Giuseppe Leuzzi
Presentando la riedizione di “Fuoco all’anima”, le conversazioni tra suo padre Domenico Porzio e Sciascia, il musicologo Michele Porzio trova per gli interlocutori questa sintetica definizione: “Entrambi originari del Meridione, sebbene di parti, la Campania e la Sicilia, che più dissimili non potrebbero dirsi, l’una d’impronta gioviale, l’altra saturnina”.
L’autostima
è il miglior capitale
Si assiste sbalorditi
al primo ministro inglese Boris Johnson, scarmigliato più del solito, che si
scusa ai Comuni di avere organizzato un party di cento persone, nella piccola residenza
di Downing Street, con l’invito “bring your bottle”, porta la bottiglia, di gin, di whisky, contraddicendo le sue ordinanze anti-assembramento. Un po’ perplessi
anche, che i deputati inglesi le accettino per buone, le scuse. Anche perché Johnson,
non da ora, sembra un buffone più che un primo ministro – un fool, un buffoncello,
che balla ogni ballo, ora europeista ora anti, ora pacifista ora guerriero, ora
maschilista ora femminista. Ma è bene il primo ministro della Gran Bretagna, di
maggioranza solida, di numeri e di nervi.
Anche i reali
d’Inghilterra sembrano strani. La regina piange un marito che le ha mancato in
continuazione di rispetto. Dei loro quattro figli, tre sono, usava dire,
scapestrati. Uno ha sposato contro la sua volontà una ragazza, salvo tradirla uscendo
di notte dal palazzo nascosto nel vano bagagli per andare dal suo amore di sempre,
una matura signora sposata. Una si è messa col suo istruttore di equitazione. E
uno, benché sposato a una donna, per quanto aristocratica, piuttosto godereccia, preferiva
andare a puttane, minorenni.
Ciononostante
la nazione, l’Inghilterra perlomeno se non il Regno Unito, è ben solido: nessuno si fa un
problema. Il settimanale “The Economist”, testo sacro del liberalismo, che anni
fa fece una copertina su Berlusconi, “è quest’uomo adatto a governare
l’Italia?”, non ha fatto, nonché una copertina, un articolo su Johnson, “è quest’uomo
adatto a governare la Gran Bretagna?”.
L’autostima regge anche il dileggio.
Milano,
la giustiziera d’Italia
Il
“Financial Times” fa un lungo servizio su Rocco Commisso, l’imprenditore americano
di Marina di Gioiosa Jonica che ha rilevato la squadra di calcio Fiorentina. Un
personaggio evidentemente di rilievo, per il pubblico internazionale del
quotidiano.
Fondatore
nel 1996 di una società di telecomunicazioni via cavo, attiva nelle regioni
meno popolose degli Stati Uniti e per questo trascurate dalle grandi compagnie (partendo,
ricorda, dal deserto del Nevada, dalla Valle della Morte), “oggi Commisso,
secondo ‘Forbes’, è la 352ma persona più ricca del pianeta”, questa la presentazione,
“con una ricchezza stimata in 7,2 miliardi di dollari”. Ha investito nella Fiorentina
in poco più di due anni 340 milioni di dollari: 170 per l’acquisto, 80 per
coprire perdite vecchie e nuove, specie causa covid, e 90 per un centro
sportivo a Bagno a Ripoli, il Viola Park, 25 ettari di cui 22 disponibili –
“sarà il primo bene di proprietà del club”. Ha investito nel calcio, spiega,
nei Cosmos di New York e ora nella Fiorentina, per una sorta di debito verso lo
sport che gli ha consentito di studiare e farsi imprenditore. Emigrato da
Marina di Gioiosa a 12 anni, per raggiungere il padre a New York, si è pagato gli
studi, fino alla Columbia University, con le borse in quanto animatore della
squadra di calcio dei college. Ha partecipato anche alle selezioni per la
squadra olimpica 1972, l’Olimpiade di Monaco di Baviera, ma era fuori forma – “fumavano
negli spogliatoi”, ricorda.
Il
padre, arruolato nella seconda guerra mondiale, fu prigioniero dopo Alamein delle
truppe inglesi per cinque anni. Commisso, nato dopo la liberazione, nel 1949, sarà
chiamato Rocco Benito. Ma come ex prigioniero di guerra degli Alleati il padre
aveva titolo preferenziale a emigrare negli Stati Uniti, e ne approfittò. Lasciando
la moglie e quattro figli a casa, “con un dollaro al giorno”, dice Commisso,
“neanche. Dovevi farcela. Ma non mi sono mai sentito povero”. Nel 1961
raggiunse il padre.
Commisso
non è contento dell’investimento. Troppi trucchi, lamenta, con i procuratori, e
troppa burocrazia. Per il Viola Park gli hanno fatto raddoppiare l’investimento,
tra ritardi, varianti, vincoli di vario ordine, storici, architettonici, archeologici,
e secondo lui non è finita. Troppe beghe
di procure e agenti, con troppi soldi ballerini, insomma, quello che si sa, il
calcio è furbo infetto. Ma non è questo il punto.
Una
pagina abbondante del “Financial Times” per raccontare Commisso, assortita di numerose fotografie. Il
quotidiano ha incaricato dell’intervista il suo capo della redazione sportiva,
Murad Ahmed. Ahmed ha passato due giorni a Firenze, per entrare nei problemi
della Fiorentina e nello spirito del personaggio, e ha fatto successivamente
l’intervista in “un lungo pranzo”. Commisso chiede di rivedere il testo prima
della pubblicazione. Ahmed obietta che questa non è la politica del giornale. E
Commisso si dice: “Allora dovrò stare attento”. Ma poi si esprime in libertà.
Per
la “Gazzetta dello Sport”, invece, chi è Commisso? Il quotidiano milanese lo ha liquidato mesi fa, con il vice-direttore Andrea Di Caro: “Questo don Rocco più che da un grande gangster movie di Coppola
o Scorsese pare uscire da un film «poliziottesco» all’italiana di serie
B”.
Il
“Financial Times”? Milano c’incarta il pesce.
Il
viaggio, tra fratelli
Sollecitato
da Domenico Porzio (“Fuoco all’anima”) con lunghi e ripetuti riferimenti al “Viaggio
in Sicilia e a Malta” di Patrick Brydone, il reportage in forma di
lettere, inviate al cav. William Beckford of Somerley, pubblicato nel 1773,
Sciascia risponde infine con una precisazione: “Lo trovo un bel libro, ricco di
notizie e molto attendibile anche per i riscontri che si trovano nelle parole
di altri viaggiatori. Tutti costoro, secondo me, hanno in comune un elemento
che non è stato abbastanza indagato: sono massoni. Brydone era massone, e chiunque venisse qui,
lo faceva con commendatizie massoniche. Si trovavano in un ambiente fraterno.
Erano massoni anche i prelati….”
William
Beckford of Somerley (da distinguere dallo scrittore gotico) è classificato
imprenditore e scrittore giamaicano, pur vivendo il più del tempo in Europa,
tra Roma, la Svizzera e Londra. Qui definitivamente, avendovi sposato la cugina
Charlotte Hay. Con una lunga parentesi in Giamaica, piantatore di canna da
zucchero nei terreni ereditati dal padre Richard – un’esperienza finita col
carcere per debiti. Tornato a Londra scrisse due libri sulla Giamaica, “Situations
of Negroes in Jamaica”, e “Account of the Island of Jamaica”. Accompagnato da
Brydone aveva fatto nel 1767, a 23 anni, il primo viaggio in Europa, Italia compresa.
Era nato in Giamaica figlio illegittimo, perché il padre Richard e la madre, Elisabeth
Hay, vissero da conviventi.
Brydone,
scozzese, scienziato autodidatta come era la moda dopo Benjamin Franklin, con
alcuni esperimenti di elettricità, poi militare, col grado di capitano, nella Guerra
dei Sette Anni, a partire dal 1763, a 27 anni, s’inventò e praticò la
professione di travelling tutor, di accompagnatore dei ricchi visitatori
in Europa, dapprima con sede in Francia, poi, dal 1764, a Losanna. Prossimo ai
cinquant’anni smise di viaggiare, si ritirò a Londra, si sposò, e fece tre
figlie.
Viaggi
laici, dunque. Da qui forse il rilievo che danno alle pratiche di devozione.
Ma,
con l’inciso “attendibile anche per i riscontri” di altri viaggiatori, Sciascia
si lascia sfuggire il dato forse preminente dei tanti libri di viaggio al Sud:
che molto è riscrittura, i viaggiatori s’informavano soprattutto da chi li
aveva preceduti. Come molti inviati speciali quando c’era ancora questa
professione nei giornali: molti partivano con l’archivio (uno, piuttosto
famoso, mandò un’intervista – che venne pubblicata - di una pagina con un
cardinale morto da un anno, collazionando i ritagli: il lavoro dell’archivio
era in arretrato).
Mafiologia
Organizzato. “Si
dice così, si diceva così nei ghetti, nei Lager, in tutta l’Europa nazista. Una cosa
che uno si procura illegalmente si chiama organizzata”, Primo Levi, “Se non
ora, quando?”, 32. Questa è sfuggita agli aedi della mafia, farne la vittima,
legarla alla Resistenza.
“Per
me la sociologia è una scienza inesistente”, afferma Porzio in conversazione
con Sciascia (“Fuoco all’anima”, 70). Sciascia conviene: “E ne discendono tante
cose, perfino la mafiologia!”. “Esiste la mafiologia?” “Esiste. Esistono
cattedre”. “Cattedre di mafiologia? E dove sono? “Ce ne sono un po’. Credo che
ce ne sia una all’università di Bologna. Insomma, si arriva al punto
d’insegnare la mafia quando non c’è un solo documento scritto!”.
La
conversazione si svolgeva nell’autunno del 1989, qualche settimana prima della
morte dello scrittore. Poi le cattedre di mafia e criminalità si sono
moltiplicate.
“La
paura non si combatte con nuovi preparativi di guerra ma con la scoperta di
nuovi accessi alla libertà”.
“La
sovranità si trova meno, ai giorni nostri, nelle decisioni generali che nell’uomo
che abiura la paura nel suo intimo”.
“Gi
avversari finiscono per somigliarsi, al punto che non è più difficile
indovinare in essi la mascheratura di un solo e unico potere”.
Ernst
Jünger, “Trattato del ribelle”, § XVII.
leuzzi@antiit.eu
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