sabato 27 novembre 2021
Il complotto eccolo qua - 2
L’Italia ha una storia lunga di complotti,
a partire dall’Autunno Caldo del 1969, quindi da oltre mezzo secolo, dalla
cosiddetta “strategia della tensione”. All’evidenza una strategia politica, di
manovra e comunicazione. Con numerose, non fantasiose, applicazioni, si direbbe
leggendo Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione – un
racconto in forma di memoriale, di difesa e testimonianza (l’Ente di cui si
parla è un grande gruppo presso il quale il narratore lavora, “il Pazzo” s’intende
Gheddafi, Pietro è nome d’invenzione. Questi alcuni estratti – riferiti al 197i:
“All’alba
della Rivolta di Gennaio (1919), Rosa Luxemburg venne rapita, e assassinata,
insieme con Liebknecht, dai Freikorp, i volontari della restaurazione (germanica), agli
ordini del governo socialista. A Rosa si arrivò pedinando Wilhelm Pieck, futuro
presidente della Repubblica Democratica: Pieck, preso con gli altri, fu rilasciato.
Alcuni hanno perciò ipotizzato un tradimento, contro Rosa e Liebknecht, ordinato
da Lenin e dal suo uomo in Germania, Radek. Non ci sono prove naturalmente,
perciò l’ipotesi è non vera per gli storici. Ma è vera, il partito ha sempre
tradito i comunisti. Spartacus, bisogna aggiungere, nel cui nome Rosa si ribellò
era un “grosser General” per Marx, un
bruto, “mica Garibaldi!” - che egli peraltro aveva in antipatia e motteggiava.
Non ci resta che l’ologramma
Un
film comico, amaro – la commedia all’italiana portata al limite. L’unico lavoro
possibile per un manager quarantenne licenziato è il rider, il fattorino delle consegne in bicicletta, con la
gerla a cubo sulle spalle anche se porta una semplice pizza. E l’unico contatto
umano disponibile è un ologramma: parlante, e di buoni sentimenti, ma un’ombra.
Un
titolo infelice per un racconto tanto semplice quanto potente. Giocato con
troppa insistenza sull’algoritmo –“la colpa è dell’algoritmo”, la combinazione
segreta che ci governa, che sembra in linea con i complotti no vax – ma girato
con sapienza, tra un magazzino-periferia talmente assurdo da sembrare irreale,
e interni senza luce e senza colori, senza contrasti, bianco-grigi, scenografie
da normalità allucinate. Un po’ anche, il giusto, scorretto, per l’effetto
comico: c’è l’arabo, c’è l’africano a capo dei 10 km. di fatica in bici del
manager licenziato per ricevere sodisfatto la pizza o il panino.
Un
film corale, articolato con sapienza con poche facce, De Luigi, Pastorelli, lo
stesso Pif e Maurizio Marchetti. Un film che è il ritratto di un’epoca,
allucinata e vuota – e meno insistito farebbe anche epoca.
Pif,
E noi come stronzi rimanemmo a guardare,
Sky Cinema
venerdì 26 novembre 2021
Il complotto, eccolo qua
La sociologia politica ascrive il complottismo a una forma mentis americana. Della politica americana come la esprimono i media, o opinione pubblica. Radicata nella storia del paese, che si vuole (si ritiene) di continue battaglie di liberazione - coma tale è stato impostato mezzo secolo fa in America da Richard Hofstadter, nel classico sullo stile paranoide della politica nazionale. Ma l’Italia ha una storia ormai lunga di complotti, ricordava zeulig ieri su questo sito, a partire dall’Autunno Caldo del 1969, quindi da oltre mezzo secolo, dalla cosiddetta “strategia della tensione”. Facendo l’ipotesi che siano una strategia politica, di manovra e comunicazione. Con numerose, non fantasiose, applicazioni, si direbbe leggendo Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione – un racconto in forma di memoriale, di difesa e testimonianza (l’Ente di cui si parla è un grande gruppo presso il quale il narratore lavora, Angela, Pietro, Omar sono nomi d’invenzione - il “riscatto Mancia” sta probabilmente per Gancia, l’industriale rapito). Questi alcuni estratti – riferiti al 1974, anno in cui di complotti parlò perfino il cauto Andreotti.
“I
Precijsen olandesi non attaccarono Spinoza, lo attaccarono i Latitudinari,
tutte le specie di liberali: cartesiani, sociniani, collegianti, labadisti. E Spinoza
si assomigliava a Masaniello - lui che parlava solo con se stesso, essendo
portoghese in Olanda, scrivendo in latino e leggendo in italiano, spagnolo,
molto Quevedo, e francese. I ruoli vengono attribuiti ma sono anche assunti.
Angela è accusata di aver portato il riscatto Mancia ai palestinesi, l’ex
tennista rifatta skipper a Mombasa. O
di averlo speso per loro al mercato libero di Zanzibar. Omar sarebbe stato il
contatto.
“Quella donna, o cos’è, è il genere Henri de Montfreid, che si romanzava
la vita, eccetto che lui era per Mussolini e Pétain. Anche lei si potrebbe fare
musulmana, baiadera al suk: nella
posizione che privilegia accosciata sulla sinistra, che viene bene a Baldung
Grien negli schizzi all’Albertina, la parte destra della groppa ad arco retto col
ginocchio, non si resta a lei inerti, benché inattingibile – ma chissà, è spia
chi ama farsi fare. È Omar il contatto o l’informatore? C’è una fonte
confidenziale, e Omar, lo spicciafaccende dell’Ente a Nairobi, potrebbe essere
entrambi: è il tipo indifferente, al bene e al male. O la fonte è anonima, è un
classico, una lettera che il Procuratore si scrive, si cerca quello che si
vuole trovare. Negli Usa è la regola: si prende una vacca che giura a pagamento
di essere stata stuprata, e per il personaggio da incastrare è finita, dato che
l’America è morale, non si può dire di una puttana che è puttana.
.................................
“L’onorevole Andreotti, chiusa la crisi di
governo aperta per portarlo alla Difesa, pronto rientra in gioco. Al segretario
di Togliatti spiega che il terrorismo è a destra, sotterrando il suo governicchio.
E tanti golpe cita, genera, resuscita, lui che la destra e i servizi conosce
meglio di tutti:
“- Ha Miceli e Moro nel mirino – Pietro decide
sommario. Il generale Miceli fu il mio comandante ala Centauro, a Vercelli: era
lui a ordinare gli allarmi OP? Ora è capo dei servizi segreti, per conto di Moro.
Andreotti ha insomma nel mirino Moro.
“Pietro
ha telefonato, telefona spesso dalla latitanza, da luoghi incerti, ma senza problemi. C’è da temere l’ira dell’onorevole
Andreotti, se fu il generale Miceli nel 1971 a bloccare a Trieste le armi e i
mercenari del golpe contro Gheddafi, il golpe del Principe Nero, tanti benefici
apportando all’Italia e all’Ente in Libia. Si scavano trincee e si ammassano
sacchi. Anche se il Presidente, ingegnere, moderato costituzionale, è per Andreotti,
e questo dovrebbe agire da parafulmine.
“Per la forma la crisi è stata aperta dai
socialisti, avendo il ministro Giolitti dichiarato che i vincoli di un prestito
del Fondo Monetario Internazionale non erano applicabili all’Italia, e che anzi
l’inflazione si vince allargando la spesa. Poteva essere la rivoluzione, la
Nuova Era oltre che un Nuovo Modello di Sviluppo, il moto perpetuo
dell’economia. Ma Andreotti lesto s’è infilato e la crisi si è chiusa. Fanfani,
che ha tentato di mettersi di traverso quale capofila della destra, è stato
zittito con puntuale rievocazione del caso Montesi, nel quale non fece buona
figura. Il senatore, fra i tanti utensili con cui ha modellato la Repubblica
pezzo per pezzo, ha introdotto con quel primo scandalo, della ragazza annegata
in poca acqua a Torvajanica, anche l’inquinamento da dossier, le voci malevoli. I socialisti, che si sono ridivisi,
vorrebbero ancora dividersi. È il frazionismo, malattia morale del socialismo,
per albagia intellettuale, antipolitica, antidemocratica. Valpreda si continua
a processare a Catanzaro. Pur sapendo che le bombe le mettono i fascisti.
Soltanto si unificano i processi, Valpreda insieme coi fascisti. Dei golpe denunciati
in serie sarebbe stratega un generale, da Pietro ascritto all’onorevole
Andreotti:
“-
Maletti. Fa la guardia a Miceli, è il suo vice. – Andreotti è diffidente, ma se
ne serve perché gli alza comode palle, come dare a Miceli la colpa di Borghese
e Gheddafi. Nella guerra fra Andreotti e Moro, Ma-letti sapiente introduce i
cani sciolti, Pacciardi, Sogno, Fumagalli, bersagli convenienti a entrambi. E a
Berlinguer. L’onorevole farebbe meglio a dire che Maletti ha dato il passaporto,
con comodo vitalizio, a Giannettini,
l’agente Zeta, l’autore di Tecniche di
guerra rivoluzionaria, già spia dell’Oas, che sa tutto delle bombe perché
non lo dica. Cioè lo dice, dice che farlo fuggire è stato un errore, ma non
dice perché, né punisce alcuno, artista qual è del falso scopo, mirare a un
punto e colpirne un altro. Sogno e Pacciardi si sono fatti la guerra in Spagna,
ma erano insieme nella Resistenza. Colpire
è facile, bastano
un sostituto Procuratore della Repubblica e un paio di giornalisti. Si torni,
anche qui, al ’68, a un momento prima: che Dc sarebbe stata senza Moro e
Andreotti. Che Italia?
“L’onorevole Andreotti non è solo, la vigilanza
è massima. Su L’Espresso e Panorama i golpe si rincorrono. Prima a settimane alterne, ora in
contemporanea. L’ingegner Francia vuole avvelenare l’acqua. Delle Chiaie
rapire ventitré notabili. Il principe Borghese prendere Roma coi forestali di
Gualdo Tadino – un’altra volta? Gheddafi bombardare gli aeroporti. La
massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe preparano i militari.
Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un Fumagalli Carlo,
eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizza un gruppo anticomplotto – lui
è pacifista e complotta contro le Forze Armate.
“I golpe
contati tra gennaio e Pasqua sono venti o ventuno. Candelotti di dinamite si
scoprono in tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria, sotto i ponti, altri
deflagrano talvolta senza vittime. Borghese è il Principe Nero, personaggio di
Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché figlio di Edoardo
III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per lui scatenò la
guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe si sono persi
per strada. Il commando che doveva
rapire il capo della polizia Vicari ha prima sbagliato numero civico, poi è
rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo sovraccaricato. Ma non
si può ridere del complotto, i bolscevichi presero il Palazzo di Inverno
entrando alla spicciolata da una porta secondaria rimasta aperta”.
(continua)
Eco enigmista
Eco
soprattutto si divertiva, e dei giochi linguistici, che qui propone, dice di
avere un “fondo privato, e inedito, ricchissimo” – anche se poco utilizzabile
(“alcuni sono semplici variazioni su modelli ormai usurati, altri sono
estemporanei e scipiti, altri ancora troppo osceni” – ma qui non ne mancano).
Il lettore si diverte meno, anche col “quadrato magico” del titolo, ma certo la
produzione è notevole.
Qui
c’è un “Dante all’indietro”, a ritroso: tre canti dell’ “Inferno”, tra cui il
XXXIII (“La bocca sollevò dal fiero pasto”) fieramente porno. Effetto ripetuto, naturalmente, nel “Monica” (Lewinsky), collage di titoli che vari autori, da Shakespeare,
Verdi e Collodi a Sergio Leone, e a Pietro Valpreda, Eco fa dedicare all’affare.
E molti esercizi da enigmista. Seriosi invece i “38 consigli di buona
scrittura” (ricavati in rete, annota Eco onesto, in inglese, e solo leggermente
adattati in traduzione).
Umberto
Eco, Sator arepo eccetera,
nottetempo, pp. 77 € 7
giovedì 25 novembre 2021
Secondi pensieri - 463
zeulig
Amore materno - Non è istinto naturale, ha spiegato
Elisabeth Badinter, “L’amore in più”, e anche come sentimento lo ha rilevato
non diffuso, forse anche raro. È stato inventato da Rousseau, spiegava ancora,
e fu adottato largamente a metà Settecento per frenare l’emorragia demografica,
la mortalità infantile. Mentre è vero che la natura di Rousseau una volta tanto
funziona: nelle specie animali i calori sessuali vanno con la riproduzione, e non
c’è specie in cui le femmina non si occupa dei figli, o casi di figli abbandonati
dalle madri (col capriolo e altre specie si arriva all’assurdo che il neonato
casualmente separato dalla madre dovrà vivere poi sempre accudito e isolato,
altrimenti indifeso dai predatori .....).
La maternità è anche
apprezzata in tutti i periodi e i luoghi storici. Eccetto l’epoca attuale, in
cui il complesso genitoriale si trasferisce di preferenza su un pet, per lo più canino, rispetto a un
figlio, anche se richiede più cure e più costi.
Per gli umani si può
ipotizzare una evoluzione inversa, dalla funzione naturale alla scelta deliberata.
Complotto – Si
può dire una falsa scienza – falsa in quanto fondata sul segreto, sull’indimostrabile.
O una sindrome: piace dirsi in mano a forze segrete. Per
negare la politica, che è la democrazia.
La
logica del complotto è imbattibile, poiché incita alla difesa, che sempre è
nobile. E poi la leggenda non mente.
Emerge come un dato di cultura politica
americana, in una società divisa nella storia recente, un momento storico che vede
un reppraisal del modo di esse e
della storia degli Stai Uniti. Ma fu in auge mezzo secolo fa in Italia, e per
un lungo periodo. Dopo il Sessantotto, a partire dall’Autunno Caldo del 1969 e
degli attentati di piazza Fontana a Milano, e di Roma all’Altare della Patria -
un attentato sottovalutato ma contemporaneo di piazza Fontana, una
contemporaneità non casuale. L’Italia visse successivamente un lungo periodo di
attentati e colpi di Stato, veri o presunti,
di terrorismo, di destra e di sinistra, fino alla stazione di Bologna e
ancora oltre, una dozzina d’anni. Non c’era si può dire settimana che un
progetto eversivo non venisse denunciato, solitamente attraverso i settimanali che
allora facevano opinione, “l’Espresso” e “Panorama”. Partendo dall’editore
Feltrinelli, da un opuscolo che le sue librerie
vendevano, “Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia”, a maggio o
giugno del 1970.
Il
golpe Feltrinelli voleva ad agosto: “L’estate sembra particolarmente adatta”.
Ma di più ad agosto: “Gli operai sono in ferie, le fabbriche semichiuse, uomini
politici, giornalisti, ecc. sono pure loro al mare o in montagna, grava sul
paese dalla metà di luglio un clima di «stanchezza» e di disinteresse generale:
sono le condizioni ideali per portare a compimento un colpo di Stato”. Anche
Cromwell fece il golpe ad agosto. Ma ad agosto a Londra piove.
Qualche
ano dopo i complotti si erano moltiplicati, rincorrendosi su “L’Espresso” e “Panorama”.
Prima a settimane alterne, poi in contemporanea. L’ingegner Francia vuole
avvelenare l’acqua. Delle Chiaie rapire ventitré notabili. Il principe Borghese
prendere Roma coi forestali di Gualdo Tadino. Gheddafi bombardare gli
aeroporti. La massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe
preparano i militari. Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un
Fumagalli Carlo, eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizzava un gruppo
anti-complotto – lui era pacifista e complottava contro le Forze Armate. I
golpe contati tra gennaio e Pasqua 1974 furono venti o ventuno. Candelotti di
dinamite si scoprivano per tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria,
sotto i ponti, altri deflagrano talvolta senza vittime.
Borghese era il Principe Nero,
personaggio di Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché
figlio di Edoardo III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per
lui scatenò la guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe
si erano persi per strada. Il commando
che doveva rapire il capo della polizia Vicari aveav prima sbagliato numero
civico, poi era rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo
sovraccaricato.
Non si può ridere del complotto, i
bolscevichi presero il Palazzo di Inverno entrando alla spicciolata da una
porta secondaria rimasta aperta. Ma impossibile non pensare queste denunce, con
i relativi piani, forniti da una “mano segreta”, un’organizzazione, per quanto
controvertibile. E dunque il complotto ha logica esponenziale: c’è sempre un
complotto del complotto.
Ma, poi, la sindrome è antica e
ricorrente. Per Rousseau, Voltaire e Diderot erano corrotti complottatori.
Epoca
–
Si può dire suicidaria. Della buona morte e della morte del mondo, dopo quella
della natura e degli altri. Della letteratura dell’io – diari, confessioni,
memoriali, blog. Inevitabilmente misantropica, di rifiuto del mondo. Nel mentre
che ne vive (esplora, consuma) tutti i recessi, i più alti e i più bassi, di
ogni angolo e di ogni persona. E, per contrasto, vive nel migliore storicamente
possibile di benessere (istruzione, comunicazione, reddito, sanità, abitazione,
tempo libero). E afferma e impone i diritti, in ogni loro singola frazione. Non
è un cupio dissolvi, o allora non
ragionato.
Si può ipotizzare il
complottismo come una reazione a questa ideologia suicidaria. Che sospetta e
denuncia come artefatta, gestita da interessi subdoli per sfruttare i più,
anche se per motivi reconditi, non vedendosene il vantaggio, e restringere le
libertà. Anche a opera dello Stato, che non si ha remora ad acculare agli
interessi reconditi, subdoli.
Felicità – È personale, precaria,
comunitaria (famiglia, scuola, ambiente), e intermittente. Niente di più occasionale
– o “complesso” per dirla col Nobel Parisi.
Le statistiche
danno per paese più felice al mondo la Finlandia. Perché no, anche se ha
l’indice di suicidi – scontenti della vita – fra i più alti in Europa, dopo i
baltici e gli slavi.
Libertà – Alcuni filosofi hanno preso
posizione contro gli obblighi imposti contro la pandemia da covid e le misure
restrittive che ad essa si collegano, nella fruizione del tempo e nella
socievolezza, anche quella obbligata (lavoro, svago, affetti). Li criticano come
un’estensione indebita, se non artefatta, dei poteri dello Stato sull’individuo
e la società.
La critica si è
portati a colorare (ridurre) politicamente: venendo da pensatori che professano
o hanno professato posizioni politiche di sinistra, Agamben Cacciari, Vattimo,
si vede in essi riduttivamente un’espressone tardiva di antindustrialismo (lo
Stato servo del Big Pharma, eccetera). Riduttivamente, perché la polemica
contro lo Stato è tipica topica, malgrado il bisticcio di parole, liberale. Ma
è anche vero che le critiche e riserve sono state piuttosto enunciate che spiegate,
e quindi è difficile collocarle – Agamben, che ne aveva scritto, ha sentito
subito il bisogno di riscriverle.
Si va verso la quarta ondata, con grave
sacrificio di tutti, perché i no vax vogliono propagare il virus, con le
manifestazioni di piazza, per lo più “selvagge”. Se è una battaglia di libertà,
perché non vaccinarsi e stare tranquilli? È libertà fare da untori? No, è un
“battaglia” politica. Con danni per tutti, no vax compresi, enormi (sanità,
lavoro, reddito).
L’opinione pubblica è debole e
manipolabile. Anche da pochi, incapaci. Ci vogliono leggi. Costituzionali ma
obbligatorie.
“La quarta ondata in Europa e in Usa:
nessun altro continente così colpito”. Nelle patrie della libertà? Insensato,
ma non inspiegabile: la libertà è concetto scivoloso, anche se l’Occidente
(Europa e Usa sono l’Occidente) ne vanta il brevetto. Libertà non è
individualismo.
Politica
–
È forma. Il presidente Mattarella, accompagnato dalla figlia, va in visita a
Madrid. La foto ufficiale lo mostra insieme con il re e la regina di Spagna. I
reali seduti compostamente, come di rito, per rispetto agli ospiti. Mattarella
e la figlia con le gambe accavallate. O della politica inutile – la politica è
istituzione e rispetto delle forme.
Stato - Burckhardt
diceva: “Lo Stato moderno ha un padre e una madre. La madre è la rivoluzione,
il padre è il cesarismo”. Tutto si legherebbe secondo la “legge ferrea
dell’oligarchia” michelsiana: “Nei popoli e le rivoluzioni l’aristocrazia è
durevole: eliminatela nella nobiltà, rispunterà nelle casate ricche del Terzo
Stato; eliminatela anche qui, riemerge nelle aristocrazie operaie”.
L’aristocrazia della legge sarebbe meglio, seppure imperiale. Meglio di quella
dei furbi. Gramsci ne ha avuto l’illuminazione. Quando legò la democrazia
all’impero, nella nota «Egemonia e democrazia» del “Quaderno 8”, quando è l’impero a introdurre i
primi diritti, con la legge.
Storia – “Ogni storiografia è
autobiografia”, voleva Ernesto De Martino. Dunque niente passato? E niente
etnografia, il mestiere di De Martino.
“Fa bene la storia ad affidarsi al caso”, dice Carlo Ginzburg intervistato lungamente su “La Lettura”, sulla sua ultima raccolta di saggi, “La lettera uccide”. Fa bene allo storico? Ai fini della scoperta? Ma poi va provata. O fa bene alla narrazione, ariosa. Ma con che verità? La storia, quale che sia, è una combinazione non casuale. Non solo per la metodologia - i precedenti, le “cause”, i contesti. Anche in quanto ricostruzione, e poi “narrazione”. Oppure lo è?
C’è determinazione nella storia. Anche nell’errore (sconfitta): la storia, quella vissuta e quella narrata, non procede a occhi chiusi ma per trials and errors – come la ricerca. La storia, nel suo farsi come nel suo racconto, è ricerca.
zeulig@antiit.eu