Secondi pensieri - 469
zeulig
Arte – Invera la storia? Si potrebbe argomentare che non c’è storia –
narrazione, analisi, interpretazione, assunzione anche (precettistica) - senza
arte. Senza l’invenzione, programmatica e poi esplicativa – un’attività in
entrambi i casi sempre logica. E in una fase può essere. L’arte può essere
passatista, ma è sempre innovativa, in quanto indaga e fa emergere leggi della
Forma inconsulte, nuove, diverse, “uniche” anche, nel senso dell’approccio alla
verità - che è immutabile e variabile, multiforme anche. In teoria
(all’aspetto) una confutazione della storia, una contrapposizione. Ma,
curiosamente, lo fa per sottomettersi alla storia.
Senza la storia, l’arte più innovativa e
meglio riuscita sarebbe inerte. Nella storia, d’altronde, l’arte esprime le sue
potenzialità più remote, perfino ignote (involontarie, non volute). È il caso
per esempio di Dostoevskij, del suo pensiero politico regressivo, anzi
reazionario, che però esprime in forme quando di più rivoluzionarie
(personaggi, azioni, gli stessi “messaggi” di cui abbonda). O di molto
figurativismo in opposizione all’astrattismo, al non figurativo – più pregno di
segni e significati del più elucubrato astrattismo.
Censura – Quella perfetta
si elegge a non censura. In un breve scritto del 1967, “Per una guerriglia
semiologica” (ripreso in “Il costume di casa” e ora incluso in “L’era della
comunicazione”) Eco delineava – e rigettava – la possibilità che il
bombardamento mediatico, specie a opera di fonti irrilevanti o minime, potesse
condizionare il pensiero e le azioni, senza appello possibile, o resistenza.
Uno scenario che alcune critiche della società di massa prospettavano e che Eco
giudicava “apocalittico”. Ma è quello che succede ordinariamente con i social e
le media communities oggi, mutata la temperie culturale, politica. Che possono
promuovere quello che in teoria censurano, escludendo programmaticamente e anzi
combattendo i cospirazionismi – “contenuti ingannevoli”. Esercitano cioè la
vera censura, inappellabile: è vero complotto il loro “complotto”, l’intervento
censorio senza appello. Il massimo di libertà, fino alla licenza, erotica,
politica, blasfematoria, insultante, col massimo di chiusura, inappellabile,
insindacabile.
Twitter non dà la
ragione del blocco di un tweet o la cancellazione di un account. Blogger,
questa piattaforma, la dà ma senza possibilità di dialogo.
Un caso: “Abbiamo ricevuto una richiesta di
revisione per il tuo post intitolato "Paghe basse e precarie addio,
è un’altra globalizzazione". Abbiamo stabilito che viola le nostre
norme e
abbiamo annullato la pubblicazione
dell'URL
http://www.antiit.com/2018/01/paghe-basse-e-precarie-addio-e-unaltra.html,
rendendolo non disponibile per i lettori del
blog.
Perché la pubblicazione del tuo post del blog è
stata annullata?
I tuoi contenuti hanno violato le nostre norme
relative a malware e
virus”.
Perché è una censura? La ragione è falsa: avendo pubblicato
oltre 12 mila post su blogger l’amministratore del sito non può essere ritenuto
un hacker. È compito della piattaforma rilevare e eliminare malware e virus. E:
“Abbiamo ricevuto una richiesta” che vuol dire? Da chi e perché? Ma con la
“comunità”, come blogger si definisce, non si può interloquire.
P.S. - L’esempio può non risultare probante, denunciando
forse solo una contorsione avvocatesca, come è l’uso nella pubblicistica
americana, più che una volontà censoria. Il “team” della piattaforma infatti
conclude: “Per pubblicare nuovamente il post, aggiorna i contenuti per fare
in modo che aderiscano alle Norme della community
di Blogger”. Il malware è un contenuto?
Ma è indicativo del modo di funzionare dei social: tassativo,
senza rimedio.
Europa
(Occidente) – Discuteva vent’anni fa nel progetto di
Costituzione se chiamarsi cristiana oppure no. Non si chiamò cristiana, a opera
di grandi laici quali Giscard d’Estaing e Giuliano Amato, personalità guida
della Convenzione referente, e non si chiamò del tutto, il progetto di
Costituzione essendo stato subito bocciato, per prima dalla laica Francia. Pochi anni dopo
l’Europa non c’è più, nella politica internazionale, comprese le sue proprie frontiere,
l’Ucraina, la Siria, la Libia, nella cultura, e perfino negli affari, pur essendo,
in teoria, la seconda potenza economica del mondo. Per motivi altri
probabilmente - la regressione politica, le discrasie dell’euro, bizzarramente
ritenuto inerte, la diversità di tradizioni e costumi più forte delle
convenienze. Ma il concetto di Europa, o Occidente, combacia col cristianesimo
per molti aspetti. Per quelli formativi, e quindi costitutivi: la concezione
del progresso (del tempo, del futuro), della perfezionabilità, anche a costo
del sacrificio, e quindi della scienza - dell’innovazione se non del metodo
scientifico. Che sono gli unici fondamenti su cui l’Europa-Occidente ha
prosperato. Si deve
arguire che l’Europa scompare con il cristianesimo – la tesi di Baget Bozzo, il
teologo prestato alla politica?
Stupidità – Nelle analisi, poche, alla fine la stupidità è
assolta: è un fatto linguistico. Lo è Giufà, lo sono i luoghi comuni di
Flaubert, il totalitarismo di Adorno, il signor Chance di Kosinsky (“Oltre il
giardino”), il complottismo di Eco e Sciascia. Ma su questo terreno con vicende
alterne. È una difesa, secondo Barthes: “Bisogna sentirsi
stupidi per esserlo di meno”. Anche “naturale”, con Kundera. Ma per lo più sotto attacco: “Imbecilli”, dice Flaubert, l’idiota
di casa, “sono quelli che non la pensano come voi”. O Clitandro delle
molieriane “Donne saccenti”: “Avete capito male, malissimo, e io vi sono
garante\ che lo stupido saccente è stupido più d’uno ignorante”. Ma la materia
attrae, e del resto Pascal voleva stupido Montaigne, perché si dipingeva pieno
di saggezza – come Pascal.
Notevole Deleuze: la
bestia, bête in francese, non è soggetta alla stupidità, bêtise.
La stupidità è una sorta di basso continuo, a leggere Deleuze, specie in “Nietzsche
e la filosofia”, qualcosa che sta lì in agguato e s’impone in mancanza dell’intelligenza.
Un’analisi semplice, quella che manca oggi nell’interminabile dibattito sula
stupidità prevalente, assorbente, dei social, i blog, i gruppi, le comunità - del
chiacchiericcio. La stupidità di Deleuze è una costante, di cui l’intelligenza
deve sempre liberarsi - il suo reagente, si direbbe: “È una struttura del
pensiero come tale e non un modo di ingannarsi”. Ed “esprime in linea di
principio il non-senso nel pensiero”. Non è un errore: “Vi sono pensieri
imbecilli, discorsi imbecilli che sono costituiti per intero da verità”. False
- Deleuze le dice “basse”, in linea con Nietzsche in guerra contro la
“bassezza” dell’epoca - o volgari, che pescano nel fondo, i resti, la zavorra –
il trionfo nietzscheano dello schiavo, eccetera.
Notevole anche la conclusione di Adorno e
Horkheimer alla “Dialettica dell’illuminismo,” l’opus magnum cui avevano
lavorato durante la guerra, al sicuro negli Stati Uniti: la stupidità è la chiocciola
che si ritrae di fronte all’ostacolo, un riflesso nervoso, la paura diventata
stabile: “Il simbolo dell’intelligenza è l’antenna della chiocciola ‘dalla
vista tastante’, che le serve anche per odorare. L’antenna si ritira subito,
davanti all’ostacolo, nella custodia protettiva del corpo, torna a fare una
sola cosa col tutto, e solo con estrema cautela si avventura di bel nuovo come
organo indipendente. Se il pericolo è ancora presente, torna a sparire, e l’intervallo
fino alla ripetizione del tentativo aumenta”. La chiocciola procede, cauta ma
intraprendente, come l’intelligenza, che Adorno e Horkheimer vogliono curiosa.
Se respinta, l’intelligenza si demoralizza – la chiocciola si desensibilizza –
e finisce nell’insensibilità: “La sensibilità della chiocciola è affidata a un
muscolo, e i muscoli si allentano quando il loro gioco è impedito. Il corpo è
paralizzato dalla lesione fisica, lo spirito dal terrore”. L’analogia è forzata,
ma la direzione sembra inappellabile: “L’animale diventa, nella direzione da
cui è stato definitivamente respinto, stupido e schivo”. Definitivamente o
parzialmente: “La stupidità è una cicatrice”, anche “impercettibile, una
piccola callosità, dove la superficie è insensibile”, ma “le cicatrici” creano
deformazioni, e “possono creare ‘caratteri’, duri e capaci, possono renderli
stupidi”. L’intelligenza-curiosità vuole rischio, il rischio fa paura, chi si
ritrae nel guscio resta stupido.
Anche il “transpolitico” di Baudrillard prometteva bene. Che sa
di “trans”, senz’altro: la stupidità è “l’anomalia, ossia una difformità senza
conseguenze, senza più alcun carattere di sfida o di trasgressione” - siamo
tutti trans-stupidi, sulla via di?).
zeulig@antiit.eu
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