sabato 27 novembre 2021

Il complotto eccolo qua - 2

L’Italia ha una storia lunga di complotti, a partire dall’Autunno Caldo del 1969, quindi da oltre mezzo secolo, dalla cosiddetta “strategia della tensione”. All’evidenza una strategia politica, di manovra e comunicazione. Con numerose, non fantasiose, applicazioni, si direbbe leggendo Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione – un racconto in forma di memoriale, di difesa e testimonianza (l’Ente di cui si parla è un grande gruppo presso il quale il narratore lavora, “il Pazzo” s’intende Gheddafi, Pietro è nome d’invenzione. Questi alcuni estratti – riferiti al 197i:
 
La cultura dell’Ente ne rifugge, per il complotto senza esito sulla morte del Fondatore. E per il vezzo terzomondista di segnalare golpe annunciati a ogni passo. Non che il Terzo mondo ne difetti, ma il golpe annunciato sa di classico, della disinformazione: “Ti butto un golpe tra i piedi”, si potrebbe dire. Per primi gli ateniesi dormivano “fuori la notte in armi”, narra Tucidide, quando uno spione s’inventò il golpe di Alcibiade. Liquidato il quale fallirono la conquista della Sicilia, che li avrebbe resi padroni del Mediterraneo, e di duemila anni di storia, e anzi persero la stessa Atene. E sempre c’è il sospetto dell’ignoranza consapevole, il metodo socratico della verità simulata, far credere che si sa pure ciò che s’ignora. È il vizio di chi, sapendo quello che non sa, pensa di doverlo denunciare come complotto, ciò che fa il piccolo borghese, nel fascismo e dopo, il soggetto politico contemporaneo, delle democrazie. Bacone per questo spregia la Fama, l’opinione pubblica: la natura del popolo essendo “malvagia e triste, e propensa alle novità”, i turbolenti se ne giovano con “pettegolezzi, malignità, denigrazioni, ricatti”, per muovere alla “femminea invidia verso coloro che governano” – il complotto è femmina per il barone di Verulamio, la ribellione maschio. Il popolo sospetta di tutto, la democrazia ateniese è una serie di complotti, democratica solo perché spesso sovvertita. Ma sempre ci vuole un giudice per un complotto.
“E se le cose occulte poi avvengono? Si veda negli Usa, dove sono teatro a scena aperta, e “Tania” s’incarna, ultima compagna del Che in Bolivia, per svaligiare banche. Rapita dai Simbionesi, tra un colpo e l’altro ci fa l’amore, scrivendolo ai suoi, gli editori Hearst. Dev’essere novità eccitante, per chi è stata virginea fidanzata d’America. Per quanto, se si dicono simbionesi devono sapere il greco. Congiura avrebbe più senso che complotto, filologico e storico, più onorevole. È anzi per alcuni la storia, Francesco Patrizi, o la rivoluzione. “Fra tutte le imprese degli uomini nessuna è grande come la Congiura”, scrive l’abate di Saint-Réal, lo stesso della Congiura degli Spagnoli contro Venezia, allievo dei gesuiti: “(Sono) questi i luoghi della storia più morali e istruttivi”. La retorica è politica, così com’è storia e giustizia, là dove modella la storia e la giustizia. E molta politica è retorica, un bel dire: Marx lo scoprì di Machiavelli, che riscriveva Sallustio, La congiura di Catilina, o Tacito, che rifece Sallustio. E dunque il complotto è progetto politico, non rivoluzionario:
“– Ingegnoso – ha detto Pietro dell’ingegner Francia. Chiunque può avvelenare l’acquedotto, è il complotto classico: è il ruolo che si dava agli ebrei nella preparazione dei pogrom, di avvelenatori dei pozzi. Di Gheddafi si danno i campi per terroristi, con liste dei partecipanti, nomi arabi incerti, in articoli anonimi. Che il Pazzo potrebbe scriversi da sé, è vanitoso, senza scomodare il Mossad. Roscioni individua nell’Esploratore Turco Paolo Marana un mitomane che prosperava nel Seicento inventando complotti. Il sospetto è un bisogno umano, non solo di preti e prefetti. Ma l’Imitazione di Cristo contesta la “magna cavillatio de occultis et obscuris rebus”. I complotti hanno il difetto, o pregio, che sono già successi. In 1984 è scritto pure il tempo che farà.
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“All’alba della Rivolta di Gennaio (1919), Rosa Luxemburg venne rapita, e assassinata, insieme con Liebknecht, dai Freikorp, i volontari della restaurazione (germanica), agli ordini del governo socialista. A Rosa si arrivò pedinando Wilhelm Pieck, futuro presidente della Repubblica Democratica: Pieck, preso con gli altri, fu rilasciato. Alcuni hanno perciò ipotizzato un tradimento, contro Rosa e Liebknecht, ordinato da Lenin e dal suo uomo in Germania, Radek. Non ci sono prove naturalmente, perciò l’ipotesi è non vera per gli storici. Ma è vera, il partito ha sempre tradito i comunisti. Spartacus, bisogna aggiungere, nel cui nome Rosa si ribellò era un “grosser General” per Marx, un bruto, “mica Garibaldi!” - che egli peraltro aveva in antipatia e motteggiava.
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 “In cambio del giudice Sossi le Br volevano liberi i compagni della XXII ottobre. Ce l’hanno fatta. I giudici compagni in assemblea hanno chiesto lo scambio. La Corte d’appello di Genova lo ha sancito, la “folle Genova scespiriana” di Dos Passos. C’è il problema di dove mandarli, Castro non li vuole. I brigatisti, rilasciato Sossi, in massa si sono fatti catturare. Dopo essere usciti, finalmente, sull’Espresso, intervistati con foto.
“Della Ventidue Ottobre\vogliamo i comunisti\e sono stati i primi\i primi brigatisti”, diceva l’inno dei sequestratori, deboluccio, che hanno fallito anche l’attacco al divorzio. Tutti compagni, anche se Antonio Massari è fascista professo e Augusto Viel è a Praga, dopo aver assassinato un postino - “ma era socialista”. Sossi aveva arrestato il vecchio partigiano Lazagna come terrorista, e voleva processare Fo e Franca Rame per l’assistenza in carcere agli otto della XXII Ottobre. Le Br non convincono L’Unità: “La loro prosa li rivela per quelli che sono: gente istruita in scuole nazionali o internazionali di anticomunismo”. Istruita sicuro, anche addestrata? A Praga? Giorgio Bocca spiega che le Brigate Rosse sono “una favola per bambini scemi”: secondo lui non esistono. La questione si complica col Prefetto, il quale nelle more del rapimento ha coronato l’ascesa di esperto gastronomo assurgendo all’Espresso, anche lui. In un’intervista ha spiegato al settimanale: “Le Br non sono più di quaranta persone, tutte genuinamente rivoluzionarie e non infiltrabili, il mio ufficio è perfettamente edotto della loro esistenza”. Perché quaranta e non cinquanta? Perché sono un decimo di quattrocento, numero fatidico. Guicciardini asserisce non potersi “tenere Stato secondo coscienza”. I servitori dello Stato dunque non  hanno coscienza. Ma si aspetta di vedere che ne sarà del Procuratore Capo a Genova Coco,  il superiore di Sossi. Coco ha detto che non eseguirà la decisione della Corte d’Assise”.
(continua)

Non ci resta che l’ologramma

Un film comico, amaro – la commedia all’italiana portata al limite. L’unico lavoro possibile per un manager quarantenne licenziato è il rider, il fattorino delle consegne in bicicletta, con la gerla a cubo sulle spalle anche se porta una semplice pizza. E l’unico contatto umano disponibile è un ologramma: parlante, e di buoni sentimenti, ma un’ombra.
Un titolo infelice per un racconto tanto semplice quanto potente. Giocato con troppa insistenza sull’algoritmo –“la colpa è dell’algoritmo”, la combinazione segreta che ci governa, che sembra in linea con i complotti no vax – ma girato con sapienza, tra un magazzino-periferia talmente assurdo da sembrare irreale, e interni senza luce e senza colori, senza contrasti, bianco-grigi, scenografie da normalità allucinate. Un po’ anche, il giusto, scorretto, per l’effetto comico: c’è l’arabo, c’è l’africano a capo dei 10 km. di fatica in bici del manager licenziato per ricevere sodisfatto la pizza o il panino.
Un film corale, articolato con sapienza con poche facce, De Luigi, Pastorelli, lo stesso Pif e Maurizio Marchetti. Un film che è il ritratto di un’epoca, allucinata e vuota – e meno insistito farebbe anche epoca.
Pif, E noi come stronzi rimanemmo a guardare, Sky Cinema

venerdì 26 novembre 2021

Il complotto, eccolo qua

La sociologia politica ascrive il complottismo a una forma mentis americana. Della politica americana come la esprimono i media, o opinione pubblica. Radicata nella storia del paese, che si vuole (si ritiene) di continue battaglie di liberazione - coma tale è stato impostato mezzo secolo fa in America da Richard Hofstadter, nel classico sullo stile paranoide della politica nazionale. Ma l’Italia ha una storia ormai lunga di complotti, ricordava zeulig ieri su questo sito, a partire dall’Autunno Caldo del 1969, quindi da oltre mezzo secolo, dalla cosiddetta “strategia della tensione”. Facendo l’ipotesi che siano una strategia politica, di manovra e comunicazione. Con numerose, non fantasiose, applicazioni, si direbbe leggendo Astolfo, “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione – un racconto in forma di memoriale, di difesa e testimonianza (l’Ente di cui si parla è un grande gruppo presso il quale il narratore lavora, Angela, Pietro, Omar sono nomi d’invenzione - il “riscatto Mancia” sta probabilmente per Gancia, l’industriale rapito). Questi alcuni estratti – riferiti al 1974, anno in cui di complotti parlò perfino il cauto Andreotti.


“I Precijsen olandesi non attaccarono Spinoza, lo attaccarono i Latitudinari, tutte le specie di liberali: cartesiani, sociniani, collegianti, labadisti. E Spinoza si assomigliava a Masaniello - lui che parlava solo con se stesso, essendo portoghese in Olanda, scrivendo in latino e leggendo in italiano, spagnolo, molto Quevedo, e francese. I ruoli vengono attribuiti ma sono anche assunti. Angela è accusata di aver portato il riscatto Mancia ai palestinesi, l’ex tennista rifatta skipper a Mombasa. O di averlo speso per loro al mercato libero di Zanzibar. Omar sarebbe stato il contatto.

“Quella donna, o cos’è, è il genere Henri de Montfreid, che si romanzava la vita, eccetto che lui era per Mussolini e Pétain. Anche lei si potrebbe fare musulmana, baiadera al suk: nella posizione che privilegia accosciata sulla sinistra, che viene bene a Baldung Grien negli schizzi all’Albertina, la parte destra della groppa ad arco retto col ginocchio, non si resta a lei inerti, benché inattingibile – ma chissà, è spia chi ama farsi fare. È Omar il contatto o l’informatore? C’è una fonte confidenziale, e Omar, lo spicciafaccende dell’Ente a Nairobi, potrebbe essere entrambi: è il tipo indifferente, al bene e al male. O la fonte è anonima, è un classico, una lettera che il Procuratore si scrive, si cerca quello che si vuole trovare. Negli Usa è la regola: si prende una vacca che giura a pagamento di essere stata stuprata, e per il personaggio da incastrare è finita, dato che l’America è morale, non si può dire di una puttana che è puttana.
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“L’onorevole Andreotti, chiusa la crisi di governo aperta per portarlo alla Difesa, pronto rientra in gioco. Al segretario di Togliatti spiega che il terrorismo è a destra, sotterrando il suo governicchio. E tanti golpe cita, genera, resuscita, lui che la destra e i servizi conosce meglio di tutti:
“- Ha Miceli e Moro nel mirino – Pietro decide sommario. Il generale Miceli fu il mio comandante ala Centauro, a Vercelli: era lui a ordinare gli allarmi OP? Ora è capo dei servizi segreti, per conto di Moro. Andreotti ha insomma nel mirino Moro.
“Pietro ha telefonato, telefona spesso dalla latitanza, da luoghi incerti, ma senza problemi. C’è da temere l’ira dell’onorevole Andreotti, se fu il generale Miceli nel 1971 a bloccare a Trieste le armi e i mercenari del golpe contro Gheddafi, il golpe del Principe Nero, tanti benefici apportando all’Italia e all’Ente in Libia. Si scavano trincee e si ammassano sacchi. Anche se il Presidente, ingegnere, moderato costituzionale, è per Andreotti, e questo dovrebbe agire da parafulmine.
“Per la forma la crisi è stata aperta dai socialisti, avendo il ministro Giolitti dichiarato che i vincoli di un prestito del Fondo Monetario Internazionale non erano applicabili all’Italia, e che anzi l’inflazione si vince allargando la spesa. Poteva essere la rivoluzione, la Nuova Era oltre che un Nuovo Modello di Sviluppo, il moto perpetuo dell’economia. Ma Andreotti lesto s’è infilato e la crisi si è chiusa. Fanfani, che ha tentato di mettersi di traverso quale capofila della destra, è stato zittito con puntuale rievocazione del caso Montesi, nel quale non fece buona figura. Il senatore, fra i tanti utensili con cui ha modellato la Repubblica pezzo per pezzo, ha introdotto con quel primo scandalo, della ragazza annegata in poca acqua a Torvajanica, anche l’inquinamento da dossier, le voci malevoli. I socialisti, che si sono ridivisi, vorrebbero ancora dividersi. È il frazionismo, malattia morale del socialismo, per albagia intellettuale, antipolitica, antidemocratica. Valpreda si continua a processare a Catanzaro. Pur sapendo che le bombe le mettono i fascisti. Soltanto si unificano i processi, Valpreda insieme coi fascisti. Dei golpe denunciati in serie sarebbe stratega un generale, da Pietro ascritto all’onorevole Andreotti:
“- Maletti. Fa la guardia a Miceli, è il suo vice. – Andreotti è diffidente, ma se ne serve perché gli alza comode palle, come dare a Miceli la colpa di Borghese e Gheddafi. Nella guerra fra Andreotti e Moro, Ma-letti sapiente introduce i cani sciolti, Pacciardi, Sogno, Fumagalli, bersagli convenienti a entrambi. E a Berlinguer. L’onorevole farebbe meglio a dire che Maletti ha dato il passaporto, con  comodo vitalizio, a Giannettini, l’agente Zeta, l’autore di Tecniche di guerra rivoluzionaria, già spia dell’Oas, che sa tutto delle bombe perché non lo dica. Cioè lo dice, dice che farlo fuggire è stato un errore, ma non dice perché, né punisce alcuno, artista qual è del falso scopo, mirare a un punto e colpirne un altro. Sogno e Pacciardi si sono fatti la guerra in Spagna, ma erano insieme nella Resistenza. Colpire è facile, bastano un sostituto Procuratore della Repubblica e un paio di giornalisti. Si torni, anche qui, al ’68, a un momento prima: che Dc sarebbe stata senza Moro e Andreotti. Che Italia?
“L’onorevole Andreotti non è solo, la vigilanza è massima. Su L’Espresso e Panorama i golpe si rincorrono. Prima a settimane alterne, ora in contemporanea. L’ingegner Francia vuole avvelenare l’acqua. Delle Chiaie rapire ventitré notabili. Il principe Borghese prendere Roma coi forestali di Gualdo Tadino – un’altra volta? Gheddafi bombardare gli aeroporti. La massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe preparano i militari. Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un Fumagalli Carlo, eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizza un gruppo anticomplotto – lui è pacifista e complotta contro le Forze Armate.
“I golpe contati tra gennaio e Pasqua sono venti o ventuno. Candelotti di dinamite si scoprono in tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria, sotto i ponti, altri deflagrano talvolta senza vittime. Borghese è il Principe Nero, personaggio di Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché figlio di Edoardo III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per lui scatenò la guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe si sono persi per strada. Il commando che doveva rapire il capo della polizia Vicari ha prima sbagliato numero civico, poi è rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo sovraccaricato. Ma non si può ridere del complotto, i bolscevichi presero il Palazzo di Inverno entrando alla spicciolata da una porta secondaria rimasta aperta”.
(continua)

Eco enigmista

Eco soprattutto si divertiva, e dei giochi linguistici, che qui propone, dice di avere un “fondo privato, e inedito, ricchissimo” – anche se poco utilizzabile (“alcuni sono semplici variazioni su modelli ormai usurati, altri sono estemporanei e scipiti, altri ancora troppo osceni” – ma qui non ne mancano). Il lettore si diverte meno, anche col “quadrato magico” del titolo, ma certo la produzione è notevole.
Qui c’è un “Dante all’indietro”, a ritroso: tre canti dell’ “Inferno”, tra cui il XXXIII (“La bocca sollevò dal fiero pasto”) fieramente porno. Effetto ripetuto, naturalmente, nel “Monica” (Lewinsky), collage di titoli che vari autori, da Shakespeare, Verdi e Collodi a Sergio Leone, e a Pietro Valpreda, Eco fa dedicare all’affare. E molti esercizi da enigmista. Seriosi invece i “38 consigli di buona scrittura” (ricavati in rete, annota Eco onesto, in inglese, e solo leggermente adattati in traduzione).
Umberto Eco, Sator arepo eccetera, nottetempo, pp. 77 € 7

giovedì 25 novembre 2021

Secondi pensieri - 463

zeulig

Amore materno - Non è istinto naturale, ha spiegato Elisabeth Badinter, “L’amore in più”, e anche come sentimento lo ha rilevato non diffuso, forse anche raro. È stato inventato da Rousseau, spiegava ancora, e fu adottato largamente a metà Settecento per frenare l’emorragia demografica, la mortalità infantile. Mentre è vero che la natura di Rousseau una volta tanto funziona: nelle specie animali i calori sessuali vanno con la riproduzione, e non c’è specie in cui le femmina non si occupa dei figli, o casi di figli abbandonati dalle madri (col capriolo e altre specie si arriva all’assurdo che il neonato casualmente separato dalla madre dovrà vivere poi sempre accudito e isolato, altrimenti indifeso dai predatori .....).
La maternità è anche apprezzata in tutti i periodi e i luoghi storici. Eccetto l’epoca attuale, in cui il complesso genitoriale si trasferisce di preferenza su un pet, per lo più canino, rispetto a un figlio, anche se richiede più cure e più costi.  
Per gli umani si può ipotizzare una evoluzione inversa, dalla funzione naturale alla scelta deliberata.
 
Complotto – Si può dire una falsa scienza – falsa in quanto fondata sul segreto, sull’indimostrabile. O una sindrome: piace dirsi in mano a forze segrete. Per negare la politica, che è la democrazia.
 
La logica del complotto è imbattibile, poiché incita alla difesa, che sempre è nobile. E poi la leggenda non mente.
 
Emerge come un dato di cultura politica americana, in una società divisa nella storia recente, un momento storico che vede un reppraisal del modo di esse e della storia degli Stai Uniti. Ma fu in auge mezzo secolo fa in Italia, e per un lungo periodo. Dopo il Sessantotto, a partire dall’Autunno Caldo del 1969 e degli attentati di piazza Fontana a Milano, e di Roma all’Altare della Patria - un attentato sottovalutato ma contemporaneo di piazza Fontana, una contemporaneità non casuale. L’Italia visse successivamente un lungo periodo di attentati e colpi di Stato, veri o presunti,  di terrorismo, di destra e di sinistra, fino alla stazione di Bologna e ancora oltre, una dozzina d’anni. Non c’era si può dire settimana che un progetto eversivo non venisse denunciato, solitamente attraverso i settimanali che allora facevano opinione, “l’Espresso” e “Panorama”. Partendo dall’editore Feltrinelli, da un opuscolo che le sue librerie vendevano, “Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia”, a maggio o giugno del 1970.
Il golpe Feltrinelli voleva ad agosto: “L’estate sembra particolarmente adatta”. Ma di più ad agosto: “Gli operai sono in ferie, le fabbriche semichiuse, uomini politici, giornalisti, ecc. sono pure loro al mare o in montagna, grava sul paese dalla metà di luglio un clima di «stanchezza» e di disinteresse generale: sono le condizioni ideali per portare a compimento un colpo di Stato”. Anche Cromwell fece il golpe ad agosto. Ma ad agosto a Londra piove.
Qualche ano dopo i complotti si erano moltiplicati, rincorrendosi su “L’Espresso” e “Panorama”. Prima a settimane alterne, poi in contemporanea. L’ingegner Francia vuole avvelenare l’acqua. Delle Chiaie rapire ventitré notabili. Il principe Borghese prendere Roma coi forestali di Gualdo Tadino. Gheddafi bombardare gli aeroporti. La massoneria voleva rapire il presidente Saragat. Un golpe preparano i militari. Un altro i capi della Resistenza Sogno e Pacciardi. E un Fumagalli Carlo, eponimo lombardo. Carlo Cassola invece organizzava un gruppo anti-complotto – lui era pacifista e complottava contro le Forze Armate. I golpe contati tra gennaio e Pasqua 1974 furono venti o ventuno. Candelotti di dinamite si scoprivano per tempo in posti impervi delle ferrovie, in galleria, sotto i ponti, altri deflagrano talvolta senza vittime.
Borghese era il Principe Nero, personaggio di Conan Doyle venuto utile in Libia prima che in Italia, nonché figlio di Edoardo III, il re d’Inghilterra che si disse re di Francia, e per lui scatenò la guerra dei Cent’Anni, vincendo a Poitiers. I reduci del Principe si erano persi per strada. Il commando che doveva rapire il capo della polizia Vicari aveav prima sbagliato numero civico, poi era rimasto bloccato in ascensore tutta la notte, avendolo sovraccaricato.
Non si può ridere del complotto, i bolscevichi presero il Palazzo di Inverno entrando alla spicciolata da una porta secondaria rimasta aperta. Ma impossibile non pensare queste denunce, con i relativi piani, forniti da una “mano segreta”, un’organizzazione, per quanto controvertibile. E dunque il complotto ha logica esponenziale: c’è sempre un complotto del complotto. 
 
Ma, poi, la sindrome è antica e ricorrente. Per Rousseau, Voltaire e Diderot erano corrotti complottatori.
 
Epoca – Si può dire suicidaria. Della buona morte e della morte del mondo, dopo quella della natura e degli altri. Della letteratura dell’io – diari, confessioni, memoriali, blog. Inevitabilmente misantropica, di rifiuto del mondo. Nel mentre che ne vive (esplora, consuma) tutti i recessi, i più alti e i più bassi, di ogni angolo e di ogni persona. E, per contrasto, vive nel migliore storicamente possibile di benessere (istruzione, comunicazione, reddito, sanità, abitazione, tempo libero). E afferma e impone i diritti, in ogni loro singola frazione. Non è un cupio dissolvi, o allora non ragionato.
 
Si può ipotizzare il complottismo come una reazione a questa ideologia suicidaria. Che sospetta e denuncia come artefatta, gestita da interessi subdoli per sfruttare i più, anche se per motivi reconditi, non vedendosene il vantaggio, e restringere le libertà. Anche a opera dello Stato, che non si ha remora ad acculare agli interessi reconditi, subdoli.
 
Felicità – È personale, precaria, comunitaria (famiglia, scuola, ambiente), e intermittente. Niente di più occasionale – o “complesso” per dirla col Nobel Parisi.
Le statistiche danno per paese più felice al mondo la Finlandia. Perché no, anche se ha l’indice di suicidi – scontenti della vita – fra i più alti in Europa, dopo i baltici e gli slavi.  
 
Libertà – Alcuni filosofi hanno preso posizione contro gli obblighi imposti contro la pandemia da covid e le misure restrittive che ad essa si collegano, nella fruizione del tempo e nella socievolezza, anche quella obbligata (lavoro, svago, affetti). Li criticano come un’estensione indebita, se non artefatta, dei poteri dello Stato sull’individuo e la società.
La critica si è portati a colorare (ridurre) politicamente: venendo da pensatori che professano o hanno professato posizioni politiche di sinistra, Agamben Cacciari, Vattimo, si vede in essi riduttivamente un’espressone tardiva di antindustrialismo (lo Stato servo del Big Pharma, eccetera). Riduttivamente, perché la polemica contro lo Stato è tipica topica, malgrado il bisticcio di parole, liberale. Ma è anche vero che le critiche e riserve sono state piuttosto enunciate che spiegate, e quindi è difficile collocarle – Agamben, che ne aveva scritto, ha sentito subito il bisogno di riscriverle.
 
Si va verso la quarta ondata, con grave sacrificio di tutti, perché i no vax vogliono propagare il virus, con le manifestazioni di piazza, per lo più “selvagge”. Se è una battaglia di libertà, perché non vaccinarsi e stare tranquilli? È libertà fare da untori? No, è un “battaglia” politica. Con danni per tutti, no vax compresi, enormi (sanità, lavoro, reddito).
L’opinione pubblica è debole e manipolabile. Anche da pochi, incapaci. Ci vogliono leggi. Costituzionali ma obbligatorie.
 
“La quarta ondata in Europa e in Usa: nessun altro continente così colpito”. Nelle patrie della libertà? Insensato, ma non inspiegabile: la libertà è concetto scivoloso, anche se l’Occidente (Europa e Usa sono l’Occidente) ne vanta il brevetto. Libertà non è individualismo.
 
Politica – È forma. Il presidente Mattarella, accompagnato dalla figlia, va in visita a Madrid. La foto ufficiale lo mostra insieme con il re e la regina di Spagna. I reali seduti compostamente, come di rito, per rispetto agli ospiti. Mattarella e la figlia con le gambe accavallate. O della politica inutile – la politica è istituzione e rispetto delle forme.
 
Stato - Burckhardt diceva: “Lo Stato moderno ha un padre e una madre. La madre è la rivoluzione, il padre è il cesarismo”. Tutto si legherebbe secondo la “legge ferrea dell’oligarchia” michelsiana: “Nei popoli e le rivoluzioni l’aristocrazia è durevole: eliminatela nella nobiltà, rispunterà nelle casate ricche del Terzo Stato; eliminatela anche qui, riemerge nelle aristocrazie operaie”. L’aristocrazia della legge sarebbe meglio, seppure imperiale. Meglio di quella dei furbi. Gramsci ne ha avuto l’illuminazione. Quando legò la democrazia all’impero, nella nota «Egemonia e democrazia» del “Quaderno 8”, quando è l’impero a introdurre i primi diritti, con la legge.
 
Storia – “Ogni storiografia è autobiografia”, voleva Ernesto De Martino. Dunque niente passato? E niente etnografia, il mestiere di De Martino.

“Fa bene la storia ad affidarsi al caso”, dice Carlo Ginzburg intervistato lungamente su “La Lettura”, sulla sua ultima raccolta di saggi, “La lettera uccide”. Fa bene allo storico? Ai fini della scoperta? Ma poi va provata. O fa bene alla narrazione, ariosa. Ma con che verità? La storia, quale che sia, è una combinazione non casuale. Non solo per la metodologia - i precedenti, le “cause”, i contesti. Anche in quanto ricostruzione, e poi “narrazione”. Oppure lo è?

C’è determinazione nella storia. Anche nell’errore (sconfitta): la storia, quella vissuta e quella narrata, non procede a occhi chiusi ma per trials and errors – come la ricerca. La storia, nel suo farsi come nel suo racconto, è ricerca.

zeulig@antiit.eu

Napoli, una favola

Un racconto d’amore per Napoli, dove si arriva dal mare, come angeli del mattino a volo radente. Un mare umbratile, che resterà sempre presente – il mare materno. Con la storia della famiglia, affollata, chiassosa, anche folle, e protettiva – doppiata dai vicini di casa, di sopra e di sotto. E con quella del giovane Paolo, che fa le sue prime esperienze, fino alla decisione di lasciare Napoli per Roma. Una scelta di “realtà”, ragionevole, quanto la storia familiare e quella personale sono invece oniriche, nei colori, le figure, i dialoghi, le situazioni – si dice “felliniane”, paternità che Sorrentino non nega: Fellini lo a parlare dal vivo, e per bocca del fratello del giovane protagonista, che con Fellini ha tentato un provino (“Il cinema non serve a niente”, gli ha sentito dire a un intervistatore, “però ti distrae. Dalla realtà. La realtà è scadente”).
Un racconto farcito di aneddoti veri, vivaci. Alla Fellini anche qui: non mostri ma persone. La zia che vede san Gennaro e ci parla, è abbracciata dal Munaciello, che le promette l’attesa maternità, fa il bagno nuda, e finisce al manicomio. La parente tornata dall’Argentina, che veste in pelliccia, mangia con le mani, e parla un dialetto stretto e sconcio. Il contrabbandiere che manovra il motoscafo meglio della velocissima Finanza, porta il protagonista a Capri di notte, soli nella piazzetta, e di mattina fa con lui il bagno nella Grotta Azzurra. La contessa del piano di sopra che insegna all’implume protagonista rimasto orfano come “fare” l’atto. Inarrivabile il cicaleccio politico, anti-capitale, anti-sistema, dei bravi borghesi, per i quali veramente Maradona finisce per essere “la mano di Dio”.    
Un racconto corale, senza primi personaggi o primi ruoli. Di attori tutti nel ruolo. Un racconto fiabesco. In una luce morbida, di forme e di colori. Il Maradona del titolo e delle tante interviste di Sorrentino c’è, ma di striscio – solo, smarrito. La figura del padre è tutta paterna – nulla anche qui delle tante interviste che lo dicono un superficialone e un fedifrago: i genitori sono la sola coppia amorevole che si veda al cinema da molti anni. La verità – la realtà – Sorrentino vuole qui consolante. Seppure nei toni posati e le sfumature della memoria, del sogno, della favola.    
Paolo Sorrentino,
È stata la mano di Dio

mercoledì 24 novembre 2021

Ombre - 589

Il selfie vaporoso di una modella-blogger tunisina sul “barcone” verso Lampedusa suscita ire e sdegni. È curioso che un mondo così vicino all’Italia, come il Nord Africa e l’Africa tutta, resti in Italia terra incognita: non si sa niente dell’Africa, non si capisce niente dell’immigrazione. Siamo sempre al buon selvaggio. A opera delle organizzazioni caritatevoli, il cosiddetto terzo settore, che perpetuano l’ignoranza dei missionari.
 
Della Juventus tremolante a Londra, sul campo del Chelsea, colpisce che nello stesso giorno il club chieda 150 milioni di capitale  al mercato – non agli eredi Agnelli, agli investitori.
Colpisce anche che il club torinese si presenti in vesti così dimesse, pur pagando un monte ingaggi doppio della media della seria A, quando gioca in chiaro, cioè visibile da tutti. Specula al ribasso?
 
Arnoldo Mosca Mondadori, credente fervoroso e uomo di chiesa, fa fabbricare le ostie da consacrare ai detenuti. “Fa concorrenza alle carmelitane” gli obietta Lorenzetto. “No”, è la risposta, “alle ostie made in China”. Le ostie made in China!
La Cina comunista grande business per gli sfaticati, soldi a palate. La conquista del mondo con l’avidità e la corruzione?
 
 “In quattromila senza mascherine a Roma”. Sono molti o sono pochi (sono in realtà fra due e tremila? Sono niente. Ma allora perché farci una pagina? Si spera che aumentino, non hanno già imbastardito  abbastanza, tanto casino tanto onore? Anche a costo di rinchiudere tutta l’Italia?
 
Fa piacere il Watford di Ranieri, quarto o terzultimo in classifica,  che prende a calcioni il Manchester United di Cristiano Ronaldo. Per i quattro gol che gli rifila, ma più per il modo. Con velocità, atletismo, geometria, un calcio-spettacolo . Niente a che vedere con i passeggini a rientrare di Lazio-Juventus. Anche, malgrado i tanti gol, di Fiorentina-Milan – quanti “errori”, per esempio, dare la palla all’avversario per farlo  segnare meglio.
 
Incredibile a vedere l’arbitro Guida di Fiorentina-Milan, che ha sotto gli occhi un pestone con sgambetto del milanista Messias al fiorentino Saponara in area  e non fischia il rigore. E convalida un gol di Ibrahimovic, con la collaborazione di un fiorentino che la mette dentro, benché il milanista fosse in fuorigioco evidente - non “millimetrico”. Senza che il Var, nell’un caso e nell’altro, lo richiami. Non sono errori o sviste. Ma allora perché non sarebbero roba penale, considerato che ai gol e al risultato sono legati montagne di scommesse?
 
Dopo il blocco di Andreotti al Quirinale, nel 1992, quando i “dorotei” Dc si schierano per Forlani, e il con seguente fallimento di Forlani a opera degli andreottiani, “Craxi spinge su Scalfaro”, spiega Pomicino a Labate sul “Corriere della sera”, “presidente della Camera. Convinto che avrebbe potuto ‘garantirlo’ dal Colle”, da “Mani Pulite”, il golpe di Di Pietro e il debole Borrelli. Scalfaro che affosserà la politica e la Repubblica.
 
Ferrari “vale” di più di Banca Intesa? E di Eni? Vende di più, fa più utili, è più competitiva, è più ambientalista? È il mercato di Borsa.
 
Il neo sindaco di Roma Gualtieri, ex ministro del Tesoro (ministro del Tesoro?), professore associato di Storia contemporanea, che debutta con un premio ai netturbini se non si mettono in malattia per le Feste, sconcerta. Non sa che c’è una macchina amministrativa da rimettere sui binari? Compresi i netturbini che non raccolgono la spazzatura.
 
L’Ama, l’azienda comunale romana dell’Ambiente che ha quaranta o cinquanta mezzi fuori uso per averli alimentati con olio degradato, non andava prima subito rinnovata nei vertici? Non  si amministra col sorriso, e le prebende.
E i giornali romani: perché non si fa il nome della ditta che ha fornito l’olio degradato? Perché l’Ama non la denuncia?

Il cinema per pochi

Le favole rovesciate, per un racconto “corretto”, al femminile, seppure con bonomia e anzi in allegria. Biancaneve risolutiva con i sette nan - , tutti, scoperta, maschi, risolutiva. Mentre addormentato è il principe azzurro. In una casa di Cenerentola tutta al maschile.
Un’operazione di testa ma ben raccontata, al limite tra il realistico e il fiabesco: recitazioni accentuate ma non troppo, figure esagerate ma non troppo, e un fiabesco realistico. Che però non è piaciuto: uscito in estate, il film è campione di non incassi. Forse perché è difficile portare al cinema i piccoli. Ma non sarebbe andato meglio come serie, sulle piattaforme? Forse il cinema comincia – per molti segni – a non andare più, il cinema in sala, non è questione di distanziamento
Susy Laude, Tutti per Uma, Sky Cinema

martedì 23 novembre 2021

Problemi di base - 672

spock

De nihilo nihilum, in nihilum nil”, Persio, e dunque?
 
Dio esiste ma non c’è?
 
Senza religione, senza legge?
 
Il pensiero è libero, da che cosa?
 
C’è un senso nella perdita del senno?
 
E nelle liti madri-figlie, con chi stare?

spock@antiit.eu

Il ritorno di Delfini, irregolare, eccentrico

Si legge Delfini perplessi, per la figura dell’autore, la figura fisica, di signore corpulento, molto stempiato, posato, giacca, camicia bianca, cravatta, in contrasto con quanto e come diceva e scriveva. Mentre è di fatto uno giovane, anche in tarda età, gioviale e irregolare, e le immagini concordano. La sua è una presenza “per sottrazione piuttosto che per accumulazione”, nota il curatore. Ha avuto una vita molto piena, anche perché breve, e molto pubblica, ma di lui si sa poco.
Delfini fu famoso per avere spiegato che “La Certosa di Parma” è invece di Modena, che il romanzone di Stendhal si svolge a Modena. Con lo stesso piglio “surrealista”, serio e scanzonato, ebbe un momento di celebrità in politica nel dopoguerra, portando armi dapprima ai partigiani comunisti, poi i comunisti legando ai badogliani (monarchici), da ultimo creando partiti e candidandosi come conservatore rivoluzionario – nel 1951 pubblicò un “Manifesto per un partito conservatore e comunista in Italia”. Ha scritto anche racconti e poesie. Ma soprattutto ha tessuto una rete vastissima con l’Italia letteraria e artistica degli anni 1930-940. Stabilendosi nel 1935, a 28 anni, a Firenze, fino al 1946. Amico in particolare di Montale, di cui il catalogo reca alcune gustose lettere, e di Bonsanti, che lo editerà e lo promuoverà. Ma anche pokerista con Landolfi, Gatto e lo scultore Messina. E goliarda – sfidò a duello il mitissimo Luzi, che non capiva perché. Poi fu stabilmente a Viareggio, che aveva frequentato molto anche da Firenze, per un altro decennio, fino al 1956. Quindi a Roma, dove il giovane Garboli lo prese in simpatia e stima. Tornerà a Modena per morirvi, a febbraio del 1963 - qualche mese dopo la morte della sorella e della madre, la sua unica famiglia, il padre essendo mancato giovane.
Era di famiglia ricca, e si distingueva, oltre che per lo humour, per finanziare riviste, giornali e case editrici di tutti i conoscenti, Guanda, Pannunzio, Benedetti, Vicari, Scheiwiller eccetera. Anche dopo che il patrimonio familiare, da lui curato,  si fu assottigliato.
Ritorna ora con i “Racconti”. Ma fu soprattutto un personaggio. Scrittore “umbratile, irregolare ed eccentrico”, secondo Ungarelli, che presenta il Catalogo - “eccentrico ma non isolato”. Qui, nella mostra “Immagini e documenti” del 1983, di cui Scheiwiller pubblicò il catalogo, Modena lo celebra come colui che la eleva a “provincia letteraria” – dopo Tassoni... Il catalogo gli rende giustizia in almeno un punto: c’era un ragazzo dentro il corpaccione.
Con una bibliografia, l’unica finora apprestata.
Franco Vaccari (a cura di),
Antonio Delfini - Immagini e documenti, Libri Scheiwiller

lunedì 22 novembre 2021

Quarta ondata da Nobel

Il 2 marzo Giorgio Parisi, ora Nobel per la Fisica, poteva già “prevedere” la quarta ondata di contagi. E non c’era ancora il fenomeno dei no-vax in piazza e al chiuso. Interrogato dal “Corriere della sera”
https://www.corriere.it/cronache/21_marzo_02/covid-terza-ondata-piu-contagiosa-letale-prepariamoci-quarta-0c1a05b2-7b23-11eb-a9cc-1eebe11a6a7c.shtml
spiegava la logica dei numeri. Non per stregoneria ma ragionando sugli indici di progressione dei contagi – non sul numero, che sembra sempre, inizialmente, basso, ma sulla progressività giorno per giorno.
In quell’intervista Parisi dava i numeri che poi si sono realizzati nel corso della primavera, con la “terza ondata”. Per prevenire la quarta ondata, chiedeva una campagna vaccinale di richiamo in autunno. Questa campagna è in corso, ma Parisi non sapeva dei no vax schierati, non in difesa di una “libertà” di non vaccinarsi ma in veste di untori, per la diffusione del morbo, nei masi chiusi in Alto Adige, e in piazza a Trieste e Milano. 

Gualtieri nella spazzatura

Ma Gualtieri sa qual è il problema? Ieri era un mese che il professore, storico contemporaneista, già ministro dell’Economia, è sindaco, e in questo mese la spazzatura non è stata mai ritirata. Nemmeno, vivendo in un quartiere con la differenziata nei cassonetti, l’umido, che pure prende poco spazio ed è il rifiuto più facile e produttivo da riciclare: il cassonetto è strapieno, non “riceve” più, e l’umido puzza, e infetta. Il quartiere è piuttosto disciplinato ma carta e cartoni bisogna tenerli in casa, e anche platica e metalli: non solo i cassonetti sono ingombri ma anche gli spazi attorno.
Il neo sindaco in un mese ha trovato solo il tempo per un regalo ai netturbini, il famoso premio contro l’assenteismo, e questo è un cattivo presagio: fa capire che probabilmente il neo sindaco non ha capito nulla. Certo, un Comune si governa facendo piuttosto che punendo, ma sempre con mano ferma. Fare in questo caso significava e significa sfiduciare l’Ama, rinnovarne la gestione, e organizzare i controlli. Non solo a Roma, ma in ogni città di ogni parte del mondo, i controlli sono il cuore della buona amministrazione.
Il caso del sindaco Marino, dello stesso partito di Gualtieri, sfiduciato e cacciato dal Campidoglio con disonore (poi riabilitato, roba sovietica, nel 2020…) dai vigili urbani di cui aveva tentato di controllare l’assenteismo e la corruzione, non fa testo: Marino è stato cacciato dal suo stesso partito, che a Roma era pieno di gente corrotta. Questo non dovrebbe essere più il caso ora – molti corrotti sono stati snidati e condannati - e comunque non fa testo.
Un intellettuale sindaco può trovare difficoltà a fare l’amministratore. A controllare le pratiche, i carichi di lavoro, l’assenteismo, ed eventualmente altri abusi. L’altro intellettuale sindaco di Roma, Argan, debuttò dicendosi soddisfatto se fosse riuscito a far segnare il tempo agli orologi del Comune nelle piazze. Perlomeno è rimasto nel (suo) ruolo. Ma aveva dietro un partito robusto e non corrotto, che lo affiancava con gente robusta come Vetere e Petroselli, che gli sarebbero succeduti – rinnovando la città, con le sue bellissime, malgrado tutto, periferie. Gualtieri è persona mite, ma allora perché fa il sindaco, a Roma?    

Cantando con Socrate a Napoli capitale

Un omaggio all’abate Galiani, alla Napoli del Settecento virtuosa e invidiata – l’abate era stato una stella dei salotti e dell’illuminismo a Parigi. Rendendo rappresentabile, con nuovi e concisi recitativi (l’opera originaria prenderebbe quattro ore e mezza), il Paisiello delle parti musicali. Che in quest’opera, spiega De Simone in avvertenza, ha “raggiunto una delle più alte picche” del teatro musicale napoletano. Per le “evidenti contraffazioni della musica francese e dell’Orfeo di Gluck, rappresentato al San Carlo nel 1774” (il “Socrate immaginario” viene l’anno dopo), per lo sviluppo ampio del “tradizionale melodismo meridionale di tipo larmoyant”, e per i concertati “di nuova dirompenza ritmica… costruiti con una tecnica compositiva che risulta avanzata e genialmente innovativa”.
È un’opera buffa. Che ha già un barbiere, a cui il padre-padrone, fissato grecista che nella eloquenza del barbitonsore ritrova Platone, vuole dare in moglie la figlia. Il grecista “visionario delirante” gli autori del libretto, Galiani e Giambattista Lorenzi, dicono discendere da don Chisciotte, in una excusatio pubblicata dopo la semi-censura regale alla rappresentazione dell’opera, giudicata lesiva della reputazione del personaggio messo in satira come Don Tammaro Promontorio, “l’erudito barone don Saverio Mattei, eminente giureconsulto, grecista e dotto in linga ebraica”, nonché alla sua rispettata consorte, “l’esuberante Donna Giulia Capece Piscitelli”. Don Chisciotte non c’entra, spiega De Simone, il libretto originario era solo una presa in giro del  barone Mattei. Poco godibile fuori di Napoli – re Ferdinando fece quasi un favore proibendo le repliche della commedia per le “indiscrezioni” che conteneva, una sorta di diffamazione. E riporta il libretto, nelle parti recitate, alla dimensione reale, del tempo e del luogo. Alle novità del tempo rivoluzionarie. E al vero personaggio di Don Tammaro, nonché alla consorte. Di Donna Giulia fa interlocutrice una giovanissima Eleonora Pimentel, con la quale conversano in francese. Del barone Mattei l’adolescente Mozart – “il giovanissimo genio salisburghese visitò Napoli all’inizio degli anni Settanta,  e sicuramente conobbe il dottissimo musicofilo Saverio Mattei”.    
In appendice un saggio succulento del dimenticato Giovanni Macchia, francesista eminente, “Galiani e la «nécessité de plaire», l’intervento al convegno su Ferdinando Galiani all’Accademica dei Lincei nel 1975.

Roberto De Simone, Prolegomeni al Socrate immaginario, Einaudi, pp. 88 € 10

domenica 21 novembre 2021

Letture - 473

letterautore

Africa – È sempre “l’Africa dell’atlante vittoriano”, di cui in Graham Greene, “In search of a character” (“Congo Diary”, 1955), “il vuoto continente inesplorato, a forma del cuore umano”.

Bach – Erano una tribù, tutti musicisti. Gian Mario Benzing conta su “La Lettura” “almeno 83 Bach musicisti (51 dei quali si chiamano Johann-qualcosa)”. Partendo “dal mugnaio Veit Bach, la cui discendenza dissemina in tutta la Germania una favolosa quantità di «cittadini musicanti», organisti, strumentisti di corte, fino al Kapellmeister, fino al sommo in assoluto, Johann Sebastian”. Se ne contano 83 da Veit Bach incluso a Wilhelm Friedrich Ernst, 1749-1845.
Notevoli le famiglie di musica anche in Italia. Nella strumentazione: i liutai del Sei-Settecento furono dinastie, gli Amati, i Guarneri, gli Stradivari. Anche i musicisti: la più numerosa, esecutori e compositori, è quella degli Scarlatti – Alessandro, i fratelli, le sorelle, i figli, tra essi Domenico, e discendenti.

Balzac – Collezionava quadri vuoti: appendeva le cornici e dentro scriveva a carboncino, su un cartello: “Qui uno splendido Raffaello”, “In questo posto il mio bel Giorgione”.

Dante – O della complessità: “Certo, un critico avrebbe molto a dire su un foglio dattiloscritto da una scimmia (le scimmie cui Borges voleva affidare le macchine da scrivere, n.d.r.); mentre un canto della Divina Commedia è infinitamente più complesso”, Giorgio Parisi a Cazzullo su “7” – “Eppure è fatto con le stesse lettere. È la ricombinazione della stessa cosa. Proprio come gli esseri viventi”.

Galileo – Ha unificato cielo e terra. Ha fatto scoperte e dimostrazioni, ma principalmente, “come fa notare lo storico della scienza Paolo Rossi, ha avuto al grande intuizione che il mondo terrestre e il mondo celeste fossero simili e che si potessero utilizzare le stesse leggi per entrambi”.  

H – Mancando in questa ripreso dopo il lockdown la carta per stampare i libri, e anche il cartone per imballarli (“se li è accaparrati la Cina in gran quantità”?), Giuliano Vigini evoca la guerra, “quando Bompiani pubblicava il suo «Dizionario letterario» omettendo l h nel verbo avere per risparmiare sulla carte”.
 
Italia –Un paese per lo più d’invenzione, esportato (importato). Da Shakespeare naturalmente, e da Stendhal. Ma già da Chaucer, e poi da innumerevoli romantici e post, per il genere gotico, Walpole, Radclyffe Hall, Vernon Lee, Mérimée, Hugo, Gautier, E.T.A.Hoffman, e per quello sentimentale.
È il paese da “Mille e una notte” europee. Per la novellistica, che ha sviluppato prima e con più vigore?
 
Metafora – Uno dei “ragionamenti intuitivi” la dice il Nobel Parisi  a proposito delle sue ricerche di fisica matematica-teorica (“In un volo di storni”), “che sono alla base del progresso scientifico”. Il principale, con l’analogia, il modello, il teorema, le derivazioni. Nonché la forma o vaso di comunicazione e identificazione di un periodo: “Le metafore hanno un ruolo decisivo nel trasferimento di immagini e di idee tra discipline diverse nello stesso periodo storico”. Sono il luogo e il mezzo della trasmissione dei concetti e della loro “convivenza”, prosegue: “Se esaminiamo con attenzione un periodo storico possiamo percepire l’esistenza di uno spirito del tempo: spesso siamo in grado di trovare corrispondenze e assonanze non solo fra discipline scientifiche diverse, come potrebbero essere la biologia, la fisica e così via, ma addirittura tra la musica, la letteratura, l’arte e la scienza. Basti pensare alla crisi di un certo razionalismo all’inizio del Novecento, ai cambiamenti simultanei che ci sono stati nella pittura, nella letteratura, nella musica, nella fisica, nella psicologia… Tutte queste discipline, molto lontane l’una dall’altra, comunicano tra loro  ed è ragionevole pensare che le metafore abbiano un ruolo importante nella formazione del sentire comune”.
 
Paesaggio – L’Italia ne è, ne è stata, il luogo d’elezione, il paesaggio per eccellenza – un fondale in realtà, ma era la sua realtà. Nel romanzo italianato “L’odalisca perduta”, Adrien Goetz così può far ricostituire a Corot vecchio il suo vagabondare  in gioventù per la campagna italiana: “«Cascatelle di Tivoli», «Templi della Minerva» e «Grotte di Posillipo»; erano cinquant’anni che non si faceva altro. Sulle rive del Tevere c’era anche una fabbrica chiamata «la casa di Poussin» perché già il grande maestro la metteva spesso nei paesaggi che componeva. Vi si esercitavano tutti, e l’Italia raccoglieva i mediocri di tutta Europa”, fino ai danesi e ai russi: “I pittori si mettevano negli stessi posti dei loro predecessori, senza nemmeno nutrire la speranza di poter fare meglio. Il fatto è che quella roba vendeva”.
Si facevano figurazioni “storiche” per lo più: “Il massimo era ovviamente il «paesaggio storico», Didone, Pan, Eros e Psiche, Scipione, “copiando alla bell’e meglio Poussin: in primo piano piccole sagome di cartapesta, più lontano montagne rese da una parte erano assemblate con qualche roccia copiata da un’altra parte, due o tre ciel a scelta a seconda delle ore del giorno”. O copiando dai manuali: alberi, sorgenti, edifici e templi, piccoli e grandi, “una falesia o un orrido roccioso tanto per cambiare”.
Ricordando quegli anni a Roma, il Corot di Goetz si dice felice: “Da nessun’altra parte si sarebbero trovati insieme inglesi, tedeschi, russi, francesi, nordici e americani. Tutti insieme eravamo un Congresso di Vienna del paesaggio”. Erano gli anni della Restaurazione, due secoli fa.
  
Post – È l’ingrediente più usato delle “parole macedonia” (Migliorini), o porte-manteau, del giorno, a sfogliare “La Lettura”, lo speciale Bookcity di Milano, la fiera del libro. Post-umano e postu-manismo, per dire l’ecologia. Oltre ai correnti post-crisi e post-pandemia. La post democrazia. La post Europa. C’era già la post-stampa – i social, le fake news. E prima ancora il postmoderno. E la post-scrittura?
 
Soratte – “Montagna logora come un vecchio filosofo”, Adrien Goetz, “L’odalisca perduta”.

Spie – “Si è spia per voler essere spia”, non per patriottismo, o per una sfida, nota Graham Greene in “Una specie di vita”, la prima parte della sua autobiografia, ricordando la sua attività nel Servizio Informazioni durante e dopo la seconda guerra – e anche prima, a ven t’anni, ma allora per ridere. Lo spionaggio di direbbe di moda nell’intellighentsia inglese del Novecento, tra scrittori e accademici. Ma senza lustro, forse per curiosità.

letterautore@antiit.eu

L’autore da giovane, o la manomorta del passato

Un’analisi, più che un ricordo, o anche un ricordo analitico, dei primi vent’anni. Finiti a Oxford nell’alcol, e in numerosi “giochi” alla roulette russa, in solitario. Dopo essersi brutalizzato fisicamente, con tagli, cadute, fratture, da adolescente.  Dopo un’infanzia e un’adolescenza che non riesce a trovare triste, ultimo di sei fratelli e sorelle, compagni d giochi, inventivi, pazienti, il padre direttore-gestore di una scuola privata, severo ma molto presente, la madre prima cugina di Stevenson – che Greene apprezza. Di estesissima parentela. Un prozio fondatore di St.Kitt’s nei Caraibi. Un cugino, Ben, impiegato nella seconda guerra all’internamento degli elementi pacifisti o comunque contrari alla guerra contro la Germania. Il fratello del padre, omonimo dello scrittore, sottosegretario permanente all’Ammiragliato – morto di 93 anni dopo essere sopravvissuto a una serie di incidenti “mortali”. Un’incertezza, una svagatezza, insomma una inconsistenza, che dà ragione. Ma come il nonno paterno, lo scrittore constata a metà riflessione, incapace di una vita familiare tranquilla, che emigra due volte a St. Kitt’s, la prima a 14 anni per aiutare un fratello nella conduzione di una fattoria di canna da zucchero, la seconda da solo e senza conforti, dopo il rientro in patria, alla morte repentina del fratello. Un nonno che aveva “energetici fratelli”, oltre allo sfortunato imprenditore a St.Kitt’s: un governatore della Bank of England, un deputato Tory, un avvocato di successo. Tutti gli ingredienti di una vita, di un racconto, che si presenta amabile. E invece no, “l’infelicità è una pratica giornaliera”, lo scrittore constata a un certo punto, di sé naturalmente.
Graham Greene è allora sfuggito miracolosamente a un triste destino, che lui stesso in gioventù si era venuto creando. Per una sorta di introspezione acuta. Arriva qui ai vent’anni, quasi trenta, senza un’amicizia stretta, né maschile né femminile. Anche il debutto da scrittore è visto con pessimismo: “La prima tiratura del mio primo romanzo, nel 1929, fu di 2.500 copie (che non si vendettero n.d.r.), e quella del mio decimo romanzo, “Il potere e la gloria”, nel 1940, fu di 3.500 copie”. Del resto, sembra dire citando il grande successo di “New Magdalen”, il romanzo didascalico, quasi didattico, pedagogico, di Wilkie Collins sulla redenzione dalla prostituzione (ma qui sarebbe un dramma), di nessun libro si può dire fu vera gloria – “dov’è “The New Magdalen” adesso, e quanti ricordano il nome del suo autore?”.
In analisi da ragazzo da un Kenneth Richmond che ha ancora tutta la sua simpatia, un sorta di “musicista eccentrico”, con lui si trova a considerare il rimosso come “la manomorta del passato”. Si forma su Robert Browning e se ne nutre. Finirà per considerarsi maniaco depressivo, malgrado l’analisi. A Oxford le sperimenta tutte: la vita di ateo, i giornaletti, la roulette russa, il palco, il comunismo, e subito, a 19 anni, lo spionaggio, per i tedeschi contro la Francia – erano gli anni dell’occupazione francese della Ruhr, degli ultimatum a raffica di Parigi – ingaggiato da un conte von Bernstorff, gay e resistente antifrancese, poi anti-Hitler. La stessa irrequietezza  che lo spingerà in posti ingrati dell’Africa e dell’America Latina - “si è spia per voler essere spia”, non per patriottismo, o per una sfida. Lascia Oxford pieno di debiti.
Ricorda il suo primo romanzo, “Rumour at Nightfall”, sui fuoriusciti carlisti di Spagna a Londra – di cui nulla sapeva. E l’influenza di Conrad: “Conrad era l’influenza ora, e in particolare il più pericoloso dei suoi libri, ‘The Arrow of Gold’,  scritto quando era caduto lui stesso sotto la tutela di Henry James”. La conversione al cattolicesimo, in vista del matrimonio, alla Tommaso, l’apostolo incredulo. E il lavoro al “Times”, da capo redattore del settore opinioni. Il primo libro pubblicato, “The Man within”, dice “molto giovanile e molto sentimentale. Non ha senso per me oggi e non vedo la ragione del suo successo”. Autore, ricorda, di “molti romanzi non finiti”.
Una memoria tradotta da Mondadori all’uscita, cinquant’anni fa, e non più ripresa. Il narratore di avventure straordinarie-ordinarie, fa della sua normalissima giovinezza un’esistenza, come tutte, sfiorata dallo straordinario, dall’impensabile.
Graham Greene, A sort of life, Random, pp. 192 € 8,50