sabato 1 gennaio 2022
Allo smorzo*
“Milan,
giù la testa
Toppe di colore – guardando il mare
In
italiano si diventa verdi di rabbia, in tedesco blu – ma sono blu in tedesco
anche gli ubriachi (e chissà perché la luna è maschia in quella lingua, come
anche la bocca, e si somiglino pure, Mond e Mund?). Magris, uomo di mare,
discepolo, amico e cultore di Biagio Marin, preferisce l’azzurro, dunque
anche il blu: il blu è romantico, spiega, e anche anti-romantico, da Heine fino
a Benn e Celan – via Rilke, George eccetera: la poesia si può dire quasi tutta
azzurra-blu - anche prima del “fiore azzurro” prototipo, di Novalis,
dell’“Enrico di Ofterdingen”. E così via, da divagazione in divagazione, che si
sa vengono come le noccioline.
Magris
stanco trova un momento per divertirsi, una lieve brezza divagante. Qui propone, ben
spaziata, la conferenza che ha tenuto nel 2020 al festival La Milanesiana, di
Elisabetta Sgarbi.
Dunque,
il blu è poesia. E il bianco, che ispira innocenza, virtù, spiritualità –
compreso il bianco sacramentale, aggiungeremmo, dei battesimi, le comunioni, i
matrimoni? Melville ne fa “il colore del negativo, della spettralità, dell’orrore”.
Per non dire di Poe: “Orrore, follia e ambiguità assoluta è il bianco nel ‘Gordon
Pym’ di Poe” – o di Lovecraft. Il colore è musica, conclude Magris, “perché
dice e non dice” – e la musica è anche colore, come nel blues, e in
tante composizioni. Manca Leonardo, il fondamentale “la pittura è cosa mentale”
– e il colore è prima di tutto pittura. Ci sono molte altre letture.
Se
non che: “Esistono i colori?”, chiede Magris all’inizio. O meglio, “quanti sono
i colori?” Sono 999 secondo l’atlante dei colori, “Du Mont’s Farbenatlas”. Ma di
che natura? Questo è stato ed è un problema per la filosofia. I “filosofi
aristotelici”, Kant, Husserl, Wittgenstein, propendono per il no, non esistono,
non hanno natura. Goethe ha provato a individuarne la sostanza, in opposizione
a Newton, ed ha fatto un gran lavoro, ma non ha risolto.
Claudio
Magris, Le toppe di Arlecchino, La Nave di Teseo, pp. 34 € 8
venerdì 31 dicembre 2021
Problemi di base - 678
spock
Si vivono bei
momenti se non ci si chiede perché?
Ognuno ha le sue
ragioni, che spesso non conosce?
Nessuno è saggio sempre?
Non c’è nulla di cui aver paura se non la
Paura?
Ma cos’è il passato – e il futuro – se non
per noi, paura e immaginazione?
“Solo per chi non ha più speranza è stata
data la speranza”, Walter Benjamin?
“Non c’è speranza senza paura, né paura
senza speranza”, Spinoza?
spock@antiit.eu
Juventus penultima nel 2010
Non è il
primo annus horribilis della Juventus, la squadra di calcio. Il 7
febbraio del 2010 si poteva constatare su questo sito quanto segue - da notare anche
le alterne fortune di Atalanta, oggi ai vertici del calcio europeo, e Lazio: la
palla è rotonda. Allenatore della Juventus era Ciro Ferrara – un primo
esperimento alla Pirlo, di neo allenatore catapultato su un grande squadra - sostituito
a fine gennaio da Zaccheroni. La formazione era di tutto rispetto: Buffon,
Cáceres, Chiellini, Fabio Grosso, Cannavaro, Felipe Melo, Zebina, Camoranesi, Marchisio,
Trezeguet, Ciro Immobile, Giovinco, Poulsen, Sissoko, Candreva, Iaquinta, Del
Piero.
“La Juventus è penultima in campionato a partire dalla
diciottesima giornata, quella che all’Epifania ha segnato la ripresa del gioco,
il primo turno del 2010. A quella data risale anche la sua ultima vittoria, a
Parma.
Cinque i punti raccolti dalla Juventus nelle sei partite di
quest’anno, match col Parma compreso. Tanti quanti il Livorno. Ma meno delle
squadre di fondo classifica, quelle che si battono per non retrocedere. Ha
fatto peggio solo il Siena, che ha rimediato un unico punto. L’Atalanta ha
fatto sei punti. Come la Lazio e l’Udinese. Il Bologna ha fatto otto punti, il
Catania 11.
“Con questa media nelle prossime quindici partite, la Juventus
arriverebbe a fine campionato poco sopra la quota retrocessione: con 12-13
punti si attesterebbe a 47-48 punti. Alla pari del Catania, che con la media
delle ultime sei partire totalizzerebbe anch’esso 47-48 punti. Risultato cui
può ambire anche il Bologna, che ha una partita da recuperare. Sotto i 43-44
punti, considerati quota retrocessione, rimangono secondo la tendenza di quest’anno
cinque squadre: Lazio, Udinese, Livorno, Atalanta e Siena”.
Eduardo come Scarpetta
Una megaproduzione,
piena di atmosfere d’epoca, in interni e in esterni, di costumi e scenografie
accurate e sontuose. Nonché di tante forme di teatro che poi si sono perse – e di
cinema: si davano i primi film sonori in originale… Una perfomance straordinaria
di Giannini, nel ruolo di Eduardo Scarpetta. E una lettura, forse involontaria,
di Eduardo prevaricatore come il padre, di cui portava il nome – il nome di
battesimo non il cognome, come si sa. Per questo attraente.
Ma è una sorta di prolusione alla storia che il titolo promette. Senza Scarpetta, una
storia trita da qualche tempo, non ultimo il film “Qui rido io” di Martone, prodotto
dalla stessa Rai Cinema, sarebbe stato anche una novità. La storia dei tre
fratelli, lunga oltre venti anni sulle scene, sarebbe stata di gran lunga più interessante
quella delle due famiglie dell’eroicomico Scarpetta - come poi di De Sica e di
tanti altri, anche non napoletani.
Sergio Rubini, I
fratelli De Filippo, Rai 1
giovedì 30 dicembre 2021
Ombre - 594
Prima ha esautorato il Parlamento, poi ha svuotato le elezioni, ora chiude i giornali: in pochi mesi la Cina comunista è passata sopra a tutti gli accordi internazionali, e ai diritti politici elementari, e si è impadronita di Hong Kong. Senza proteste: l’Occidente è affogato negli affari – nella globalizzazione che esso stesso ha imposto, per impadronirsi del plusvalore made in China. Poi dice che Marx è morto.
Novanta miliardi di fatturato e 41 di utili, non sono pochi per Pfizer. Moderna e Biontech. Dice: la ricerca è dispendiosa e va remunerata. Ma un limite non guasterebbe, nemmeno la ricerca.
Con una capitalizzazione in Borsa prossima ai 10 miliardi, Fineco Bank vale più delle cinque banche che si prospettano per il terzo grande polo bancario, dopo Intesa e Unicredit, tutte banche centenarie. “Il Sole 24 Ore” ne fa la scoperta, e ne sa anche il motivo: le banche centenarie sono oberate dai rischi di credito, e dalle vessazioni della Bce - da “dieci anni di iperregolamentazione”. Mercato sì, ma di che?
Fineco
Bank è solo multicanale – ha uffici, ma solo di consulenti, per le gestioni
patrimoniali. Era di Unicredit, che l’ha segata per fare cassa, è una public company,
a proprietà cioè diffusa, tra fondi d’investimento, assicurazioni, fondi
pensione. Due anni e mezzo fa Unicredit vantava di aver ceduto il 38 per cento
di Fineco, in due operazioni successive, per un miliardo l’una. Glielo chiedeva
la Bce, per rientrare nei parametri Cet 1 e Cet 2. Mantenendone il 18 per cento,
ma deconsolidato, come semplice investimento finanziario. Ora Unicredit vale in Borsa
solo tre volte l’ex ramo Fineco.
La liberazione del ceceno, assassino comprovato del giovane Ciatti, da parte della Corte di Assise di Roma è una palese aberrazione. Perché era stato arrestato in modo illegittimo, è la motivazione. Più assurda del fatto. Ma nessuno lo dice: i giudici di Assise hanno voluto affermare la loro terzietà di fronte alla Pubblica Accusa (che avrebbe potuto sanare in un fiat la procedura, se veramente difettosa o illegittima), e questo è ridicolo, oltre che criminale. E poi chi crede ala terzietà dei giudici, se hanno carriere scambiabili con i Procuratori, occupano gli stessi uffici, si scambiano pareri e favori?
“Più di
un positivo su tre è in Lombardia”, che ha un sesto della popolazione italiana.
Grazie ai no vax: “In Lombardia sono un dieci per cento della popolazione, uno
su dieci, ma negli ospedali sono il 55 per cento, cinque-sei su dieci.
Dappertutto
code per i tamponi, e i vaccini, in automobile oppure in piedi, quasi ovunque per
giornate, al freddo - e fuori della Poste, anche di ore, in prevalenza di anziani. L’ambiente ideale per i contagi, tipicamente invernali.
Alla quarta ondata la logistica anti-covid è ancora embrionale.
Per buona
metà la quarta ondata, che si poteva evitare, compresa la determinazione spesso
suicidaria dei no vax, arriva per il cinismo dei media. Per la confusione
montata con insistenza sull’allarmismo, per
tenere calda la questione – cui infettivologi, epidemiologi, virologi si
prestano, benché forse medici, per esibizionismo. Fra i tanti decreti del governo,
peraltro, non uno per dare unità di indirizzo alla comunicazione. Per svegliarla
anche, dal soporifero inaffidabile professor Locatelli.
Non
c’è candidato meno proponibile alla presidenza della Repubblica di Berlusconi, per
una mezza dozzina di motivi. Ma non c’è candidato che più di lui ci creda. Se
(poiché) assicura che i 150 voti che gli mancano li racimola sicuramente.
Fa
ridere il ricorso presentato dal sindaco di Roma Gualtieri contro l’As Roma, la
squadra di calcio, per la mancata costruzione dello stadio di proprietà. Ma si
pagano così tanto i dipendenti del Campidoglio? Il buon sindaco infatti chiede
il rimborso delle spese sostenute per i dipendenti – con valori differenti per
ora lavoro tra dirigenti, funzionari e impiegati ex di concetto – per il numero
di riunioni con relativo cachet, nonché per il danno d’immagine, e per le “quote
emozionali” dei cittadini tifosi della Roma delusi. Guadagnano così tanto i
dipendenti del Campidoglio? Ecco perché Roma Capitale sempre in profondo rosso,
malgrado addizionali fiscali e tariffe sempre più elevate: giocano a fare lo
stadio.
Etichette:
Affari,
Informazione,
Ombre,
Si dice in città
Le avventure della smemoratezza
Uscito a maggio e
visto poco, il racconto pervasivo di alcune giornate di un vecchio padre afflitto
da demenza, che affligge la figlia accudente. Il primo film di Zeller, adattato
dalla sua pièce teatrale “Il padre”, premiato per questo con l’Oscar per
la sceneggiatura non originale, e per l’interpretazione di Anthony Hopkins. Un
film da camera, molto parlato, con poche immagini, e praticamente fisse, che però
si fa seguire, avvolgente se non coinvolgente – i suoi strani svolgimenti si sa
che sono effetto dell’alzheimer. Il tema musicale è di Ludovico Einaudi – con un
paio di ritornanti romanze, “Casta Diva” (Calas?) e “Je crois entendre encore”,
da Bizet, “I pescatori di perle”, quest’ultima da segnalare per il canto incredibilmente
perfetto di Cyrille Dubois .
Una curiosità è
che il film ha incassato in Italia un milione. Poco o molto? Considerando le
cautele imposte dal virus, si direbbe molto. Considerando che è stato in programmazione
tre mesi, in estate, quando il virus non era pericoloso, e che è piaciuto a
nove spettatori su dieci, sembra poco - come se gli Oscar e il passaparola non
avessero funzionato. Pagato l’omaggio al mostro sacro Hopkins, resta forse che
il tema è indigesto in Italia: parlare tanto o solo dell’infermità, la vecchiaia,
la solitudine, la morte, non piace – se non per riderne. Si spiegherebbe il
silenzio sulle leggi per la buona morte che si vengono imponendo: non è per
scongiuro ma per un fatto culturale. Si preferisce non pensarci, non pensare
alla morte inevitabile prossima ventura, alla disgrazia, alla menomazione, alla
paralisi, alla follia.
Florian Zeller, The
Father – Nulla è come sembra, Sky Cinema
mercoledì 29 dicembre 2021
Il mondo com'è (438)
astolfo
Novemberrevolution
–
A fine 1918, a guerra perduta, la Germania fu lì lì per ripetere la rivoluzione
riuscita in Russia un anno prima. Il 28 ottobre 1918, a guerra perduta, la Marina
tedesca decise di “salvare l’onore” con “una battaglia decisiva”. Ma i
fuochisti spensero il fuoco nelle caldaie, e le navi dovettero rientrare nei
porti. Gli ufficiali fecero allora arrestare seicento fuochisti e marinai. E la
rivolta si propagò ovunque. Fu la Novemberrevolution.
Che però a Natale era già finita, non durò due mesi. Solo restavano da
eliminare i capi, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg – già isolati all’interno
del movimento rivoluzionario, contro gli Spartachisti e contro i progetti di
costituzione di un partito Comunista (bolscevico).
Organizzazione
Consul
– Sta per esercito clandestino, informale, dei nazionalisti tedeschi dopo la sconfitta
del 1918, e il conseguente divieto alla Germania di disporre di un esercito. “Organizzazione
Consul” era il segretissimo gruppo armato tedesco contro l’occupazione francese
della Ruhr e i collaboratori tedeschi, e contro la repubblica di Weimar, contro
i “governi di adempimento” degli impegni sottoscritti negli accordi di pace. La
forza di O.C. declinò con le morti e le condanne seguite all’assassinio di
Rathenau, a fine giugno 1922, il movimento di resistenza essendosi trasformato
in terrorismo.
Fu
per tre anni un’organizzazione molto attiva e molto segreta, contro i francesi
nella Ruhr, specie contro i servizi segreti francesi, e contro i polacchi nel
Baltico e in Slesia. L’O.C. faceva capo al Capitano Ehrhardt, soprannominato
Consul von Eschwege nella latitanza seguita al putsch fallito di Kapp, ed era un settore dell’Abwehr, termine oggi
in uso per terzino nel calcio, all’epoca servizio d’informazioni del disciolto
esercito, passato in carico alla marina dopo Versailles. L’O.C. ebbe una forza
stimata di cinquemila uomini, divisi in cellule per territorio e attività. Si
specializzò nell’eliminazione dei tedeschi traditori, che erano di due specie:
cittadini e politici “separatisti”, filofrancesi, oppure “adempisti” del
trattato di pace: “I traditori cadranno per mano della Vehme”, diceva l’art. 1
del suo statuto.
La Sacra Vehme è un tribunale, supposto
del dodicesimo secolo, cantato da Goethe e Kleist, in cui un gruppo ristretto
di Uomini Liberi, Frei Herren, liberi di portare le armi, segretamente
condannavano ed eseguivano le condanne. I Frei Herren furono modello
irresistibile per i Corpi franchi: i proscritti venivano dalle saghe
islandesi, che inizialmente mettono fuori comunità i violenti, i quali però,
essendo i più forti, ritornano signori della tribù.
“L’arma
più temibile di O.C. era il fatto che O.C. non esisteva”, affermerà nei “Proscritti”, il romanzo che fa di
quell’avventura un’epopea, il terrorista poi scrittore Ernst von Salomon.
È quello che negli stessi anni diceva Nizan, il compagno di Sartre: “Il segreto della polizia è questo: la storia non esiste”. La
rivelazione di von Salomon veniva da Kern, suo compagno d’arme e poi assassino
di Rathenau, che così
si regolava: “Quando trovo uno che mi dice di appartenere alla O.C., so che è
un pazzo o un imbroglione o un funzionario di polizia”. Ma Kern, che von
Salomon sospetta molto intelligente, ne sapeva di più: “L’incomprensibile
diventa naturale se si riesce a classificarlo. Si prendano I Savi di Sion, il complotto internazionale del sionismo, della
massoneria e dei gesuiti”. Come a dire: il segreto è creativo.
L’O.C. fu simbolo
e mito del disciolto esercito tedesco nel Baltico e nella Ruhr occupata. Il suo
armamento fu agevole: chiunque donava volentieri le armi detenute in casa.
L’attività fu invece ingloriosa: il nucleo speciale di Heinz Oskar Hauenstein,
che gestiva la rete degli informatori, con una ricca cassa, era esso stesso
infiltrato: Hauenstein fu catturato dai polacchi, O.C. in Slesia riuscì solo a
prenderle. Declinerà evolvendo a terrorismo interno, fino all’assassinio di
Rathenau, a opera di Erwin Kern e Hermann Fischer, due ex ufficiali di Marina. Con
Kern era cresciuto alla politica e alla lotta armata il futuro scrittore Ernst
von Salomon.
Ernst von Salomon,
cadetto nei Corpi franchi, i gruppi militari di O.C., a sedici anni, resterà molto
legato a due dei suoi fratelli, il maggiore Bruno, operaio per scelta a
Amburgo, agitatore politico con un giornalino per un movimento di solidarietà
contadina, poi membro attivo della Kpd, il partito Comunista tedesco, e il
minore Günther, precoce nazista. Erwin Kern era apparso a Ernst quale Dio
giovane, possente, che da solo umiliava la Francia nella Ruhr occupata. Teneva
sul comodino cento boccette d’acque odorose, scriveva versi ermetici, centrava
con la pistola l’asso di cuori da cinquanta metri, ricavava esplosivi dai
rifiuti, organizzava reti terroristiche separate, in contatto con l’O.C., e
voleva il comunismo. Ernst e Kern si fecero membri di diciotto gruppi eversivi,
di ogni orientamento. Iniziarono in modo convenzionale, abbattendo un ufficiale
francese donnaiolo. Poi s’allargarono ai Sudeti e all’Alto Adige. E quando
crearono il proprio gruppo lo divisero in due: cinquanta nazionalisti e
cinquanta comunisti, con a capo “Edi”. Von Salomon resterà legato a Edi, alla
sua memoria, anche dopo l’assassinio di Rathenau.
L’assassinio portò
a una mobilitazione generale di piazza, e a un impegno particolare di polizia.
Che fruì di molte segnalazioni, e riuscì presto a individuare i due assassini in
fuga. Kern rimase ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia. Fischer, prima di uccidersi, adagiò su un letto il camerata morto,
interponendo “un foglio di carta da pacchi sotto i piedi, per evitare che gli
stivali sporcassero le coperte” - così “I
proscritti” celebrano l’episodio. O.C. era già finita, e a parte il
racconto di von Salomon, poco se ne è scritto.
Rodocanachi, Lucia – Genovese di
Trieste, nata Morpurgo, maestra di formazione, sposa in tarda età per l’epoca
(29 anni) al pittore genovese Paolo Rodocanachi, che la isolò ad Arenzano, “a
contatto con la natura”, lettrice furiosa fin dalla prima adolescenza, negli
anni 1930 e subito dopo la guerra aiutò molti scrittori a tradurre
dall’inglese. Tra i più noti Vittorini, Montale, Sbarbaro, forse anche Gadda,
col quale ebbe intensa corrispondenza. E fu in contatto frequente con Bobi
Bazlen, altro triestino, che figura il maggior talent-scout letterario del
primo Novecento. Aiutava gli scrittori a tradurre al modo che Foscolo epigrammatico
diceva di Vincenzo Monti: “Questi è Monti poeta
e cavaliero, gran traduttor dei traduttor
d’Omero”.
Gli
scrittori in titolo si limitavano a rivedere, a volte, le traduzioni di Lucia
Rodocanachi. Che pagavano poco e quando proprio non potevano farne a meno. Tradurre era in quegli anni – non era diffusa allora, non era richiesta, la
collaborazione giornalistica – l’unico modo per gli scrittori di sopravvivere
con qualche autonomia. Oltre che con le traduzioni, Licia Rodocanachi era anche
sollecita con la convivialità, pronta a cucinare per chiunque fosse di
passaggio a Arenzano. Un suo carnet degli ospiti ne elenca numerosi,
ripetutamente, specie la domenica: Sbarbaro, Gadda, Montale, Bazlen, Mario
Ziino, Mafai, Ferrata, Vittorini, Giovanni Ansaldo.
Il
lavoro di traduzione di Lucia restò sempre anonimo: il suo nome non venne mai
citato nelle opere a cui aveva lavorato, a volte (Lawrence) da sola, per
l’integralità dell’opera.
astolfo@antiit.eu
La Secessione s'illumina di Klimt
Una grande mostra,
su tre temi. Klimt, presente con alcune pitture celebri, molti disegni, e
alcune grafiche. La Secessione a Vienna. La Secessione a Roma. Con molta
Italia: animatore e spirito guida della Secessione a Vienna a fine Ottocento, e
poi, prima della Grande Guerra, a Roma, Klimt si legò molto, quando già era
artista riconosciuto, all’Italia. A Venezia per lunghi periodi, protagonista anche
di alcune Biennali di pittura, a Ravenna, che molto lo influenzò, e poi a Roma,
dove molti furono da lui influenzati.
Una mostra
documentaria, molto bene presentata. Comprese le immagini in movimento,
cinematografiche, delle due città, Vienna e Roma, negli anni delle rispettive Secessioni.
Un movimento artistico poco felicemente produttivo. Se non per le geometrie, e le luminosità, di Klimt. Non in pittura – se
non come movimento di rottura con l’oleografia ottocentesca. Di più nella
grafica e le arti plastiche, scultura, vetro, architettura.
Klimt, la
Secessione e l’Italia,
Musei di Roma a palazzo Braschi
martedì 28 dicembre 2021
La coda del diavolo
Si moltiplicano
d’inverno i contagi
Nelle file lunghe
di ore in coda
All’addiaccio per
sapere se?
Il partito degli affari
Al Pd manca una lettera, il Partito
Degli Affari? Non ha fatto nulla la giunta Gualtieri in due mesi a Roma: spazzatura?
trasporti? Ha però trovato il tempo subito di favorire gli affari: il grande commercio
e il trasporto privato, dei trasportatori privati. Ha chiuso il Centro Storico al
traffico per il mese delle spese e del turismo natalizi, con la scusa
dell’ambientalismo, che tutti sanno coprire l’ecommerce e i centri comerciali. E
ha decretato una serie di domeniche ecologiche, anche quelle con l’intento di
favore l’ecommerce, che viaggia comodo su auto elettriche.
Non è da ora, è da sempre che il Pd
favorisce gli affari, i grandi interessi. Sotto le bandiere della modernizzazione.
Dalle lenzuolate di Bersani, ora arcigno comunista trinariciuto, che annientarono
il negozio sotto casa, contrassegno della civiltà italiana, della vita a piedi,
a vantaggio dei grandi centri commerciali. Che non offrono migliore qualità né
prezzi calmierati, ma sono monumenti ai non-luoghi, dove recarsi in automobile,
meglio se suv. Tutto il contrario dell’ambientalismo – la contraffazione della
storia, che parallelamente l’altro compagno Berlinguer cancellava dagli
studi. Big business. Lo stesso ora, con
l’elettrificazione forzata della circolazione. A spese dello Stato, cioè nostre
L’inquinamento auto andava e va combattuto col trasporto pubblico, ma di questo
solo annunci.
Le lenzuolate e le chiusure sono effetti
di stoltezza o di corruzione? Di stoltezza no, ci sono teste pensanti dietro. E
comunque la corruzione finisce che bisogna augurarsela, tanta stupidità sarebbe
angosciante.
Le pene di Dante per l’Italia – per pochi
La ricostruzione
del disegno politico e delle disillusioni di Dante – proscritto per un’accusa infamante,
baratteria, il traffico della pubblica influenza, per la quale bastava una
denuncia senza obbligo di prova: la giustizia moderna è nata così in Italia. Dello
scontro tra i Guelfi Bianchi, il suo partito, e i Guelfi Neri di Corso Donati, avventuriero
fino al tradimento. Del papa Bonifacio VIII che si rifiuta di riceverlo in
missione di pace. Dell’umiliazione del papa (lo schiaffo di Anagni”) da parte
dei francesi di Filippo il Bello da lui sempre favoriti. Della speranza e le
delusioni dell’imperatore Enrico VII. Una ricostruzione possente, dai temi e
toni ben tagliati, nonché filologicamente corretti.
La ricostruzione, sintetica
ma precisa, e ben spiegata, è affidata a tre studiosi di storia del
Medio Evo in università straniere, due dei quali giovani professori italiani all’estero - tra essi Elisa Brilli dell’università di Toronto. Per caso? Perché altrove si
sa parlare giusto per dire le cose?
Il primo di una serie
di tre docufilm, promettente. Una serie ideata da Ric Burns, specialista dei
documentari storici, scritta con Riccardo Bruscagli (“Dante contemporaneo”),
che ha già per Zanichelli scuola un “Commedia multimediale”. Ma visto da poche persone,
pochissime – forse per una promozione inadeguata?
Jesus Garcés
Lambert, Dante, il sogno di un’Italia libera, Rai 2
lunedì 27 dicembre 2021
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (478)
Giuseppe Leuzzi
“I basilischi”,
film d’esordio di Lina Wertmüller, dopo l’assistenza alla regia di Fellini per
“La dolce vita” e per “81/2”, racconta di tre giovani della piccola borghesia
di provincia tra Basilicata e öPuglia che non si adattano all’Italia del boom,
del “lavorerio”, e alla vita in città. È un film del 1963, di “vitelloni” non
per ridere ma già attardati, perché già i giovani del Sud erano tutti a Roma e
nelle altre città, per lavoro o per studio – non si contano i professionisti di
origine meridionale tra Milano e Roma.
Porci
gli altri
“Marie Grubbe”, il romanzo nazionale danese di Jens Peter Jacobsen,
mette in scena agli inizi, ambientati in una delle guerre tra il regno di Danimarca-Norvegia
e il regno di Svezia, l’odio contro gli svedesi. In questi termini: “Rubano e
rapinano, sanno essere peggio dei corvi e dei furfanti; e poi sono assassini!
Non per nulla si dice: lesto di coltello come uno svedese”, “E sono di facili costumi!
Non c’è una volta che il boia caccia una donna a frustate dalla città e uno
chiede di che si tratta e si sente rispondere che è una troia svedese”. “Tra i
popoli lo svedese è come il cercopiteco tra le bestie senza ragione, ha una
tale libidine che la naturale ragione, donata da Dio agli uomini, nulla può
contro i suoi cattivi istinti e i suoi peccaminosi desideri”. “Lo svedese ha
un odore così acre, come le capre o l’acqua di pesce. È il puzzo dei suoi umori collerici e
bestiali, è”. “Una notte di luna nuova un intero reggimento, mentre erano in
marcia e si fece mezzanotte, si disperse correndo come lupi mannari e altre
creature del diavolo, ululando per boschi e paludi, aggredendo persone e bestie”.
“Sono stregati, sono, possono resistere alle palle di fucile, non li ferisce il
piombo né la polvere, e la metà di loro porta il malocchio…”
La seconda
parte del secondo Millennio conosce molti di questi odi, di cui si è nutrito
il costituendo nazionalismo: tra francesi e inglesi dapprima, nel proemio, poi
tra olandesi e portoghesi, tra inglesi e olandesi, tra Francia e Germania a
lungo, tra Italia e Austria nel Risorgimento, con disprezzo reciproco. La
tirata, che Jacobsen fa recitare a gente del popolo, è una di queste. Ma fa
senso sentire degli ammiratissimi svedesi queste parole. È diverso, appena
fatta l’unità e ancora oggi, tra Nord e Sud dell’Italia?
Un
mondo di due metà
“Nord
contro Sud” è un saggio che l’“Economist” di fine anno fa firmare
eccezionalmente (il settimanale mantiene la formula tradizionale, ottocentesca,
degli articoli non firmati) al “Columnist Chaguan”, il corrispondente da cinque
anni dalla Cina, David Rennie. Su un tema che lo incuriosce, avendo trovato la
divisione Nord-Sud ovunque abbia lavorato in venticinque anni di professione. Tra
essi “Chaguan” mette l’Italia. C’è il Belgio per primo. Poi viene la Spagna.
Poi c’è l’Italia. Con gli Stati Uniti naturalmente. E con la Cina – “Pechino e
Dongxing” è il sottotitolo, la capitale al Nord e il villaggio turistico
all’estremo Sud, al confine col Vietnam: “I cinesi amano gli stereotipi”.
C’entra anche il Vietnam. E l’Australia, con l’asse invertito, il Sud vi figura
posato e “superiore”.
Ovunque
la divisione è tra Nord e Sud. Il Nord ovunque operoso, anche onesto, il Sud
fanientista, e corrotto (evasione fiscale, abusi sulle provvidenze pubbliche
e gli appalti, mafie). Un pregiudizio europeo agli inizi, esportato col
colonialismo, specie nelle Americhe. Rafforzato a fine Ottocento con la teoria
weberiana che il capitalismo (industriosità, attivismo, risparmio, accumulazione)
fosse protestante - e, sottinteso, non cattolico. Una partizione che grosso
modo in Europa corrisponde a Nord e Sud, e altrove come tale è stata riprodotta.
Una
teoria, questa di Weber (ma Weber per la verità non lo dice, il capitalismo è
ben cattolico, alle origini e per molto tempo), che, scrive Rennie, “con molti
anni di esperienza di lavoro in America”, non ha fondamento. Ma, tutto sommato,
“gli stereotipi Nord-Sud sono prevalentemente una peculiarità europea”. Perfino negli Stati Uniti, un paese che per
molti aspetti sembra ancora quello della guerra civile, il Sud si presenta
molto vario, e anche composito come popolazione – etnicamente e socialmente.
A
Dongxing un commerciante di legnami che lavora col Nord del Vietnam, col
governo che gli consente di “passare sopra le leggi” sul taglio dei grandi
alberi del tek, non fa che vantare il Sud del Vietnam, la cucina di Saigon, le
donne eccetera. Da cinese dell’estremo Sud.
È
di Simenon, 1950, il modello mafia
Il fratello maggiore maggiorente in
Florida: bella vita, bella moglie, belle figlie, rispettabile e rispettato, dai
suoi danti causa, e anche dallo sceriffo, gestisce tutto il Golfo del Messico.
Il fratello minore è un killer. Il fratello intermedio ha l’hobby delle
automobili. La gestione è di supermercati, bar-caffetterie, ristoranti, posti
dove i contanti circolano ampiamente. Tutt’e tre i fratelli hanno casellario
giudiziario immacolato, senza carichi pendenti, e senza impronte digitali. Da essi si pretende di tanto
in tanto un servizio, oltre alla percentuale sugli incassi: un pedinamento, una
spiata, un “avvertimento”, un assassinio. Non si chiama mafia. Né Cosa Nostra,
trovandoci in America, il romanziere (si tratta di un romanzo) la denomina “organizzazione”.
Sono gli anni 1950, ma già non si facevano nomi al telefono. E c’è anche il “pentito”,
per amore – è il fratello killer, che ha molto da farsi perdonare dalla
giustizia. Con seguito di faide, familiari
e non, che mafia altrimenti sarebbe. In un ambiente corrotto: il pizzo lo
pretendono anche i politici, e gli sceriffi.
Tutto
ciò si legge ne “I fratelli Rico”, storia “dura” del Simenon americano, quando
passò qualche anno in America, dal 1945 al 1955 – il romanzo è del 1951. Al soggiorno
obbligato in Provenza alla Liberazione, aprile 1945, imputato di collaborazionismo,
per avere publicato i suoi romanzi in giornali filo-tedeschi e averne ceduto i
diritti di trasposizione cinematografica alla società tedesca Continental,
Simenon era riuscito ad ottenere da burocrati amici un visto d’espatrio in Canada
per la promozione del libro e del cinema francesi, e a ottobre era passato con
la moglie a New York. Dove era stato accolto da un professore di letteratura
francese, Justin O’Brien, che era stato a Parigi responsabile dei servizi
segreti americani – già sul finire della guerra il nemico era diventata l’Urss,
e i simpatizzanti di destra venivano recuperati.
L’antipatizzante
Simenon, irresistibilmente anti-yankee negli scritti di viaggio dieci ani
prima, si fece così per dieci anni americano, e non si può dire che non si
applicasse. Tutto il repertorio delle storie di mafia di vent’anni dopo è qui, di
Puzo, Talese, Mailer, Coppola, Leone. Nonché dei tardi imitatori italiani. Con
qualcosa anche di più: la madre, con la vecchia nonna - figure che la successiva
mafiologia eroicizzante a torto trascura.
Escher
e no
La Calabria è – con la Toscana – la regione che più
ha ispirato Maurits Cornelis Escher, il maestro della Optical Art, l’incisore
che ha creato nuovi modelli grafici - l’Einstein della grafica - che attraggono
e ispirano fisici, matematici, logici, uno dei tre pilastri del monumentale “Gödel,
Escher, Bach, un’eterna collana brillante” del fisico-matematico e logico Douglas
Hofstädter. Ma non ne ha cura: né Morano né gli altri luoghi dove Escher soggiornò
e lavorò, Pentedattilo, Scilla, Tropea, Rossano, la superba Rocca Imperiale, che
pure ha un castello federiciano da valorizzare, se ne sono ricordati per i cinquant’anni
della morte fra due mesi – se ne è ricordata solo Genova, dove Escher fu per caso,
per poche ore, scendendo la prima volta dall’Olanda.
È vero che i calabresi sono poco cordiali – si dicono
ospitali, ma non subito, sono diffidenti. Almeno a giudizio di Escher. Che in gita
con tre amici nell’entroterra di Melito Porto Salvo, a piedi e affardellati, non
disponendo di un mulo, “sudando maledettamente e molto affaticati, dopo una
stancante escursione sotto il sole cocente”, trova alla locanda un’accoglienza
ostile: “Conoscevamo da tanto tempo il modo di fare poco socievole dei calabresi,
ma una reazione ostile come l’abbiamo conosciuta quel giorno non l’avevamo fino
allora mai vissuta. Alle nostre domande amichevoli non ricevemmo altro che
risposte scontrose e incomprensibili”, etc.
Il problema è che non è diverso pur non essendo
Escher.
leuzzi@antiit.eu
Il capolavoro al cinema viene per caso
Il vecchio
produttore che non ne ha mai imbroccata una, reduce dall’ultimo fiasco, che lo
ha lasciato indebitato con le mafie finanziatrici, ma innamorato del cinema (a
nessun prezzo cede un copione che giudica il più bello del mondo), scopre che
può saldare i debiti, e anche arricchirsi, senza fare nulla: impiantare una
produzione, assicurare il protagonista per un milione di dollari, e assicurarsi
che muoia al primo ciak, così si risparmia pure. Le cose naturalmente non andranno
così, ma il vecchio De Niro ne uscirà ugualmente gratificato: coincidenze e circostanze
gli regaleranno infine il capolavoro, e molti soldi. A lui e ad altri gradevoli
vecchietti, Morgan Freeman, il capomafia, e Tommy Lee Jones, il vecchio cowboy
strappato alla roulette russa nella casa di riposo per artisti falliti.
A partire dal
titolo, una gradevole presa in giro di molti cliché – anche audace: forse per
un pubblico non americano? La buona morte impossibile. Il capomafia nero - ci
vuole parità di trattamento. Il cowboy con sangue indiano. Il regista, come dev’essere,
femmina e bella, anche se un po’ tonta o inesperta. Nonché del modo di fare
cinema, dove l’esito è del tutto casuale.
Un remale del
titolo omonimo (“The Comeback Trail” in originale) di quarant’anni fa, di Harry
Hurwitz, con la ricetta del film di culto – farebbe ridere anche De Niro se parlasse meno.
George Gallo, C’era
una truffa a Hollywood, Sky Cinema
domenica 26 dicembre 2021
Letture - 476
letterautore
Bella
donna – È urbanità, segno di distinzione. L’inno omerico detto
“A Gea”, ricorda che sulla Terra presto “i solchi della gleba che danno vita
sono carichi di frutti, nei campi prospera il bestiame e la casa si riempie di
ricchezze e essi (gli uomini, n.d.r.) governano con giuste leggi le città dalle
belle donne”.
Biblioteche
– “Consiglio un viaggio nelle biblioteche storiche
d’Italia. Si può cominciare con quella Vaticana”, consiglia qualcuno ai lettori
del “Robinson”. Un buontempone? Come se per l’acceso alle biblioteche, a
qualsiasi biblioteca, non ci volesse una pratica notarile. Le biblioteche sono
per (il riposo de)i bibliotecari.
Cannavaggia – Simenon a Panama incontra un Cannavaggio, corso, maitre-d’hôtel, che ha prosperato in proprio ed è il
riferimento dei viaggiatori e anche del Paese. A l femminile, il nome ricorre
con Maria Cannavaggia, nata in Francia da padre corso, traduttrice dall’italiano
e dall’inglese, “segretaria letteraria” di Céline per venticinque anni, dal 1936
al 1961, alla morte dello scrittore – poi estromessa dalle riedizioni e dalle
opere postume da Lucette Almanzor, la vedova di Céline erede dei diritti, della
quale Marie era stata a suo modo gelosa. Subentrata alla prima segretaria letteraria,
Jeanne Carayon, che aveva curato il “Viaggio al termine della notte”: quattro
anni più tardi, per Morte a credito”, Carayon era indisponibile, vivendo negli
Stati Uniti, e aveva suggerito Marie Canavaggia, sua compagna di liceo.
Marie non
leggeva i manoscritti, che venivano battuti a macchina da copisti professionali:
lavorava sulle bozze, con interventi solitamente minimi, ma sempre rilevanti per
Céline. Che usava correggere molto. La segnalazione di grafie o parole che
Marie trovava non consone trascinava complesse corrispondenze. “Non ci sono piccoli
dettagli che mi possano stancare”, le scriveva Céline, “Li voglio tutti! La
minima virgola mi appassiona”. Ne assunse anche la difesa, e la rappresentanza
presso gli editori, negli anni della disgrazia politica, dopo la guerra. Nel
dopoguerra collaborerà anche con Jean Dubuffet, ammiratore di Céline.
L’epistolario con
Céline (tradotto in italiano in edizione moto raccorciata, un quarto
dell’edizione totale) dà la spiegazione forse migliore del modo di lavorare dello
scrittore, della sua “musichetta”, del ritmo della frase. “Se decideva di cambiare
una parola”, spiegherà Marie in sintesi, “non si accontentava di sostituirla
con un’altra. . Ricomponeva interamente la sua frase, qualche volta anche le
frasi circostanti, secondo le esigenze della sua «cadenza»”.
Come traduttrice
dall’italiano esordì con Arturo Loria, narratore oggi dimenticato, col racconto
breve “Il muratore stanco”. Più che traduttrice fu mediatrice culturale: sceglieva
da sé le opere da tradurre e poi cercava l’editore interessato. Propose in Francia
il migliore Hawthorne. Dall’italiano propose nel primo dopoguerra Giotto Dainelli,
Soldati (“America primo amore”, “L’affare Motta”), Piovene (“La gazzetta nera”,
e un racconto che intitolava “Histoire de Marcos”), Santucci e, nel 1962, Moravia
(“Agostino”). In precedenza, dopo Loria, aveva proposto Gian Dàuli (“La rua”, “Cabala
bianca”). E “Lo Stato corporativo” di Bruno Biagi, il successore di Dino Alfieri
al segretariato delle Corporazioni.
Dante
– È anche inventore, del linguaggio. Si sapeva. Ma
scorrendo il prontuario delle sue novità, che Gianfranco Lotti pubblica col
titolo “Come insultava Dante”, si viene sorpresi d alla quantità delle novità.
Febbre da cavallo – “Il più grande
film della storia della cinematografia italiana”, lo dichiara Bonvissuto,
tifoso della Roma calcio - uno, per intendersi, che l’ultima soddisfazione l’ha
avuta dall’odiato Capello, un altro eocene. Il più grande, come si fa a dire?
Però.
Gogol – Si può dire un no vax antemarcia: si lasciò morire a 43 anni, in ospedale a Mosca, rifiutando di farsi curare. Non per follia, ma per una forma di devozione radicale, una crisi religiosa che lo aveva portato a insistiti digiuni in conto di penitenza.
Lubecca – La casa borghese della città nel
tardo Seicento, mezzo secolo prima della fondazione della casa Buddenbrook, è
così descritta da Jens Peter Jacobsen in “Marie Grubbe”, nella fase in cui la
protagonista, ricca ereditiera, viaggia: Marie con la domestica Lucie “camminavano
avanti e indietro nel grande ingresso che c’era in tutte le case di Lubecca, a
un tempo corridoio e soggiorno, stanza da gioco per i bambini e teatro della
maggior parte delle attività manuali, talvolta anche sala da pranzo e
dispensa”. Un locale che dava sulla strada, come un grande ingresso: “Il locale
in cui si trovavano era usato quasi esclusivamente nelle stagioni più temperate,
perciò ora c’erano solo un lungo tavolo decapato, alcune pesanti sedie di legno
e un vecchio armadio. In fondo erano state montate delle spaziose mensole di
legno che ospitavano verdi file di cavolo cappuccio su rossi mucchi di carote e irti mazzi di
rafano.”
Petrolio – “Quel residuo fossile di milioni
di esseri viventi vissuti in un remoto passato che chiamiamo petrolio”, Giorgio
Agamben, “A che punto siamo?”, 98.
Poe – “Lo straordinario, in questo scrittore,
è la sua sobrietà”, Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”: “Malgrado la loro
austerità matematica, le figure sono in lui figure del destino, ciò che le
riveste di una magia sena pari” – o non per la loro austerità matematica?
Primati – In morte di Joan Didion Monda
celebra su “la Repubblica” “quell’aristocrazia intellettuale americana di tradizione
irlandese cattolica, che ha rappresentato il contraltare di quella ebraica,
speso fondendosi ad essa per dar luogo a
quel magma entusiasmante che è stata la cultura americana del Novecento”.
E il resto, nero, bianco wasp, del S ud, cattolico senza essere irlandese, non
piccolo? Etnia e religione sono fattori importanti nella vita e l’opera degli
scrittori, da considerare quindi negli apparati critici, ma non fattori
divisivi, separati. Caratterizzanti, forse, alcuni o alcune opere, ma non
qualificanti: si scrive la lingua, nelle sue diverse articolazioni.
Viaggiare - “Senza esagerare”,
scrive Simenon, viaggiatore compulsivo, a conclusione di un lungo reportage su Tahiti (“Al margine dei meridiani”), “forse
potremmo dire che si viaggia per compilare l’elenco dei paesi in cui non si avrà
più voglia di mettere piede”. Dopo aver scoperto che Gandhi aveva un negozio di
souvenir per turisti. E che nell’igienizzata America delle sue letture l’immondizia
fermentava nei cassonetti scoperti, e qualcuno vi faceva pipì sopra. “Senza esagerare”,
continua, “forse potremmo dire che si viaggia per compilare l’elenco dei paesi
in cui non si avrà più voglia di mettere piede”. Forse. Perché in America
Simenon tornerà, dieci anni più tardi, per dieci anni.
letterautore@antiit.eu
Volemose bene in tangenziale
Milani il regista e
Albanese il protagonista hanno difficoltà a presentare questo bis, al “Cinemaniaco”
di Gianni Canova su Sky: il seguito è meno sorprendente, la sorpresa è stata lo
sbarco di Roma Nord a Roma Nord-Ovest, non lontane ma molto divise. L’incontro
fra due realtà così diverse, nella stessa città. È difficile, non c’è precedente,
bissare un film di culto.
L’incontro fra il
buon borghese Albanese e la borgatara Cortellessi ha già un binario fisso, di
cui c’è solo da sgranare alcuni episodi, peraltro prevedibili – la strana coppia
andrà o no a letto? Scontate anche le imprevedibili gemelle ladrone, che
parlano all’unisono. La scena è rubata, nelle pause, dalle caratterizzazioni,
di Sonia Bergamasco (l’ex moglie), Claudio Amendola (l’ex marito), Luca
Argentero (il prete).
Inevitabilmente
stinto l’uomo buono Albanese. Cortellessi rimedia col look plebeo, oltraggiosamente
scomodo, e la parlata. Si ride poco. Coccia
di Morto, la spiaggia della vera Roma di borgata, non pasoliniana, ritorna scontata.
È un gradevole film natalizio, di buoni sentimenti e lieti fini. Del dialogo
possibile tra ceti diversi, come dice Milani a Canova. La pandemia vuole forse
unanimismo. Molte parole sono a prestito da papa Francesco.
Pesa forse pure la cronaca. Le
gemelle cleptomani sorprese a taccheggiare al centro commerciale. O Coccia di Morto vittima di Legambiente. Nel
2016, l’anno prima del film di culto, ne faceva la spiaggetta più sporca d’Italia,
sotto una quantità enorme di cotton fioc, l’83 per cento di quelli ritrovati nella
penisola. Se non che la stessa Legambiente la celebra anche nella Riserva Naturale
Litorale Romano, “grande oltre 16 mila ettari, la più grande area protetta affacciata
sul Mediterraneo”.
Riccardo Milani, Come un gatto
in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto, Sky Cinema
Iscriviti a:
Post (Atom)