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Coscienza – È il daimon di Socrate?
Luogo remoto, intimo, dell’essere, da cui una voce, più remota, lontana delle
parole, lo consigliava per un empito, lo spingeva, lo consigliava e lo guidava.
Esproprio – Si può pensare
come esproprio l’appropriazione-distruzione dell’ambiente. “Il sentimento profondo
della nostra epoca è ostile alla proprietà”, aveva notato già Jünger, “Trattato
del ribelle”, XXXII. Come ostile al rispetto, alla invalicabilità dell’individuo.
Vince il prepotente, e alla fine vince il furbo, il ladro.
Non è un esproprio
ai fini di una ripartizione della ricchezza in modo diverso, in qualche modo più
produttivo, avvertiva Jünger, è una distruzione, “il consumo del patrimonio” –
non s’intacca o si spreca la rendita, si assottiglia il capitale, Già Jünger lo
vedeva all’opera in campagna, nella distruzione del legno, del bosco.
Riso – È più umano del pianto,
l’ottimismo è meglio del pessimismo? “È più conforme alla natura umana ridere
della vita che piangerne”, annota Seneca, “La tranquillità dell’animo”. Certo,
Seneca tranquillo non fu, “consigliori” di personaggi come Caligola e Nerone,
infine suicida. Ma vale la notazione a lui cara, sempre nella “Tranquillità
dell’animo”, che Democrito, ridendo, conserva ancora qualche speranza, mentre
Eraclito piange per cose che dispera di cambiare. E, certo, l’ottimismo non ha
mai fatto male a nessuno.
Scienza – È
misura delle cose. Non nel senso metrico, ma di correlazione. “Scientia Dei
est mensura rerum”, nota Vico di passaggio nel “De Antiquissima Italorum
Sapientia” – attribuendo, parrebbe, l’osservazione peraltro a letture
tomistiche. Ma questo è detto anche per la verità, da Niccolò Cusano: “Veritas igitur, quae est ipsa rerum mensura” - o per la mente, come “mensura omnium rerum”.
La scienza non è sapienza. Le due parole di senso simile (da
una radice comune che significa “tagliare”, con le derivazioni logiche “decidere”.
e quindi “distinguere”) sono distinte da sant’Agostino, “De Trinitate”, XII: “Se la scienza è conoscenza delle cose temporali,
la sapienza è conoscenza delle cose eterne. Ambedue, però, sono
rivelate in pienezza in Cristo, nostra scienza e nostra sapienza.
Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la
contemplazione, la scienza l'azione”.
Sant’Agostino considera la scienza “benefica alla sua maniera, se ciò che in essa gonfia o suole
gonfiare è dominato dall'amore delle cose eterne, che non gonfia, ma che, come
sappiamo, edifica. Senza la scienza infatti non possono esistere nemmeno le
virtù con le quali si possa dirigere questa misera vita in modo da raggiungere
quella eterna, che è veramente beata”. Ma conclude che “la sapienza riguarda la
contemplazione, la scienza l’azione”. Sulla traccia di san Paolo, “Prima Lettera
ai Corinzi”, 8, 1: “Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della
sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito”. La
differenza concettuale sant’Agostino fa risalire al “Libro di Giobbe”: “«Ecco,
la pietà è la sapienza, la fuga dal male è la scienza» (“Giobbe”. 28,
28). Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la
contemplazione, la scienza l’azione”.
Stasis – Lo
stato d’assedio di Agamben è anticipato da Ernst Jünger nei tre scritti del
dopoguerra, “Oltre la linea”, con Heideger, da reprobi della denazificazione,
lo scritto divagante noto in Italia come “Trattato del ribelle”, e “Il nodo di
Gordio”. Nel “Trattato del ribelle” si limita a “segnalare per il momento” che
è “nell’arte (che) il tema dello stato d’assedio guadagna effettivamente in importanza”.
E nell’ arte, specificamente, in E.A.Poe: “Malgrado la loro austerità matematica,
le figure sono in lui figure del destino, ciò che le rivesta di una magia senza
eguali. Il maëlstrom è l’imbuto, l’abisso dalla corrente irresistibile, nel quale
ci attira il vuoto, il niente. Il pozzo
ci offre l’immagine della fossa, dell’accerchiamento che si rinchiude: lo
spazio si restringe senza posa e ci spinge verso i topi. Il pendolo è simbolo
del tempo morto, oggetto di misura. È la falce tagliente di Cronos, oscilla alla
sua estremità e minaccia il prigioniero intrappolato nei suoi lacci, e nello
stesso tempo può liberarlo, se sa servirsene”. Su questo intreccio, viluppo di
legami, “l’esperienza storica è venuta ad aggiungersi”. Non c’è scampo? Anche
solo per raccontarlo. Lo stato d’assedio come stato di necessità?
Stupidità
- “Se la stupidità non somigliasse tanto al progresso,
al talento, alla speranza e al miglioramento che a malapena possiamo
distinguerla, nessuno vorrebbe essere stupido”. Musil esordisce ricordando
quanto scriveva nel 1931, una freddura. Ora siamo nella primavera del 1937, c’è
Hitler in Germania, Musil ha già dovuto lasciare Berlino per Vienna subito nel
1933, l’Austria è ancora libera. Dovrà riemigrare l’anno dopo, dopo
l’Anschluss, avendo moglie ebrea, e alla Federazione Austriaca del Lavoro, che
si diletta dell’argomento per una serie di conferenze, ne fa un ghirigoro.
Parlare della stupidità, si schermisce, “può essere interpretato come
presunzione, arroganza”, etc.
La
conferenza si è trasformata in un saggio apprezzato di Musil in Italia, dove ha
avuto una dozzina di edizioni – non in lingua tedesca. Ma, concettosa, è
singolarmente vuota.
Il tema
sarebbe invece fertile. Da Jean Paul in poi. Kant aggiungerà: “La
stupidità è frutto di un cuore maligno”. “Ciò non è vero”, obietterà Hannah
Arendt, “la malvagità nasce dalla mancanza di pensiero”. Che non è stupidità,
“può riscontrarsi in persone di grande intelligenza”. Quanto alla stupidità
amorosa, è inattaccabile, dice Barthes. È la più trita, ma è anche
un’urgenza, un desiderio, una carne: “La stupidità è l’essere superiori.
L’innamorato lo è continuamente”, e se ne fa una ragione: “«È stupido –
dice - e tuttavia è vero»”.
O non sarà la condizione
umana, tra stupore e stolidità? Da cui cerchiamo di uscire, anche con la
stupidità propriamente intesa. La sua negazione è una delle grandi colpe della
contemporaneità: ha reso la vita – già gaudiosa – impossibile agli stupidi. La
stupidità si vendica contagiando gli abolizionisti: psicologi, analisti, anime
buone.
Jerphagnon, nell’opera cui ha lavorato
una vita senza decidersi a concluderla, pubblicando in vita solo un saggio
sugli imbecilli nei “Dialoghi” di Platone e in altre occorrenze classiche (“Au
bonheur des sages”), e uno, da cultore di sant’Agostino, sul “numero
incredibile di allusioni alla stupidità” nel vescovo di Ippona (“immensa è la
fola degli imbecilli”), ma ha voluto pubblicata postuma, “La sottise? (vingt-huit siècles qu’on en parle)”, la
stupidità dice “polimorfa e onnipresente”. In realtà
sfuggente: l’unica immagine che se ne prospetta, dice, è “la «sfera» di Pascal
– e prima di lui di Hermes Trismegisto: la sfera «il cui centro è ovunque e la
circonferenza in nessun luogo»”. Il fatto è che “una miriade di essere unici
pretende a ogni istante di decidere della stupidità di altri soggetti
altrettanto unici”. In un libello pure sveltissimo, l’antichista mette in fila
140, forse 150, scrittori-deprecatori della stupidità. E non cita molti altri
riferimenti noti: Jean Paul, Wilde (“Il solo peccato che conosco è la stupidità”
– poco prima dio essere condannato in un processo che lui aveva intentato), Musil,
Cocteau (“Il dramma della nostra epoca è la stupidità che si è messa a parlare”),
Cipolla.
La stupidità è
contagiosa, non si può sanzionarla - solo riderne. È come dice da ultimo Amélie
Nothomb nella “Metafisica dei tubi”: “Non si è trovato niente di meglio che la
stupidità per credersi intelligenti”.
zeulig@antiit.eu
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