverno “terribilmente freddo” della Liberazione, e la fame – ma
con una “inspiegabile allegria”: “Il ricordo più intenso e preciso è però la
fame” (tutti la ricordano, tutti quelli che vivevano, adolescenti, a Roma tra il
1943 e il 1945, anche il 1946). Il passaggio naturale a funzionaria del
Partito, il Pci. Che ti inquadrava anche la vita pratica – male: alloggi
spartani, cibo pessimo. Le campagne elettorali di assoluta inesperienza, nel
1946, a diciotto anni, e nel 1948, in Calabria, in Lucania. Dieci anni di
Abruzzo, contro l’amministrazione Torlonia ad Avezzano dapprima, con la
vittoria dei “cafoni”, poi da assessore a Pescara. Le sorelle, i figli, il
matrimonio infelice. E qui purtroppo il racconto si ferma, Miriam recalcitrante a
proseguirlo, mentre la malattia prendeva il sopravvento – una nota della figlia
primogenita, Sara Scalia, spiega la raccolta e gli ultimi giorni.
Nel mezzo, in trama, il paternalismo maschilista del partito Comunista. La Russia attraente e insondabile. E notazioni storiche, ancorché accennate, che valgono libri di storia. La missione del Clnai a Roma, il Comitato di Liberazione dell’Alta Italia, Pizzoni, Sogno, Parri e Giancarlo Pajetta, per raccogliere armi e soldi, ed avere un riconoscimento ufficiale, accolta distrattamente, burocraticamente , a Roma, dal presidente del consiglio Bonomi, dall’ambasciata Americana, dal commando Alleato. La comparsa dell’“Uomo Qualunque”, già a fine 1944, sbolliti presto gli entusiasmi. La Sicilia staccata da Roma: non se ne sapeva nulla, fino ancora nel 1945. Le rivolte dei “non si parte” in Sicilia: madri, mogli, famiglie intere che protestavano contro la leva militare che si voleva imporre, per continuare la guerra nel continente contro i tedeschi. Con ventisette morti e qualche centinaio di feriti a Palermo, l’assalto e la devastazione del Municipio a Catania, la proclamazione della Repubblica a Comiso e Piana degli Albanesi. E dappertutto, dall’Abruzzo alla Sicilia, l’occupazione delle terre incolte.
Molti nomi, cui Miriam dà identità in poche parole: Giovanni Bollea poco più che ragazzo, le sorelle Cesarini Sforza, Marisa Musu, Maria Antonietta Macciocchi, “giovane donna, bionda, molto elegante”, Carla Capponi – “la leggendaria gappista di Roma cui si dovevano gli attentati più audaci in periferia e in pieno centro” – “magra, bellissima, bionda, un vestitino leggero, e una pistola” alla cintura. Edoardo d’Onofrio, e il suo bestseller involontario, “Una famiglia di comunisti”. Il rimorso per non aver saputo, o non aver voluto sapere, l’umiliazione di Di Vittorio al comitato centrale del partito, nel terribile 1956.
Non rimarcate, ma vissute, le confusioni, del fascismo e sotto il fascismo. La scuola, negata a Roma in quanto figlia di ebrea nel 1939, ma libera a Genova durante la Guerra, e poi a Roma sotto l’occupazione tedesca. O la felicità dell’estate del 1943: “Per la prima volta avevo potuto comperarmi un vestito scelto da me. Era di cotone, a fiori. Avevo diciassette anni e mi sembrava di essere molto felice e di avere molti amici”. Compresi quelli che le facevano fare la postina dell’“Unità” clandestina.
Viene poi lo scandalo, gli scandali, per il partito-chiesa o chioccia, del 1956: gli scioperi in Germana orientale, Polonia, Ungheria, la denuncia di Stalin, l’occupazione dell’Ungheria. Viene anche il femminismo, con Simone de Beauvoir. Ma non è una scoperta, è un modo d’essere, naturale: “Mia madre mi aveva già insegnato che le donne possono fare tutto quello chef anno gli uomini. E anche qualcosa di più: i bambini”.
In appendice tre articoli-saggio per “Vie Nuove”, il settimanale del Pci, 1957-58, sugli italiani in miniera in Belgio, una vita di miserie e di morte, sul maschilismo imperante, sull’ultimo processo politico franchista, ancora a fine 1970. E una breve nota sui venticinque anni di convivenza con Giancarlo Pajetta.
Miriam era una ragazza cresciuta. Nel senso che era franca e diretta. Inspiegabilmente sposata prima, e poi compagna, di uomini che respiravano solo politica, e qindi riflessivi, guardinghi. Così si può dire la sua vuta in breve, come l’ha voluta sulla pagina. Ma forse per liquidare – accantonare – il “fattore donna”, che allora, e ancora per qualche tempo, pesava sulla donna in attività.
Miriam Mafai, Una vita quasi due, Bur, pp. 268 € 10
Nel mezzo, in trama, il paternalismo maschilista del partito Comunista. La Russia attraente e insondabile. E notazioni storiche, ancorché accennate, che valgono libri di storia. La missione del Clnai a Roma, il Comitato di Liberazione dell’Alta Italia, Pizzoni, Sogno, Parri e Giancarlo Pajetta, per raccogliere armi e soldi, ed avere un riconoscimento ufficiale, accolta distrattamente, burocraticamente , a Roma, dal presidente del consiglio Bonomi, dall’ambasciata Americana, dal commando Alleato. La comparsa dell’“Uomo Qualunque”, già a fine 1944, sbolliti presto gli entusiasmi. La Sicilia staccata da Roma: non se ne sapeva nulla, fino ancora nel 1945. Le rivolte dei “non si parte” in Sicilia: madri, mogli, famiglie intere che protestavano contro la leva militare che si voleva imporre, per continuare la guerra nel continente contro i tedeschi. Con ventisette morti e qualche centinaio di feriti a Palermo, l’assalto e la devastazione del Municipio a Catania, la proclamazione della Repubblica a Comiso e Piana degli Albanesi. E dappertutto, dall’Abruzzo alla Sicilia, l’occupazione delle terre incolte.
Molti nomi, cui Miriam dà identità in poche parole: Giovanni Bollea poco più che ragazzo, le sorelle Cesarini Sforza, Marisa Musu, Maria Antonietta Macciocchi, “giovane donna, bionda, molto elegante”, Carla Capponi – “la leggendaria gappista di Roma cui si dovevano gli attentati più audaci in periferia e in pieno centro” – “magra, bellissima, bionda, un vestitino leggero, e una pistola” alla cintura. Edoardo d’Onofrio, e il suo bestseller involontario, “Una famiglia di comunisti”. Il rimorso per non aver saputo, o non aver voluto sapere, l’umiliazione di Di Vittorio al comitato centrale del partito, nel terribile 1956.
Non rimarcate, ma vissute, le confusioni, del fascismo e sotto il fascismo. La scuola, negata a Roma in quanto figlia di ebrea nel 1939, ma libera a Genova durante la Guerra, e poi a Roma sotto l’occupazione tedesca. O la felicità dell’estate del 1943: “Per la prima volta avevo potuto comperarmi un vestito scelto da me. Era di cotone, a fiori. Avevo diciassette anni e mi sembrava di essere molto felice e di avere molti amici”. Compresi quelli che le facevano fare la postina dell’“Unità” clandestina.
Viene poi lo scandalo, gli scandali, per il partito-chiesa o chioccia, del 1956: gli scioperi in Germana orientale, Polonia, Ungheria, la denuncia di Stalin, l’occupazione dell’Ungheria. Viene anche il femminismo, con Simone de Beauvoir. Ma non è una scoperta, è un modo d’essere, naturale: “Mia madre mi aveva già insegnato che le donne possono fare tutto quello chef anno gli uomini. E anche qualcosa di più: i bambini”.
In appendice tre articoli-saggio per “Vie Nuove”, il settimanale del Pci, 1957-58, sugli italiani in miniera in Belgio, una vita di miserie e di morte, sul maschilismo imperante, sull’ultimo processo politico franchista, ancora a fine 1970. E una breve nota sui venticinque anni di convivenza con Giancarlo Pajetta.
Miriam era una ragazza cresciuta. Nel senso che era franca e diretta. Inspiegabilmente sposata prima, e poi compagna, di uomini che respiravano solo politica, e qindi riflessivi, guardinghi. Così si può dire la sua vuta in breve, come l’ha voluta sulla pagina. Ma forse per liquidare – accantonare – il “fattore donna”, che allora, e ancora per qualche tempo, pesava sulla donna in attività.