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Il potere fa male al denaro
Da sessant’anni il “salotto
buono”, o “dei poteri forti”, perno del grande e migliore capitale italiano, nell’assiologia
di Enrico Cuccia, e dei suoi critici, Scalfari in testa, sul mercato le Generali
sono passate da più grande gruppo assicurativo probabilmente d’Europa a quinto.
A grande distanza dal quarto classificato, Munich Re, meno di un terzo di Allianz,
meno della metà di Axa. E non molto performanti neppure in Italia, dove pure
sono state a lungo quasi monopoliste.
È l’influenza di Cuccia,
nefasta – non un “suo” gruppo si è salvato, Olivetti, Montecatini, Montedison,
Fiat? In sua assenza, i comprimari ora sembrano solo stinti, e i suoi drammi sceneggiate.
È gli affari concepiti in termini di potere, senz’altro: il realismo del
potere è infetto, e infettivo. La stessa sorte che stava
– sta? – per toccare al gruppo Unicredit, costruito da Profumo con una
strategia brillante, performante, la grande banca europea, cross-border,
eccetera, primo azionista di Mediobanca, e quindi di mezzo capitale italiano, e disperso nelle brume dei vecchi azionisti vecchi democristiani delle
vecchie fondazioni (Palenzona per tutti, che ancora vigila e manda...) – di quelli per i quali il potere è tutto.
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