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sabato 4 dicembre 2021

Letture - 474

letterautore

Complotti - Naphta è nella “Montagna magica” o incantata, il, capolavoro di Thomas Mann, un altrimenti impensabile ebreo gesuita: la personificazione dei due “complotti” che hanno ammorbato la storia dell’Europa. Per ridere? Thomas Mann, il rispettabile, quasi cattedratico e ben Alto Borghese, mestatore mefistofelico?
È semplice. Kern, uno dei protagonisti dei “Proscritti” di Von Salomon, la saga della Resistenza tedesca di destra dopo la sconfitta del 1918, un terrorsta (assassino di Rathenau) che von Salomon sospetta molto intelligente, ne sapeva di più: “L’incomprensibile diventa naturale se si riesce a classificarlo. Si prendano I Savi di Sion, il complotto internazionale del sionismo, della massoneria e dei gesuiti”.
 
Dante
- È un contemporaneista. Evoca e discute temi e fatti biblici e classici, ma soprattutto si occupa del presente, della vita che sta vivendo – Claudio Giunta, “Sole 24 Ore Domenica” 28. O non – forse meglio - vive la contemporaneità in prospettiva, come storia? Un dono, o una condanna, sapere da dove veniamo e dove stiamo andando, vero o sbagliato che sia il nostro sapere.

La “Commedia” originale fu vittima dell’immediato successo. “La Commedia, nella sua fortuna immediata”, spiega Malato a Gnoli sul “Robinson”, “ebbe prestissimo numerosi lettori e trascrittori di notevole livello culturale”, con molte copie, e molti errori dei copisti, “in buona fede o per ignoranza”: “Fu la rapidissima diffusione delle copie a favorire la proliferazione degli equivoci”. Moltiplicata dalla “diffusione orale” che si ebbe contemporaneamente, la “Commedia” si recitava come una canzonetta: “Il poema si impose anche per la sua diffusione orale, provocando una vera e propria contaminazione mnemonica. L’abitudine di mandare a memoria per poi citare o declamare i versi di Dante contribuì in maniera determinante ad accrescere le ambiguità filologiche”. Oltre ala passione dei filologi per le ambiguità?

Emperor’s Crown – “C’era un bordello all’Avana dove l’Emeperor’s Crown era mirabilmente eseguito da tre  belle ragazze”, Graham Greene fa raccontare alla zia nel fantasioso “Viaggi con la zia”. Si arguisce che sia una figurazione sessuale, ma che cosa nessuno lo sa. L’Emperor’s Crown Greene citerà ancora due anni dopo nella prima autobiografia, “Una specie di vita”. “Questo sicuramente deve avere qualche fondo etico, anche se uno che mi sfugge ora, se ricordo con quanta abilità l’Emperor’s Crown veniva eseguito da tre ragazze insieme in un bordello dell’Avana di Batista”.
 
Fascismo
- “Ci si denuncia per non essere denunciati” – Pavese, “Il compagno”.

Giallo – S’impone (dilaga) in Italia, paese fino a prima di Camilleri refrattario al genere, in forma di parodia. Non solo quella dichiaratamente parodica, di Malvaldi, che tratta spicciativamente i suoi vecchietti e i suoi innamorati del BarLume, o dell’ultimo De Cataldo, il conte e giudice  melomane Mantico  Spinori della Tocca, che tutto trova risolto all’opera. Anche metà De Giovanni. E lo stesso “tragico”, tra freddo e nebbia, Schiavone di Manzini. Un genere che si vuole  a distanza, non credendoci, e quindi solo come divertimento, senza più. Di scrittori che vengono dalla storia della letteratura.
Curiosamente non ci sono imitazioni di Montalbano, di indagini che si prendano sul serio, anche se tra levità – come nella vita ordinaria. Sono tutte opere che non si vogliono ordinarie – senza però essere favolose. Spiritose appunto, come se l’autore chiedesse scusa.  
 
Influenza
- È italiana in tutto il mondo, francofono, anglofono e ispanofono. Un virus arrivato dall’Italia?
 
Italiano
– Napoleone “parlava perfettamente l’italiano, e lo scriveva male come il francese”,   Adrien Goetz, “L’odalisca perduta” – Napoleone dettava.
“Santa” Sophia, la basilica di Istanbul che Erdogan ha rinominato Grande Moschea Benedetta della Grande Hagia Sophia, mantiene il nome italiano in inglese (“Santa), e anche in francese - come Santa Klaus per San Nicola.
 
Mamma
– “Hi Mom!”, ciao mamma: così chiude la lunga dettagliata comunicazione sociale di addio di Jack Dorsey, il fondatore di twitter sedici anni fa, all’azienda. La “mamma” di Corrado Alvaro è forte anche in America, anche in California, anche nella Silicon Valley.
 
Mogli
– Sono andate per un periodo, dopo il 1968, le mogli degli autori illustri che invece erano loro i veri autori. Sonia, la moglie di Orwell, le donne di Brecht, alle quali egli rubò versi e idee, la moglie di T.S.Eliot, che le poesie gliele scriveva, Zelda Fitzgerald, la moglie snob che invidiava il marito, la contessa Tolstaja naturalmente, e le donne triestine di Montale, alle quali il Poeta avrebbe rubato immagini e suggestioni. Un capitolo a parte è la moglie di Remarque, che dopo avergli rivisto Niente di nuovo sul fronte occidentale e scritto l’ultimo capitolo, lo lasciò per il muscoloso Ruttmann, il regista. Anche la moglie di Cesare ignota – Cesare fu anche, se non sopratutto, uno scrittore. E la “Zuleika” di Goethe, Marianne Jung, coautrice del Divano, per essere riuscita a sottrarre al grande vorace alcune ottime poesie e a pubblicarle in proprio. Con allusioni anche a Sibilla (Aleramo) con Quasimodo, e con Cardarelli, Asja con Benjamin, Frida con Trockij.
Non c’è stata la moglie di Omero, che invece non sarebbe stata niente male, chissà quante gliene ha raccontate – ma c’è l’Omero donna, almeno uno, quello di Samuel Butler. Né ci sono state mogli di artisti. Neanche di filosofi: non si può vivere accanto a uno che pensa, sempre all’opera, anche quando dorme? A un monumento, che immagina e non conversa? Kierkegaard giustifica la sua bizzarra raccolta di prefazioni a libri che non ha scritto col pretesto che la giovane moglie non vuole che scriva, che si vuole tradita dai suoi progetti di libri peggio che da un’amante. Kierkegaard non aveva moglie, ma Ariosto chiede serio alla seconda strofa il permesso, dopo aver ricordato Orlando, “che per amor venne in furore e matto”, lo chiede a “colei che tal quasi m’ha fatto”, l’amante Alessandra.
 
Elsa Morante – “La bella “basilissa” che sognava di vivere nell’isola di Arturo”, Elena Stancanelli, “la Repubblica”, 15.08.2010, spiega tutto.
 
Piacere – Viene con l’età, secondo la zia di Graham Greene, del suo “divertimento” “Viaggi con mia zia”: “Il piacere comincia con l’età di mezzo, il piacere dell’amore, del vino, del cibo”. Prima si hanno “altri interessi che spendere, e si può fare l’amore con soddisfazione con una Coca Cola, una bevanda che nausea a una certa età. Ma non hanno una vera idea del piacere: anche fare l’amore può riuscire affrettato e incompleto”. Nell’esperienza della “zia”, “anche fare l’amore dà di regole un piacere più prolungato e variato dopo i quarantacinque”.
  
Roma – “La città più bella del mondo”, naturalmente, per “Il compagno” di Pavese, ma anche “dove la gente non capisce che è contenta”.

letterautore@antiit.eu

Appalti, fisco, abusi (211)

Le Poste, che hanno dallo Stato l’appalto del servizio postale, lo gestiscono insieme con quello bancario, servizio privato, di Poste Spa. Fanno fare la stessa fila fuori dall’ufficio postale, da un anno e mezzo di covid, con l’acqua e col vento, e col sole cocente. Una fila che può restare bloccata per un quarto d’ora, anche mezzora, anche un’ora, se ai cinque sportelli sono cinque correntisti – evento molto probabile secondo la stocastica. È un abuso ma non sono previsti reclami, il servizio postale non è sottoposto a vigilanza o controlli.
 
Si asfalta a Roma la via Nazionale per levare i sampietrini, mentre si ripavimentano con i sampietrini, per il decoro urbano, sempre a Roma, le strade attorno a piazza del Parlamento.
E non si utilizzano al Campo Marzio e dintorni i sampietrini dismessi da via Nzionale. No, quelli l’impresa asfaltatrice è libera di venderseli com comodo, per la ripavimentazione ci vogliono  sampietrini nuovi.
 
Il Comune ripianta gli alberi secchi o malati, sempre a Roma, per esempio in via Maurizio Quadrio. Li ripianta oggi, li sradica domani. Con tutte le barbe, coscienziosamente, l’appaltatore li riutilizzerà in altro contesto, ma li sradica perché il condominio non vuole gli alberi davanti. Può il condominio opporsi all’alberatura delle strade? No, ma se un condomino lavora al Comune di Roma sì.

Un popolo di complottisti

Per il 5,9 per cento degli italiani il covid non c’è. E forse sono gli stessi, il 5,8 per cento, che credono la terra piatta. Sembrano pochi ma sono tre milioni e mezzo di persone – se il campione della ricerca Censis è giusto, se esprime la massa della popolazione (il Censis, che si è basato a lungo sulle intuizioni del sociologo De Rita, non dà la metodologia delle sue ricerche). Per un numero doppio, sette milioni, il vaccino anti-covid è inutile. E per pochi meno, sei milioni, l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna. Il complotto ha radici nell’ignoranza, poiché non stiano parlando di interessi personali o politici?
Un numero ancora più elevato, il venti per cento, dodici milioni di italiani, crede che il 5G, la nuova tecnologia telefonica mobile, è un trucco per controllare le persone. Questo è più vero, e gli italiani, col la più alta densità di cellulari e di uso dei cellulari al mondo, sono i meglio piazzati per dirlo. Ma controllati solo da ora, col 5 G? È da tempo che google sa in quali posti entro ed esco, cosa compro,  quanto ho pagato, e forse anche cosa mi dico con le persone.
Un numero spropositato, sempre che il campione Censis sia attendibile, due italiani su tre, crede l’Italia governata da pochi burocrati, affaristi e politici. D’accordo tra di loro?
La stessa percentuale crede che il mondo sia governato dalle multinazionali – non più in concorrenza tra di loro?. E un po’ meno, tre italiani su cinque, lo ritengono governato da una cricca.
Può darsi che l’idea del complotto, italiano e universale, si sia diffusa in Italia con il covid. Se fosse invece un dato storico, spiegherebbe l’inattendibilità della politica in Italia – il voto a caso, alla meno peggio, rituale, o l’astensione. 

Cronache dell’altro mondo (151)

È misto lo sconcerto, e non molto diffuso, nella stampa americana per l’assassinio a freddo di Davide Giri, fuori del Morningside Park, a Harlem – e il successivo accoltellamento di Roberto Malaspina, poco lontano. E non per la personalità di Giri, anche se avvincente - gli assassinii sono cronaca quotidiana, gli Stati Uniti ne registrano dopo il Messico il più alto numero, in assoluto e in rapporto alla popolazione. Se ne parla con riserva per la personalità dell’assassino-feritore: per essere afroamericano, non psicopatico, benché con un gran numero di precedenti penali a soli 26 anni, e per fare parte di una banda di violenti senza scopi di lucro.
Il periodico “The Atlantic” attacca la Warner Bros, “società di produzione creata da ebrei”, perché affida una serie a Mel Gibson come regista. Gibson dicendo “notorio antisemita”, anzi un “Jew Hater”, un odiatore di ebrei - “antisemita è troppo blando”. Perché ha diretto e co-sceneggiato il film “La passione di Cristo”.
Il presidente Biden ripristina il controllo sull’immigrazione dal Sud, via Messico, istituto da Trump nel 2019, in accordo col governo messicano - l’accordo cosiddetto “Remain in Mexico”. Biden lo aveva cancellato appena assunta la presidenza, ma ha deciso di rinnovarlo. Gli immigrati di cui non è stata ancorta accertata l’identità, fra i 15 e i 20 mila, saranno espulsi verso il Messico.
“Remain in Mexico”, un accordo analogo a quello sottoscritto a suo tempo dal ministro dell’Interno Minniti col governo libico, finanziava il control locale sui flussi di immigrazione spontanea, e le operazioni di primo accertamento delle identità.
Anche nel caso dei campi per migranti in Messico, come della Libia, erano stati lamentati maltrattamenti – in Messico si è calcolato che 1.500 minorenni siano stati torturati e stuprati. L’amministrazione Biden li considera dossier politici, se non delle organizzazioni di sfruttamento dei migranti, volti a facilitare la libera immigrazione.   

Se l’Europa fosse stata cortese

Una vertiginosa storia del mondo in pochi paragrafi. “L’ispirazione occitana”, un saggio del 1942 confluito nell’almanacco dei Cahiers du Sud del febbraio 1943, “Le Genie d’Oc”, stabilisce una continuità tra la Grecia, unico valore della classicità mediterranea, col Rinascimento romanico, X-XImo secolo. Che è il vero Rinascimento, non quello che ha usurpato il nome. In altro saggio Simone Weil dice nella crociata albigese il prodromo delle guerre mondiali del Novecento. Che non sembra vero e  non è possibile, ma nella sua prosa è convincente: l’Europa avrebbe potuto essere diversa, sul modello della civiltà cortese, o greca, “inclusiva”, e scelse invece la barbarie “romana”, la conquista.
La deriva “occitana” di Simone Weil è parte di un effetto curioso della guerra, per la separazione della Francia in due: del Sud-Est, sotto occupazione italiana, poco risentita, dalla Francia di Pétain, sotto occupazione tedesca. Poca la differenza, ma abbastanza per ridare lustro alla vecchia civiltà locale travolta dalla storia. Ma è parte anche di una personalità, quella della stessa Weil, non univoca e anzi complessa: a vari spicchi, se non a vari strati. Con la civiltà occitana o cortese schiera Platone, contro la “civiltà” romana, compresa la chiesa di Roma, la “Bestia”.  
Si ripropone l’edizione messa a punto da Giancarlo Gaeta venticinque anni fa. Compresa la “Chanson de la croisade albigeoise”, i passi della “Chanson” commentati da Simone Weil: un poema che idealizza la terra d’Oc, “patria del linguaggio” e luogo della civiltà cortese, nel momento in cui questa civiltà stava per sparire.

Simone Weil, I Catari e la civiltà mediterranea, Marietti pp.104 € 12

venerdì 3 dicembre 2021

Secondi pensieri - 464

zeulig

Compassione – Era rivoluzionaria per Robespierre – la fraternità viene con la ghigliottina? Si guastano anche i buoni sentimenti: Aristotele tratta la compassione insieme con la paura. Cicerone la collega all’invidia. Arendt all’entusiasmo: il Settecento è razionalista e sentimentale, due aspetti della stessa cosa, un bisogno d’entusiasmo. Come andare allo stadio, per intendersi. Fabre d’Eglantine compose “Il pleut, il pleut, bergère”, e diede i nomi floreali al nuovo calendario, mentre ghigliottinava, prima di finire ghigliottinato.
 
Complotto – La grande congiura è l’idea, che Carl Schmitt sfiora voluttuosamente, di un cambiamento orchestrato in segreto tra Medio Evo e Rinascimento, sostenuta con decisione da René Guenon nella “Crisi del mondo moderno” : il più grande golpe della storia, la secolarizzazione del mondo. O il demonio all’opera, sotto forma di sovvertimento, che proietta l’individuo cristiano nel mondo opaco senza Dio. Ma è vero che pensieri cupi vanno con ogni perdita, di oggetti, persone, poteri, per quanto piccoli. Più che della salute, quando al contrario l’organismo reagisce, perfino innaturalmente, ci so-no moribondi che ancora sperano. Le proiezioni esterne invece condizionano febbrili.
 
Il complotto nella scienza è della stupidità. Ma bisogna credere all’inesausta capacità di male.
 
Il complotto è la politica, organizzata nei dettagli, governata con le redini, i paraocchi, la frusta, annunciata, prevista, perfino spiegata. Il segreto, ma meglio sarebbe dire la ricetta, è quello della lettera invisibile benché in mostra, il vero complotto naviga in superficie, ma i segnali vogliono essere letti. Come i “segreti palesi” di Goethe, che per essere ordinari non piacciono alle menti fini. La menzogna è un’arma, ma di difesa. Anche quando è usata per attaccare e distruggere: non porta a una conquista, nessuno ha mai vinto nulla con la bugia costante. La società segreta è un ossimoro. E un’allitterazione. Certo, il totalitarismo è furbizia prima che forza, e disegno arcano. Ma il segreto, se non si fa temere, che segreto è?
“Che bella occupazione prepararsi un segreto”, dice Kierkegaard brillo, “che tentazione goderselo”. Il complotto si lega non al sospetto ma all’ermeneutica. La teoria del complotto deve trovare i significati delle espressioni letterali, o delle forme o eventi apparenti. Storicamente l’ intelligence, o arte del complotto, si lega alle polizie, ai grandi capi delle polizie, Liborio Romano, Arturo Bocchini, il commendator Guido Leto, che mentre riempivano le carceri di politici s’accordavano con i loro capi, i capi dei perseguitati. L’ermeneutica è stata a lungo scienza di giurisperiti, oltre che dei teologi lettori della Bibbia, e ora dei materialisti storici. È la lettura dei significati impliciti. Non necessariamente sospettosa, alla Freud: è esercizio d’intelligenza.
 
La polizia invece è torpida. Il nemico non è la polizia, deviare l’ostilità su di essa sarebbe in artiglieria tirare direttamente sul falso scopo, invece di utilizzarlo per prendere la mira col goniometro. La polizia è neutra, la polizia non è lo Stato, noi siamo la polizia. Ma poi lo Stato siamo noi: la politica vuole cose, e per ottenerle deve individuare il nemico giusto. Il segreto fa parte della storia. Della storia di tutti, la polizia arriva in questa corsa seconda, e anche terza. I Prefetti dell’unità hanno dalla loro Simmel – e anche la religione. Il segreto, insomma la menzogna, eticamente cattiva, è sociologicamente utile. L’occultamento ricercato, argomenta il sociologo, è una delle massime conquista dell’umanità: “Tramite il segreto si ottiene un infinito ampliamento della vita”. La protezione del segreto non dura a lungo. Ma esso “offre, per così dire, l’opportunità di un secondo mondo accanto a quello rivelato, che ne viene influenzato nel modo più intenso”. Il segreto è utile per proteggere un movimento allo stato nascente: “Le società segrete costituiscono un’educazione altamente efficace del nesso morale tra essere umani”. E comunque, “non è il segreto a stare in connessione diretta con il male, ma il male con il segreto. L’immoralità si nasconde”.
 
Il complotto è sempre materia di racconto fantastico, ci si sente trasportati in un romanzo di av-venture. Ma non innocuo.
Il complotto è magico. La magia ha il senso dei rapporti tra le cose, il complotto il senso degli eventi, accomunati dalla penetrazione del mistero. Il senso degli eventi di solito viene post hoc ergo propter hoc, il prima spiega il dopo, logica a bassa intensità, ma anche con lo hysteron proteron: si gioca d’anticipo. Per prevenire la catastrofe, per provocarla? Il complotto è, era, della psicologia fascista. E dunque? È l’eredita assurda della Rivoluzione dell’89.
 
Coscienza – La coscienza, dice Kant, “è un’altra persona, in tribunale sarebbe il giudice”. Altra da sé, “una persona ideale, che la ragione si procura da se stessa”. Ma questo giudice ideale “dev’essere uno scrutatore dei cuori, perché si tratta di un tribunale posto all’interno dell’uomo”. C’è allora da stabilire cos’è il cuore, che non è il muscolo. È la coscienza? Sarebbe una tautologia. Non sarà Dio? È così: “la delicatezza di coscienza” Kant dice “che si chiama anche religione”.
 
Inferno - L’inferno è per Platone invenzione del potere. Ma non c’era bisogno d’inventarlo, è quotidiano: il desiderio di morire caratterizza le prime figurazioni, ebraiche, dell’inferno.
 
Rivoluzione - È stata igienica con Semmelweiss, consumatrice col fordismo, una sirenusa, e con l’automazione punta ora sul tempo libero. Ma non si può dire.
 
Tolleranza – Si vuole virtuosa, e anzi la virtù dell’epoca. Ma lo è solo nel senso del Settecento, dei trattati sulla tolleranza intesa in senso religioso, dell’accettazione di ogni fede. Individualmente e socialmente è virtù aristocratica  - uno dei meccanismi della disuguaglianze: aristocratico (per natura, formazione, ruolo) è tipicamente chi si sente superiore, e per questo accetta e tollera la diversità.
La tolleranza come si configura oggi, di uno stato informe che oblitera o sottace ogni individualità-diversità, di linguaggi, anche solo di nomi (non nomi cristiani, islamici, buddisti, confuciani, insomma di riferimento religioso, né nomi tribali, professionali, nobiliari), o di origine, o di stato (non più il “capo”, né il “dirigente” e neppure il “responsabile”, ma referente, coordinatore), è “decretale”,  direbbe Rabelais: jugulatoria, e giusta solo nella forma della giustizia carceraria. A cieli aperti si direbbe dell’indifferenza. Ammesso che ci sia vita possibile in un sistema relazionale dell’indifferenza, sociale o di scambio, o anche dell’organismo semplice, individuale – una persona murata in se stessa?

zeulig@antiit.eu

Cronache dell’altro mondo (150)

Il Russiagate, sui presunti rapporti fra Trump e Putin, che tenne l’Fbi impegnata per due anni, con molte informazioni filtrate contro Trump, e notevole seguito di media, è ora accertato che si è basato esclusivamente su un dossier di una ex spia britannica, Christopher Steele. Un dossier commissionato e comprato dalla campagna elettorale di Hillary Clinton.
Il dossier Steele fu commissionato da una società d’investigazioni, la Fusion GPS, che poi si incaricò di alimentare i media con i contenuti del dossier. Una società creata da due ex giornalisti del “Wall Street Journal”, Glenn Simpson e Peter Fritsch, a ridosso dell’avvio della campagna elettorale 2016. Assunta a metà 2016 dallo studio legale Perkins Coie, in rappresentanza della campagna Clinton..
La prova che il dossier era stato creato senza prove viene da Igor Dancenko, un russo espatriato che lavora come analista alla Brookings Institution. Incriminato ora per vari capi d’accusa, che rigetta, Dancenko è però certamente all’origine di una delle “indiscrezioni” false del dossier: che Trump comunicasse con Putin attraverso i server di Alpha Bank, un gruppo finanziario moscovita. Alpha Bank ha ora promosso azione legale contro Dancenko negli Stati Uniti, e l’accusa è ritenuta ammissibile.
Il “Washington Post” ha rimosso due articoli basati sulle informazioni false ora attribuite a Dancenko, e riscritto molti degli articoli pubblicati a suo tempo.

Pavese giovane e felice - a Roma

Un’educazione sentimentale e politica, tra Torino e Roma, in un anno che potrebbe essere il 1937, tra guerra di Spagna e ammuìna antifascista in Italia. Con un omaggio a Roma, in ogni ora del giorno, in ogni giorno del mese o della stagione, in ogni stagione dell’anno - “l’estate a Roma non finisce mai”, “l’aria di Roma è proprio fatta per star svegli”, non c’è pagina nella seconda parte, quando il giovane protagonista da Torino sbarca a Roma, che non trasudi entusiasmo, una città dove ha vissuto a fine guerra, ma di cui apprezza perfino Regina Coeli, il carcere dove era stato rinchiuso per qualche giorno nel 1935.
Il meno letto e considerato dei racconti di Pavese e forse il meglio scritto. Non propriamente meglio scritto, ma costruito. Nel plot, peraltro semplice: è il mondo visto da un ventenne, non intellettuale e nemmeno pratico, se non con la chitarra. E di più nei caratteri, numerosi, perfino pulviscolari, ma animati. Persiste nella tarda scrittura – “Il compagno” viene pubblicato nel 1947 - la consueta incertezza di Pavese nei costrutti (“mangiò cena”), con l’uso incongruo dei toscanismi (“c’era sempre degli altri sul camion”, “c’è il suo bello a discutere”, “quando son nata si viveva in Campitelli”, detto da una romana de Roma, che insiste, “noi si aveva le pietre”). Bizzarra per un direttore editoriale, grande e fertile traduttore.
Il tutto è raccontato dal protagonista, seppure incapace di tenere testa all’aneddotica della sua sempre numerosa compagnia serale. Un personaggio insolito in Pavese, positivo e vincente: la sua ignoranza non è stoltezza, il suo dubitare, fino anche a sospettare, non è debolezza. Un bel personaggio, convincente. Con qualche traccia probabilmente personale, basta sostituire alla chitarra la poesia. A distanza di un anno dalla pubblicazione, l’8 ottobre 1948, Pavese lo annotava commosso – fatto insolito, sia la rilettura, sia l’emozione - nel diario, “Il mestiere di vivere”: “Riletto, ad apertura di pagina, pezzo del Compagno. Effetto di toccare un filo di corrente. C'è una tensione superiore al normale, folle, uno slancio continuamente bloccato. Un ansare.” Di un giovane quale avrebbe voluto essere, che accetta la vita come viene, anche con le amate che, in assenza, si consolano con un altro.
Cesare Pavese,
Il compagno, Einaudi, pp. 162, € 9,50

giovedì 2 dicembre 2021

Il mondo com'è (435)

astolfo

Birya – Il sobborgo agricolo di Safed in Galilea è stato colonizzato nel 1949 da un gruppo di braccianti e artigiani di San Nicandro, nel Gargano in provincia di Foggia, convertiti all’ebraismo. Un guaritore, mago, poi predicatore del paese, Donato Manduzio, predicatore della Bibbia, aveva convertito una cinquantina di compaesani all’ebraismo negli anni 1930. Nel 1946, finite col fascismo le interdizioni israelitiche, ne aveva promosso l’integrazione nel giudaismo italiano, con una cerimonia di circoncisione collettiva. Dopodiché ne preparò l’emigrazione in Israele. Che avvenne nel 1949. Non tutti partirono, qualcuno restò a San Nicandro, e i loro discendenti, soprattutto le donne, continuano a perpetuare la conversione – continuavano, almeno, fino a fine Novecento – con canti rituali. Non partì neppure Manduzio, morto nel 1948.
I migranti si stabilirono a Birya, dove poi rapidamente si fusero con altri coloni, collocandosi comunitariamente tra i sefarditi. Qualcuno cercandosi anche un’eredità marrana.
Il sito di Birya, pur dettagliato sulla storia e le attività, non li ricorda. Era un’area desertica e disabitata quando i sannicandresi vi furono indirizzati. Elena Cassin, storica delle religioni, addottorata alla Sapienza nel 1933, poi una vita a Parigi, assirologa, membro della Scuola degli Annali, che ne ha fatto trent’anni fa la storia, “San Nicandro: un paese del Gargano si converte all’ebraismo”, aveva trovato i discendenti dei vecchi migranti dispersi in Israele. I più a Ashkelon e a Akko.
 
Credo attanasiano
– Detto anche “Quicunque vult”, dalle parole iniziali. Il primo “Credo” cristiano centrato sulla Trinità e sula Cristologia. Praticato dal sesto secolo. Differisce dal “Credo di Nicea-Costantinopoli” e dai “Credi degli Apostoli” in quanto minaccia anatemi contro chi non crede – come, del resto, il “Credo di Nicea” originario. La chiesa anglicana lo fa recitare alla messa della Vigilia di Natale, la chiesa cattolica lo riconosce ma non lo pratica - si recita, o si ricorda, solo la domenica della Santissima Trinità, prima domenica dopo la Pentecoste (i membri dell0’Opus Dei lo recitano la terza domenica di ogni mese).
Il vescovo Attanasio di Alessandria lo avrebbe elaborato durante il suo esilio a Roma nel quadro della difesa della teologia Niceana, contro l’arianesimo invadente, presentandolo al papa Giulio I, chiamato a testimone della ortodossia. In realtà non si sa chi e quando lo abbia elaborato. Certamente non Attanasio, come dimostrò nel 1642 l’erudito protestante olandese Gerhard Johann Vossius: Attanasio scriveva in greco mentre il “Credo” è in latino, e non lo menziona mai nelle sue opere. L’attribuzione ad Attanasio si presume dovuta alla forte connotazione trinitaria del “Credo”. La cui origine più verosimilmente viene ora posta nella Gallia meridionale, tra il quinto e il sesto secolo. Si connette il “Credo attanasiano” alla necessità di contrastate più fermamente l’arianesimo in presenza delle invasioni, agli inizi del V scolo, degli Ostrogoti e dei Visigoti, di credo ariano.
Composto in versi, 44, per i primi due terzi elabora la dottrina della Trinità, per un terzo la Cristologia. A ognuna delle persone della Trinità dà gli “attributi divini”: increatus, immensus, aeterus, omnipotens.
 
Ebrei di San Nicandro - V. sopra “Byria”.
 
Massoneria Fu fondata da un cattolico, l’architetto di Giacomo VI Stuart, William Shaw, che da cattolico in paese calvinista si protesse dietro gli statuti dell’arte dei muratori. Il laicismo è solo cristiano. Era un’idea latina, il vangelo l’ha fatta propria, e così la chiesa, alla congiunzione tra Roma e il cristianesimo. Talvolta l’ha repressa, talaltra l’ha difesa.
La fratellanza viene da un’epoca in cui la filosofia la pensavano i ciabattini, i sarti, i mugnai, i muratori celti delle brughiere scozzesi, e i fabbri. Felice epoca democratica, il Cinque-Seicento, il mattino dei maghi.
Non si saprebbe in materia andare oltre Croce, quando da patriota scriveva: “Io me la prendo con la Massoneria non già, come si fa d’ordinario, perché la giudichi perniciosa accolta d’intriganti e affaristi, ma appunto perché quell’istituto, origi-nato sul cadere del Seicento, al primo fissarsi dell’indirizzo intellettualistico, plasmato nel Settecento, messo ora al servizio della democrazia radicale, popolato dalla piccola borghesia, rischiarato dalla cultura dei maestri elementari, rafforzato dal semplicismo razionalistico del giudaismo, è il più gran serbatoio della “‘mentalità settecentesca”, uno dei maggiori impedimenti che i paesi latini incontrino ad innalzarsi a una vera comprensione filosofica e storica della realtà” - della complessità.
 
Henry de Monfreid – Autore di una settantina di libri, la gran parte in poco più di trent’anni, da quando ne aveva già più di sessanta, si è creato un personaggio di avventuriero in Africa Orientale, dopo essere stato sostenitore di Mussolini alla conquista dell’Etiopia. Ruolo però che aveva esercitato effettivamente, come fornitore (di alimentari, merci, armi) e indicatore. Dopo la sconfitta italiana in Etiopia gli inglesi lo avevano deportato, già sessantenne, in una campo di concentramento in Kenya. Tornato in Francia, si dedicò, oltre che ai libri di avventure, alla coltivazione del papavero nel giardino di casa. Ma a uso personale – perciò, denunciato più volte, non fu mai condannato (di questo, riuscire a non farsi condannare, farà parte cospicua della sua leggenda).Visse in Francia, oltre che dei proventi dei suoi libri, di successo, delle ipoteche multiple su una collezione di Gauguin. Figlio di un pittore, Georges-Daniel de Montfreid, affermava di avere conosciuto Gauguin da piccolo, e di avere ereditato i quadri. Dopo la sua morte, nel 1974 a 95 anni, le banche scopriranno che la collezione era di falsi.
Partì per Gibuti, diceva, sulle orme di Rimbaud. Ma nel 1911 aveva già 32 anni, ed era reduce da alcuni fallimenti commerciali. Sposato, dopo una lunga relazione con una compagna da cui aveva avuto due figlie, con Armgart Freudenfeld, figlia dell’ultimo governatore tedesco dell’Alsazia-Lorena. A Gibuti cominciò col commercio di caffè. Si arricchirà, modestamente, come contrabbandiere, dall’Africa Orientale verso Aden, lo Yemen, Suez, di hashish locale e di morfina che si faceva arrivare da una ditta tedesca,  nonché di armi e di oro. Commerciava con una sua dhow, il veliero panciuto che fino a qualche decennio fa serviva al cabotaggio nel mar Rosso. Solo il traffico di schiavi, dall’Africa alla penisola arabica, escludeva di avere mai praticato. Fu per i suoi traffici a vari riprese in prigione, in Egitto – ma sempre poi liberato. Col tempo era cresciuto anche nell’entroterra, sfruttando il boom di Dire Dawa, ai piedi dello Harrar, durante la costruzione della strada Gibuti-Addis Abeba – dove già aveva fatto le sue prime esperienze di commerciante subito dopo il 1911. Vi acquistò un mulino, e costruì una centrale elettrica.
Cominciò a scrivere negli anni 1930, racconti d’invenzione e memorie di cose viste, del genere avventuroso, incoraggiato da Joseph Kessel, che lo aveva conosciuto durante un viaggio in Africa Orientale e ne aveva apprezzato il modo di raccontare. Nel 1935 si schierò contro il Negus, contro il quale aveva cause pendenti, e per l’occupazione italiana. Che celebrò nello stesso anno col romanzo “I guerrieri dell’Ogaden”. Dove si rappresenta stretto consigliere di Graziani, alla ricerca di un incontro con Mussolini, per potersi schierare con le truppe italiane, e partecipe di alcuni bombardamenti aerei italiani, rischiando anche di restare ferito in volo. Mussoliniano sfegatato in conferenze e libri, e poi petainista, dopo la liberazione dal campo di concentramento in Kenya aspetterà un paio d’anni per ritornare in Francia, temendo la depurazione.
 
Purificazione – “Churching” in inglese, ritorno alla chiesa, è il rito di riconsacrazione della puerpera, dopo il parto, in chiesa, con preghiere, benedizioni e ringraziamenti. Era, il rito è ora desueto, dopo al riforma montiniana post-conciliare, e per la sensibilità di genere, ritenendosi sessista il concetto di impurità. Il formulario, per la verità, sia di prima che di dopo la riforma, è solo festivo, di ringraziamento ecclesiale (comunitario) per il parto e di festeggiamento per la puerpera, quando ancora non si sia celebrato il battesimo, o se essa per un qualche motivo non abbia potuto parteciparvi.

astolfo@antiit.eu

Il Sessantotto della terza età

Cinquantenne, ex bancario, pensionato baby, vive solo e rispettabile a Londra, Highgate, col tosaerba, e con le dalie da annaffiare, ordinando di tanto in tanto qualcosa a Chicken, il take away – dire rosticceria più non si può – del quartiere, sempre incerto se corrispondere a una remota signorina, che vive in Sud Africa. Fino a che, al funerale della madre, incontra la zia, sorella della defunta, che ha 75 anni ma anche una vita tumultuosa, nella quale lo trascina, dapprima fino a Istanbul sull’Orient Express, poi in Paraguay. Reduce da almeno tre amori assoluti, la zia ha ancora un governante intimo, un gigante africano, e accudisce un traffichino Visconti, ora in tardissima età.
Un racconto allegro della terza età. In chiave sessantottina – in questo un caso unico, non c’è altra narrazione che usi con altrettanta disinvoltura gli ingredienti di quell’epoca: il “fumo”, il viaggio, anche a Katmandù, l’abbigliamento esagerato, l’Africa, l’America Latina dei caudillos  e delle rivoluzioni, il sesso disinibito, la lettura delle foglie del tè e, in anticipo sui tempi, una chiesa per i cani. La spia della Cia, altro ingrediente inevitabile in America Latina, passa il tempo calcolando giorno per giorno l’ora e la durata delle minzioni: “Passiamo più di una giornata l’anno a fare pipì” - di più quando, per esempio col vento o con freddo, si beve più birra, ma la media è quella.
Con la lettura sempre rinviata di Walter Scott, la preferita di papà, “Rob Roy”, un po’ come in Italia si dice di Manzoni, dei “Promessi sposi”. Col tributo di passata sempre a Stevenson, e a Wilkie Collins. La risalita del Paranà prende anche qui molte pagine, come nel “Console onorario”. C’è la dittatura nel Paraguay. E ci sono ci sono i criminali di guerra nazifascisti che circolano nel triangolo, Argentina-Paraguay-Brasile. Uno di questi è il signor Visconti, il grande ultimo amore della zia. E chi ha detto che la madre è sempre certa e il padre no? Qui è il contrario.
Come i numi tutelari Stevenson e Wilkie Collins, Graham Greene è scrittore tumultuoso e veloce, e pure ripetitivo, anche se con ingredienti apparentemente seri, messe e devozioni, guerre e guerriglie, adulteri,  alcolismo, roulette russa.  Il “segreto” dello scrittore liquidando ironico in due mosse: trattare i propri personaggi senza misericordia, come Dickens vuole, e destreggiarsi tra moglie e amante, come Dickens sapeva.
Graham Greene, In viaggio con la zia, Oscar, pp. 364 € 10

mercoledì 1 dicembre 2021

Ombre - 590

Pallone d’oro a Messi, che non ha giocato bene nell’Argentina vittoriosa in Copa America, e ha giocato poco e male nel Paris St-Germain. D’oro nel senso dei soldi. Dello sceicco Al Khalifa, il padrone del Paris St-Germain, a “France Football”, regia del “pallone d’oro”?
 
Non fare gli auguri di Natale ma di buone feste, non chiamare una figlia Maria ma Malika, e dire  insediamento invece di colonizzazione. Bruxelles ha qualcosa di strano, non fa soltanto le cose buffe che Enzensberger ridicolizza. Da Prodi a von der Leyen, molti cristianissimi a Bruxelles, ma…. Si ricorderà l’Unione Europea come un aborto agli albori del millennio?
 
Già la Costituzione di Giscard d’Estaing e Amato, cancellava la storia europea: niente cristianità. Ma una Europa laica di che tipo? I nomi cristiani sono per lo più biblici e quindi ebraici. Sarà di un laicismo mussulmano. Di già?
La Costituzione fu peraltro bocciata subito dalla Francia, paese “repubblicano” per eccellenza.  
 
“Twitter, finisce l’era Dorsey. Inizia quella del business?” Perché, finora Twitter cos’è stato, beneficenza? In quindici ani ha cambiato la comunicazione, e guadagnato enormità. I social non sanno quello che sono.
 
 Della vicenda di Ilaria Capua si fa un film. La vicenda è brutta. Un gruppo di ricerca avanzato sulla correlazione tra salute animale e salute ambientale, che ora sarebbe stato utilissimo, è andato distrutto. Effetto di stupidità  ma forse no. Ma della Procura che ha promosso la distruzione non sappiamo nulla – lo sappiamo, hanno fatto  carriera, il capo Pignatone anche in Vaticano, ma non lo diciamo. Si fa un film, e siamo tutti a posto.
 
“Negli ultimi cinquant’anni”, scrive “The Economist”, “il venture capitalism ha coperto meno del 2 per cento degli investimenti complessivi”. È bastato per fondare motori di ricerca, iphones, macchine elettriche e vaccini mRNA. Ora ben “450 miliardi di dollari invadono la scena del venture capitalismi”, dell’investimento in ricerca.
 
Ancora l’“Economist” censisce l’urbanizzazione sempre più gigante. Un fenomeno, una storia, epocale di cui non si parla. In Asia, in America Latina, e anche nel Nord America, come in Europa, i problemi di gestione (tempi obbligati, anche solo per fare la spesa, scarichi, aria, acqua, rifiuti) diventano ingestibili.
 
Non c’è solo Putin o la Cina di Xi da temere. Sempre l’“Economist” fa l’elenco dei danni delle piccole dittature. Venezuela. Bielorussia. L’Arabia Saudita che bombarda lo Yemen. Il Pakistan che ha aiutato un gruppo di jihadisti misogini a prendersi l’Afghanistan. L’Iran che ha “milizie che mantengono il despota siriano, soffocano il Libano e sono accusate di avere tentato l’assassinio del primo ministro iracheno con un drone carico di esplosivo”. La Turchia che “si è preso un pezzo di Siria, ha aiutato l’Azerbaigian a battere l’Armenia e manda la sua marina a sostegno di dubbie pretese nelle acque del Mediterraneo”.
 
Curiosa - l’“Economist” non lo fa notare, ma è quello che viviamo - è l’insorgenza di regimi autoritari in Europa. Nell’Est Europa ma pur sempre in Europa: in Bielorussia, come in Russia naturalmente,  e in Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Turchia. Dove si vota e non ci sono  formazioni paramilitari, ma si governa con mano dura. A quasi un secolo dagli anni 1930, quando in  Europa si contavano una dozzina di regimi fascisti: Italia, Germania, Austria, Portogallo, Spagna, Grecia, Romania, Ungheria, Bulgaria,  in parte anche Belgio e Norvegia – con movimenti fascisti attivi in altri paesi, in Francia specialmente, e anche in Inghilterra.
 
Dubai e Qatar, a giorni alterni, rubano la scena su “Repubblica” e “Corriere della sera”: come centri del mondo, per cultura, sport, fiere, eventi,  conferenze - hanno soppiantato Parigi nell’immaginario provinciale e anche New York. Con “sceicche” di solito, addobbate da modelle. A Dubai e nel Qatar?
Ma gli sceicchi pagano? Oltre le agenzie di p.r., s’intende.
 
“Sceicche” non sarà titolo milanese, di fantasia milanese, da “Mille e una notte” ambrosiane, da p.r. a premio sul provincialismo? Non ci sono sceicche nel mondo arabo.
 
A dieci anni dalla guerra in Libia, voluta dalla Francia di Sarkozy per fregare l’Italia, l’Italia firma con la Francia un trattato di amicizia e collaborazione voluto dal presidente Macron. Che viene a Roma e festeggia la sorellanza con Mattarella e Draghi. Macron che ha tramestato e tramesta in Libia contro l’Italia, peggio forse di Sarkozy, col generale di Gheddafi Haftar e il suo patrono Al Sisi. 

Macron, lo dice anche, vuole il trattato con l’Italia per avere più potere contrattuale a Berlino. Specie ora che la Germania cambia governo. Ma chi glielo fa fare a Draghi, e a Mattarella?
 
Già dieci anni fa, governando Berlusconi, si sapeva che la Francia di Sarkozy tramestava in Libia, fino poi alla guerra contro Gheddafi, finendo per lasciare il paese allo sbando. Ma niente fu fatto per prevenire la guerra – che il debole Obama finirà per patrocinare.
 
Tanto ha fatto la Francia di Macron per sabotare il consolidamento politico della Libia, in supporto di Haftar, che ora la Libia è praticamente nelle mani di Putin e Erdogan, col loro tirapiedi regionale Al Sisi. Ai quali il “generale” l’ha consegnata, per le mire sue dinastiche. Pensava Macron di essere più furbo dei libici?

Il complotto di Ferragosto

Scandalo Morisi in campagna elettorale, e poi archiviazione. La giustizia a orologeria, la macchina giudiziaria del fango (ma c’è altra giustizia?) si è perfezionata, non c’è che dire. Almeno ci fanno risparmiare qualcosa, in termini di scartoffie e ore lavoro di Carabinieri e Finanza, senza più i processi chilometrici di anni e gradi di giudizio.
È curioso, ragionando di complottismo, trovarsene uno squadernato davanti. Ma le cose succedono.
Molto ben congegnato, peraltro, il plot  di Ferragosto: il moralista che è un riccastro, e un debosciato – paga le marchette cinquemila euro. Ma tanto più preoccupante. 
C’è anche puzza di segreti nell’affare Morisi. I due prostituti rumeni che lo accusano non erano confidenti? Sì. Non sono loro che hanno portato i Carabinieri a casa di Morisi, in tempo reale?
Il plot sembra anche un ceffone al presidente del Copasir, il centro parlamentare che “sorveglia” i servizi segreti, che è presieduto da un leghista, come Morisi, che aveva appena rinviato ai mittenti le dimissioni, benché richieste con insistenza dai più.
Inquietante? Da ridere, come voleva - l’Italia ha visto ben di peggio, bombe con morti, molti morti, nemmeno tanto segreti.
La giustizia politica però  è sempre brutta. Peggio, per dire, di Mussolini: quello si dichiarava, e anzi si esibiva, le Procure invece si nascondono, anzi si negano, nel mentre che manipolano la vita pubblica, e privata. Magari solo per un avanzamento, o una nota di merito nella “cordata” – le cordate non le ha inventate Palamara.
Non usano il manganello, né l’olio di ricino? Come no, bastano i social – è ben passato un secolo, il progresso esiste, anche i giudici si aggiornano.

Voltaire postconciliare

(riproponiamo la recensione su questo sito degli stessi scritti alla riedizione del 2014)
Leggendo questo Voltaire oggi ci si sorprende a pensare che la chiesa concorderebbe con ogni sua critica, ironica ma sempre rispettosa. Specie nei punti più controversi: le persecuzioni e i martiri. Compresa la guerra alla faziosità: nessun dubbio che “il nostro Creatore e Padre nostro” sta con i Confucio, Solone, Pitagora, Zaleuco e Socrate più volentieri che con i Ravaillac, Damiens, Cartouche, killer per mania religiosa. E la “Preghiera a Dio” finale. Voltaire non era “un buon cristiano”, come si professava (curiosamente è questa l’opinione, oltre che di Togliatti, più recentemente di Derrida, “Fede e sapere”)?
Il “Trattato” è un excursus sull’intolleranza religiosa. Innescato da uno dei tanti “affari” di giustizia ingiusta che occuparono Voltaire per molti anni, “Lally”, “Sirven”, “La Barre”: l’“affare Calas” a Tolosa (il titolo intero è “Trattato sulla tolleranza, in occasione della morte di Jean Calas”). Città già negli annali dell’intolleranza, col guinness dei primati nella caccia alle streghe. La morte di un giovane ugonotto, Marc-Antoine Calas, forse suicida, forse ucciso da un rivale, fu addebitata al padre Jean, che l’avrebbe strangolato per impedirgli di abiurare – come un altro suo figlio aveva già fatto. Il padre fu ucciso sulla ruota, un supplizio di due ore (la rottura delle ossa e lo smembramento) e poi bruciato, la madre, le sorelle, l’altro fratello prima carcerati e poi ostracizzati, i beni confiscati.
Era l’anno, 1761, in cui Voltaire aderiva alla crociata contro “l’Infame” dei “fratelli” Diderot e D’Alembert. Contro la superstizione religiosa e l’intolleranza, e in pratica contro le chiese, i dogmi, gli ordini. Ma senza pregiudizio anticlericale, o antiromano. Si conduole qui, in un “Proscritto”, dell’espulsione dei gesuiti dalla Francia, intervenuta subito dopo la pubblicazione del libello. È equanime, sempre nel “Trattato”, contro le intolleranze dei riformati in Olanda, Francia, Inghilterra. E nel 1761 era soprattutto in guerra col calvinismo a Ginevra.
Faticherà, per questo, a entrare nell’“affare Calas”, come i “fratelli” gli proponevano. E anche perché nell’“affare” non tutto era chiaro. Poi, nel 1762, ci prese gusto, anche in funzione anticelebrativa al centenario della Sainte-Barthélémy, la strage degli ugonotti, e per tre anni ne fece l’occupazione principale. Una sorta di ossessione, dal 1762 al 1765, quando infine a Parigi la giustizia e il re ridiedero i beni e l’onore alla moglie e ai figli di Jean Calas. Un successo dovuto tutto a lui: quando si convinse della bontà della causa, Voltaire la orchestrò al meglio in questo “Trattato”- l’affare Calas sarà la sua requisitoria più celebre.
Ci furono approssimazioni, come sempre, nelle prime indagini sulla morte. E le testimonianze immediate dei presenti, i familiari, contribuirono: il corpo avevano ritrovato, dissero in un primo momento, “steso per terra” e composto. I segni della morte furono diagnosticati di strangolamento e non di impiccagione.
Voltaire ne fa un caso di odio religioso, truccando a convenienza i dati. Il padre Jean ha 68 anni invece di 62. È ricco, ma Voltaire non lo dice. È rispettato, mentre era collerico. Dà bonariamente “una piccola pensione” al figlio cattolico, mentre gliela dà per obbligo di legge e frappone resistenze. Ha voluto per trent’anni una serva cattolica,  mentre è la legge che la impone ai riformati. Ospita la sera del delitto un giovane di Bordeaux a cena, che poi sarà strumentale alla riabilitazione, “noto per il candore e la dolcezza dei costumi”. Marc-Antoine, di cui poco o nulla si sa, è il suicida designato: letterato fallito, impossibilitato all’avvocatura, “passava per essere uno spirito inquieto, cupo, violento”, prese a leggere tutto ciò che si è scritto sul suicidio, confida a un amico le sue intenzioni, e un giorno che ha perduto al gioco si impicca.
E la tolleranza? Il problema è semplice: “Se la religione debba essere caritatevole o barbara” – oggi si direbbe, ma anche allora: se un giudice debba essere violento o giusto. La morale pure: “La tolleranza (religiosa) non ha mai provocato una guerra civile”. La rilettura della Bibbia resta inadeguata e può suonare blasfema. Ma, poi, non c’è rilettura della Bibbia che non lasci perplessi, a meno di non ritenere Dio blasfemo, pure lui.
 “Ci fosse un Cristo, vi assicuro che Voltaire sarebbe salvato”, dirà del “Trattato” Diderot, che non era grande amico di Voltaire, a Sophie Volland. Anche Michelet lo vedrà così, come “colui che ha preso su di sé tutti i dolori degli uomini”, Cristo contemporaneo. Coma già Federico II, il gran re di Prussia, “fratello” senza ma, che gli rimproverava di “graffiare con una mano” l’Infame, “di molcirlo dall’altra”. Per opportunismo? No, Voltaire era così. Che il “Trattato” conclude appellandosi a fede, speranza e carità, le tre virtù teologali, “da buon cristiano”.
Voltaire avrebbe voluto il libello anonimo, benché protetto dall’ironia: “Ne è autore, si dice, un buon prete”, fa premettere: “ci sono in essa dei passi che fanno fremere e atri che fanno scoppiare dal ridere; giacché, grazie a Dio, l’intolleranza è tanto assurda quanto ridicola”. E più che le chiese bastona la cosiddetta opinione pubblica: il “contagio della rabbia”, il “vile popolaccio”, e l’intreccio perverso, anche allora, di giustizia e opinione. Infame è il secolo per Voltaire soprattutto per la dogmatica giudiziaria. Diffusa non soltanto nelle città sanfediste ma fino a Parigi e dentro la corte. Al punto da decapitare un giovane, il cavaliere de la Barre, per alcune goliardate, ponendo poi il corpo decapitato sul rogo con libri erotici da un alto, e dall’altro il “Dizionario filosofico” di Voltaire. Tutto questo nel 1766, l’anno dopo della “verità ristabilita” sull’affare Calas.
Famoso è stato in Italia questo “Trattato” per essere stato tradotto e pubblicato da Togliatti nel 1949. Con lo stesso feeling, seppure non dichiarato: la mostruosa “psicologia della folla” – agitata in Italia, notacva di scorcio il leader del Pci, dai “microfoni di Dio”, dai “padre Lombardi”. Con una indiretta conferma delle due nature, opposte, del Pci, nonché di Togliatti e Berlinguer, del partito di opposizione, all’intolleranza e alla censura, e del partito di governo, che demonizza ogni avversario. Così oggi il “Trattato” implicitamente si rilegge: sostituendo alla “vera fede”, cattolica o protestante, la “questione morale”. Un feticcio altrettanto indeterminato, anzi contradditorio, e ultimativo, agitato come una clava, fanatico – “valgono più i magistrati che i Calas”, si diceva a Tolosa, o “meglio lasciar mettere ala ruota un vecchio calvinista innocente che esporre otto consiglieri della Linguadoca a riconoscere di essersi sbagliati”.
L’edizione Togliatti ha il merito di proporre anche le note aggiunte da Voltaire, anche se non tutte. Una, lunga, sull’anima avrebbe meritato l’inclusione. Curioso, fuori tema, ma preciso e insistito, anche se in nota, al § 9 “Dei martiri”, c’è invece lo sgretolamento dell’“Egitto”, che l’esoterismo aveva cominciato a crearsi - una lettera non scritta ai “fratelli”.
 
Questa edizione, curata da Domenico Defelice, lo scrittore calabro-laziale (Anoia-Pomezia), si vuole “critica”. Traduce il “Trattato sulla tolleranza” dalla edizione della  Voltaire Foundation di Oxford, in qualche punto è quindi diverso dalle traduzioni note – ma senza discordanze significative. E si arricchisce degli scritti della vedova e dei due figli di Calas, che criticamente ora si ritengono scritti da Voltaire, a mano a mano che riceveva ulteriori informazioni sul caso.
Voltaire, Il caso Calas. Con il Trattato sulla tolleranza e testi inediti, Marietti, pp. 360 € 25

martedì 30 novembre 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (475)

Giuseppe Leuzzi

Non si può fare conversazione in Calabria, anche in Sicilia, in molti ambienti, se non brillante. Sui toni dello scherzo o della satira – “a zannella” in dialetto calabrese. Negli stessi luoghi e nelle stesse conversazioni che non si sottrarranno alla pratica della luttuosità: ai malanni, di parenti, amici, conoscenti e propri, e alle morti. Il segno è più lo scherzo o più il lutto? O entrambi, la “zannella” per esorcizzare (alleviare) la malattia e la morte.  
“Lo scherzo”, dice Jean Paul, “non conosce altro scopo che il suo proprio esistere”. Ma forse no, è un  falso scopo.
 
Uno studio di Olga Cerrato qualche anno fa, “La Berlino degli italiani”, della “colonia” italiana a Berlino tra le due guerre, nota curisamente che tutti, o quasi, erano meridionali: calabresi Corrado Alvaro e Boccioni, siciliani Borgese, Pirandello, Rosso di San Secondo, il pittore futurista Ruggero Vasari, il pubblicista, corrispondente della “Gazzetta del popolo”, e de “L’Italia Letteraria”, Pietro Solari – che spesso li riuniva, al Romanisches Cafè.
 
Sembra strano, essendo il Sud come l’Avvocato Agnelli lo diceva ironicamente (a proposito di De Mita) “umanista”, ma a molto Sud, anzi ovunque, manca la storia – eccetto isolate fioriture. Non quella nozionistica, di quella ce n’è anzi in eccesso, di ogni campanile, anzi di ogni cortile – naturalmente nobile, tutti nobili al Sud (il genere agiografico, tipo santini). Manca la Storia, l’intelligenza del passato. Un millennio buono di storia. Quella greco-bizantina in Sicilia, cancellata dai Normanni, quella greco-bizantina, e albanese-epirota, in Calabria, quella greco-bizantina, normanna e aragonese in Puglia, quella longobarda in Calabria e Puglia, e nella Campania finitima, da Salerno a Benevento. Quella araba un po’ dovunque, anche in Sicilia malgrado le tante pubblicazioni. Quella politica e religiosa – anche se la religione, è vero, si esclude ovunque, non solo al Sud, anche dalla storia Moderna.
 
La mafia come mito
Il mito è autoreferente: rimbalza sulle sue origini, sugli autori, e li assedia, li convince, li esaspera. E si autoalimenta. Così si è creato purtroppo un mito della mafia. Che non c’era trent’anni fa, c’era la mafia ma non il mito: ancora negli anni 1980 Riina e soci facevano solo paura, e generavano disprezzo – assassini, e più dei propri, sodali, perfino familiari. Un mito curiosamente politico alle origini, di Leoluca Orlando e Luciano Violante, che lo avvolsero dell’imbattibilità . Poi editoriale, sulla linea Enzo Biagi-Roberto Saviano, e quindi dilagante, il mito oggi più scontato – una sorta di cavalleresco Ciclo della Mafia, come già di re Artù, dei Carolingi, di Guerrin Meschino. In parallelo con le numerose accademiche “Storie della mafia”, altro genere fiorente. Storie naturalmente dei giornali che parlano di mafia, e di qualche processo - non molti, i processi sono faticosi, un paio. Di cui la punta di diamante è stato venticinque anni fa, all’inizio del ciclo, “La regia occulta”, la summa della storia dell’Italia repubblicana “Da Enrico Mattei a Piazza Fontana” che mette al centro la mafia, a opera di Giorgio Galli, il professore di Storia delle Dottrine Politiche a Milano – che la “strategia della tensione”, con le bombe e poi il terrorismo, sia opera della mafia il professore l’ha saputo dal senatore Pisanò.
La mafia è sempre quella: in varie accezioni a seconda del mercato della criminalità, ma sempre sopruso, invadenza, con minacce, danneggiamenti, e anche omicidi, sterilità sociale e politica, e organizzzazione degli affari illeciti, droga, appalti pubblici, pizzo. Di brutti, sporchi e cattivi. Di cui sono piene le carceri. Ma evidentemente non abbastanza – troppi processi finiscono nel nulla. Ma come idealizzata, o nobilitata: dei “guanti bianchi”, delle “cupole” o grandi organizzazioni planetarie (con discussioni e votazioni…), della finanza sofisticata, della vita lussuosa o spericolata. Che è l’esatto contrario delle realtà mafiose, ma non nell’immaginario.
 
La mafia non è una famiglia
Un padre amorevole che si rivela essere un trafficante di droga. Freddo e impunito. Se non per le inevitabili denunce e vendette fra trafficanti. Nell’ultimo dei tre film di Jonas Carpignano ambientati a Gioia Tauro, “A Chiara”, la mafia entra di striscio nella vita normale dei ragazzi, anche figli di mafiosi, fra chiacchiere, pettegolezzi, gelosie, motorini, canzoni, cotte, dispetti, complicità. Perché il film, “povero”, di pochi mezzi, con attori non professionali, di marginalità, ma non traumatiche (esterni, atmosfere, personaggi, vicenda), attrae? Perché non c’è l’ipostatizzazione della mafia, in un mondo, un’area, un paese, nella stessa ristretta famiglia. In cui la vita normale, avventurosa nella normalità, di una ragazza volitiva scorre immune al malaffare. Come solitamente avviene in altri contesti. Senza l’imponente sociologia della mafia che vi si sovrappone, dell’unità mafiosa nella famiglia (col figlio maschio…), l’omertà, i codici d’onore, i giuramenti. Di pubblicisti cinici, giudici in carriera, terzo settore della “legalità” - non senza qualche sociologo di professione.
La foto che sempre si rivede di Giuseppe Di Matteo a cavallo, alla barriera al concorso ippico, in cap e giacca neri, cravatta bianca, cavallerizza bianca, stivali neri, commuove certo per il destino che si sa del ragazzo, sciolto nell’acido, dopo lunghe torture, da Giovanni Brusca, il capo-boia di Riina che è ora pensionato dello Stato. Ma sempre anche sorprende, che si possa condurre una vita normale, quella di tutti i ragazzi, accanto al crimine, e senza macchia. Spensierata perfino. Perché circoscrive la mafia – la violenza, i traffici. Fa vedere – anche ai Carabinieri se mettessero gli occhiali – che la mafia non è uno Stato anti-Stato, non è pervasiva, non è premiante o vincente. Non è: è una banda criminale, come ce ne sono sempre state. Con suoi linguaggi e caratteristiche, che però è sbagliato ipostatizzare, non ne cambiano la natura – si veda l’omertà che fine ha fatto, che adesso dobbiamo difenderci dai pentiti, troppi, ingestibili, onerosi. E soprattutto non regola niente, certo non le società che affligge – spesso anche la famiglia in senso proprio.
 
Allo sviluppo basta poco
L’Autostrada del Mediterraneo (Salerno-Reggio Calabria ) è l’unica grande infrastruttura moderna della Calabria post-bellica, dei quasi ottant’anni della Repubblica. Con il  porto di Gioia Tauro. Con l’università infine della Calabria. E un aeroporto internazionale nel mezzo della regione. Tutt’e quattro le strutture sono state volute da Giacomo Mancini, di Cosenza, leader socialista post-Nenni, e più volte ministro.
La provincia di Cosenza, collegio elettorale di Mancini, è anche una Calabria particolare, in molte cose sembra Toscana, ordinata, pulita. Con una agricoltura sempre innovativa e in grado di stare sul mercato, anche internazionale. Con la messa in attività di vastissime aree semiabbandonate, deserte o paludose: il massiccio del Pollino, rinverdito e animato, d’estate e d’inverno, e l’Alto Ionio cosentino, o Sibaritide, una vastissima area bonificata, e avviata a produzioni pregiate, di risi e agrumi. Con aree turistiche montane e marine regolamentate, nell’edilizia e l’urbanistica, e commercialmente organizzate. La criminalità vi è fra le più basse in Italia. Allo sviluppo basta poco.
Vittorio Sgarbi è stato deputato per pochi mesi nella circoscrizione jonica della provincia di Reggio Calabria, la Locride. Eletto nel 1994, portato da Franco Corbelli, il milanese che combatte la malagius7tizia, e poi nel 1996 – ma già distaccato dalla Calabria: nel 1996 optò per il Veneto, e ha cancellato le due elezioni dal suo pur dettagliato sito. Pochi mesi dunque da deputato calabrese e forse di malavoglia. Con presenze che s’immaginano al suo modo fulminee e svagate, da gita nel tempo libero. Ma tanto gli è bastato per ridisegnare alcuni paesi, partendo dalla pavimentazione stradale e dal colore delle case, Gerace, Serra San Bruno, Mileto, Ardore. Che hanno trovato una nuova identità e la mantengono. E questi sono i pochi segni congruenti di ammodernamento nella ex Calabria Greca o Ulteriore – invece delle solite immagini di plinti di calcestruzzo in vista e pareti di mattoni forati. A volte basta un volto in televisione, sia pure simpatico.

Milano
Napoli, dice De Simone presentando la sua “Opera buffa del Giovedì Santo”, “fin dalla seconda metà del Cinquecento era contrassegnata da un altissimo tasso di consumo musicale, determinato dalla politica dei viceré spagnoli, che con manifestazioni musicali e teatrali stabilivano un rapporto rappresentativo tra il Potere e le varie classi sociali”: città da allora musicale, con ben quattro conservatori di Musica”. E a Milano, i governatori?
 
“Milano, dopo Mani Pulite”, ricorda Enrico Pazzali a pranzo con Bricco sul “Sole 24 Ore”, “era livida. Roma viveva il buon governo dei sindaci Francesco Rutelli e Walter Veltroni”. Pazzali è milanese, anche se atipico (ha risanato l’Eur romano), e può dire la verità. Mani “pulite”?
 
Gli atleti ginocchioni di Black Lives Matter non hanno fatto in tempo a rialzarsi che Milano si apriva a settembre la Fashion Week – “Black Liver Matter in Italian Fashion”. Come se il made in Italy fosse già nero, afro-americano. E può non essere cinismo, nemmeno opportunismo. Indubbiamente è senso degli affari – perché non sfruttare l’onda?
 
Cremona “si conferma”, scrive “L’Espresso”, cioè è da anni, la seconda area più inquinata in Europa, “con la più alta concentrazione di PM2,5”, le polveri ultrasottili,  con potenziale incidenza su morti premature e malattie perfino superiore al PM10” (le polveri sottili). Ma “la Regione Lombardia assolve il locale polo industriale e l’indagine epidemiologica non è mai partita”. Ma, per dire la evrità, la cosa si sa perché “L’Espresso” ne scrive, nessuno l’ha mai denunciata.
Se non c’è mafia, se non c’è Sud, non c’è inquinamento.
 
Carlo Levi, “Le parole sono pietre”, sui suoi viaggi in Sicilia, ha la storia di Pippinu ‘u Lombardu, una “sorta di Pisciotta del suo tempo” – il processo a don Pippinu è del 1860 (Levi non dice se prima o dopo Garibaldi). Un maestro milanese sceso ad esercitare iin Sicilia, terra di analfabeti, per guadagnare qualcosa di più. Salvo scoprire presto che facendo il capo brigante guadagnava meglio. Diventando popolare, costrinse la polizia ad arrestarlo. Don Peppino se la prese, e al processo rivelò i legami con la polizia e le autorità.
 
Ha, aveva nel 2019, prima dei lockdown, un reddito medio pro capite di 49 mila euro - al secondo posto, Bolzano veniva con un reddito medio di 40 mila euro, il 24 per cento in meno. Ed è la prima città in Europa per attrazione di imprese e capitali – davanti a Monaco di Baviera. Ma Stoccolma, Londra, Parigi denunciano un reddito molto superiore. Anche Madrid, anche Amsterdam vengono prima di Milano. Molto reddito è nascosto?  
San Siro pieno, nei limiti delle norme anti-covid, per fischiare l’inno della Spagna e Donnarumma. Si paga, si va allo stadio, almeno quattro ore fra traffico, parcheggio e seduta, per fischiare. Si sottovaluta la violenza di Milano.
 
Il Re del Panettone è un romano, di Fiano,  Fabio Albanesi. Premiato da una giuria composta dai dieci ultimi vincitori del premio, tutti non milanesi, non lombardi, uno di Torre Annunziata, uno di Lecce, eccetera. Di un  prodotto milanese beneficiano in molti: è il principio della ricchezza, la diffusione della tecnica.
 
Il portiere Handanovic prende l’avversario per le gambe, per le spalle, solo al collo non gli mette le mani, per l’arbitro Pairetto fa bene, il Sassuolo non ha “chiara occasione da gol”, e l’Inter può così vincere. Non è un errore. L’arbitro è secondato dal Var, Nasca.  E assolto dai commenti milanesi (“Corriere della sera”, “Gazzetta dello Sport”): un errore e basta. Tacciono perfino i social. Tre punti che potrebbero fare la differenza quest’anno alla fine in classifica. Milano non discute quando deve discutersi.

leuzzi@antiit.eu

Il complotto eccolo qua - 5

A conclusione di un primo decennio della “stagione dei complotti”, avviata in Italia dall’Autunno Caldo del 1969, Astolfo, “Vorrei andarmene, ma non so dove”, ultimo volet dalla serie narrativa “Anamorfosi” in quattro volumi, può trarre queste considerazioni:
 
“Dei golpe il repertorio è invece acclarato, con repliche: con l’eccezione dei forestali tutto è già avvenuto. Il colpo alle spalle nel tentativo di fuga è il modello Liebknecht. L’avvelenamento degli acquedotti è storia repubblicana, della repubblica di Spagna. O del repertorio antigesuitico: l’acqua l’avvelenano, di solito, i gesuiti. Dopo gli ebrei, il complotto a lungo è stato gesuitico. O si può pensare a un complotto olandese: ancora nel Seicento l’Olanda segretamente importava, sotto forma di zanne di narvalo, e vendeva il corno del liocorno, per depurare  le acque avvelenate. Torneranno dunque i liocorni? Ma anche i forestali hanno tradizioni, e proprio all’Interno, se non rifanno Robin Hood. Era della Forestale il generale Clerici, l’ultimo capo della Polizia di Mussolini. Tutto è possibile: Hitler non cominciò sequestrando il capo dei vigili urbani di Monaco?
“Con l’avvento di Moro e le interviste di Andreotti ci sono complotti del resto ovunque. Il filone si dimostra provvidenziale dopo il Piano Solo che asservì i socialisti. Il golpe del ‘74, che a opera di cinquanta uomini, non più ventitré, doveva prendere il Quirinale, chiudere le Camere, e nominare Delle Chiaie capo delle Forze Armate, nella calura di Ferragosto, lo capeggiava un odontotecnico della Spezia, che aveva segnalato alla mafia migliaia di oppositori da assassinare. I mafiosi dunque sanno leggere, che sono d’obbligo anch’essi. E i massoni. Ventitré sapeva di già visto: erano i disarmati compagni con cui Bakunin voleva prendere Bologna, e da lì proclamare la rivoluzione mondiale. Il piano alternativo della massoneria, alternativo all’eliminazione fisica, prevedeva l’arresto del presidente della Repubblica in costume da bagno nella tenuta di Castelporziano a Torvajanica, luogo dei complotti nella storia breve della Repubblica avviata col caso Montesi. La Repubblica che cade in costume da bagno non è male, anche se nelle fattezze del presidente Leone. I massoni i marpioni Dc li mettono ovunque perché non contano, mentre bisognerebbe chiuderli allo zoo, anche loro, dichiararli specie protetta.
“Il golpe Borghese nel 1970 fu organizzato da Nixon, con due agenti della Cia, due soli. Lo rivelano Remo Orlandini, un ragioniere che si vede nella gloria di Danton, e un notaio, Giordano Gamberini, che voleva lavorare per la Cia e non l’hanno preso. Uno vero della Cia è un ingegnere della Selenia, il quale più volte telefonò a Nixon in presenza del ragioniere, che però non sa l’inglese. Claudio Vitalone, il giudice inquirente, intimo dell’onorevole Andreotti, ha passato una notte insonne, racconta all’Espresso, nel dubbio se arrestare o no l’ex presidente Usa. Feltrinelli naturalmente pure lui preparava un complotto, sempre nel ‘70, in forma di controcomplotto: voleva rapire Borghese. Lo preparava all’osteria Ho chi min, alla stazione Garibaldi, dove lo zio Ho ragazzo fu cameriere? Piazza Fontana ha aperto le cateratte, sarà lo gliommero del Prefetto, il groviglio che si scioglie tirando il filo giusto. Ma i morti sono veri.
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“Il complotto è ripetitivo, è un difetto. C’erano delatori alle calcagna dell’Aretino, il più delatore di tutti, e in carcere con Campanella e Bruno. L’acqua avvelenata verrebbe dalla Bibbia. È dunque idea americana - questo è un fatto, nessun prefetto italiano legge la Bibbia. La regia occulta del politologo Galli spiega che il Maggio fu opera dell’Oas. Cominciò con la caduta dell’aereo del generale Ailleret, che aveva combattuto l’Oas per conto di de Gaulle. Non è escluso, il Maggio indebolì de Gaulle. La strategia della tensione, che innesca le bombe, è invece opera della mafia. Questa idea lo scienziato politico la deve al senatore Pisanò.
“Non valgono più le quinte colonne e i giochi doppi e tripli. I servizi segreti, pilotati dalla Cia, stanno coi fascisti. E con i settimanali dei complotti a numeri alterni, che hanno invece giornalisti di sinistra e di estrema sinistra? O la Cia utilizza i settimanali per avere la copertura dei servizi e dello Stato? Ma si può pure pensare che la Cia utilizzi i servizi segreti e i fasci contro lo Stato. Con la collusione dei settimanali, cioè della sinistra. Limitando il gioco a quattro soggetti si avrebbero matematicamente sedici ipotesi. Introducendo le coppie con\contro, collusione\ opposizione, copertura\denuncia, le possibilità diventano centinaia. Per non parlare dei tanti Stati. L’onorevole Moro, per esempio, che ha fregato Fanfani e i socialisti sul centrosinistra, voleva far dimettere il Nostro Padre Ingegnere perché gli Usa lo pretesero, poco prima della morte, quando cercava sbocchi in Cina, ha espresso “comprensione” agli Usa in Vietnam, ha coperto il Piano Solo, e controlla - controllava - i servizi attraverso un uomo di destra, è il leader della sinistra. Stocasticamente le possibilità sono infinite.
 (fine)

Napoli, in attesa della Pasqua di Resurrezione

Il Giovedì Santo è di Napoli, in attesa di una domenica di Resurrezione. Non un vero intreccio si svolge, ma la riproposizione di ritmi, miti, storie, tradizioni, illusioni: una sorta di identikit della città, illusoria sullo sfondo, sorniona. Un magazzino di robivecchi, vivificato da una lingua ora furbesca, ora colta, anche barocca, e popolare, anche molto – un po’ come ora ci ha (non) abituato la serie “Gomorra”, per suoni più che per parole distinte. Anche i personaggi sono misti – come era un tempo l’uso a teatro: sono un po’ questo e un po’ quello, si travestono, cambiano identità, trasformisti e ambigui. Come Napoli, che attende la sua Pasqua – ma tra il giovedì dei Sepolcri e la domenica di Resurrezione non c’è la Passione?
Non c’è trama, non c’è una storia. Sono lacerti storici, mitici, rituali, e linguistici. Sui toni, più che drammatici, dell’elegia, dolenti. Sullo sfondo della tradizione, sempre comunque spessa e viva, a fronte della piattezza contemporanea, della vita senza memoria.
Un teatro che si vuole in musica, un melodramma. Anche se non risulta ancora mai rappresentata – musiche di De Simone? Doppio insomma l’omaggio a Napoli, città “dai quattro conservatori di Muisca, per la frequente committenza di composizioni musicali per la camera, per il teatro e per la chiesa” – “La città”, spiega De Simone nell’introduzione, “fin dalla seconda metà del Cinquecento, era contrassegnata da un altissimo tasso di consumo musicale, determinato dalla politica dei viceré spagnoli, che con manifestazioni musicali e teatrali stabilivano un rapporto rappresentativo tra il Potere e le varie classi sociali”.
Roberto De Simone, L’opera buffa del Giovedì Santo, Einaudi, pp. XIII-107 € 9,30

lunedì 29 novembre 2021

Il complotto eccolo qua - 4

Nella luna oscura storia di complotti che  da oltre mezzo secolo, dalla “strategia della tensione”, ha attanagliato  l’Italia, l’autunno del 1974 segnò un balzo di qualità, nell’esercizio cimentandosi Andreotti e Mori, i duellanti democristiani. La vicenda è così evocata da Astolfo, “La morte è giovane”, un romanzo in via di pubblicazione (Pietro, il Prefetto, Metello, Domenico sono personaggi di fantasia):

“(Ad agosto) l’Italia invece aspetta sempre il golpe. Lo ha stabilito Feltrinelli in un opuscolo che le sue librerie ancora vendono, Persiste la minaccia di un colpo di Stato in Italia!: il golpe si farà ad agosto. “L’estate sembra particolarmente adatta”, scriveva Feltrinelli: “Gli operai sono in ferie, le fabbriche semichiuse, uomini politici, giornalisti, ecc. sono pure loro al mare o in montagna, grava sul paese dalla metà di luglio un clima di «stanchezza» e di disinteresse generale: sono le condizioni ideali per portare a compimento un colpo di Stato”. Anche Cromwell fece il golpe ad agosto. Ma ad agosto a Londra piove. 

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“Andreotti ha fatto il golpe. Ha abbattuto il governo Rumor, ha denunciato tre complotti, e ha arrestato Miceli, l’uomo di Moro. Si direbbe in affanno: i suoi amici democristiani alzano barricate contro il suo ritorno a capo del governo - propongono Fanfani, per prendere fiato, ma puntano su Moro. Va però come un treno: ha fatto arrestare Curcio e gli altri capi brigatisti - i carabinieri obbediscono, se il morso è teso – immemore del pontiere Taviani e del terrorismo che è di destra, il Pci portandosi ai piedi.
“I tre golpe li ha denunciati il tre ottobre, direttamente in Procura, come ogni cittadino visitato dai ladri. Un’iniziativa personale e urgente, per l’ansia di salvare la libertà, senza consultarsi col capo del suo governo, l’onorevole è un duro. E il governo si è dimesso, subito. Sublime Dc: denuncia golpe di destra, ma dentro manda Miceli, il generale dell’onorevole Moro. “In generale l’astinenza sessuale non giova a formare uomini d’azione energici né pensatori originali o anche libertari o riformatori, ma deboli dabbene”: Freud toppava anche qui, ma si può scusarlo, non poteva sapere degli uomini d’azione democristiani, conducono essi le truppe uscendo dalla sacrestia e non dall’alcova. L’eroe Dc è uno  che vince negandosi. Non é facile arrestare Miceli, intimo dell’ambasciatore Usa Martin, che da Roma è andato a Saigon, e di James Angleton, specialista italiano della Cia e uomo di fiducia del Mossad israeliano.
“Andreotti ha annunciato la denuncia il 28 settembre, mentre il presidente Leone e il ministro degli Esteri Moro erano negli Usa. Miceli era andato all’ambasciata, prima della loro partenza, per dire al successore di Martin, John Volpe, che non è il caso di puntare su Andreotti per il nuovo governo. Bene, ora gli americani sanno chi comanda in Italia. L’onorevole Andreotti nega. Ma Pietro queste cose le sa per certe. È così che Leone e Moro non hanno convinto Ford, cioè Kissinger. L’Italia è stata prima invitata poi esclusa dal vertice sul dollaro dei grandi dell’Occidente a Camp David. Il presidente Ford e il segretario di Stato Kissinger ne avevano già discusso, del problema sollevato da Miceli, riservatamente coi membri più influenti del Congresso. “Non vorrei biasimarmi d’aver fatto troppo poco per salvare l’Italia”, Kissinger ha detto loro. Il professore è, è stato, un intellettuale liberale, in contatto con Alvaro, Moravia, Enriques Agnoletti. Moro ha troncato la visita, Leone è stato fotografato a fare le corna. Volpe vuole esclusi dal governo pure i socialisti. Che già si erano esclusi: l’1 ottobre l’onorevole Tanassi, per conto dei socialisti di destra, aveva dichiarato il centrosinistra finito. D’accordo l’onorevole De Martino, per i socialisti di sinistra. E insieme chiedono elezioni subito. Per fare il compromesso? De Martino è consigliato da una Margherita, che viene dal Pci praticando l’entrismo e collaborava col Prefetto.
“Non c’è tempo di rifiatare. A metà mese Kissinger lascia Delhi per Roma, per l’assemblea della Fao, premettendo non richiesto: “Non chiedetemi della politica italiana, non la capisco”. Moro snobba il primo incontro fra Kissinger e Leone. Al secondo evita di stringere la mano al segretario di Stato, e fa dire: “Esistono interessi che si traducono in pressioni, ma è compito del ministro degli Esteri opporsi alle pressioni illecite e respingere le interferenze: un’area di libertà si conquista puntigliosamente, vigilando”. Una dichiarazione di guerra. Moro pare un pappamolla e invece è un incondizionale, secondo Pietro, che dei Dc sa tutto:
“- L’onorevole Moro sempre fu fedele all’America, che nel 1964 lo salvò dal golpe di Segni. Ma dopo il Cile ha paura. – Metello invece, come Kissinger, lo ritiene un incapace: “Ha svilito il centro-sinistra e ora si ritrova al posto di Segni”, ha detto in altra occasione, il presidente che contro il centro-sinistra voleva un golpe, “senza averne la sfrontatezza”. Ma non ha mai fatto accordi con nessuno. È guerra totale tra Moro e Andreotti, dunque.
“L’analisi di Pietro ricalca quella di Domenico, che si occupa ancora di politica interna nelle pause della guerra matrimoniale:
“- Si somigliano, in realtà sono uguali. Sono per questo nemici spietati, è la concorrenza: l’uguale è il nemico. Non per fare questo o quello, per loro è indifferente, il governo è per loro il potere. Il potere per grazia di Dio, sì, non un dovere. - Si può concordare. Entrambi gli onorevoli parlano breve, sono il Tiberio che Tacito inventò, dal linguaggio svelto benché oscuro. E Roma, diceva Anatole France, “grazie alle sue colline, si vede da Roma”. Ma sono politici alla Henri Queuille, “non c’è problema, per quanto urgente, che in assenza d’una decisione non si risolva”, che de Gaulle ha spazzato con un soffio, con tutti i radicalsocialisti. Il Vaticano dovrebbe saperlo, che il potere non è eterno, che si riproduce finché produce. Domenico si difende: - È per questo che l’Italia si sta sbarazzando della chiesa. Sì, il sogno dei liberali – irride – lo realizzeranno i preti, di cancellarsi dalla storia, per la protervia. – Roma senza papa, ultima fantasia dell’Amico Sconosciuto scrittore, è nell’aria.
“Nello sparigliamento Moro prevale. È stata ordinata la cattura di Sindona e del suo aiutante Bordoni per bancarotta fraudolenta alla veneranda Banca Privata italiana, e quindi Andreotti non ce la può fare: ha incontrato più volte Sindona per fantomatici progetti di salvataggio della lira, e il generale Miceli li ha implacabile registrati. Bordoni è un ex della Banque pour le Commerce Suisse-Israélien. Il governatore Carli, che si immaginava ministro del Tesoro del compromesso storico di Andreotti, deve invece lasciare anche la Banca d’Italia: a Sindona ha fatto prestare 124 preziosi milioni di dollari dal Banco di Roma, un istituto pubblico gestito dal fido Ventriglia. I socialisti hanno fatto molto, come Fanfani, in meno anni: lo Statuto dei lavoratori, il Sistema sanitario nazionale, il divorzio, l’aborto assistito, il nuovo diritto di famiglia con la parità fra i coniugi, dopo aver cancellato il delitto d’onore, il divieto di propaganda anticoncezionale, e l’abitudine di sparare ai dimostranti. Non sono riusciti a intaccare l’articolo 544, che autorizza lo stupro delle minorenni, e questo è fantastico – il 544 è un’idiozia, prima che una violenza legale: la mentalità è dura, la tradizione, l’antropologia. Hanno dato però una spallata robusta, aiutati da Franca Viola, la giovane siciliana che per prima ha rifiutato il matrimonio riparatore. Hanno perfino tentato, inserendovi Fo e Biagi, di rivoluzionare la Rai, la lingua cioè e il linguaggio d’Italia, una sorta di antimanzoniana. Ma il professor De Martino, illustre antichista, si tira fuori. È l’uso napoletano: anche Enrico De Nicola, quando volevano eleggerlo presidente della Repubblica, nel 1948, non si fece trovare.
………………………
“Esce incognito in Italia l’Arcipelago Gulag, libro di duemila pagine. Il Partito non gradisce, e dunque non se ne parla. Se non perché Parigi ne parla, per sparlare dei francesi. Di mediocre romanziere e reazionario ignobile anche per i compagni critici alla Fortini: “Una pagina di Živago distrugge tutto il bravo Solženitsin”. Il mite Cassola opina il complotto: il Gulag è una manovra della Cia per oscurare Pinochet.

(continua)

Il mago di Oz era la suocera

“I libri di Oz sono molto in anticipo sul tempo sia scientificamente che politicamente. Sono pieni di invenzioni che non sarebbero avvenute per gran parte del secolo, tra esse un uomo robot, un cuore e delle labbra artificiali, un sistema di monitoraggio televisivo, dispositivi anti-gravità, e un servizio di notizie tipo computer. Oz è anche una specie di utopia socialista, e profondamente matriarcale e occasionalmente transsessuale”. Anticipa anche l’elicottero. L. Frank Baum, l’autore del “Mago di Oz”, dovette molto del suo lavoro alla suocera, Matilda Gage, una delle più famose femministe in America.
Un po’ sul genere “l’autore è sua moglie”- o la compagna: di T.S.Eliot, Orwell, Tolstoy, Brecht, Montale, Remarque, Fitzgerald. Ma Lurie, l’autrice di “Cuori in trasferta” e altri romanzi, saggista reputata, morta un anno fa, ne è cosciente e porta buoni argomenti.
Baum sposò Maud, l’ultima dei cinque figli di Matilda, nel 1882, quindi per sedici anni ancora si confrontò con la mitica suocera. Matilda Gage, finita teosofa e occultista, è stata femminista per una vita, fin da ragazza, nonché indianista, al suo tempo quasi unica (i Mohawk l’hano per questo adottata), storica a metà Ottocento del (non) diritto di voto alle donne, con Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony, “libera pensatrice”, cioè atea professa (polemista contro l’uso pratiche e riferimenti religiosi nella vita pubblica: il riposo domenicale, la Bibbia a scuola e nei tribunali), considerando il cristianesimo il maggiore responsabile dell’asservimento femminile, è reputata una delle “scrittrici scientifiche” più logiche e disinibite del secondo Ottocento. Esclusa da ultimo dal movimento femminista dalle due coautrici, Stanton e Anthony, ma non dalla memoria. Da lei prende il nome l’“Effetto Matilda”, la tendenza a trascurare il contributo femminile alla ricerca scientifica.
Inizialmente contraria al matrimonio di Maud, la figlia minore e la più accudita, con un uomo d’affari, fu poi lei a incoraggiare il genero a scrivere, e a cercare le riviste e gli editori per i  racconti che andava facendo ai bambini in famiglia e nel vicinato. Il genero trovando rispondente “I quattordici libri di Oz rifletteranno molte delle idee più radicali di Matilda”. Il matriarcato originario. Le streghe come perpetuazione del potere femminile sotto il patriarcato. Il mondo – il mondo di Oz – governato da una trinità femminile: Glinda, Ozma e Dorothy. I governanti maschi deboli o cattivi. Il disprezzo dei lavori domestici. Le identità di genere confuse. La passione per la scienza e la tecnica.
Alison Lurie, The oddness of Oz, “The New York Review of Books”, free online

domenica 28 novembre 2021

Il complotto eccolo qua - 3

L’Italia ha una storia lunga di complotti, da oltre mezzo secolo, dalla “strategia della tensione”. Nei fatti una strategia politica, di manovra e comunicazione. Con non fantasiose applicazioni, alcune raccontate, con i loro meccanismi, da Astolfo, “La morte è giovane”, un romanzo in via di pubblicazione, di cui seguono alcuni estratti. Il referendum è sul divorzio, 1974 – allo stesso anno si riferiscono gli altri eventi menzionati. Il “pollaio” di Taviani è il suo rifugio estivo, di vacanza.  L’intervista di Andreotti è quella rilasciata a Massimo Caprara, già segretario di Togliatti, a lungo deputato Pci di Napoli, sul “Mondo” del 20 giugno 1974.  Vanni e Severo sono personaggi di fantasia. 
 
“La vigilia del referendum è stata, si sa ora, un fuoco d’artificio. Il 2 maggio, giovedì, i brigatisti hanno lasciato incustodito l’ostaggio per perquisire a Milano il Comitato di Resistenza Democratica di Edgardo Sogno. Che dunque è anch’egli più che un nome, “Eddy” Sogno Rata del Vallino, conte, comandante della brigata Franchi nella Resistenza e medaglia d’oro, uno che parla come Gianni Agnelli e Giulio Einaudi, verrà pure lui da Pinerolo, scuola di cavalleria, un liberale diplomatico in carriera, segato da Moro dopo che da Fanfani, la Dc può essere inflessibile. Sogno e il repubblicano di Spagna Pacciardi sono golpisti infine patentati dal ministro dell’Interno Taviani, che è uscito dal pollaio per gettare un ponte tra Moro e Andreotti, e uno tra la Dc e il Pci, il fronte antidivorzio, confermando e circostanziando i golpe: “Il terrorismo è di destra”, ha annunciato solenne a Scalfari a pranzo. Lui certo lo sa che, ministro sempre dell’Interno, fece l’ultima retata di scioperanti nel ‘62 a piazza Statuto, fermando gli operai Fiat scontenti del contratto, 1.200 – un centinaio li fece pure processare, dopo le mazziate. Sogno che era socio di Taviani. Anche Fumagalli esiste e complotta, benché sia stato ragazzo partigiano bianco, dell’organizzazione che Taviani presiede. Dice il maggiore dei carabinieri Delfino che teneva pronti i chiodi a quattro punte per isolare le strade, e le bombe a forma di pacchetto di sigarette, per il giorno del divorzio. E progettava una repubblica in Valtellina, un’altra Ridotta.
“A Sogno si affianca Cavallo, un professionista. Già nazista, poi Pci, editorialista dell’Unità, attivista quindi Dc, di Pace e libertà, giornalista a New York per la Gazzetta del Popolo, collaboratore del colonnello Rocca al Sifar e di Valletta alla Fiat, braccio destro del suo capo del per-sonale Garino, specialista in spionaggio tra ‘68 e ’69 per la stessa azienda, dove ha schedato 350 mila dipendenti, mille al giorno, duemila con le morose. Il golpe si lega alla sezione italiana del movimento antisovietico Paix et Liberté, creato a Parigi nel ‘47 da suore e laici pii, che nel ‘53 aprì una sezione a Milano, affidandola a Sogno, a iniziativa di Silone, coi soldi dei governi Pella e Scelba e della Fiat, prima della ripresa dei traffici con Mosca. Pace e libertà s’è sciolta nel ‘57, succeduta da Giustizia e Pace, di cui è segretario in Italia Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, monsignore, figlio del capo della Resistenza militare – i badogliani restano il Nemico, più dei tedeschi, anche se combatterono i tedeschi, almeno tremila i morti tra i soli carabinieri, più d’ogni altro gruppo partigiano. Dal ‘71 Sogno, dalla Birmania dov’è confinato ambasciatore, organizza Comitati di resistenza, che a Ferragosto dovevano prendere il Quirinale.
“C’è in scena materia per tutto, benché non tutta nuova. Sindona non manca, per il diletto del Dottore, con un progetto di golpe esposto all’ambasciatore americano Volpe, nomen omen. E ci sono “gli eredi del golpe Borghese”, dice all’Espresso il generale Maletti: anch’essi progettano un colpo di stato. Bande dunque di odontotecnici, commercialisti, pensionati e guardie forestali. L’elenco di Maletti è soprattutto interessante per i tanti generali in servizio, sia delle forze armate che dei carabinieri, suoi superiori in carriera, che partecipano ai golpe. Chi sono Maletti non lo dice, per rispetto, dice, delle gerarchie, li lascia indovinare. C’è anche il generale Miceli, il suo capo, l’uomo dell’onorevole Moro?
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“Dice Andreotti nell’intervista che Parigi è il centro della sovversione. Pompidou è dunque sovversivo, e Giscard d’Estaing. Ma Vanni lo sarà stato, che non credeva a un complotto, ma al complotto:
“- Bisogna tornare a credere al diavolo, l’uomo non è aria. Dentro il complotto, avendo guida appropriata al male, si può riconoscere questa o quella trama. Crederesti tu che il tuo migliore amico, io stesso qui, possa complottare? Ma bisogna essere malvagi, non meno degli altri.
“- Potrebbe essere lo Stato un complottardo?
“- No, solo l’uomo. Perché l’uomo, avendo un intelletto separabile e l’immaginazione tanto originale da creare ciò che non sa sperimentare, può pensare una cosa ed essere un’altra. Un uomo e non una donna. Questa è una citazione. Ci vuole dissimulazione. Le donne simulano meglio degli uomini. Ma solo le mogli degli scrittori che, Kierkegaard l’ha scoperto, sono gelose della scrittura. Lo Stato può essere un guardaspalle.
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“È il Novecento. Il secolo del processo, incessante, indistinto: Kafka. Della demoralizzazione dell’Occidente: Spengler. Se per Occidente s’intende l’Europa. E del complotto. Per la scoperta della guerra permanente, calda e fredda, o della libertà. Le due cose, legate, hanno effetto suicida. “La menzogna nuoce sempre agli altri, anche se non reca pregiudizio a qualcuno nuoce all’umanità”, è il famoso assioma di Kant nel corollario Contro Hobbes al quesito Sul luogo comune: può essere giusto in teoria, ma in pratica non vale. Sì, ma quando Constant gli obietta: “Un filosofo tedesco arriva a pretendere che verso degli assassini che vi domandassero se il vostro amico che essi inseguono non si è rifugiato in casa vostra, la bugia sarebbe un crimine”, Kant è perplesso: “Riconosco di aver effettivamente detto questo, ma non ricordo dove”. E quando Constant insiste: “Nessun uomo ha diritto alla verità che nuoccia ad altri”, se la cava col dovere di “essere veridico (onesto) in tutte le proprie dichiarazioni”. Dalla verità alla veridicità. E all’onestà? Con quei nomi di battaglia che sempre suonano falsi. Severo sapeva che il colonnello Rocca dei servizi segreti, quello che gestiva la cassa per portare la Dc al governo coi socialisti, ma morì “suicida” alla prima estate del ‘68, si presentava non col suo vero nome, ma come Alberto Revelli, Pino Renzi, Roberto Riberi, Carlo Bernini – che però esiste, è politico potente del Veneto amico di Dario.
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La storia dell’abate Barruel distingue nel complotto giacobino le logge segrete ma accessibili dalle retrologge ultrasegrete e inaccessibili. Sarà questa una retrologia accessibile.
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“Il primo complotto è gesuita, lo inventò nel 1612 un novizio polacco espulso dall’ordine, i massoni l’hanno solo copiato. E i gesuiti come gli ebrei sfuggono, che l’editore dei Monita privata polacchi, o Monita segreta, fanno disperare, il mangiapreti mangiadei Lourilot: “I gesuiti si fiutano ovunque, non si trovano in nessun posto”, e dunque “come colpirli, sono imprendibili, come difendersi?” Si trovavano pure in Russia, dove non c’erano. Gli zii litigiosi di Gor’kij il nonno li ingiuria in Infanzia dicendo alla nonna: “Il tuo Miška è un gesuita, Joška un framassone”.”
(continua)