sabato 27 novembre 2021
Il complotto eccolo qua - 2
L’Italia ha una storia lunga di complotti,
a partire dall’Autunno Caldo del 1969, quindi da oltre mezzo secolo, dalla
cosiddetta “strategia della tensione”. All’evidenza una strategia politica, di
manovra e comunicazione. Con numerose, non fantasiose, applicazioni, si direbbe
leggendo Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione – un
racconto in forma di memoriale, di difesa e testimonianza (l’Ente di cui si
parla è un grande gruppo presso il quale il narratore lavora, “il Pazzo” s’intende
Gheddafi, Pietro è nome d’invenzione. Questi alcuni estratti – riferiti al 197i:
“All’alba
della Rivolta di Gennaio (1919), Rosa Luxemburg venne rapita, e assassinata,
insieme con Liebknecht, dai Freikorp, i volontari della restaurazione (germanica), agli
ordini del governo socialista. A Rosa si arrivò pedinando Wilhelm Pieck, futuro
presidente della Repubblica Democratica: Pieck, preso con gli altri, fu rilasciato.
Alcuni hanno perciò ipotizzato un tradimento, contro Rosa e Liebknecht, ordinato
da Lenin e dal suo uomo in Germania, Radek. Non ci sono prove naturalmente,
perciò l’ipotesi è non vera per gli storici. Ma è vera, il partito ha sempre
tradito i comunisti. Spartacus, bisogna aggiungere, nel cui nome Rosa si ribellò
era un “grosser General” per Marx, un
bruto, “mica Garibaldi!” - che egli peraltro aveva in antipatia e motteggiava.
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Non ci resta che l’ologramma
Un
film comico, amaro – la commedia all’italiana portata al limite. L’unico lavoro
possibile per un manager quarantenne licenziato è il rider, il fattorino delle consegne in bicicletta, con la
gerla a cubo sulle spalle anche se porta una semplice pizza. E l’unico contatto
umano disponibile è un ologramma: parlante, e di buoni sentimenti, ma un’ombra.
Un
titolo infelice per un racconto tanto semplice quanto potente. Giocato con
troppa insistenza sull’algoritmo –“la colpa è dell’algoritmo”, la combinazione
segreta che ci governa, che sembra in linea con i complotti no vax – ma girato
con sapienza, tra un magazzino-periferia talmente assurdo da sembrare irreale,
e interni senza luce e senza colori, senza contrasti, bianco-grigi, scenografie
da normalità allucinate. Un po’ anche, il giusto, scorretto, per l’effetto
comico: c’è l’arabo, c’è l’africano a capo dei 10 km. di fatica in bici del
manager licenziato per ricevere sodisfatto la pizza o il panino.
Un
film corale, articolato con sapienza con poche facce, De Luigi, Pastorelli, lo
stesso Pif e Maurizio Marchetti. Un film che è il ritratto di un’epoca,
allucinata e vuota – e meno insistito farebbe anche epoca.
Pif,
E noi come stronzi rimanemmo a guardare,
Sky Cinema
venerdì 26 novembre 2021
Il complotto, eccolo qua
La sociologia politica ascrive il complottismo a una forma mentis americana. Della politica americana come la esprimono i media, o opinione pubblica. Radicata nella storia del paese, che si vuole (si ritiene) di continue battaglie di liberazione - coma tale è stato impostato mezzo secolo fa in America da Richard Hofstadter, nel classico sullo stile paranoide della politica nazionale. Ma l’Italia ha una storia ormai lunga di complotti, ricordava zeulig ieri su questo sito, a partire dall’Autunno Caldo del 1969, quindi da oltre mezzo secolo, dalla cosiddetta “strategia della tensione”. Facendo l’ipotesi che siano una strategia politica, di manovra e comunicazione. Con numerose, non fantasiose, applicazioni, si direbbe leggendo Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione – un racconto in forma di memoriale, di difesa e testimonianza (l’Ente di cui si parla è un grande gruppo presso il quale il narratore lavora, Angela, Pietro, Omar sono nomi d’invenzione - il “riscatto Mancia” sta probabilmente per Gancia, l’industriale rapito). Questi alcuni estratti – riferiti al 1974, anno in cui di complotti parlò perfino il cauto Andreotti.
“I
Precijsen olandesi non attaccarono Spinoza, lo attaccarono i Latitudinari,
tutte le specie di liberali: cartesiani, sociniani, collegianti, labadisti. E Spinoza
si assomigliava a Masaniello - lui che parlava solo con se stesso, essendo
portoghese in Olanda, scrivendo in latino e leggendo in italiano, spagnolo,
molto Quevedo, e francese. I ruoli vengono attribuiti ma sono anche assunti.
Angela è accusata di aver portato il riscatto Mancia ai palestinesi, l’ex
tennista rifatta skipper a Mombasa. O
di averlo speso per loro al mercato libero di Zanzibar. Omar sarebbe stato il
contatto.
“Quella donna, o cos’è, è il genere Henri de Montfreid, che si romanzava
la vita, eccetto che lui era per Mussolini e Pétain. Anche lei si potrebbe fare
musulmana, baiadera al suk: nella
posizione che privilegia accosciata sulla sinistra, che viene bene a Baldung
Grien negli schizzi all’Albertina, la parte destra della groppa ad arco retto col
ginocchio, non si resta a lei inerti, benché inattingibile – ma chissà, è spia
chi ama farsi fare. È Omar il contatto o l’informatore? C’è una fonte
confidenziale, e Omar, lo spicciafaccende dell’Ente a Nairobi, potrebbe essere
entrambi: è il tipo indifferente, al bene e al male. O la fonte è anonima, è un
classico, una lettera che il Procuratore si scrive, si cerca quello che si
vuole trovare. Negli Usa è la regola: si prende una vacca che giura a pagamento
di essere stata stuprata, e per il personaggio da incastrare è finita, dato che
l’America è morale, non si può dire di una puttana che è puttana.
.................................
“L’onorevole Andreotti, chiusa la crisi di
governo aperta per portarlo alla Difesa, pronto rientra in gioco. Al segretario
di Togliatti spiega che il terrorismo è a destra, sotterrando il suo governicchio.
E tanti golpe cita, genera, resuscita, lui che la destra e i servizi conosce
meglio di tutti:
“- Ha Miceli e Moro nel mirino – Pietro decide
sommario. Il generale Miceli fu il mio comandante ala Centauro, a Vercelli: era
lui a ordinare gli allarmi OP? Ora è capo dei servizi segreti, per conto di Moro.
Andreotti ha insomma nel mirino Moro.
“Pietro
ha telefonato, telefona spesso dalla latitanza, da luoghi incerti, ma senza problemi. C’è da temere l’ira dell’onorevole
Andreotti, se fu il generale Miceli nel 1971 a bloccare a Trieste le armi e i
mercenari del golpe contro Gheddafi, il golpe del Principe Nero, tanti benefici
apportando all’Italia e all’Ente in Libia. Si scavano trincee e si ammassano
sacchi. Anche se il Presidente, ingegnere, moderato costituzionale, è per Andreotti,
e questo dovrebbe agire da parafulmine.
“Per la forma la crisi è stata aperta dai
socialisti, avendo il ministro Giolitti dichiarato che i vincoli di un prestito
del Fondo Monetario Internazionale non erano applicabili all’Italia, e che anzi
l’inflazione si vince allargando la spesa. Poteva essere la rivoluzione, la
Nuova Era oltre che un Nuovo Modello di Sviluppo, il moto perpetuo
dell’economia. Ma Andreotti lesto s’è infilato e la crisi si è chiusa. Fanfani,
che ha tentato di mettersi di traverso quale capofila della destra, è stato
zittito con puntuale rievocazione del caso Montesi, nel quale non fece buona
figura. Il senatore, fra i tanti utensili con cui ha modellato la Repubblica
pezzo per pezzo, ha introdotto con quel primo scandalo, della ragazza annegata
in poca acqua a Torvajanica, anche l’inquinamento da dossier, le voci malevoli. I socialisti, che si sono ridivisi,
vorrebbero ancora dividersi. È il frazionismo, malattia morale del socialismo,
per albagia intellettuale, antipolitica, antidemocratica. Valpreda si continua
a processare a Catanzaro. Pur sapendo che le bombe le mettono i fascisti.
Soltanto si unificano i processi, Valpreda insieme coi fascisti. Dei golpe denunciati
in serie sarebbe stratega un generale, da Pietro ascritto all’onorevole
Andreotti:
“-
Maletti. Fa la guardia a Miceli, è il suo vice. – Andreotti è diffidente, ma se
ne serve perché gli alza comode palle, come dare a Miceli la colpa di Borghese
e Gheddafi. Nella guerra fra Andreotti e Moro, Ma-letti sapiente introduce i
cani sciolti, Pacciardi, Sogno, Fumagalli, bersagli convenienti a entrambi. E a
Berlinguer. L’onorevole farebbe meglio a dire che Maletti ha dato il passaporto,
con comodo vitalizio, a Giannettini,
l’agente Zeta, l’autore di Tecniche di
guerra rivoluzionaria, già spia dell’Oas, che sa tutto delle bombe perché
non lo dica. Cioè lo dice, dice che farlo fuggire è stato un errore, ma non
dice perché, né punisce alcuno, artista qual è del falso scopo, mirare a un
punto e colpirne un altro. Sogno e Pacciardi si sono fatti la guerra in Spagna,
ma erano insieme nella Resistenza. Colpire
è facile, bastano
un sostituto Procuratore della Repubblica e un paio di giornalisti. Si torni,
anche qui, al ’68, a un momento prima: che Dc sarebbe stata senza Moro e
Andreotti. Che Italia?
“L’onorevole Andreotti non è solo, la vigilanza
è massima. Su L’Espresso e Panorama i golpe si rincorrono. Prima a settimane alterne, ora in
contemporanea. L’ingegner Francia vuole avvelenare l’acqua. Delle Chiaie
rapire ventitré notabili. Il principe Borghese prendere Roma coi forestali di
Gualdo Tadino – un’altra volta? Gheddafi bombardare gli aeroporti. La
massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe preparano i militari.
Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un Fumagalli Carlo,
eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizza un gruppo anticomplotto – lui
è pacifista e complotta contro le Forze Armate.
“I golpe
contati tra gennaio e Pasqua sono venti o ventuno. Candelotti di dinamite si
scoprono in tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria, sotto i ponti, altri
deflagrano talvolta senza vittime. Borghese è il Principe Nero, personaggio di
Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché figlio di Edoardo
III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per lui scatenò la
guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe si sono persi
per strada. Il commando che doveva
rapire il capo della polizia Vicari ha prima sbagliato numero civico, poi è
rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo sovraccaricato. Ma non
si può ridere del complotto, i bolscevichi presero il Palazzo di Inverno
entrando alla spicciolata da una porta secondaria rimasta aperta”.
(continua)
Eco enigmista
Eco
soprattutto si divertiva, e dei giochi linguistici, che qui propone, dice di
avere un “fondo privato, e inedito, ricchissimo” – anche se poco utilizzabile
(“alcuni sono semplici variazioni su modelli ormai usurati, altri sono
estemporanei e scipiti, altri ancora troppo osceni” – ma qui non ne mancano).
Il lettore si diverte meno, anche col “quadrato magico” del titolo, ma certo la
produzione è notevole.
Qui
c’è un “Dante all’indietro”, a ritroso: tre canti dell’ “Inferno”, tra cui il
XXXIII (“La bocca sollevò dal fiero pasto”) fieramente porno. Effetto ripetuto, naturalmente, nel “Monica” (Lewinsky), collage di titoli che vari autori, da Shakespeare,
Verdi e Collodi a Sergio Leone, e a Pietro Valpreda, Eco fa dedicare all’affare.
E molti esercizi da enigmista. Seriosi invece i “38 consigli di buona
scrittura” (ricavati in rete, annota Eco onesto, in inglese, e solo leggermente
adattati in traduzione).
Umberto
Eco, Sator arepo eccetera,
nottetempo, pp. 77 € 7
giovedì 25 novembre 2021
Secondi pensieri - 463
zeulig
Amore materno - Non è istinto naturale, ha spiegato
Elisabeth Badinter, “L’amore in più”, e anche come sentimento lo ha rilevato
non diffuso, forse anche raro. È stato inventato da Rousseau, spiegava ancora,
e fu adottato largamente a metà Settecento per frenare l’emorragia demografica,
la mortalità infantile. Mentre è vero che la natura di Rousseau una volta tanto
funziona: nelle specie animali i calori sessuali vanno con la riproduzione, e non
c’è specie in cui le femmina non si occupa dei figli, o casi di figli abbandonati
dalle madri (col capriolo e altre specie si arriva all’assurdo che il neonato
casualmente separato dalla madre dovrà vivere poi sempre accudito e isolato,
altrimenti indifeso dai predatori .....).
La maternità è anche
apprezzata in tutti i periodi e i luoghi storici. Eccetto l’epoca attuale, in
cui il complesso genitoriale si trasferisce di preferenza su un pet, per lo più canino, rispetto a un
figlio, anche se richiede più cure e più costi.
Per gli umani si può
ipotizzare una evoluzione inversa, dalla funzione naturale alla scelta deliberata.
Complotto – Si
può dire una falsa scienza – falsa in quanto fondata sul segreto, sull’indimostrabile.
O una sindrome: piace dirsi in mano a forze segrete. Per
negare la politica, che è la democrazia.
La
logica del complotto è imbattibile, poiché incita alla difesa, che sempre è
nobile. E poi la leggenda non mente.
Emerge come un dato di cultura politica
americana, in una società divisa nella storia recente, un momento storico che vede
un reppraisal del modo di esse e
della storia degli Stai Uniti. Ma fu in auge mezzo secolo fa in Italia, e per
un lungo periodo. Dopo il Sessantotto, a partire dall’Autunno Caldo del 1969 e
degli attentati di piazza Fontana a Milano, e di Roma all’Altare della Patria -
un attentato sottovalutato ma contemporaneo di piazza Fontana, una
contemporaneità non casuale. L’Italia visse successivamente un lungo periodo di
attentati e colpi di Stato, veri o presunti,
di terrorismo, di destra e di sinistra, fino alla stazione di Bologna e
ancora oltre, una dozzina d’anni. Non c’era si può dire settimana che un
progetto eversivo non venisse denunciato, solitamente attraverso i settimanali che
allora facevano opinione, “l’Espresso” e “Panorama”. Partendo dall’editore
Feltrinelli, da un opuscolo che le sue librerie
vendevano, “Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia”, a maggio o
giugno del 1970.
Il
golpe Feltrinelli voleva ad agosto: “L’estate sembra particolarmente adatta”.
Ma di più ad agosto: “Gli operai sono in ferie, le fabbriche semichiuse, uomini
politici, giornalisti, ecc. sono pure loro al mare o in montagna, grava sul
paese dalla metà di luglio un clima di «stanchezza» e di disinteresse generale:
sono le condizioni ideali per portare a compimento un colpo di Stato”. Anche
Cromwell fece il golpe ad agosto. Ma ad agosto a Londra piove.
Qualche
ano dopo i complotti si erano moltiplicati, rincorrendosi su “L’Espresso” e “Panorama”.
Prima a settimane alterne, poi in contemporanea. L’ingegner Francia vuole
avvelenare l’acqua. Delle Chiaie rapire ventitré notabili. Il principe Borghese
prendere Roma coi forestali di Gualdo Tadino. Gheddafi bombardare gli
aeroporti. La massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe
preparano i militari. Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un
Fumagalli Carlo, eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizzava un gruppo
anti-complotto – lui era pacifista e complottava contro le Forze Armate. I
golpe contati tra gennaio e Pasqua 1974 furono venti o ventuno. Candelotti di
dinamite si scoprivano per tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria,
sotto i ponti, altri deflagrano talvolta senza vittime.
Borghese era il Principe Nero,
personaggio di Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché
figlio di Edoardo III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per
lui scatenò la guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe
si erano persi per strada. Il commando
che doveva rapire il capo della polizia Vicari aveav prima sbagliato numero
civico, poi era rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo
sovraccaricato.
Non si può ridere del complotto, i
bolscevichi presero il Palazzo di Inverno entrando alla spicciolata da una
porta secondaria rimasta aperta. Ma impossibile non pensare queste denunce, con
i relativi piani, forniti da una “mano segreta”, un’organizzazione, per quanto
controvertibile. E dunque il complotto ha logica esponenziale: c’è sempre un
complotto del complotto.
Ma, poi, la sindrome è antica e
ricorrente. Per Rousseau, Voltaire e Diderot erano corrotti complottatori.
Epoca
–
Si può dire suicidaria. Della buona morte e della morte del mondo, dopo quella
della natura e degli altri. Della letteratura dell’io – diari, confessioni,
memoriali, blog. Inevitabilmente misantropica, di rifiuto del mondo. Nel mentre
che ne vive (esplora, consuma) tutti i recessi, i più alti e i più bassi, di
ogni angolo e di ogni persona. E, per contrasto, vive nel migliore storicamente
possibile di benessere (istruzione, comunicazione, reddito, sanità, abitazione,
tempo libero). E afferma e impone i diritti, in ogni loro singola frazione. Non
è un cupio dissolvi, o allora non
ragionato.
Si può ipotizzare il
complottismo come una reazione a questa ideologia suicidaria. Che sospetta e
denuncia come artefatta, gestita da interessi subdoli per sfruttare i più,
anche se per motivi reconditi, non vedendosene il vantaggio, e restringere le
libertà. Anche a opera dello Stato, che non si ha remora ad acculare agli
interessi reconditi, subdoli.
Felicità – È personale, precaria,
comunitaria (famiglia, scuola, ambiente), e intermittente. Niente di più occasionale
– o “complesso” per dirla col Nobel Parisi.
Le statistiche
danno per paese più felice al mondo la Finlandia. Perché no, anche se ha
l’indice di suicidi – scontenti della vita – fra i più alti in Europa, dopo i
baltici e gli slavi.
Libertà – Alcuni filosofi hanno preso
posizione contro gli obblighi imposti contro la pandemia da covid e le misure
restrittive che ad essa si collegano, nella fruizione del tempo e nella
socievolezza, anche quella obbligata (lavoro, svago, affetti). Li criticano come
un’estensione indebita, se non artefatta, dei poteri dello Stato sull’individuo
e la società.
La critica si è
portati a colorare (ridurre) politicamente: venendo da pensatori che professano
o hanno professato posizioni politiche di sinistra, Agamben Cacciari, Vattimo,
si vede in essi riduttivamente un’espressone tardiva di antindustrialismo (lo
Stato servo del Big Pharma, eccetera). Riduttivamente, perché la polemica
contro lo Stato è tipica topica, malgrado il bisticcio di parole, liberale. Ma
è anche vero che le critiche e riserve sono state piuttosto enunciate che spiegate,
e quindi è difficile collocarle – Agamben, che ne aveva scritto, ha sentito
subito il bisogno di riscriverle.
Si va verso la quarta ondata, con grave
sacrificio di tutti, perché i no vax vogliono propagare il virus, con le
manifestazioni di piazza, per lo più “selvagge”. Se è una battaglia di libertà,
perché non vaccinarsi e stare tranquilli? È libertà fare da untori? No, è un
“battaglia” politica. Con danni per tutti, no vax compresi, enormi (sanità,
lavoro, reddito).
L’opinione pubblica è debole e
manipolabile. Anche da pochi, incapaci. Ci vogliono leggi. Costituzionali ma
obbligatorie.
“La quarta ondata in Europa e in Usa:
nessun altro continente così colpito”. Nelle patrie della libertà? Insensato,
ma non inspiegabile: la libertà è concetto scivoloso, anche se l’Occidente
(Europa e Usa sono l’Occidente) ne vanta il brevetto. Libertà non è
individualismo.
Politica
–
È forma. Il presidente Mattarella, accompagnato dalla figlia, va in visita a
Madrid. La foto ufficiale lo mostra insieme con il re e la regina di Spagna. I
reali seduti compostamente, come di rito, per rispetto agli ospiti. Mattarella
e la figlia con le gambe accavallate. O della politica inutile – la politica è
istituzione e rispetto delle forme.
Stato - Burckhardt
diceva: “Lo Stato moderno ha un padre e una madre. La madre è la rivoluzione,
il padre è il cesarismo”. Tutto si legherebbe secondo la “legge ferrea
dell’oligarchia” michelsiana: “Nei popoli e le rivoluzioni l’aristocrazia è
durevole: eliminatela nella nobiltà, rispunterà nelle casate ricche del Terzo
Stato; eliminatela anche qui, riemerge nelle aristocrazie operaie”.
L’aristocrazia della legge sarebbe meglio, seppure imperiale. Meglio di quella
dei furbi. Gramsci ne ha avuto l’illuminazione. Quando legò la democrazia
all’impero, nella nota «Egemonia e democrazia» del “Quaderno 8”, quando è l’impero a introdurre i
primi diritti, con la legge.
Storia – “Ogni storiografia è
autobiografia”, voleva Ernesto De Martino. Dunque niente passato? E niente
etnografia, il mestiere di De Martino.
“Fa bene la storia ad affidarsi al caso”, dice Carlo Ginzburg intervistato lungamente su “La Lettura”, sulla sua ultima raccolta di saggi, “La lettera uccide”. Fa bene allo storico? Ai fini della scoperta? Ma poi va provata. O fa bene alla narrazione, ariosa. Ma con che verità? La storia, quale che sia, è una combinazione non casuale. Non solo per la metodologia - i precedenti, le “cause”, i contesti. Anche in quanto ricostruzione, e poi “narrazione”. Oppure lo è?
C’è determinazione nella storia. Anche nell’errore (sconfitta): la storia, quella vissuta e quella narrata, non procede a occhi chiusi ma per trials and errors – come la ricerca. La storia, nel suo farsi come nel suo racconto, è ricerca.
zeulig@antiit.eu
Napoli, una favola
Un
racconto d’amore per Napoli, dove si arriva dal mare, come angeli del mattino a
volo radente. Un mare umbratile, che resterà sempre presente – il mare materno.
Con la storia della famiglia, affollata, chiassosa, anche folle, e protettiva –
doppiata dai vicini di casa, di sopra e di sotto. E con quella del giovane
Paolo, che fa le sue prime esperienze, fino alla decisione di lasciare Napoli
per Roma. Una scelta di “realtà”, ragionevole, quanto la storia familiare e
quella personale sono invece oniriche, nei colori, le figure, i dialoghi, le
situazioni – si dice “felliniane”, paternità che Sorrentino non nega: Fellini lo
a parlare dal vivo, e per bocca del fratello del giovane protagonista, che con Fellini ha tentato un
provino (“Il cinema non serve a niente”, gli ha sentito dire a un intervistatore,
“però ti distrae. Dalla realtà. La realtà è scadente”).
Un
racconto farcito di aneddoti veri, vivaci. Alla Fellini anche qui: non mostri
ma persone. La zia che vede san Gennaro e ci parla, è abbracciata dal Munaciello,
che le promette l’attesa maternità, fa il bagno nuda, e finisce al manicomio. La
parente tornata dall’Argentina, che veste in pelliccia, mangia con le mani, e
parla un dialetto stretto e sconcio. Il contrabbandiere che manovra il
motoscafo meglio della velocissima Finanza, porta il protagonista a
Capri di notte, soli nella piazzetta, e di mattina fa con lui il bagno nella
Grotta Azzurra. La contessa del piano di sopra che insegna all’implume
protagonista rimasto orfano come “fare” l’atto. Inarrivabile il cicaleccio
politico, anti-capitale, anti-sistema, dei bravi borghesi, per i quali
veramente Maradona finisce per essere “la mano di Dio”.
Un
racconto corale, senza primi personaggi o primi ruoli. Di attori tutti nel
ruolo. Un racconto fiabesco. In una luce morbida, di forme e di colori. Il Maradona
del titolo e delle tante interviste di Sorrentino c’è, ma di striscio – solo, smarrito.
La figura del padre è tutta paterna – nulla anche qui delle tante interviste
che lo dicono un superficialone e un fedifrago: i genitori sono la sola coppia
amorevole che si veda al cinema da molti anni. La verità – la realtà – Sorrentino
vuole qui consolante. Seppure nei toni posati e le sfumature della memoria, del
sogno, della favola.
Paolo
Sorrentino, È stata la mano di Dio
mercoledì 24 novembre 2021
Ombre - 589
Il
selfie vaporoso di una
modella-blogger tunisina sul “barcone” verso Lampedusa suscita ire e sdegni. È curioso
che un mondo così vicino all’Italia, come il Nord Africa e l’Africa tutta,
resti in Italia terra incognita: non si sa niente dell’Africa, non si capisce
niente dell’immigrazione. Siamo sempre al buon selvaggio. A opera delle
organizzazioni caritatevoli, il cosiddetto terzo settore, che perpetuano l’ignoranza
dei missionari.
Della
Juventus tremolante a Londra, sul campo del Chelsea, colpisce che nello stesso
giorno il club chieda 150 milioni di capitale
al mercato – non agli eredi Agnelli, agli investitori.
Colpisce
anche che il club torinese si presenti in vesti così dimesse, pur pagando un
monte ingaggi doppio della media della seria A, quando gioca in chiaro, cioè
visibile da tutti. Specula al ribasso?
Arnoldo
Mosca Mondadori, credente fervoroso e uomo di chiesa, fa fabbricare le ostie da
consacrare ai detenuti. “Fa concorrenza alle carmelitane” gli obietta Lorenzetto.
“No”, è la risposta, “alle ostie made in China”. Le ostie made in China!
La
Cina comunista grande business per gli sfaticati, soldi a palate. La conquista
del mondo con l’avidità e la corruzione?
“In quattromila senza mascherine a Roma”. Sono
molti o sono pochi (sono in realtà fra due e tremila? Sono niente. Ma allora
perché farci una pagina? Si spera che aumentino, non hanno già
imbastardito abbastanza, tanto casino tanto
onore? Anche a costo di rinchiudere tutta l’Italia?
Fa
piacere il Watford di Ranieri, quarto o terzultimo in classifica, che prende a calcioni il Manchester United di
Cristiano Ronaldo. Per i quattro gol che gli rifila, ma più per il modo. Con
velocità, atletismo, geometria, un calcio-spettacolo . Niente a che vedere con
i passeggini a rientrare di Lazio-Juventus. Anche, malgrado i tanti gol, di
Fiorentina-Milan – quanti “errori”, per esempio, dare la palla all’avversario per
farlo segnare meglio.
Incredibile
a vedere l’arbitro Guida di Fiorentina-Milan, che ha sotto gli occhi un pestone
con sgambetto del milanista Messias al fiorentino Saponara in area e non fischia il rigore. E convalida un gol
di Ibrahimovic, con la collaborazione di un fiorentino che la mette dentro, benché il milanista
fosse in fuorigioco evidente - non “millimetrico”. Senza che il Var, nell’un
caso e nell’altro, lo richiami. Non sono errori o sviste. Ma allora perché non
sarebbero roba penale, considerato che ai gol e al risultato sono legati
montagne di scommesse?
Dopo
il blocco di Andreotti al Quirinale, nel 1992, quando i “dorotei” Dc si
schierano per Forlani, e il con seguente fallimento di Forlani a opera degli
andreottiani, “Craxi spinge su Scalfaro”, spiega Pomicino a Labate sul
“Corriere della sera”, “presidente della Camera. Convinto che avrebbe potuto
‘garantirlo’ dal Colle”, da “Mani Pulite”, il golpe di Di Pietro e il debole
Borrelli. Scalfaro che affosserà la politica e la Repubblica.
Ferrari
“vale” di più di Banca Intesa? E di Eni? Vende di più, fa più utili, è più
competitiva, è più ambientalista? È il mercato di Borsa.
Il
neo sindaco di Roma Gualtieri, ex ministro del Tesoro (ministro del Tesoro?), professore
associato di Storia contemporanea, che debutta con un premio ai netturbini se
non si mettono in malattia per le Feste, sconcerta. Non sa che c’è una macchina
amministrativa da rimettere sui binari? Compresi i netturbini che non raccolgono
la spazzatura.
L’Ama,
l’azienda comunale romana dell’Ambiente che ha quaranta o cinquanta mezzi fuori
uso per averli alimentati con olio degradato, non andava prima subito rinnovata
nei vertici? Non si amministra col
sorriso, e le prebende.
E
i giornali romani: perché non si fa il nome della ditta che ha fornito l’olio
degradato? Perché l’Ama non la denuncia?
Il cinema per pochi
Le
favole rovesciate, per un racconto “corretto”, al femminile, seppure con
bonomia e anzi in allegria. Biancaneve risolutiva con i sette nan - , tutti, scoperta, maschi, risolutiva. Mentre addormentato è il principe azzurro. In una casa di
Cenerentola tutta al maschile.
Un’operazione
di testa ma ben raccontata, al limite tra il realistico e il fiabesco: recitazioni
accentuate ma non troppo, figure esagerate ma non troppo, e un fiabesco realistico. Che però non è piaciuto: uscito in estate, il film è campione
di non incassi. Forse perché è difficile portare al cinema i piccoli. Ma non
sarebbe andato meglio come serie, sulle piattaforme? Forse il cinema comincia –
per molti segni – a non andare più, il cinema in sala, non è questione di
distanziamento
Susy
Laude, Tutti per Uma, Sky Cinema
martedì 23 novembre 2021
Problemi di base - 672
spock
“De
nihilo nihilum, in nihilum nil”, Persio, e dunque?
Dio esiste ma non c’è?
Senza religione, senza legge?
Il pensiero è libero, da che cosa?
C’è un senso nella perdita del senno?
E nelle liti madri-figlie, con chi stare?
spock@antiit.eu
Il ritorno di Delfini, irregolare, eccentrico
Si legge Delfini perplessi,
per la figura dell’autore, la figura fisica, di signore corpulento, molto
stempiato, posato, giacca, camicia bianca, cravatta, in contrasto con quanto
e come diceva e scriveva. Mentre è di fatto uno giovane, anche in tarda età,
gioviale e irregolare, e le immagini concordano. La sua è una presenza “per sottrazione
piuttosto che per accumulazione”, nota il curatore. Ha avuto una vita molto
piena, anche perché breve, e molto pubblica, ma di lui si sa poco.
Delfini
fu famoso per avere spiegato che “La Certosa di Parma” è invece di Modena, che
il romanzone di Stendhal si svolge a Modena. Con lo stesso piglio
“surrealista”, serio e scanzonato, ebbe un momento di celebrità in politica nel
dopoguerra, portando armi dapprima ai partigiani comunisti, poi i comunisti
legando ai badogliani (monarchici), da ultimo creando partiti e candidandosi
come conservatore rivoluzionario – nel 1951 pubblicò un “Manifesto per un
partito conservatore e comunista in Italia”. Ha scritto anche racconti e
poesie. Ma soprattutto ha tessuto una rete vastissima con l’Italia letteraria e
artistica degli anni 1930-940. Stabilendosi nel 1935, a 28 anni, a Firenze,
fino al 1946. Amico in particolare di Montale, di cui il catalogo reca alcune
gustose lettere, e di Bonsanti, che lo editerà e lo promuoverà. Ma anche
pokerista con Landolfi, Gatto e lo scultore Messina. E goliarda – sfidò a
duello il mitissimo Luzi, che non capiva perché. Poi fu stabilmente a
Viareggio, che aveva frequentato molto anche da Firenze, per un altro decennio,
fino al 1956. Quindi a Roma, dove il giovane Garboli lo prese in simpatia e
stima. Tornerà a Modena per morirvi, a febbraio del 1963 - qualche mese dopo la
morte della sorella e della madre, la sua unica famiglia, il padre essendo
mancato giovane.
Era
di famiglia ricca, e si distingueva, oltre che per lo humour, per finanziare
riviste, giornali e case editrici di tutti i conoscenti, Guanda, Pannunzio,
Benedetti, Vicari, Scheiwiller eccetera. Anche dopo che il patrimonio
familiare, da lui curato, si fu
assottigliato.
Ritorna
ora con i “Racconti”. Ma fu soprattutto un personaggio. Scrittore “umbratile,
irregolare ed eccentrico”, secondo Ungarelli, che presenta il Catalogo -
“eccentrico ma non isolato”. Qui, nella mostra “Immagini e documenti” del 1983,
di cui Scheiwiller pubblicò il catalogo, Modena lo celebra come colui che la
eleva a “provincia letteraria” – dopo Tassoni... Il catalogo gli rende
giustizia in almeno un punto: c’era un ragazzo dentro il corpaccione.
Con
una bibliografia, l’unica finora apprestata.
Franco
Vaccari (a cura di), Antonio Delfini - Immagini
e documenti, Libri Scheiwiller
lunedì 22 novembre 2021
Quarta ondata da Nobel
Il 2 marzo Giorgio
Parisi, ora Nobel per la Fisica, poteva già “prevedere” la quarta ondata di
contagi. E non c’era ancora il fenomeno dei no-vax in piazza e al chiuso. Interrogato dal “Corriere
della sera”
https://www.corriere.it/cronache/21_marzo_02/covid-terza-ondata-piu-contagiosa-letale-prepariamoci-quarta-0c1a05b2-7b23-11eb-a9cc-1eebe11a6a7c.shtml
spiegava la logica
dei numeri. Non per stregoneria ma ragionando sugli indici di progressione dei
contagi – non sul numero, che sembra sempre, inizialmente, basso, ma sulla
progressività giorno per giorno.
In quell’intervista
Parisi dava i numeri che poi si sono realizzati nel corso della primavera, con
la “terza ondata”. Per prevenire la quarta ondata, chiedeva una campagna
vaccinale di richiamo in autunno. Questa campagna è in corso, ma Parisi non
sapeva dei no vax schierati, non in difesa di una “libertà” di non
vaccinarsi ma in veste di untori, per la diffusione del morbo, nei masi chiusi in Alto Adige, e in piazza a Trieste e Milano.
Gualtieri nella spazzatura
Ma Gualtieri sa qual è il problema? Ieri era un mese che il professore, storico contemporaneista, già
ministro dell’Economia, è sindaco, e in questo mese la spazzatura non è stata mai ritirata. Nemmeno, vivendo in un
quartiere con la differenziata nei cassonetti, l’umido, che pure prende poco
spazio ed è il rifiuto più facile e produttivo da riciclare: il cassonetto è
strapieno, non “riceve” più, e l’umido puzza, e infetta. Il quartiere è piuttosto
disciplinato ma carta e cartoni bisogna tenerli in casa, e anche platica e
metalli: non solo i cassonetti sono ingombri ma anche gli spazi attorno.
Il neo sindaco in
un mese ha trovato solo il tempo per un regalo ai netturbini, il famoso premio
contro l’assenteismo, e questo è un cattivo presagio: fa capire che probabilmente il neo sindaco non ha capito nulla. Certo, un Comune si governa
facendo piuttosto che punendo, ma sempre con mano ferma. Fare in questo caso
significava e significa sfiduciare l’Ama, rinnovarne la gestione, e organizzare
i controlli. Non solo a Roma, ma in ogni città di ogni parte del mondo, i
controlli sono il cuore della buona amministrazione.
Il caso del sindaco
Marino, dello stesso partito di Gualtieri, sfiduciato e cacciato dal
Campidoglio con disonore (poi riabilitato, roba sovietica, nel 2020…) dai vigili
urbani di cui aveva tentato di controllare l’assenteismo e la corruzione, non
fa testo: Marino è stato cacciato dal suo stesso partito, che a Roma era pieno
di gente corrotta. Questo non dovrebbe essere più il caso ora – molti corrotti
sono stati snidati e condannati - e comunque non fa testo.
Un intellettuale sindaco
può trovare difficoltà a fare l’amministratore. A controllare le pratiche, i
carichi di lavoro, l’assenteismo, ed eventualmente altri abusi. L’altro intellettuale
sindaco di Roma, Argan, debuttò dicendosi soddisfatto se fosse riuscito a far
segnare il tempo agli orologi del Comune nelle piazze. Perlomeno è rimasto nel
(suo) ruolo. Ma aveva dietro un partito robusto e non corrotto, che lo
affiancava con gente robusta come Vetere e Petroselli, che gli sarebbero succeduti
– rinnovando la città, con le sue bellissime, malgrado tutto, periferie.
Gualtieri è persona mite, ma allora perché fa il sindaco, a Roma?
Cantando con Socrate a Napoli capitale
Un
omaggio all’abate Galiani, alla Napoli del Settecento virtuosa e invidiata –
l’abate era stato una stella dei salotti e dell’illuminismo a Parigi. Rendendo
rappresentabile, con nuovi e concisi recitativi (l’opera originaria prenderebbe
quattro ore e mezza), il Paisiello delle parti musicali. Che in quest’opera, spiega
De Simone in avvertenza, ha “raggiunto una delle più alte picche” del teatro
musicale napoletano. Per le “evidenti contraffazioni della musica francese e
dell’Orfeo di Gluck, rappresentato al
San Carlo nel 1774” (il “Socrate immaginario” viene l’anno dopo), per lo
sviluppo ampio del “tradizionale melodismo meridionale di tipo larmoyant”, e per i concertati “di nuova
dirompenza ritmica… costruiti con una tecnica compositiva che risulta avanzata
e genialmente innovativa”.
È un’opera
buffa. Che ha già un barbiere, a cui il padre-padrone, fissato grecista che nella
eloquenza del barbitonsore ritrova Platone, vuole dare in moglie la figlia. Il
grecista “visionario delirante” gli autori del libretto, Galiani e Giambattista
Lorenzi, dicono discendere da don Chisciotte, in una excusatio pubblicata dopo la semi-censura regale alla rappresentazione
dell’opera, giudicata lesiva della reputazione del personaggio messo in satira
come Don Tammaro Promontorio, “l’erudito barone don Saverio Mattei, eminente giureconsulto,
grecista e dotto in linga ebraica”, nonché alla sua rispettata consorte, “l’esuberante
Donna Giulia Capece Piscitelli”. Don Chisciotte non c’entra, spiega De Simone,
il libretto originario era solo una presa in giro del barone Mattei. Poco godibile fuori di Napoli –
re Ferdinando fece quasi un favore proibendo le repliche della commedia per le “indiscrezioni”
che conteneva, una sorta di diffamazione. E riporta il libretto, nelle parti
recitate, alla dimensione reale, del tempo e del luogo. Alle novità del tempo
rivoluzionarie. E al vero personaggio di Don Tammaro, nonché alla consorte. Di
Donna Giulia fa interlocutrice una giovanissima Eleonora Pimentel, con la quale
conversano in francese. Del barone Mattei l’adolescente Mozart – “il
giovanissimo genio salisburghese visitò Napoli all’inizio degli anni Settanta, e sicuramente conobbe il dottissimo
musicofilo Saverio Mattei”.
In
appendice un saggio succulento del dimenticato Giovanni Macchia, francesista
eminente, “Galiani e la «nécessité de plaire», l’intervento al convegno su
Ferdinando Galiani all’Accademica dei Lincei nel 1975.
Roberto
De Simone, Prolegomeni al Socrate
immaginario, Einaudi, pp. 88 € 10
domenica 21 novembre 2021
Letture - 473
letterautore
Africa – È sempre “l’Africa dell’atlante vittoriano”, di cui in Graham Greene, “In search of a character” (“Congo Diary”, 1955), “il vuoto continente inesplorato, a forma del cuore umano”.
Bach
–
Erano una tribù, tutti musicisti. Gian Mario Benzing conta su “La Lettura” “almeno
83 Bach musicisti (51 dei quali si chiamano Johann-qualcosa)”. Partendo “dal mugnaio
Veit Bach, la cui discendenza dissemina in tutta la Germania una favolosa
quantità di «cittadini musicanti», organisti, strumentisti di corte, fino al Kapellmeister, fino al sommo in
assoluto, Johann Sebastian”. Se ne contano 83 da Veit Bach incluso a Wilhelm
Friedrich Ernst, 1749-1845.
Notevoli le famiglie di musica anche in
Italia. Nella strumentazione: i liutai del Sei-Settecento furono dinastie, gli
Amati, i Guarneri, gli Stradivari. Anche i musicisti: la più numerosa, esecutori
e compositori, è quella degli Scarlatti – Alessandro, i fratelli, le sorelle, i
figli, tra essi Domenico, e discendenti.
Balzac – Collezionava quadri vuoti: appendeva le cornici e dentro scriveva a carboncino, su un cartello: “Qui uno splendido Raffaello”, “In questo posto il mio bel Giorgione”.
Dante – O della complessità: “Certo, un critico avrebbe molto a dire su un foglio dattiloscritto da una scimmia (le scimmie cui Borges voleva affidare le macchine da scrivere, n.d.r.); mentre un canto della Divina Commedia è infinitamente più complesso”, Giorgio Parisi a Cazzullo su “7” – “Eppure è fatto con le stesse lettere. È la ricombinazione della stessa cosa. Proprio come gli esseri viventi”.
Galileo – Ha unificato
cielo e terra. Ha fatto scoperte e dimostrazioni, ma principalmente, “come fa
notare lo storico della scienza Paolo Rossi, ha avuto al grande intuizione che
il mondo terrestre e il mondo celeste fossero simili e che si potessero utilizzare
le stesse leggi per entrambi”.
H – Mancando in questa ripreso dopo
il lockdown la carta per stampare i
libri, e anche il cartone per imballarli (“se li è accaparrati la Cina in gran
quantità”?), Giuliano Vigini evoca la guerra, “quando Bompiani pubblicava il
suo «Dizionario letterario» omettendo l h nel verbo avere per risparmiare sulla
carte”.
Italia –Un paese per lo
più d’invenzione, esportato (importato). Da Shakespeare naturalmente, e da Stendhal.
Ma già da Chaucer, e poi da innumerevoli romantici e post, per il genere
gotico, Walpole, Radclyffe Hall, Vernon Lee, Mérimée, Hugo, Gautier,
E.T.A.Hoffman, e per quello sentimentale.
È
il paese da “Mille e una notte” europee. Per la novellistica, che ha sviluppato
prima e con più vigore?
Metafora – Uno dei
“ragionamenti intuitivi” la dice il Nobel Parisi a proposito delle sue ricerche di fisica
matematica-teorica (“In un volo di storni”), “che sono alla base del progresso
scientifico”. Il principale, con l’analogia, il modello, il teorema, le
derivazioni. Nonché la forma o vaso di comunicazione e identificazione di un
periodo: “Le metafore hanno un ruolo decisivo nel trasferimento di immagini e
di idee tra discipline diverse nello stesso periodo storico”. Sono il luogo e
il mezzo della trasmissione dei concetti e della loro “convivenza”, prosegue: “Se
esaminiamo con attenzione un periodo storico possiamo percepire l’esistenza di
uno spirito del tempo: spesso siamo in grado di trovare corrispondenze e
assonanze non solo fra discipline scientifiche diverse, come potrebbero essere
la biologia, la fisica e così via, ma addirittura tra la musica, la
letteratura, l’arte e la scienza. Basti pensare alla crisi di un certo
razionalismo all’inizio del Novecento, ai cambiamenti simultanei che ci sono
stati nella pittura, nella letteratura, nella musica, nella fisica, nella
psicologia… Tutte queste discipline, molto lontane l’una dall’altra, comunicano
tra loro ed è ragionevole pensare che le
metafore abbiano un ruolo importante nella formazione del sentire comune”.
Paesaggio – L’Italia ne è,
ne è stata, il luogo d’elezione, il paesaggio per eccellenza – un fondale in
realtà, ma era la sua realtà. Nel romanzo italianato “L’odalisca perduta”,
Adrien Goetz così può far ricostituire a Corot vecchio il suo vagabondare in gioventù per la campagna italiana:
“«Cascatelle di Tivoli», «Templi della Minerva» e «Grotte di Posillipo»; erano
cinquant’anni che non si faceva altro. Sulle rive del Tevere c’era anche una fabbrica
chiamata «la casa di Poussin» perché già il grande maestro la metteva spesso
nei paesaggi che componeva. Vi si esercitavano tutti, e l’Italia raccoglieva i
mediocri di tutta Europa”, fino ai danesi e ai russi: “I pittori si mettevano
negli stessi posti dei loro predecessori, senza nemmeno nutrire la speranza di
poter fare meglio. Il fatto è che quella roba vendeva”.
Si
facevano figurazioni “storiche” per lo più: “Il massimo era ovviamente il
«paesaggio storico», Didone, Pan, Eros e Psiche, Scipione, “copiando alla
bell’e meglio Poussin: in primo piano piccole sagome di cartapesta, più lontano
montagne rese da una parte erano assemblate con qualche roccia copiata da
un’altra parte, due o tre ciel a scelta a seconda delle ore del giorno”. O
copiando dai manuali: alberi, sorgenti, edifici e templi, piccoli e grandi,
“una falesia o un orrido roccioso tanto per cambiare”.
Ricordando
quegli anni a Roma, il Corot di Goetz si dice felice: “Da nessun’altra parte si
sarebbero trovati insieme inglesi, tedeschi, russi, francesi, nordici e
americani. Tutti insieme eravamo un Congresso di Vienna del paesaggio”. Erano
gli anni della Restaurazione, due secoli fa.
Post – È l’ingrediente più usato delle
“parole macedonia” (Migliorini), o porte-manteau,
del giorno, a sfogliare “La Lettura”, lo speciale Bookcity di Milano, la fiera
del libro. Post-umano e postu-manismo, per dire l’ecologia. Oltre ai correnti
post-crisi e post-pandemia. La post democrazia. La post Europa. C’era già la
post-stampa – i social, le fake news. E prima ancora il postmoderno. E
la post-scrittura?
Soratte – “Montagna
logora come un vecchio filosofo”, Adrien Goetz, “L’odalisca perduta”.
Spie – “Si è spia per voler essere spia”, non per patriottismo, o per una sfida, nota Graham Greene in “Una specie di vita”, la prima parte della sua autobiografia, ricordando la sua attività nel Servizio Informazioni durante e dopo la seconda guerra – e anche prima, a ven t’anni, ma allora per ridere. Lo spionaggio di direbbe di moda nell’intellighentsia inglese del Novecento, tra scrittori e accademici. Ma senza lustro, forse per curiosità.
letterautore@antiit.eu
L’autore da giovane, o la manomorta del passato
Un’analisi,
più che un ricordo, o anche un ricordo analitico, dei primi vent’anni.
Finiti a Oxford nell’alcol, e in numerosi “giochi” alla roulette russa, in
solitario. Dopo essersi brutalizzato fisicamente, con tagli, cadute, fratture,
da adolescente. Dopo un’infanzia e un’adolescenza
che non riesce a trovare triste, ultimo di sei fratelli e sorelle, compagni d
giochi, inventivi, pazienti, il padre direttore-gestore di una scuola privata,
severo ma molto presente, la madre prima cugina di Stevenson – che Greene apprezza.
Di estesissima parentela. Un prozio fondatore di St.Kitt’s nei Caraibi. Un cugino,
Ben, impiegato nella seconda guerra all’internamento degli elementi pacifisti o
comunque contrari alla guerra contro la Germania. Il fratello del padre, omonimo
dello scrittore, sottosegretario permanente all’Ammiragliato – morto di 93 anni
dopo essere sopravvissuto a una serie di incidenti “mortali”. Un’incertezza,
una svagatezza, insomma una inconsistenza, che dà ragione. Ma come il nonno
paterno, lo scrittore constata a metà riflessione, incapace di una vita
familiare tranquilla, che emigra due volte a St. Kitt’s, la prima a 14 anni per
aiutare un fratello nella conduzione di una fattoria di canna da zucchero, la
seconda da solo e senza conforti, dopo il rientro in patria, alla morte repentina
del fratello. Un nonno che aveva “energetici fratelli”, oltre allo sfortunato
imprenditore a St.Kitt’s: un governatore della Bank of England, un deputato
Tory, un avvocato di successo. Tutti gli ingredienti di una vita, di un racconto,
che si presenta amabile. E invece no, “l’infelicità
è una pratica giornaliera”, lo scrittore constata a un certo punto, di sé naturalmente.
Graham
Greene è allora sfuggito miracolosamente a un triste destino, che lui stesso in
gioventù si era venuto creando. Per una sorta di introspezione acuta. Arriva
qui ai vent’anni, quasi trenta, senza un’amicizia stretta, né maschile né
femminile. Anche il debutto da scrittore è visto con pessimismo: “La prima
tiratura del mio primo romanzo, nel 1929, fu di 2.500 copie (che non si vendettero
n.d.r.), e quella del mio decimo romanzo, “Il potere e la gloria”, nel 1940, fu
di 3.500 copie”. Del resto, sembra dire citando il grande successo di “New
Magdalen”, il romanzo didascalico, quasi didattico, pedagogico, di Wilkie Collins sulla redenzione
dalla prostituzione (ma qui sarebbe un dramma), di nessun libro si può dire fu
vera gloria – “dov’è “The New Magdalen” adesso, e quanti ricordano il nome del
suo autore?”.
In
analisi da ragazzo da un Kenneth Richmond che ha ancora tutta la sua simpatia,
un sorta di “musicista eccentrico”, con lui si trova a considerare il rimosso
come “la manomorta del passato”. Si forma su Robert Browning e se ne nutre.
Finirà per considerarsi maniaco depressivo, malgrado l’analisi. A Oxford le sperimenta
tutte: la vita di ateo, i giornaletti, la roulette russa, il palco, il
comunismo, e subito, a 19 anni, lo spionaggio, per i tedeschi contro la Francia
– erano gli anni dell’occupazione francese della Ruhr, degli ultimatum a
raffica di Parigi – ingaggiato da un conte von Bernstorff, gay e resistente
antifrancese, poi anti-Hitler. La stessa irrequietezza che lo spingerà in posti ingrati dell’Africa e
dell’America Latina - “si è spia per voler essere spia”, non per patriottismo,
o per una sfida. Lascia Oxford pieno di debiti.
Ricorda
il suo primo romanzo, “Rumour at Nightfall”, sui fuoriusciti carlisti di Spagna
a Londra – di cui nulla sapeva. E l’influenza di Conrad: “Conrad era
l’influenza ora, e in particolare il più pericoloso dei suoi libri, ‘The Arrow
of Gold’, scritto quando era caduto lui
stesso sotto la tutela di Henry James”. La conversione al cattolicesimo, in
vista del matrimonio, alla Tommaso, l’apostolo incredulo. E il lavoro al
“Times”, da capo redattore del settore opinioni. Il primo libro pubblicato,
“The Man within”, dice “molto giovanile e molto sentimentale. Non ha senso per
me oggi e non vedo la ragione del suo successo”. Autore, ricorda, di “molti romanzi
non finiti”.
Una
memoria tradotta da Mondadori all’uscita, cinquant’anni fa, e non più ripresa.
Il narratore di avventure straordinarie-ordinarie, fa della sua normalissima
giovinezza un’esistenza, come tutte, sfiorata dallo straordinario, dall’impensabile.
Graham
Greene, A sort of life, Random, pp.
192 € 8,50
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