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Colpa collettiva - La Germania
mantiene “un rispetto dello Stato” che ha reso incomprensibile la dichiarazione
di colpa degli Alleati, colpa collettiva in quanto tedesca, e individuale “per
avere, se si vuole, continuato a praticare il proprio mestiere di funzionario o
di maestro d’orchestra”, E. Jünger, “Trattato del ribelle”, § XXVIII, Il sarcasmo
di uno Jünger nel clima recente della denazificazione, 1951, non tiene conto dell’enorme
vastità della Resistenza tedesca, interna, politica, delle decine di migliaia
di prigionieri di lager politici, degli assassinii politici.
D’altro canto, la
colpa va misurata sulla Resistenza. Se esiste un gruppo di uomini liberi allora
si può ipotizzare la colpa collettiva – c’era il modo, se non la possibilità,
non a buon mercato, di sapere e di capire.
Comico – È esercizio – verbale
mentale - non intellettuale, anzi anti-intellettuale. Irrompe contro il discorso
razionale, positivo, conseguente. È l’irruzione dell’irrazionale, ma alla fine
con esito razionale, in qualche modo critico, seppure non nella forma. Si
esercita il comico come se si sbattesse una coperta, la coperta della logica e
dell’etica – della misura, del giusto, del buono. Ma a opera di mano sempre in qualche
modo avvertita, conseguente, critica, razionale.
Democrazia – È come indossare le scarpe – roba
da Ottocento, insieme con le tendine alle finestre, e l’ossessione sesso? “La
democrazia è più livellante della tirannia”, stabilisce Leonardo Sciascia (“Gli
anni delle passioni fredde”, intervista con Domenico Porzio, “Corriere della
sera”, 19 luglio 1987, ora in L. Sciascia, “Fuoco all’anima”): “Il calzolaio
all’angolo, come diceva Stendhal, alle elezioni «ha un voto che è uguale al mio».
Però, non è poi così vero, in questo difendo la democrazia anche di fronte a Stendhal,
e ripeto la frase del filosofo americano John Dewey: «Per quanto possa essere
ignorante, un uomo sa se la scarpa gli sta stretta al piede»… Ognuno vota,
insomma, constatando se la scarpa gli va stretta o no”.
Filosofia tedesca – Può essere letale. Hölderlin, che pure non si sospetta
razionale, “occidentale” dopo la cura Heidegger, scriveva da Francoforte all’amico
di seminario e del cuore Hegel il 20 novembre 1796: “Gli spiriti infernali, che
mi ero portato con me dalla Franconia, e gli spiriti aerei dalle metafisiche
ali, che mi avevano scortato da Jena” - su “una indole da insensato ragazzo” – “da
quando sono a Francoforte mi hanno abbandonato”. Per Franconia intendendo la
finitima Tubinga, degli studi di filosofia e teologia (al centro dell’allora Franconia
era proprio la liberale Francoforte).
I giovani Hegel e Hölderlin potevano anche essere rivoluzionari,
della Rivoluzione francese, solo in chiave mitica e esoterica, di logge massoniche
– come lungamente spiega Jacques d’Hondt, “Hegel segreto”.
Giallo
– Un bastione
contro il nichilismo? Il giallo come genere letterario, celebrazione del
crimine. È intuizione di Ernst Jünger nel “Trattato del ribelle”,
al § XXXI: “Il crimine costituisce, con la decisione morale autonoma, il
secondo mezzo possibile di mantenere la sovranità nel mezzo dell’erosione,
dello sgretolamento nichilista dell’essere”. Notazione che attribuisce all’“esistenzialismo
francese” – cioè a Sartre e Camus: “Il crimine non ha niente a che vedere col
nichilismo: offre anzi un rifugio contro il suo vuoto, che rosicchia la
coscienza di sé”. Ma prima ancora lo attribuisce caratteristicamente a Chamfort
(uno dei due riferimenti costanti di Jünger
nella cultura francese): “L’uomo, nello stato attuale della società, mi sembra
più corrotto dalla sua ragione che dalle sue passioni”. E: L’uomo ha il
sentimento di vivere sotto una dominazione straniera, e a questo riguardo il
criminale gli è apparentato”.
Come esempio, Jünger porta il bandito Giuliano: “Quando
un brigante colpevole di parecchi assassinii, il bandito Giuliano, fu abbattuto
in Sicilia, un sentimento di tristezza si sparse per il mondo. Il tentativo di
condurre e di perseguire una vita da lupo solitario aveva fallito. Ciascuno, in
seno alle masse grigie, si sentì colpito con lui, e confermato nella coscienza
del suo accerchiamento. Il risultato è che si eroicizza il malfattore”.
Ironia – Viene con la ragione.
Che non si permette il comico, nemmeno l’umoristico, ma sì i. sorriso critico. Molière
è comico, Voltaire è ironico, anche se voleva far ridere – anche Diderot. Leonardo
Sciascia, illuminista, lo spiega così in “Fuoco all’anima”, 108: “Gli illuministi
non conoscono l’umorismo”. Sembrerebbe un limite, ma per una ragione: “Conoscono
l’ironia. Il razionalismo non consente il capovolgimento umoristico. Il
razionalismo genera sempre il distacco dell’ironia. Perché la realtà non corrisponde
alla ragione”.
Storia – “La storia autentica può essere fatta soltanto da uomini
liberi. La storia è l'impronta che l'uomo dà al destino. In questo senso
possiamo dire che l'uomo libero agisce in nome di tutti: il suo sacrificio vale
anche per gli altri”
….. La storia è l’impronta che l’uomo liberato appone sul suo
destino. La storia autentica non può essere fatta che da uomini liberi”.
“…. È là che si trova la vera sostanza della storia, nell’incontro
dell’uomo con se stesso, cioè con la sua potenza divina”
Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, § XVII
Historia in nuce, il tema nietzscheano
è ripreso da Jünger nel “Trattato del ribelle” come una culminazione della
critica della conoscenza (una delle culminazioni, l’altra essendo “il passaggio
dalla conoscenza all’essere”, Heidegger): “Il tema che, nell’infinita diversità
del tempo e dello spazio, si ramifica, ma resta sempre lo stesso: per cui non
c’è soltanto una storia della civiltà, ma anche una storia dell’umanità, cioè una
storia situata nella sostanza, il nocciolo, una storia dell’uomo. Che si ripete
in tutta la vita umana”.
Stupidità – È complicazione:
complicata e complicante, in quanto non va all’esito logico ma lo avviluppa e
inviluppa. Leonardo Sciascia vuole stupidi “i governi italiani, da De Gasperi
in poi” (“Fuoco all’anima”, 111), “in quanto privi della capacità di
semplificare i problemi e quindi di affrontarli dal verso giusto Ma, in questo caso,
che lo scrittore esemplifica, ampliando il quadro ai Grandi della Storia: “Né
Cesare né Napoleone erano stupidi; oso dire: neanche Mussolini era uno stupido.
Forse non lo era nemmeno Hitler”. Intendendo: “Bisogna tener conto del concorso
di colpa che interviene nel creare il tiranno”. Perché “nel tiranno si introverte
tutta la stupidità dei suoi fautori. Mussolini non era uno stupido, ma la
stupidità nazionale a un certo punto si introvertì in lui”.
Verbo – “Nell’abisso delle
origini, il Verbo non è più forma né chiave. Diventa identico all’essere.
Diventa potere creatore. Tale è la sua virtù infinita, che non si monetizza.
Perché non potremmo farlo che per approssimazioni. Il linguaggio si tesse
attorno al silenzio, come l’oasi si ordina attorno alla sorgente. E la poesia
conferma che l’uomo ha scoperto l’entrata dei giardini intemporali. Atto di cui
vive in seguito il tempo” – Ernst Jünger, “Trattato del ribelle”, XXXIV.
Ma “la lingua non vive di leggi proprie.
Altrimenti i grammatici reggerebbero il mondo”.
Il linguaggio nasce dal silenzio,
come tutto.
zeulig@antiit.eu
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