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sabato 20 novembre 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (474)

Giuseppe Leuzzi

Il miracolo in bottiglia
Si vende la bottiglia di Cartizze a premio, il bianco mosso dell’aperitivo, e il terreno che lo produce a milioni. Una miniera di soli 107 ettari, nel comune di Valdobbiadene, che era luogo di povertà mezzo secolo fa, dove “generazioni di agricoltori”, racconta Luciano Ferraro sul “Corriere della sera”, avevano “cercato fortuna emigrando dall’altra parte dell’Atlantico”. E quelli rimasti “erano così squattrinati da riciclare i pali dismessi dall’Enel negli anni Sessanta. Poi”, continua Ferraro, “quel vino venduto sfuso, servito a tavola nelle caraffe, è diventato adulto”. È bastato venderlo come aperitivo, “e il valore della terra è cresciuto di centinaia di volte: un ettaro di vigna di Cartizze vale un milione e mezzo di euro”, tre miliardi di lire. E nessuno vende, attesta a Ferraro l’imprenditore vinicolo Moretti Polegato: “Non si trova quasi mai un venditore”, tanto la resa della terra, anche poca, è elevata, “ci sono riuscito perché un agricoltore aveva lasciato la vigna a nove eredi, che hanno preferito cedere” – con un ettaro e mezzo di Cartizze Moretti Polegato ha un’azienda superpremiata, che lo ha arricchito: “Esportiamo Cartizze, morbido, fresco e sapido, nei migliori ristoranti del mondo”. Un tesoro per tutti: solo 1,2 milioni di bottiglie l’anno, ma abbastanza per attrarre più generazioni di giovani – “la povertà del Dopoguerra è solo un ricordo”, può concludere l’imprenditore.
Le favole del Veneto poverissimo e poi ricchissimo sono tante. E questa è la verità: la povertà è concettuale, manuale anche - il Portorico, parente povero degli Stati Uniti, ha affrontato e sta battendo il covid con più intelligenza e capacità della California, o di New York, o del Texas. Non ci sono al Sud zone altrettanto povere come era molto Veneto ancora negli anni 1960. Non si può dire, è eresia, ma la povertà si crea – anche, a volte.
 
Il Sud alla mafia dei Prefetti
Non c’era mafia nel consiglio comunale di Reggio Calabria, sciolto nel 2012 dalla ministra Cancellieri del governo Monti, proponenti formali il prefetto Piscitelli, e il relatore della commissione ministeriale Valenti, un altro prefetto. Semplicemente aveva vinto le elezioni il centro-destra, per la seconda o terza volta di fila, e questo non andava bene alla ministra.
La città ha subito la solita gestione commissariale che ha bloccato tutto per due anni. Eccetto le commissioni dei commissari. A carico del bilancio comunale.
Ruolo di provocazione ebbe nelle gestione ministeriale Seby Vecchio? Vecchio, oggi cinquantenne curato, perfettamente vestito, preciso e rapido nell’eloquio come una saetta, che si presenta in Tribunale pentito per i benefici di legge e il pensionamento di Stato, è un pentito di ‘ndrangheta. Uno del clan Serraino, che distribuiva la cocaina a Milano - con centrale di smistamento in via Belgio, attorno a piazza Prealpi, e approvvigionamento a Malaga. Vecchio è stato fino a vent’anni fa assistente capo di Polizia a Reggio Calabria, per un periodo anche alla Squadra Catturandi. Mentre lavorava nel tempo libero per le cosche, in ogni attività richiesta: pizzo, incasso, minaccia, trasporto droga. Poi in politica, con la destra Fdl, assessore per tre anni alla Pubblica Istruzione-Edilizia Scolastica e per due presidente del consiglio comunale di Reggio Calabria. Ma non con la destra che aveva vinto le elezioni del 2011.
 
Qui non ce nn’è di covid – qui al Nord
Dopo la prima, gravissima di lutti e di minacce, terrorizzante, l’Italia va alla quarta ondata di contagi covid, con gli stessi gravi problemi di chiusure, distanziamenti, e forse morti, per la pretesa “libertà” dei Lombardi e Veneti, oltre che dei Tirolesi del Sud. Di rifiutare i vaccini, e anche le profilassi ordinarie, e di manifestare in piazza in massa ogni giorno, per meglio diffondere il virus, imponendosi a ogni altra convenienza o comunità. Dei tedeschi, cioè, e degli slavi (i veneti friulani e giuliani) d’Italia. Che vogliono morire in frotte, come i loro coeredi degli imperi austro-germanici.  Libertà “tribali”, come la Germania le definisce con orgoglio. Oggi muore a Trieste il goriziano (sloveno) Igor Devetak, giovane piccolo imprenditore no vax, dopo solo sette giorni di covid, che fermo non ha voluto cure in ospedale, così infettando il suocero, e probabilmente la moglie insegnante e i figli, che per la fede non andavano a scuola - ci vuole carattere, certo, la coerenza prima di tutto. 
 
C’è un che di verità, non solo una nota cinica nella pandemia, nel fatto che un più gran numero di morti per abitante si registra in Germania, Olanda, Austria e paesi Baltici più che in Italia – malgrado la forte minoranza tedesco-austriacante italiana. E in Italia al Nord più che al Sud – per quella presenza? Ma non è – non può essere – una questione di geni. Al Sud c’è meno supponenza, malgrado tutto.
 
Il Sud del Nord
Dice “settentrione” e “meridionale” stereotipi - avendo o avendo avuto, necessariamente,  collaboratori meridionali? oppure perché non sa quello che dice? - ma poi argomenta così, subito nelle righe introduttive: “Perché a Nord ci sono le democrazie e a Sud tanti regimi autoritari? Perché l’inflazione è così comune nei paesi del Sud? e pure la corruzione? Davvero andiamo verso un futuro luminoso in cui tutti i popoli del mondo adotteranno comuni valori di eguaglianza, libertà e democrazia, oppure tali valori non sono “universali” ma solo settentrionali?”
Il Sud è burocratico, E perciò nemico dello sviluppo, della ricchezza – la burocrazia italiana è meridionale, non piemontese o savoiarda: “Vengono persino in luce le cause del declino economico dell’Italia, come adeguamento ad un ambiente normativo sempre più “meridionale”.
Il Sud è anche corrotto e corruttore. “Molti ritengono che la “corruzione” sia un grave ostacolo allo sviluppo economico. Si vede infatti che è più comune nelle società meridionali e meno sviluppate che non nelle settentrionali e meglio sviluppate… Però dalla nostra prospettiva viene da sospettare che, tra corruzione e sottosviluppo, anziché una relazione causa-effetto possa esserci solo il legame indiretto di essere entrambi la conseguenza di un terzo elemento: il carattere meridionale delle popolazioni”.
L’imprenditore e “studioso di scienze umane” Mario Fabbri, di Novara di Piemonte, si attacca col suo terzo libro, “Il carattere meridionale”, al carattere meridionale. Che è retrogrado, corrotto, antimercato e burocratico, con un penchant fascista – eccetto che per il fascismo vero, che come si viene dal Nord, da Milano, da Mussolini? Come imprenditore, dopo Ferrero, quello della nutella, è stato socio fondatore, ed è ora vice-presidente, di Directa Sim, che organizza il trading online nei mercati finanziari. Avendo molto tempo libero, scrive. I primi libri glieli ha pubblicati Rubbettino, editore di Soveria Mannelli, in provincia di Catanzaro. Questo no, ma a questo punto, anche Rubbettino è corrotto, burocratico e meridionale?

Napoli
Si fa colpa a “Le Figaro”, alla sua corrispondente romana Valerie Segond, di avere detto Napoli città del Terzo mondo. In realtà non è così. Il quotidiano parigino titolava il 2 ottobre un servizio sulla campagna elettorale: “Municipali in Italia: fatiscente e asfissiata dai debiti, Napoli attende il suo salvatore”. Un articolo su Manfredi: “Gaetano Manfredi, atteso come il Messia dalle élites napoletane, si presenta in una città dove i servizi comunali si sono degradati molto”. Per l’incuria, spiega, del sindaco uscente De Magistris durante dieci lunghi anni.
 
E il Terzo mondo? È un titoletto redazionale nel corpo dell’articolo di “Le Figaro”: “Il terzo-mondo in Europa”. Dove si dice che “certo, Napoli non crolla più sotto le immondizie come nel 2008”. Però, a parte alcune zone rinnovate, attorno alle stazioni della metro molto curate, c’è parecchio disordine. Ora il direttore di Capodimonte Bellenger eccepisce: “Mi domando se Segond sappia veramente che cosa sia il «terzo mondo»”. Ma, avendone conoscenza diretta, si può assicurare che è così: Terzo mondo non è povertà, non necessariamente,
 è disordine e incuria.

I Macron, come già Mitterrand, gradiscono Napoli come sede dei “bilaterali”, i colloqui periodici tra i governi italiano e francese. “Città a me molto cara”, ha detto Macron, che “ho visitato più volte”. Prima di diventare ministro, e poi presidente della Repubblica, Macron era un irregolare, sposo adolescente della sua professoressa – un matrimonio tra i più riusciti.
 
È vecchia l’ammirazione francese per Napoli. Il “milanese” Stendhal, per dire, nel 1817 scriveva: “Ci sono due capitali in Europa: Parigi e Napoli”. Donde la barbarie?
 
In altra temperie culturale, Jean-Noël Schifano, sbarcato a Napoli come professore di Francese all’Orientale, ne ha fatto la sua città – il luogo dei suoi racconti e delle sue riflessioni. Di trasporto quindi incondizionato, ma può ben dire: “Nel XI secolo Napoli faceva parte delle grandi capitali europee, era un centro economico oltre che culturale, qui c’era una sede della Banca Rothschild e l’unica Borsa italiana, la lingua diplomatica era la lingua napoletana”.
 
La “lingua diplomatica” è forse un eccesso – o è un sottinteso malizioso, di una “lingua napoletana”?  Ma è vero che è “una città di pace e armonia”, almeno nelle grandi cose: “L’Inquisizione non ha mai messo piede a Napoli, non c’è mai stato un ghetto e molti ebrei espulsi dalla Spagna vi trovarono protezione, non ha mai fatto la guerra”.
 
Fu a Roma in effetti che Paolo IV Carafa, il quarto dei cinque papi napoletani, “dell’alta nobiltà napoletana”, dice wikipedia, introdusse il ghetto per gli ebrei, con l’Indice dei libri proibiti, e – benché aborrisse gli Spagnoli, dominatori d’Italia, quelli del Sacco di Roma – l’Inquisizione di Spagna. Napoli si vuole contraddittoria.
 
Nino D ‘Angelo, che si penserebbe il massimo della napoletanità, confida a Candida Morvillo sul “Corriere della sera”: “Mi sento ancora uno sdoganato che aspetta di passare la dogana. Al premio Tenco le mie canzoni non le conoscono neanche. Andare in tv non è facile. Per anni, mi è stato più facile avere l’Olympia di Parigi, la Royal Albert Hall di Londra o il Madison Square Garden di New York, che un teatro a Napoli”. Si dice: nessuno è profeta in patria. Ma c’entra molto il rifiuto di sé – l’odio-di-sé.
 
Dice anche D’angelo a Morvillo”: “Me ne sono andato (da Napoli) perché hanno sparato due volte contro casa mia”. Chi? Perché? “Proprio la camorra. Volevano i soldi. Vedevano il successo. Telefonavano, minacciavano.  La seconda volta hanno sparato dentro casa, il proiettile è entrato nella stanza dove mio figlio Vincenzo dormiva nel lettino”. Conseguenze? “Siamo scappati in un giorno”. C’è solo la fuga. Si dice che bisogna resistere alle mafie, ma i Carabinieri non difendono la proprietà – chi ha i soldi paghi.
 
“Nell’anno 2018, su 239 rapine denunciate nella città di Napoli, 39 sono state realizzate da minorenni. E sempre nel 2018 sono stati cinque i tentativi di omicidio perpetrati da minori sui 24 denunciati nella città di Napoli”, Marco Zanata, già capitano del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei Carabinieri.
 
Per il 20 per cento le truffe sul reddito di cittadinanza accertate in estate dai Carabinieri della Legione Interregionale “Ogaden” sono localizzate in Campania, una su cinque. Fra i truffatori ottanta camorristi. Che “con dichiarazioni omissive sono riusciti a ottenere 852.515,91 euro di illecita percezione del reddito di cittadinanza”. E non li nascondevano, li esibivano, in macchine e gioielli.

leuzzi@antiit.eu

La ricerca del genio, o il genio della ricerca

Semplicità e garbo, nell’eloquio come il pubblico ha imparato a conoscere il neo Nobel per la Fisica, anche in questo racconto scritto di alcune esperienze di ricerca. Per prima quella della copertina, forse perché spettacolare, essendo stata poco concludente, come succede spesso nella ricerca. E perché indicativa dei “sistemi complessi”, su cui Parisi si è impegnato dalle prime esperienze di ricercatore, alla scuola di Nicola Cabibbo – “Le meraviglie dei sistemi complessi” è il sottotitolo.
Il racconto di alcune ricerche che Parisi ha sviluppato, scelte e riordinate con la collaborazione di Anna Parisi (nessun legame di parentela, Giorgio Parisi è molte cose ma non un “barone”, la scelta della rinomata divulgatrice è editoriale). Con un linguaggio il più possibile non specialistico, molta aneddotica, e la caratteristica semplicità e bonomia che lo distingue. Una sorta di rappresentazione “fisica” del genio – dell’intuizione. Che più si rileva nel racconto finale “Je ne regrette rien”, o “come non vinsi il Nobel a 25 anni”, per una “piccola trascuratezza” di cui tarderà decenni a rendersi conto.
Indirettamente, Parisi se lo dice da sé: “La scienza si fonda sulle prove sperimentali, sulle dimostrazioni analitiche, sui teoremi. Alla base della costruzione scientifica, però, c’è una grande costellazione di ragionamento intuitivi”. Tra i “ragionamenti intuitivi” ci sono, ad esempio, “le metafore, che hanno un ruolo decisivo nel trasferimento di immagini e di idee tra discipline diverse nello stesso periodo storico”. L’intuizione, cioè il genio.
Il fisico teorico deve pensarle tutte. Il che è impossibile, e allora deve beneficiare del lampo di genio. Ogni risultato in fisica e in matematica si contraddistingue per “semplicità e naturalezza”, ma arrivarci si combina col caso caso: non c’è un metodo, o allora intuitivo, non codificato. Parisi, che è stato per alcuni decenni la colonna della ricerca teorica alla Sapienza a Roma, sa unire la semplicità, anche nell’esposizione, lineare, aneddotica, lieve, al lampo e alla consequenzialità del ricercatore.
La ricerca al tempo delle scannatrici
Un libro anche denso – preludio, nell’immediatezza del Nobel, ad altri più distesi interventi? Sia nello specifico, delle proprie ricerche di Parisi e della ricerca scientifica, sia nel recupero dei suoi vasti interessi personali, dai linguaggi verbali e geometrici alla musica.  Comprese le forme della conoscenza:– il tema epistemologico lo appassiona quanto quello della complessità, dalla metafora, il tropo per eccellenza, regina dei traslati, al modello darwiniano delle derivazioni – passando per le nozioni più scontate, il teorema, il modello, l’analogia.
Con una rappresentazione vivissima della vecchia università, pre-1968. Lenta. Nelle comunicazioni – una telefonata in America costava uno stipendio. Nel calcolo – un reparto nel’ammezzato, detto delle “scannatrici”, perché ci lavoravano tutte donne, era addetto al lento recupero dei dati delle schede perforate. I professori inece erano giovani, al contrario di adesso.
Giorgio Parisi, In un volo di storni, Rizzoli-Corriere della sera, pp.125 € 12

venerdì 19 novembre 2021

Problemi di base di letto - 671

spock


“La vita erotica è labirintica e non ha proprio nulla a che fare con l’istinto”, Massimo Recalcati?
 
“Nel rapporto di coppia non si può essere se stessi, si ha bisogno di un estraneo a letto”, Graham Greene?
 
“La segretezza è parte dell’attrazione in una relazione sessuale. Una tresca nota ha un tocco di assurdo”, G. Greene?
 
“La pretesa di conoscere l’altro, o la volontà di integrarlo nel proprio mondo, non permettono l’avvicinarsi di lui, o di lei”, Luce Irigaray?
 
“Non bisogna confondere la «carne» con il semplice corpo”, Remo Bodei – è di più?
 
“Il mio peso è il mio amore. Esso mi porta dovunque mi porto”, sant’Agostino?
 
L’amore è “normalissima improbabilità” – Niklas Luhmann?


spock@antiit.eu

Graham Greene si confessa – o dell’Europa masochista in Africa

Il racconto di due viaggi in Africa, nel Congo ex Belga a gennaio del 1959, e in Africa Occidentale nel 1\941, il secondo nella regione, il primo era stato nel 1934. Del Congo Greene ha tenuto il diario (“di solito non tengo diari, questa è un’eccezione”) , dell’Africa Occidentale, da Lagos a Monrovia no, per ragioni di sicurezza.
La breve introduzione, anche questa un’eccezione, dà buone  indicazioni su Greene stesso, sulle sue opere. Dal primo viaggio nasce “Il cuore della questione”, e nello scriverlo molto ha risentito la mancanza di un diario: “Sono stato a Freetown troppo a lungo, finendo per dare troppe cose per scontate”, mente tenere un diario avrebbe aiutato la composizione del romanzo, “perché ho poca immaginazione visiva e solo una corta memoria”. Non solo, “con l’età la memoria peggiora” – “ho dovuto fare quattro visite di tre mesi ciascuna in Indocina per «Il tranquillo americano”.
In Sierra Leone la lettura di una detective story del genere fantastico di Michael Innes “mi ha messo in moto nella direzione del “Ministero della paura”, “un divertimento che ho scritto nel tempo libero dal lavoro che potevo permettermi a Freetown”.
Nel diario del Congo il 22 febbraio spiega il problema di limitare i personaggi alla scelta dell’iniziale invece del nome - bisogna cercare il carattere, il senso, di quella scelta. “Ci sono poche lettere che si possono usare invece di un nome: K appartiene a Kafka, D l’ho già usato, X è di disagio. Rimane la C…”.Qua e là molte perle. “L’economia del romanziere è un po’ come quella di una attenta padrona di casa, che non vuole buttare nulla”. I bambini piangono a messa, in chiesa un ordine fra i più ascoltati è: “Metti il. bambino al seno”. Col “tragico spreco delle piccole vite eroiche”. Contro Julien Green, autore peraltro presto dimenticato, allora in auge, e le sue giaculatorie contro Dio: “Dio non preferirebbe una bestemmia - ma da Villon?” L’Africa, la rivoluzione, incomprensibili – a proposito di lebbrosi (all’epoca c’era la lebbra): “Un uomo che L. ha curato ha scritto una lettera alla sorela ancora nel lebbrosario augurandosi la morte di L.e vantandosi di quello che aveva fatto a Leopoldville nei tumulti” contro gli europei. I viaggi: “Quando si viaggia lontano si viaggia anche in tempo”. La suora bellissima ma freddissima, senza sentimento. I missionari: né ingenuità, né durezza né tensione: “Persone che hanno troppo da fare per occuparsi dei motivi”.
E una veduta sicuramente anticonformista del colonialismo, dell’imperialismo: “Il masochismo dell’Europa”, che si attribuisce tutte le colpe - siamo nel diario del Congo, quindi nel 1955: “La discriminazione è girata dall’altra parte. Il bianco paga più del nero per la licenza radio; nei tribunali, se non ci sono testimoni, la parola di un nero, che dica per esempio che un bianco lo ha colpito, è sempre presa per buona, il che porta a una sorta di ricatto. Il masochismo dell’Europa (nel Congo già preda delle guerre civili, n.d.r.): “Lo abbiamo provocato noi. Nessuna comprensione del lavoro disinteressatamente fatto per gli africani”. Con la constatazione delle “stragi indiscriminate, che succedono ai tropici”. E quando qualcuno, il vice-governatore con vent’anni di Africa, agli inizi del diario del Congo dice che bisogna rompere il quadro tribale e dare a questo scopo anche incentivi materiali, Greene obietta: “Ma questo non porta dritti al mondo a premi degli Stati Uniti? Parla della necessità di una mistica, ma c’è una qualche mistica in America oggi, anche dentro la chiesa cattolica?”.
Graham Greene, In search of a character

giovedì 18 novembre 2021

Ombre - 588

Marco Pannella boicottava (chiedeva di boicottare) la Rai perché non dava spazio alle sue ragioni. Conte chiama i 5 Stelle alla rivolta perché non ha ottenuto posti, o non ne ha ottenuti abbastanza, ai vertici Rai: “5 Stelle esclusi, disertiamo le reti pubbliche”. Questo significa che non avremo più nei Tg Rai le dichiarazioni d’obbligo di un o due 5 Stelle a edizione? È un male?
 
Si divide la destra, in Italia e in Europa, sul vertice organizzato dal governo polacco a Varsavia ai primi di dicembre. Ci vado o non ci vado, si chiedono in Italia (Meloni) e altrove i vari leader dei vari partiti – in chiave Nanni Moretti di “Ecce bombo”, “mi si nota di più se vengo….”. Le destre europee si caratterizzano sempre, dopo i fascismi degli anni 1920-1930 (29 regimi fascisti nel
continente), per essere movimenti di ducetti.
 
Si va verso la quarta ondata, con grave sacrificio di tutti, perché i no vax vogliono propagare il virus, con le manifestazioni di piazza, per lo più “selvagge”. Se è una battaglia di libertà, perché non vaccinarsi e stare tranquilli? È libertà fare da untori? No, è un “battaglia” politica. Con danni per tutti, no vax compresi, enormi (sanità, lavoro, reddito).
L’opinione pubblica è debole e manipolabile. Anche da pochi, incapaci. Ci vogliono leggi. Costituzionali ma obbligatorie.
 
“La quarta ondata in Europa e in Usa: nessun altro continente così colpito”. Nelle patrie della libertà? Insensato, ma non inspiegabile: la libertà è concetto scivoloso, anche se l’Occidente (Europa e Usa sono l’Occidente) ne vanta il brevetto. Libertà non è individualismo.
 
Il presidente Mattarella, accompagnato dalla figlia, va in visita a Madrid. La foto lo mostra insieme con il re e la regina di Spagna. I reali seduti compostamente, come di rito. Mattarella e la figlia con le gambe accavallate. O della politica inutile – la politica è istituzione e rispetto delle forme.
 
Buccini celebra “Il tempo di Mani Pulite”, raccolta di articoli, memorie, personaggi. il libro. Con Di Feo maneggiò il “falso” avviso di garanzia a Berlusconi presidente del consiglio messo su dalla Procura di Milano d’intesa col Quirinale ala vigilia di un Forum mondiale a Napoli sulla giustizia. Falso perché rivelatosi inconsistente. E perché fatto uscite proditoriamente, forse dal Quirinale, forse dal capo della Procura  Borrelli, il giorno prima del Forum.
 
È stata, è, terribile la simbiosi giudici-cronisti giudiziari, cui i direttori di giornale hanno dovuto con Mani Pulite vendere l’anima. E tuttora continuano, i giornali riempiendo di veline, confidenze, carte più o meno segrete, anche se le copie vendute, dopo Mani Pulite, si sono più che dimezzate, da sei milioni giornalieri a poco più di 2,5 milioni. E non per effetto dei social – non c’è crollo analogo altrove: è in Italia che il giornale non è credibile.
 
Paolo Mieli, che di Buccini e Di Feo fu il coordinatore, ha voglia e fama di storico. Ma di questo “episodio” della guerra di Borrelli e Di Pietro contro Berlusconi (con che titolo? non lo hanno fatto condannare mai) non ha mai voluto dire nulla. È un attore e non un testimone?
 
“Ora solo gli uomini bianchi possono essere cattivi, senza che nessuno si debba offendere”, Igino Straffi, il Walt Disney italiano. Dove soprattutto conta il “si debba”: si va per categorie, il politicamente corretto va per astrazioni.
 
Il ricordo che di Roma ha l’attore Bill Murray, che pure nella capitale è stato premiato alla carriera,  è del 2004, quando ci ha girato il film “Le avventure acquatiche di Steve Zissou”: “Eravamo a Cinecittà, ma ogni week-end la troupe scioperava: un incubo, a volte dubitavo che avremmo mai finito le riprese”. La troupe scioperava per farsi il week-end. Come si perde un capitale. Col patrocinio del sindacato.

Il dolore del lutto

Un ragazzino, l’unico figlio, morto per scarsa sorveglianza cadendo dalle scale, una coppia amorevole e avventurosa che si divide, una piccola speculazione che si monta sul loro dolore. Fino a far credere il bambino in qualche modo ancora presente nella loro vecchia casa.
Rivisto, il film di Mordini che evoca le atmosfere morbide di David Lynch in Twin Peaks”, non  è quello delle critiche negative che si è attirato all’uscita. Ha visi ed espressioni (Maya Sansa, Serena Rossi, Valeria Golino, Stefano Accorsi) tutti congrui e in palla, nella felicità e nel dolore. Una sceneggiatura solida. E un tema angoscioso: l’elaborazione del lutto. Un fatto con cui ognuno a una certa età deve confrontarsi.
Elaborazione del lutto è termine anodino. Ma Roland Barthes, “Dove lei non è”, in morte della madre, pure anziana, ne ha mostrato la difficoltà: amore e dolore tendono a eternizzarsi.   
Stefano Mordini,
Lasciami andare
 Sky Cinema

mercoledì 17 novembre 2021

L’impotenza e il sovranismo

Cina e Stati Uniti si confrontano (trattato Aukus, Formosa) e dialogano (rinvio per il clima, scambi) senza più l’Europa di mezzo. Washington usava informare le capitali europee delle sue iniziative, soprattutto se di peso, da qualche anno non più, a partire dalla seconda presidenza Obama.
L’Europa non ne prende atto, fingendo che la Nato e le relazioni euroamericane siano quelle di sempre, del lungo dopoguerra con la cortina di ferro. Inattiva e incapace per le piccole e grandi crisi transnazionali al suo interno,  con la  Bielorussia (migranti) come con la Russia (Crimea, Ucraina, gas). E per quanto concerne la nuova Cina formato gigante si limita alle politiche mercantilistiche, di Merkel o Macron a Pechino per vendere qual che euro in più – e di alcuni 5 Stelle.
Una Europa unita, con una sola voce cioè, sia pure solo commerciale, avrebbe a Pechino come a Mosca, e a Washington, altro peso contrattuale e altri benefici, sia pure solo commerciali, ma non lo è. È questa inconsistenza alla radice degli istinti sovranisti? Il sovranismo nasce con la incapacità della Unione Europea di confrontarsi con la crisi del 2007 - unica grande area economica al mondo: una Europa del poco e tardi, di ogni Paese membro attento al suo piccolo beneficio, che di quella crisi, che ha buttato fuori mercato un paio di generazioni, porta ancora le cicatrici. 

Chi lavora non vota – o gli operai non votano Lega

Un riesame del voto delle amministrative conferma che il centro-sinistra, aggiudicandosi dieci capoluoghi di provincia su quindici, ha raddoppiato il risultato del voto precedente, da cinque a dieci città, con Roma e Torino nel numero. Ma il. centro-destra è cresciuto ancora al Nord, nei centri urbani di media grandezza, sopra i 15 mila abitanti. Città a sinistra, provincia a destra, dunque? Si e no.
Il centro-sinistra ha vinto dove l’astensione è stata maggiore. Superiore al 50 per cento nelle cinque maggiori città: Milano (53,3 per cento), Roma (53,0), Napoli (55,4), Torino (53,7) e Bologna (50,1), a fronte di un’astensione nazionale del 45,3 per cento. E nelle grandi città l’astensione è stata soprattutto “operaia”, nei quartieri popolari. A Milano: Quarto Oggiaro 62,8 per cento (più 10,3 per cento sul 2016), Comasina 59,4 (+ 9,7), Bovisasca 58,7 (+ 10,5), Baggio 57,2 (+ 10,0). A Torino: Vallette 64,8 (+9,8), Falchera 62,0 (+ 12,3), Mirafiori Sud 61,4 (12,3), Barriera di Milano 60,2 (10,8).
Consegue chiaro da questi numeri anche che gli “operai” non votano Lega. La Lega alle amministrative ha preso nelle grandi città – pur non tenendo conto di Napoli, dove non aveva presentato liste – solo un quarto del voto ultimo alle Europee del 2019. Gli “operai” non vanno a votare.  

Dio avido, del Male

La cena delle bombe c’è, ma non finisce lì. Il ricchissimo dottor Fischer riunisce periodicamente una banda di persone alle quali infligge una cena disgustosa, godendosene l’avidità: tutti fanno finta di nulla perché sanno che saranno premiati con un regalo di gran valore. Un’idea di commedia realizzata poi in racconto.
Un racconto iterativo, ma non senza sorprese. Il dottor Fischer è un ricco misantropo, spregiatore del genere umano. Nel quale ha però incluso la moglie, per una piccola passione che lei aveva, da lui non condivisa, per Mozart, per la musica: un astio che l’ha uccisa. È dunque persona astiosa,  ma ha generato, con la moglie, una figlia. Che è in tutto uguale alla moglie, e in più decide ora di sposare un inglese spiantato, con un piccolo lavoro di traduttore a Ginevra, ha più del doppio della sua, ed è monco di una mano. E non c’è salvezza – questo si può dire, anche se della bomba all’ultima cena non è opportuno. Se una felicità si schiude, una morte sopraggiunge quasi annunciata – una offesa al lettore, un suo lutto personale.
Una storia di fatto di sadismo e masochismo, volendo chiamare le cose col loro nome. Anche nei personaggi buoni e bene intenzionati. Ma una proposta al solito penetrante del fatto religioso, del Dio soprannumerario. Fino al Dio malato di avidità: “Mi piace pensare che la mia avidità è un po’ come quella di Dio”, può argomentare il dr. Fischer: “I credenti e i sentimentalisti dicono che è avido del nostro amore. Preferisco penasare che, a giudicare dal mondo che è supposto avere creato, può essere avido solo della nostra umiliazione, e quella avidità come si può mai esaudire? È senza fondo”.
Uno dei racconti di Greene inflessibile: il Male c’è. Ma una storia di fede, malgrado  tutto, la preghiera è ancora salvifica, benché disperata.
Graham Greene,
Il dottor Fischer a Ginevra, ovvero la cena delle bombe

martedì 16 novembre 2021

Secondi pensieri - 462

zeulig


Critical  Race Theory
– La teoria critica della razza che divide l’America, impostasi nell’insegnamento e ora contestata (politici ed elettori, non solo bianchi, affermano che è un’indottrinazione anti-bianchi, i sostenitori affermano che questa è una caricatura delle Teoria Critica) si fa risalire a un saggio del professore Derrick Bell,1980, afroamericano, insegnante alla facoltà di Legge a Harvard, sulla decisione della Suprema Corte nel 1954 che metteva fine ala segregazione scolastica, “Brown vs. Board of Education”. Abolire la segregazione non aveva creato pari opportunità, spiegava Bell: mettere la discriminazione fuorilegge non è la stessa cosa che assicurare una vera uguaglianza. A prescindere dal fatto, argomentava polemico, che “i progressi razziali” si producono negli Stati Uniti quando i bianchi ne hanno bisogno – negli anni 1950 per confrontarsi con forti forze armate contro l’Urss.
L’analisi di Brown prese il nome di CRT, e lo statuto di insegnamento formale, nel 1989. Ma si è affermata lentamente, nelle ultime decadi del Novecento e nella prima del Duemila. La teoria si è fatto strada con alti e bassi. Clinton, per esempio, nel 1993 nominò alla divisione Diritti Civili del ministero della Giustizia la professoressa Lani Guinier, della facoltà di Legge dell’università di Pennsylvania, salvo rimangiarsi la nomina prima che andasse a effetto: Guinier fu criticata anche nel partito Democratico, per aver sostenuto l’esigenza di ridefinire i regolamenti elettorali in maniera da garantire l’accesso al voto anche alle minoranze.
L’esempio di disparità che si suole portare riguarda i redditi medi, le classi medie: la famiglia media americana bianca dispone di un reddito che è sette volte quello della famiglia media americana nera. Ciò soprattutto per l’effetto a rovescio della “rendita urbana”, il fattore a più vasto impatto dell’accumulazione: la politica governativa di segnalare i quartieri neri come aree a credito di rischio, con l’effetto, durato oltre quattro decadi, di rincarare o negare il mutuo ai residenti.  
Le teoria critica della razza
 è tornata sotto osservazione paradossalmente dopo l’assassinio da parte della polizia del giovane afroamericano George Floyd a maggio di un anno fa. Una campagna nei media si è elevata contro l’insegnamento della storia americana alla luce della Crt. Portando il presidente Trump due mesi dopo a un ordine esecutivo per porre fine alle pratiche di sensibilizzazione al razzismo dei dipendenti federali che facessero riferimento alla Crt, o al “privilegio bianco”,  comunque a “una propaganda divisiva, anti-americana”.
Il presidente Biden ha revocato l’ordine di Trump. Ma le ultime elezioni locali, in Virginia, New Jersey e altrove, si sono giocate con successo sul rifiuto della Crt. Almeno 28 Stati hanno introdotto o lavorano a introdurre norme che impediscano lezioni di discriminazione razziale o sessuale a scuola. In difesa della Crt nuove norme sono state introdotte o si studiano in tredici Stati.
 
Esilio
– È in connessione con il concetto di patria, che è labile. Ed è di per sé poco definibile se è una scelta. Sono esiliati gli scrittori anglo-indiana o indo-americani? O i tanti franco-rumeni – non escluso qualche italo-rumeno.  Parimenti è difficile definire la patria di uno scrittore afghano o iracheno che si vuole esiliato, o libico, o saudita – ora usa anche l’emiratino. Cioè di paesi che esistono per convenzione, anche recente, più spesso coloniale, con scarsi connotati patriottici. La delimitazione tra Siria e Iraq, tra Siria e Libano, tra Iraq e altri confinanti, Kuwait, Arabia Saudita è stata coloniale e geometrica, per sfere d’influenza, senza radici storiche o tradizionali. Essendo peraltro questa aree all’origine e tuttora tribali, dove cioè la tribù viene prima dello Stato. Lo stesso la divisone indo-pachistana, per quanto qui le radici culturali siano spesse: la divisione è stata artificiosa.
L’esilio volontario è parte del più vasto concetto dell’emigrazione. Che si dice (si vuole) dettata dal bisogno o costrizione (persecuzione), ma è una scelta di avventura, si sfida – anche sotto la costrizione: ci sono più vie di sottrazione, e una di queste è l’emigrazione – l’esilio. Che resta una decisione.
 
Meritocrazia
– È selettiva e antidemocratica – è autoreferente? Lo è per definizione, e finora con merito – le democrazie prosperano col merito (intelligenza, applicazione). Ora non più, per uno stato d’animo condiviso e per una serie crescente di critiche: è un processo elitario asfittico. Ha promosso una selettività eccessiva, anarcoide, e ha creato disparità insormontabili tra ceti – per censo, istruzione e, seppure in forme contorte, razza – o le ha fossilizzate.
Si moltiplicano nelle università americane le contestazioni al merito. Dapprima Daniel Markovits, giurista della Yale Law School, col voluminoso “The Meritocracy Trap”, sottotitolo “How America’s Foundational Myth feeds Inequality, dismantles the Middle Class, and devours the Elite”. Ora il filosofo di Harvard Michael Sandel, “comunitarista”. “The tyranny of Merit?”, sottotitolo “What’s become of the Common God”. L’ipotesi è che la meritocrazia sia una delle forme della crisi politica americana, all’origine di un processo elitario o di ascesa sociale chiuso invece che aperto, e plutocratico, il merito venendo a costituire titolo quasi feudale nelle attività pubbliche come in quelle private, di mercato.
Meritocrazia, che si fa risalire alla democrazia di Atene, a torto, è termine e concetto del 1958, di un romanzo satirico, “The Rise of Meritocracy” (“L’avvento della meritocrazia”), benché opera di un sociologo, il britannico Michael Young, laburista di primo piano, fondatore della Open University, e dell’Istituto di Studi Comunitari. Il premio all’intelligenza e all’impegno come base per il successo si stratifica in piani infine inaccessibili, soprattutto perché non tollerano critica – si autocelebrano. Lo stesso Young successivamente, nel 2001, spiegherà, non più in forma narrativa né satirica, che “è giusto affidare incarichi agli individui sula base dei loro meriti, ma è l’opposto quando coloro che si ritengono avere meriti si rinchiudono in una nuova classe sociale senza spazio per altri”, per nuovi entranti.
 
Post-umanismo
– In tema Alessia Rastelli su “La Lettura” interroga Timothy Morton, docente a Houston, autore di un “Dark ecology”, che sarà alla fiera dei libri di Milano, Bookcity, e così si spiega: “Dark, oscuro, è da intendersi in un modo che cambia via via che si acquisisce coscienza ecologica. La prima reazione è di tristezza, depressione per un mondo che sta morendo, poi si avverte stranezza, ambiguità, rispetto al nostro mondo reale posto sul pianeta e al rapporto con le altre specie e oggetti; infine dolcezza, alla maniera potremmo dire del cioccolato fondente; perché attraversando l’oscurità si può arrivare in un posto migliore”. Anche attraverso il cioccolato al latte, perché no. E il nocciolato? Dark cioè confuso? Non è l’uomo che sta fabbricando il post-umanismo?
Si spende molto il post-umanismo per cause non chiare. Per esempio, per far ricomprare a tutti un’automobile elettrica – invece di ridurre, o abolire, la circolazione. O come se si potessero regolare (modificare, irreggimentare) le realtà astrali, la “natura”. Forse sì - ma fino a un certo punto, come sempre.
Il post-umanismo come nuova frontiera di conquista? Che di più umano dell’intelligenza artificiale.
 
Religione
– È della carne e non dello spirito. Nasce dal corpo. Nel cristianesimo, con la Crocefissione e  poi  il culto delle reliquie, ossa, dita, la scheggia della Croce. In altre religioni comunque con la “storia”, di persone e eventi. La fede è corporea. Anche del qui e ora. È sensibile, sensitiva – per questo le dimostrazioni non la intaccano. La fede è corporea, sentimentale – dei sensi.


zeulig@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo (149)

Al processo Kily RitteNhouse, un adolescente che ha ucciso due persone e ferito una terza un anno FA durante le manifestazioni Black Lives Matter a Kenosha nell’Illinois, ma forse ha agito per legittima difesa (il verdetto è atteso oggi), il giudice Bruce Schroeder ha provato a stemperare la tensione con una battuta a una pausa pranzo: “Spero che il cibo asiatico non debba venire da quelle barche di Long Beach Harbour”. Un accenno alla congestione dei porti californiani, primo approdo dei grandi commerci con la Cina. La Cnn e i legacy media hanno bollato la battuta come razzista, anti-asiatica. Schroeder è il giudice di più lunga e apprezzata carriera e Chicago e in tutto l’Illinois.
I legacy media sono i media di più lunga tradizione, a stampa o anche via etere, una sorta di mass media istituzionali. In opposizione in genere ai new media, a partire dall’informatizzazione. È una suddivisione temporale (storica) e quasi tecnica, ma i legacy media sono ritenuti aprioristicamente ostili dalle destre americane, attorno al partito Repubblicano.
Edward “Edi” Durr, di professione camionista, che aveva accettato di fare lo sparring partner repubblicano alle elezioni contro il presidente del Senato del New Jersey, in carica da tre legislature, massima autorità politica dello Stato, in un voto cioè a esito scontato, è invece stato scelto dagli elettori. Durr non ha fatto nemmeno campagna elettorale – avrebbe speso, secondo le fonti, 1.813 dollari oppure 2.300. L’unica cosa che si sa di lui, da quanto (poco) scrive su social, è che è di estrema destra.     
Gli Stati Uniti, che con il Fatca, Foreign Account Tax Compliance Act”, hanno promosso dal 2014 una politica del “fisco aperto”, dello scambio continuo di informazioni con gli Stati esteri in materia di depositi e investimenti dei propri concittadini, ospitano sette paradisi fiscali al proprio interno, in altrettanti Stati (Delaware, Wyoming, Montana, South Dakota, Nevada, Montana, Mexico e Alaska), che garantiscono l’anonimità, anche ai cittadini e ai soggetti giuridici americani.

Calvino innamorato

Pubblicata nel 1990 sul settimanale “Epoca” da Pasquale Chessa – che la ripropone su “Panorama” con i necessari riferimenti – a settembre del 1990, questa scelta di lettere d’amore dello schivo scrittore all’attrice e scrittrice Elsa de’ Giorgi, fra le più esaltate e eccitate che si possano leggere, suscitarono soprattutto polemiche. Come se la pubblicazione fosse rubata, ma più per il ritratto che danno di un Calvino all’epoca, 1955-1956, non propriamente impegnato o impelagato, non in modo esclusivo e non in primo grado - e non sposato naturalmente, alla vedova che nel 1990 se ne ebbe a male. Uno scampolo di lettere che soprattutto tessono le lodi di Elsa, di cui Italo apprezza tutto, anche il “ghiribizzo di civettare”: “Tu sei un’eroina di Ibsen”, “No, non hai nulla dell’eroina dannunziana”, una che dice sempre “cose così acute e sorprendenti quando parli di me con me che ti sto a sentire a bocca aperta”, per una “intelligenza delle personalità umane fatta di discrezione e capacità di intendere i tipi più diversi”. Ma erotico, inseguendo “la concretezza del tuo corpo nudo”. Per la capacità, dice citando Elsa, di “suscitare l’amore senza mai stimolare il vizio”. Elsa è come la guerra, partigiana: “È terribile come la guerra, la felicità che mi dai. E la cosa più esaltante di quello che provo fra le tue braccia è quando penso che chi ti abbraccia non è che sia un altro, sono io”.…
La raccolta delle fiabe italiane a cui Calvino stava attendendo al tempo della relazione esce con la dedica a Raggio di Sole, anagramma quasi perfetto di Elsa de’ Giorgi, “manca solo la «e»”. E quando “L’Espresso” vuole pubblicare la “scoperta” della dedica, Calvino si adopera per evitare la cosa - uno scandalo, Elsa essendo sposata, con Vittorio Contini Bonacossi. Elsa Italo eleva alla pari con Pavese, in quelle che chiama le sue “due conquiste fondamentali”: “Il mio rapporto con Pavese, o la coscienza della poesia, il mio rapporto con te, o la coscienza dell’amore”.
Lo scandalo stava nella scoperta che nel 1955 Calvino, personalità di punta nella strategia culturale del Pci di Togliatti, dell’apertura ai ceti e alle forme borghesi, mostra invece poca affezione per la politica, e opera la scelta per il Calvino che conosciamo, scrittore, e letterato acuto. Trascura la politica. Sceglie la letteratura, la poesia della vita.
Ma lo scandalo politico nasceva da uno scandalo giornalistico, che Chessa racconta qui. Elsa de’ Giorgi era stata insultata da Citati, nel necrologio di Calvino scritto per “la Repubblica” (non elogiativo, per la verità: Calvino ne esce come uno scrittore minore, un funambolo – Citati, recente vicino di casa dei Calvino a Roccammare, scriveva quello che della de’ Giorgi pensava la vedova dello scrittore, “Chichita”, ma non era mai stato un ammiratore di Calvino): “Spesso si innamorava… Si trattava di False Contesse” eccetera, che “lo obbligavano a frequentare ristoranti costosissimi o a bere Veuve Cliquot”, e quando capì “di avere buttato via il suo cuore e il suo tempo”, una della False Contesse “lo inseguiva attraverso l’Italia con la pistola nella borsetta, leggendo ad alta voce agli amici, con roucoulement di una colomba pugnalata, le tremila lettere d’amore che lui le aveva scritto”.
Elsa de’ Giorgi provò a rispondere, e fu ospitata da “Epoca”: “In quell’occasione”, spiega qui Chessa”, “vidi per la prima volta il carteggio. Le lettere non erano tremila e nemmeno trecento, ma esattamente 407 divise per argomenti in 11 cartelline azzurre”. È l’unica nota bibliografica accurata che si ha di questo carteggio.
L’epistolario di Calvino finora pubblicato, in un Meridiano, di circa mille lettere, non contiene quello con la de’ Giorgi, secretato dalla vedova di Calvino e sua erede, Esther Judith Singer. Uno scambio di 400 lettere, tra il 1955 e il 1960, più qualche cenno sparso successivo. Lui aveva 32 anni nel 1955, lei 40, sposata da sette con Alessandro “Sandrino” Contini Bonacossi, a Firenze, ma la coppia risiedeva a Roma, dove Elsa era attrice di cinema e di teatro, amica di Visconti e di Pasolini. Per incontrare Calvino, che lavorava a Torino, Elsa aveva preso casa fuori Sanremo sul mare.
È autrice apprezzata di due memorie, “I Coetanei”, sulla guerra a Roma, e “Ho visto partire il tuo treno”, sulla relazione con Calvino e sul mondo romano. Era attrice di nome,  col primo ruolo a diciotto anni in “Ti amerò sempre” di Camerini, poi specialista dei “telefoni bianchi”, ma anche attrice di teatro, con Visconti e Strehler. E al cinema con Pasolini da ultimo, nel suo ultimo film. Il rapporto con Calvino ruppe l’intesa con “Sandrino”, che ne derivò un forte trauma, tra sparizioni e riapparizioni, fino al suicidio nel 1975 in albergo a Washington.
Pasquale Chessa (a cura di), Amore e politica: le lettere che dividono l’Itali
a, “Panorama”, 12 agosto 2004, free online

lunedì 15 novembre 2021

Appalti, fisco, abusi (210)

Morgan Stanley modifica a settembre le condizioni contrattuali di alcuni fondi. Che l'investitore può accettare tacitamente. Oppure può chiedere il rimborso dell’investimento, ma deve farlo entro il 29 ottobre. La comunicazione di MS, data 30 settembre, viene però consegnata il 15 novembre. Ammesso che le modifiche siano sostanziali, si tratterebbe di una truffa.
 
Ma si tratta di modifiche assurde, per lo più illeggibili – avvocatesche (è consigliata la lettura del documento da parte di “consulente specializzato”). Un mezzo libro, che avrà richiesto l’opera di molte persone per mascherarne il senso, oltre al consumo di chili di carta per ogni sottoscrittore. Un “documento” della inverosimile inefficienza delle banche, ora sotto l’apparenza del dovere di informazione.
 
“Se il 21 per cento paga il 71 per cento dell’Irpef”: ritorna su “Affari&Finanza”, sotto forma di “analisi delle dichiarazioni dei redditi presentate nell’anno del Covid”, l’eterna questione delle molte tasse pagate dai pochi. Sottinteso: gli italiani evadono le tasse. Invece di dire quello che uno studente (non studioso) di Scienza delle Finanze sa; che lo squilibrio fiscale è dovuto all’eccessiva progressività, e alle troppe “erosioni” consentite.
 
Poste vanta un utile in crescita quest’anno del 50 per cento, ricavi in crescita del 20 per cento, margini in crescita, eccetera. Aumenta perfino i ricavi da corrispondenza. Che però non consegna – se non qualche volta, un giorno la settimana, o il mese.  Non sembrerebbe possibile, Poste è beneficiaria, in esclusiva, del Servizio Postale Universale – da ultimo per 15 anni a partire dal 2011. Per il quale riceve congrui conguagli dallo Stato.

Ritrovarsi ai settanta in leggerezza

Una commedia della terza età. Con tutti i luoghi comuni, la prostata, l’erezione, i Beatles e “all you need is love”, eccetera, che però non pesano.  Un film leggero, che approssima il cult - manca la convinzione? Quattro attori stagionati, Marco Paolini, Neri Marcoré,  Tirabassi e Giovanni Storti (Giovanni di Ado, Giovanni e Giacomo), cinque con Isabel Russinova, sono tenuti stretti da Ferrario fuori da ogni velleità mattatoriale,  eccezionalmente. Sono stati da ragazzi, prima di diventare chi notaio, chi ristoratore, eccetera, un gruppo musicale, e Paolo Giangrasso nelle vesti del giornalista sfigato appassionato degli anni Settanta li pilota in un tentativo di resurrezione. Ma quello che conta è ritrovarsi. 
Un film pop, anomalo per l’Italia. Con facce, ambienti, paesaggi, per grandi macchie geometriche di colore. Con un insolito effetto di legerezza, pur nella sceneggiatura carognosa, scontata.
Davide Ferrario, Boys – all you need is rock, Sky Cinema

domenica 14 novembre 2021

Appalti, fisco, abusi (209)

“Il Sole 24 Ore” assegna la palma di campione dell’anno a piazza Affari a Unicredit, “cresciuta del 50 per cento” al listino. Cioè rispetto ai 7,4 euro del 26 gennaio, minimo dell’anno. Perché no? Il titolo si può dire cresciuto anche di più, rispetto al minimo storico di 6 euro a metà maggio 2020. Ma basta un Orcel per cambiare le carte in tavola?
 
Non si saprebbe realizzare un’idiozia peggiore, se già non ci fosse, sacramentata dalla legge,di assegnare alle prefetture i ricorsi in materia di multe stradali. Che ora, fra una cosa e l’altra, non sono mai meno di 100 euro, e al passaggio in Prefettura diventano di 200. Perché la Prefettura, inderogabilmente, rifiuta il ricorso: non lo legge nemmeno, lo manda ai vigili che hanno stilato il verbale, i quali ribadiscono il verbale stesso, e la prefettura per questo semplice scambio raddoppia la sanzione. A un costo, certo: di un prefetto, in genere una prefettessa, appositamente delegata, con innumerevoli sottopancia, per compilare gli “atteso” di prammatica, “esaminato”, “considerato”, “ritenuto”, “visto”, e “vista” (vale la pena farsi fare una multa per leggere le delibere prefettizie), e  raddoppia così la sanzione.
 
Si capirebbe il raddoppio della sanzione per le multe stradali se l’incasso andasse allo Stato per pagare il prefetto addetto, o la prefettessa, e i loro sottopancia. Ma va al Comune - per un servizio non reso, un Comune normalmente opera per il benessere di chi amministra. Un tempo i Comuni avevano appositi uffici dei vigili urbani per accogliere e discutere i verbali: gente che sapeva di che si parlava e dedicava a ogni problema cinque minuti. Poi è tornata subdola l’Italia dei Prefetti (dei commissari, delle ingiunzioni esecutive). Come un secolo fa, fino a Mussolini.
 
Si faccia la Salerno-Reggio Calabria, che stenta a farsi chiamare autostrada del Mediterraneo, 442 km, cinque ore in media di automobile, e non c’è un solo ristorante. Anche in senso inverso, Reggio Calabria-Salerno, eccetto un autogrill con cucina a Rogliano, a due ore da Reggio Calabria. È questione di licenze? Anas non deve provvedere ai servizi delle sue strade?
 
L’Anas gestisce la Salerno-Reggio Calabria con curiosa noncuranza. Ora il percorso è tutto un seguito di aree cantierate (traffico ristretto a una sola corsia). Dove però non si vede un addetto, né una macchina all’opera. Ha segnali assurdi di limitazioni di velocità, p.es. 80 km|h, non ripetuti, in tratti rettifili,  ben pavimentati, che sfuggono all’occhio : per fare multe con autovelox incogniti? perché si è dimenticato il segnale da qualche cantiere storico?
 
L’autostrada Salerno-Reggio C. l’Anas ha costeggiato di segnaletiche grandi, gialle su fondo ocra, di “Vie della fede”, “Vie di Bacco e Cerere”, “Vie del vino”, “Vie dei Castelli”, fasulli peraltro, perché uscendo non si troverebbero castelli né vigne, forse solo qualche chiesa. Un appalto, a qualche amico cartellonista? Mentre non c’è un solo segnale utile – per esempio di un ristorante. Un segnale a pagamento, a favore dell’Anas, e utile. L’Anas è solo una centrale di spesa. Incontrollata? Una signoria.

L’Europa comincia a pagare la transizione energetica

Il caro energia è qui per restare, luce, benzina e gas, e anzi si accentuerà, via via col passaggio accelerato alle fonti non fossili. Con effetti gravosi sul caro-bolletta, e di più sulla competitività economica.
Le aree come l’Italia e l’Europa, impegnate per un passaggio accelerato alle fonti di energia rinnovabili, perderanno ulteriore terreno, nell’ambito della globalizzazione, a favore delle produzioni asiatiche, che si sono riservate una transizione molto più a lungo respiro – a un orizzonte di quaranta e anche cinquant’anni, e non di dieci, come l’Europa.
Il conto è semplice. La produzione di idrocarburi, petrolio e gas (la fonte prevalente dei combustibili fossili, insieme col carbone) era stata incentivata fino alla metà degli anni 2010  da investimenti robusti, nell’ordine di 800-900 miliardi di dollari l’anno. Effetto della domanda in crescita abnorme, specie in Asia, e di prezzi elevati. Quando il mercato ha trovato un nuovo equilibrio tra domanda e offerta, gli investimenti si sono più che dimezzati, a 300-400 miliardi di dollari l’anno. La saturazione della domanda, con la compressione dei prezzi, e le politiche di decarbonizzazione, con gli accordi di Parigi sul clima, hanno indirizzato gli investimenti verso le fonti alternative. Che però sono di sviluppo lento.
Il blocco dell’attività produttiva per quasi un anno e mezzo a causa del covid ha ulteriormente compresso gli investimenti. La ripresa della domanda, sia domestica che industriale, resta quindi parzialmenrte scoperta. E più lo sarà nel futuro prossimo – gli anni della transizione accelerata alla neutralità delle emissioni zero di anidride carbonica.
Si può dire solo iniziato, con le nuove bollette, il salasso che il ministro della Transizione Ecologica Cingolani ha spiegato, in conseguenza del piano europeo di arrivare alle emissioni zero nel 2030.
Ne resteranno esclusi i grandi paesi industriali asiatici, Cina e India sopra tutti, che si sono riservati di ampliare il ricorso al carbone di cui abbondano. E in questo modo anche – non dichiaratamente – l’Australia e il Nord America, il Canada e gli stessi Stati Uniti. E la Germania, in parte. I paesi del carbone, l’inquinatore per eccellenza.

Mistero e felicità a teatro

Mistero e commedia dell’arte, come recita il sottotitolo. Mistero laico, dell’attore, uno, nessuno e centomila. E dell’arte teatrale, che s’inscena alla morte, o meglio prolungata agonia, del capocomico. L’Attore nn muore, non può morire, e De Simone lo fa rivivere in molti ruoli, anche sdoppiandosi – riesce a essere insieme Otello e Desdemona.
Una scorribanda, promette De Simone in avvertenza, “tra il tirso del riso atellano e il coturno letterario di Pirandello, il conflitto tra Prospero e la magia di Medea, tra il Commendatore e Don Giovanni”, con “gli insopprimibili servi padroni”. Ma il testo fila liscio, dopo questi fieri propositi. Evocando personaggi e memorie di testi, ma soprattuto inventando, grazie alla lingua. Che suona tutte le corde, alte, basse, madrigalesche, in castigliano anche, o con l’inglese di Keats, scurrilità, ferocia (verbale): un’inventiva lessicale trascinante. In napoletano naturalmente, ma anche in inglese (finto) d’accatto, in bolognese (il Dottore), in fiorentino (il Pittore). E in napoletano con dialoghi, invettive e elenchi, specie tra le donne “corifee” che faranno testo, oltre a concludere la commedia.
Il miracolo della “Gatta Cenerentola” di Spoleto 1977 si ripete: inventiva, forza, musicalità. Ma non con la stessa forza, restando confinato al testo. De Simone si è voluto fare un regalo per i suoi 86 anni due anni fa, e si può dire, come il testo vuole, che è morto il capocomico. Non si fa più teatro, se non al modo dei podcast, monologhi e primi piani, e comunque nessuno ci ha finora provato al posto di De Simone. Che pure provvede questa sua summa di felicità delle musiche.
Roberto De Simone, L’oca d’oro, Einaudi, pp. 137 € 12,50