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A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (481)
Giuseppe Leuzzi
Domenico Porzio fa grande caso, discorrendo con Sciascia per il libro-intervista “Fuoco all’anima”, dei viaggiatori stranieri al Sud nel secondo Settecento e nell’Ottocento. Ogni volta dovendo premettere che sono attendibili e informativi. In realtà no, se non per l’aneddotica urbana, di personaggi curiose e vicende strane. Il Sud viaggiato è pittoresco.
È però anche vero che è l’unico Sud che possediamo, del Sette-Ottocento. E del Novecento?
Sulle cento maggiori aziende eco-oriented italiane solo tre sono del Sud. Eppure ci sono molti soldi gratis (incentivi, benefici fiscali) se si punta sul “verde”, italiani ed europei. Si vede che non c’è più fame. Nemmeno l’appetito.
Il Sud accompagnato
Patrick Brydone, il viaggiatore scozzese del tardo Settecento in Sicilia e a Malta, si era fatto poi una professione di accompagnatore: accompagnava viaggiatori nel Mediterraneo, a pagamento. Ci voleva un accompagnatore per l’Est e il Sud Europa, posti pericolosi, qualcuno che conoscesse i luoghi e i percorsi, e garantisse una qualche protezione – Sciascia si dice sicuro che erano i locali massoni, che il viaggio si svolgeva tra massoni.
Brydone esercitò per una trentina d’anni – poi si ritirò a Londra, si sposò, a 47 anni, fece figli, e una vita domestica, evitò anche di scrivere di viaggi.
Il mestiere di accompagnatore al Sud fu tentato anche da Rimbaud, che a vent’anni, il 5 novembre 1874, due settimane dopo il suo compleanno, faceva uscire sul “Times”, in contemporanea con la pubblicazione a Parigi di “Una stagione all’inferno”, i versi che rivoluzionavano il modo di fare poesia, un annuncio: “A PARISIAN (20), of high literary and linguistic attainments, excellent conversation, will be glad to ACCOMPANY A GENTLEMAN (artists preferred) or a family wishing to travel in southern or eastern countries. A.R. nr.135. King’s Road. Reading”.
Era la terza fuga di Rimbaud a Londra, non più con Verlaine, questa volta col coetaneo Germain Nouveau. Senza mezzi, in un primo tempo era stato soccorso dalla madre e dalla sorella Vitalie, accorse prontamente, poi aveva trovato un insegnamento di francese a Reading – che non durò molto, un paio di mesi. Dopodiché tornò in famiglia, a Charleville. Reading sarà vent’anni dopo il carcere di Oscar Wilde - che ne uscirà con la “Ballata” omonima.
L’unità, un parto cesareo
Che l’unificazione dell’Italia sia stata fatta male, o sia venuta troppo presto, anticipata sui tempi previsti, per l’atto eversivo di Garibaldi, fu subito chiaro. Subito dopo, all’inaugurazione del Parlamento unitario eletto il 18 febbraio 1861, i deputati meridionali arrivati a Torino si trovarono nel mezzo di una campagna scatenata dalla “Gazzetta del popolo”, che li accusava del diritto a viaggiare gratuitamente, portando con sé parenti e amici.
L’anno dopo Garibaldi, ritornato in Sicilia per marciare su Roma, incoraggiato privatamente dal re, col benign neglect del capo del governo Rattazzi, che si limitò a proclamare uno “stato d’assedio” sull’isola pro forma, per soddisfare le preoccupazioni di Napoleone III più che mai schierato col papa, il 25 agosto poté attraversare lo Stretto col doppio dei Mille, volontari subito assemblati da ogni dove, indisturbato, davanti a due fregate della Marina Italiana che non intervennero. Il solito gioco di copertura, pensò il Generalissimo, e invece finì all’Aspromonte, vittima del terribile Cialdini. Mentre a Genova la polizia arrestava a frotte mazziniani e garibaldini, menando anche di gusto. Si minacciò un processo a Garibaldi, ma ci si limitò a confinarlo a Caprera.
Il copione si ripeterà nel giugno 1967. Garibaldi potrà evadere da Caprera, limitandosi a far passeggiare davanti casa un amico abbigliato come lui. Col solito Rattazzi, “il famiglio di casa Savoia” (Spadolini), al governo – e l’ex garibaldino Crispi all’Interno. Raggiunse senza problemi Firenze, la nuova capitale del Regno, e da lì i volontari che già si erano radunati tra Lazio e Umbria, sempre col pensiero al papa e a Roma. Questa volta Napoleone III prese la cosa sul serio, apprestò e imbarcò un corpo di spedizione a Tolone, destinazione Civitavecchia. E sarà Mentana, la prima e unica sconfitta militare di Garibaldi. Rattazzi si era dimesso. Il successore Menabrea aveva disarmato comitati di volontari sorti un po’ dappertutto. Vittorio Emanuele II aveva fatto un proclama per sconfessare l’iniziativa del Generalissimo. Crispi fu richiesto da Menabrea di convincere Garibaldi a desistere, a evitare una guerra civile. E di riportarlo a Caprera. Ma al momento di prendere col vecchio compagno Crispi il treno per Firenze, i Carabinieri si presentarono per arrestare Garibaldi.
Non fu semplice. Garibaldi si oppose all’arresto. Invocò una triplice immunità: la sua cittadinanza americana, il vecchio grado di generale della Repubblica Romana, l’immunità di parlamentare italiano. Ma i Carabinieri non desistettero. Garibaldi si rifiutò comunque di alzarsi. I militi dovettero portarlo via di peso. Destinazione il carcere della Spezia. Dove Garibaldi resterà tre settimane, in attesa di un processo che anche questa volta il governo italiano non fece.
Se ne era stufato perfino Dumas, che con Garibaldi aveva avuto le sue ultime grandiose avventure, politiche e di affari, non non fu ispirato da Mentana, e nemmeno dall’Aspromonte, niente più di avventuroso.
Mafia anarchica
“La cupola delle cupole non esiste”, dice reciso Sciascia a Domenico Porzio che lo intervista per “Fuoco all’anima”: la mafia, “contrariamente a quanto ritiene il giudice Falcone, non è un’organizzazione centralizzata. Sono diverse cupole, insomma, che si fronteggiano. È difficile che trovino un accordo tra di loro”. L’organizzazione è relativa: “Il mafioso ha una vita insicura, perché è in lotta con i rivali che lo vogliono sovrastare”.
La mafia è criminalità. Non è una società politica. Tanto meno nelle forme romanzate, alla Robin Hood o di William Galt (il palermitano Luigi Natoli). Né una società di mutuo soccorso, o per azioni: è disorganizzata anche quando è organizzata. È un’associazione di persone, al più di famiglie in senso proprio, di consanguinei. Ma non sempre: l’omertà è limitata, calcolata – una ragione di scambio. I morti di mafia sono mafiosi.
Negli anni di Riina a Palermo, gli ultimi trenta del Novecento, oltre un centinaio di assassinii mafiosi sono stati perpetrati contro magistrati, forze dell’ordine, cittadini incorrotti. Ma è un caso eccezionale, ancora da indagare – se mai sarà possibile: tanta violenza, per un periodo così lungo, ha sicuramente cause specifiche.
Puglia
È girato in Puglia, per la parte ambientata in Calabria, l’ultimo successo Rai, lo sceneggiato “La sposa”. Si gira molto nelle regioni, si sa, perché, in deroga all’antimonopolio Ue, le Regioni possono finanziare le riprese cinematografiche locali a fini di promozione, con le Film Commission regionali. La Puglia ha saputo farne una industria, con infrastrutture di servizi e maestranze locali che rendono le riprese in esterni molto meno costose.
Anche sull’ortofrutta, la Puglia s’impone questo inverno nei mercati rionali e nei supermercati come grande fornitrice “di stagione”. Tutto quello che era da decenni siciliano o campano, uva da tavola, agrumi, carciofi, eccetera, è questo inverno pugliese. C’è Sud e Sud.
Il Canzoniere Grecanico Salentino, il gruppo musicale fondato nel 1975 dalla scrittrice Rina Durante, che col tempo ha imposto il festival di Melendugno “La notte della taranta”, è “un tornado” di voci e suoni appassionanti per il “New York Times”. Ai vertici mondiali del folk contemporaneo per il “New Yorker”.
Giulio Cesare Vanini, “terzo eroe della laicizzazione dell’Europa tra Bruno e Spinoza” (Sossio Giametta) Taurisano lo ricorda con il corso. Ma niente più: il pragmatismo - lo sfruttamento del nome per convegni, manifestazioni, anniversari – non si applica alle idee?
Si fa un docufilm “Ionio”, opera di Nicolò Carmineo e Lorenzo Scaraggi, col titolo “A dialogue of two Seas”. Si penserebbe lo Ionio un mare unico, e per tale viene mostrato, nei tanti legami fra Taranto e Corfù. Ma il più interessante del racconto è il ricordo che lo Ionio era per i Greci un “kolpos”, un golfo, le sue sponde erano di un’unica patria.
Due delle tre aziende del Sud eco-oriented fra le prime cento italiane sono pugliesi. Sono due banche. Una fatica da poco – daranno i biglietti su carta di riciclo? – ad alto reddito.
È stata industriale, è ora sui servizi alla persona, con molto green come si deve, dall’ortofrutta alle seconde case e le vacanze - ristorazione, escursioni, belle arti, parchi, mare, etc. Non solo Taranto, anche Brindisi ora lumeggia triste, per esempio sullo sfondo del film di Danilo Caputo, “Semina il vento”, della moria degli ulivi aggrediti dal pidocchio, delle fantasie e utopie di chi vuole salvarli. Uno sfondo sporco, grigio, come di un mondo remoto e già abbandonato – oltre che inquinante.
Era la terra della “taranta”, del “male di san Donato”, di magie e superstizioni, l’ultima frontiera degli ultimi folkloristi, Annabella Rossi, Ernesto De
Martino, non un secolo fa, e ora è al Sud una sorta di Lombardia, anche se non ne ha i capitali, non avendo praticato lo strozzo nell’anno Mille: fiuta il mercato, dove si lavora e si guadagna. Il sostrato alemanno, cum Hohenstaufen, ha prevalso sugli altri?
È anche la regione, al Sud, che non si coltiva, non coltiva un proprio mito, una “pugliesità”. Come per la Sicilia, Napoli, la stessa Calabria, regione per eccellenza di emigrazione, perfino della Basilicata, “coast to coast” – per non dire della Sardegna, un altro mondo. Si è pugliesi e basta, non si è un’eccezione, quando non si è baresi diversi e lontani dai salentini, dalla Daunia, il Tavoliere, il Gargano. Il campanilismo è una sorta di albero d’appoggio, un sostegno per non cadere, non vedere?
Molte Regioni erano, prima che il colore venisse praticamente accantonato per il green pass, in giallo in procinto di diventare arancione, tranne, al Sud, la Puglia, che si prospettava bianca. Senza “scrusciu”, come avrebbe detto Camilleri, senza allarmi e chiacchiere: le cose si fanno, e va bene così.
leuzzi@antiit.eu
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