martedì 11 gennaio 2022

Secondi pensieri - 469

zeulig

Arte – Invera la storia? Si potrebbe argomentare che non c’è storia – narrazione, analisi, interpretazione, assunzione anche (precettistica) - senza arte. Senza l’invenzione, programmatica e poi esplicativa – un’attività in entrambi i casi sempre logica. E in una fase può essere. L’arte può essere passatista, ma è sempre innovativa, in quanto indaga e fa emergere leggi della Forma inconsulte, nuove, diverse, “uniche” anche, nel senso dell’approccio alla verità - che è immutabile e variabile, multiforme anche. In teoria (all’aspetto) una confutazione della storia, una contrapposizione. Ma, curiosamente, lo fa per sottomettersi alla storia.
Senza la storia, l’arte più innovativa e meglio riuscita sarebbe inerte. Nella storia, d’altronde, l’arte esprime le sue potenzialità più remote, perfino ignote (involontarie, non volute). È il caso per esempio di Dostoevskij, del suo pensiero politico regressivo, anzi reazionario, che però esprime in forme quando di più rivoluzionarie (personaggi, azioni, gli stessi “messaggi” di cui abbonda). O di molto figurativismo in opposizione all’astrattismo, al non figurativo – più pregno di segni e significati del più elucubrato astrattismo.   
     

Censura – Quella perfetta si elegge a non censura. In un breve scritto del 1967, “Per una guerriglia semiologica” (ripreso in “Il costume di casa” e ora incluso in “L’era della comunicazione”) Eco delineava – e rigettava – la possibilità che il bombardamento mediatico, specie a opera di fonti irrilevanti o minime, potesse condizionare il pensiero e le azioni, senza appello possibile, o resistenza. Uno scenario che alcune critiche della società di massa prospettavano e che Eco giudicava “apocalittico”. Ma è quello che succede ordinariamente con i social e le media communities oggi, mutata la temperie culturale, politica. Che possono promuovere quello che in teoria censurano, escludendo programmaticamente e anzi combattendo i cospirazionismi – “contenuti ingannevoli”. Esercitano cioè la vera censura, inappellabile: è vero complotto il loro “complotto”, l’intervento censorio senza appello. Il massimo di libertà, fino alla licenza, erotica, politica, blasfematoria, insultante, col massimo di chiusura, inappellabile, insindacabile.
Twitter non dà la ragione del blocco di un tweet o la cancellazione di un account. Blogger, questa piattaforma, la dà ma senza possibilità di dialogo.
Un caso: “Abbiamo ricevuto una richiesta di revisione per il tuo post intitolato "Paghe basse e precarie addio, è un’altra globalizzazione". Abbiamo stabilito che viola le nostre norme e 
abbiamo annullato la pubblicazione dell'URL 
http://www.antiit.com/2018/01/paghe-basse-e-precarie-addio-e-unaltra.html
rendendolo non disponibile per i lettori del blog.
Perché la pubblicazione del tuo post del blog è stata annullata?
I tuoi contenuti hanno violato le nostre norme relative a malware e 
virus”.
Perché è una censura? La ragione è falsa: avendo pubblicato oltre 12 mila post su blogger l’amministratore del sito non può essere ritenuto un hacker. È compito della piattaforma rilevare e eliminare malware e virus. E: “Abbiamo ricevuto una richiesta” che vuol dire? Da chi e perché? Ma con la “comunità”, come blogger si definisce, non si può interloquire.
P.S. - L’esempio può non risultare probante, denunciando forse solo una contorsione avvocatesca, come è l’uso nella pubblicistica americana, più che una volontà censoria. Il “team” della piattaforma infatti conclude: “Per pubblicare nuovamente il post, aggiorna i contenuti per fare in modo che aderiscano alle Norme della community di Blogger”. Il malware è un contenuto?
Ma è indicativo del modo di funzionare dei social: tassativo, senza rimedio.
 
Europa (Occidente) – Discuteva vent’anni fa nel progetto di Costituzione se chiamarsi cristiana oppure no. Non si chiamò cristiana, a opera di grandi laici quali Giscard d’Estaing e Giuliano Amato, personalità guida della Convenzione referente, e non si chiamò del tutto, il progetto di Costituzione essendo stato subito bocciato, per prima dalla laica Francia. Pochi anni dopo l’Europa non c’è più, nella politica internazionale, comprese le sue proprie frontiere, l’Ucraina, la Siria, la Libia, nella cultura, e perfino negli affari, pur essendo, in teoria, la seconda potenza economica del mondo. Per motivi altri probabilmente - la regressione politica, le discrasie dell’euro, bizzarramente ritenuto inerte, la diversità di tradizioni e costumi più forte delle convenienze. Ma il concetto di Europa, o Occidente, combacia col cristianesimo per molti aspetti. Per quelli formativi, e quindi costitutivi: la concezione del progresso (del tempo, del futuro), della perfezionabilità, anche a costo del sacrificio, e quindi della scienza - dell’innovazione se non del metodo scientifico. Che sono gli unici fondamenti su cui l’Europa-Occidente ha prosperato. Si deve arguire che l’Europa scompare con il cristianesimo – la tesi di Baget Bozzo, il teologo prestato alla politica?
 
StupiditàNelle analisi, poche, alla fine la stupidità è assolta: è un fatto linguistico. Lo è Giufà, lo sono i luoghi comuni di Flaubert, il totalitarismo di Adorno, il signor Chance di Kosinsky (“Oltre il giardino”), il complottismo di Eco e Sciascia. Ma su questo terreno con vicende alterne. È una difesa, secondo Barthes: “Bisogna sentirsi stupidi per esserlo di meno”. Anche “naturale”, con Kundera. Ma per lo più sotto attacco: “Imbecilli”, dice Flaubert, l’idiota di casa, “sono quelli che non la pensano come voi”. O Clitandro delle molieriane “Donne saccenti”: “Avete capito male, malissimo, e io vi sono garante\ che lo stupido saccente è stupido più d’uno ignorante”. Ma la materia attrae, e del resto Pascal voleva stupido Montaigne, perché si dipingeva pieno di saggezza – come Pascal. 
 

Notevole Deleuze: la bestia, bête in francese, non è soggetta alla stupidità, bêtise. La stupidità è una sorta di basso continuo, a leggere Deleuze, specie in “Nietzsche e la filosofia”, qualcosa che sta lì in agguato e s’impone in mancanza dell’intelligenza. Un’analisi semplice, quella che manca oggi nell’interminabile dibattito sula stupidità prevalente, assorbente, dei social, i blog, i gruppi, le comunità - del chiacchiericcio. La stupidità di Deleuze è una costante, di cui l’intelligenza deve sempre liberarsi - il suo reagente, si direbbe: “È una struttura del pensiero come tale e non un modo di ingannarsi”. Ed “esprime in linea di principio il non-senso nel pensiero”. Non è un errore: “Vi sono pensieri imbecilli, discorsi imbecilli che sono costituiti per intero da verità”. False - Deleuze le dice “basse”, in linea con Nietzsche in guerra contro la “bassezza” dell’epoca - o volgari, che pescano nel fondo, i resti, la zavorra – il trionfo nietzscheano dello schiavo, eccetera.

Notevole anche la conclusione di Adorno e Horkheimer alla “Dialettica dell’illuminismo,” l’opus magnum cui avevano lavorato durante la guerra, al sicuro negli Stati Uniti: la stupidità è la chiocciola che si ritrae di fronte all’ostacolo, un riflesso nervoso, la paura diventata stabile: “Il simbolo dell’intelligenza è l’antenna della chiocciola ‘dalla vista tastante’, che le serve anche per odorare. L’antenna si ritira subito, davanti all’ostacolo, nella custodia protettiva del corpo, torna a fare una sola cosa col tutto, e solo con estrema cautela si avventura di bel nuovo come organo indipendente. Se il pericolo è ancora presente, torna a sparire, e l’intervallo fino alla ripetizione del tentativo aumenta”. La chiocciola procede, cauta ma intraprendente, come l’intelligenza, che Adorno e Horkheimer vogliono curiosa. Se respinta, l’intelligenza si demoralizza – la chiocciola si desensibilizza – e finisce nell’insensibilità: “La sensibilità della chiocciola è affidata a un muscolo, e i muscoli si allentano quando il loro gioco è impedito. Il corpo è paralizzato dalla lesione fisica, lo spirito dal terrore”. L’analogia è forzata, ma la direzione sembra inappellabile: “L’animale diventa, nella direzione da cui è stato definitivamente respinto, stupido e schivo”. Definitivamente o parzialmente: “La stupidità è una cicatrice”, anche “impercettibile, una piccola callosità, dove la superficie è insensibile”, ma “le cicatrici” creano deformazioni, e “possono creare ‘caratteri’, duri e capaci, possono renderli stupidi”. L’intelligenza-curiosità vuole rischio, il rischio fa paura, chi si ritrae nel guscio resta stupido.

Anche il “transpolitico” di Baudrillard prometteva bene. Che sa di “trans”, senz’altro: la stupidità è “l’anomalia, ossia una difformità senza conseguenze, senza più alcun carattere di sfida o di trasgressione” - siamo tutti trans-stupidi, sulla via di?).

zeulig@antiit.eu

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