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Esorcismo – È in realtà il fatto religioso. La
preghiera, la celebrazione, il formulario, anche il sacramentario. D i che? Di
chi? Dell’uomo-materia, dell’essere (vita) materia, che l’essere umano risente
come limite, vincolo, ostruzione, ostile,
Una via di fuga. Un’avventura. In un
altrove che è di sua fabbricazione.
Germania greca – È creazione recente e particolare, del seminario
di Tubinga: di Hegel che si proporrà di far rinascere la filosofia greca nella
filosofia tedesca, e del suo grande sodale Hölderlin, talmente immedesimato nell’antica
Grecia da far confluire non solo i destini nazionali ma anche la lingua tedesca
in quella greca – ionica? attica? Heidegger porterà all’ennesima potenza – un
diversivo, dovendosi riciclare dopo il nazismo? – l’identificazione, di Hegel
insieme con Hölderlin, che ripropone in quella chiave.
Eppure, Nietzsche
l’aveva spiegato, che, se davvero s’intende la Grecia, si sa che da tempo è
finita, e per sempre. Morto è senz’altro Socrate col socratismo, come il
giovane Nietzsche sapeva: l’intelligenza è decadente, la democrazia la
sospetta.
Nietzsche, che del
greco “conosci te stesso” disse: “Questi greci hanno molta roba sulla coscienza,
la falsificazione era il loro lavoro vero, e tutta la psicologia europea è
malata di superficialità greca”. Ma, filologo in cattedra, prese per greci i
Nibelunghi di Wagner, il classicismo può essere approssimativo fra i tedeschi,
che pure l’hanno inventato.
Del “professor Hegel” il “dottor Schopenhauer
dice: “L’autore butta lì le parole, il senso ce lo deve mettere il lettore”.
Mito - Il mito greco è poco greco: non sono amabili le mitologie, che
sono classificazioni, di dei e eroi che si ricordano per una sola azione, la
passione unica che è ripetizione, spaventosa.
Privilegio – “Etimologicamente, «privilegio» è una
cosa che avviene fuori della legge, senza la legge”, nota Sciascia, “Fuoco all’anima”,
30. È un vantaggio, una prerogativa (esclusiva), una posizione o un emolumento,
fuori della norma, e non regolata da leggi. Molti privilegi sono dei
giudici.
Religione
– È la prima fantascienza. La più fine, anzi sopraffina rispetto al genere
letterario, intelligenza artificiale compresa. Che si impone con l’incredulità.
Si
va dal più al meno. Da un sentimento elevato della vita a uno di bracci di
ferro, fino ai missili atomici, le droghe, e i corpi come telai meccanici. Anche
in funzione pedagogica, di nutrire “scarti di vita” (Primo Levi), questa
evoluzione è limitata e scadente.
Primo
Levi è di parere opposto (“Conversazioni e interviste”, 116): “La materia è
anche una scuola, una vera scuola Combattendo contro di lei si matura e si
cresce. In questo combattimento si vince o si perde e a volta a volta la
materia è sentita come astuta o come ottusa, senza che ci sia contrasto, perché
sono due aspetti diversi”. No, è lo stesso limite, la materia può essere metafisica,
ma è sempre limitata, un solido. Nella sua morbilità (degenerazioni, deperimenti,
disfacimenti) e anche nei suoi piccoli moti vitali (creativi).
Tolleranza
– È la ragione. “Tolleranza e ragione coincidono” è l’esito
della ricerca di Primo Levi sulle radici del male (“Conversazioni e interviste”,
168) - lunga, insistita indagine. È misura. E disposizione critica, delle proprie
idee e ambizioni comprese. Capace di contestualizzare.
Un
mondo di mondi ragionevoli – critici. Anche violento? Per ristabilire la misura
– la tolleranza non tollera la prepotenza. Da qui l’insofferenza per l’integralismo
delle minoranze che si impone.
Accettabile
nella misura. Fino cioè a che ristabilisce gli equilibri: il “razzismo
antirazzista” dell’ “Orfeo nero” di Sartre - che mai si cita, si cita solo
Fanon, il gesto repulsivo, anche se si fa integralista.
Traduzione
– Non si saprebbe trascurare in filosofia – soprattutto
in filosofia. Per la filosofia greca come per la tedesca, che a essa si vuole
affine, ma un po’ per tutta la filosofia, che opera per sottigliezze.
Si
prenda Heidegger: “La
rappresentazione storicizzante della storia come successione di eventi
impedisce di sperimentare in quale misura la storia vera è sempre, in un senso
pienamente essenziale, pre-senza”. Che sembra concetto intraducibile, e
quindi incomprensibile: la Gegen-wart è tutt’altra cosa da pre-senza,
il non-c’era-del-non-c’è, e non si può tradurre in altro modo. Ma pre-senza è avvenire, in quanto esigenza
dell’iniziale. Ciò che “ha una storia” è coinvolto nel divenire. Ciò che “ha
una storia”, egualmente, può “fare storia”. Storia significa inoltre la
totalità dell’ente, che col tempo muta e, distinguendosi dalla natura,
abbraccia le vicende e le sorti degli uomini. Infine, è “storico” pure il
tramandato come tale.
“Lo svolgimento della storia cade nel
tempo”, avrebbe detto Hegel: “Solo il presente è, il prima e il dopo non sono.
Ma il presente concreto è il risultato del passato ed è gravido di avvenire. Il
vero presente è quindi l’eternità”. Abbiamo storia solo se sin dall’inizio essa
diviene l’essenza della verità. La storia è avvento di ciò che non ha cessato
di essere. E il genitivo, nel caso, è soggettivo: avvento da parte di ciò che
non ha cessato di essere.
Essendo
Heidegger un filosofo tedesco, avrebbe l’obbligo a questo punto di aprire una
lunga parentesi, su “vero” e “concreto”, su “presente vero” e “presente
concreto”, su “essenza” e su “verità”. Nonché sulla traduzione, che è la vera
lettura, si sa, quella che riempie “i silenzi del testo”, direbbe Ortega y
Gasset, dal greco al tedesco, e dal tedesco alle altre lingue. Anche per il
dubbio, a fronte dello scarso ascolto in patria, che la sua filosofia sia opera
dei traduttori. I quali, i francesi per primi, stanchi o impossibilitati a
comprendere, a partire da Sartre (che però evitò la traduzione, e perfino la
citazione), tradurrebbero parola per parola, producendo nel suo campo filosofia
come una forra di giardini promiscui, dilettevoli per abbondanza, carnosità,
mistero, se non per le geometrie.
Umorismo
– Sciascia lo dice “una chiave di speranza”, a proposito
di Pirandello, e anche di Kafka: “Scoprire i risvolti comici della vita e
riderne, non è pessimismo” (“Fuoco all’anima”, 106-107). Dell’umorismo specificando:
“È il sentimento del contrario. Così dice Pirandello. Ogni cosa è rivoltabile.
Qualunque cosa ha il suo contrario; da qui il senso dell’umorismo. Heine lo
dice in modo più brutale: l’umorismo è mostrare il volto in lacrime e poi il
sedere!”.
Diverso
il comico: “L’umorismo è un sentimento, il comico è una situazione diversa, in
cui chi lo pratica prova un senso di superiorità rispetto a quelli che sono i
personaggi, gli oggetti della comicità. Nella rappresentazione del comico c’è sempre
qualche manifestazione di superiorità”.
Di
più Sciascia riprende Hobbes: comico è l’improvviso riconoscimento della nostra
superiorità sugli altri.
Altro
dall’umorismo è anche l’ironia, distingue Sciascia, il razionalista non si
permette che l’ironia: “Gli illuministi non conoscono l’umorismo, conoscono
l’ironia. …Il razionalismo non consente il capovolgimento umoristico. Il razionalismo
genera sempre il distacco dell’ironia. Perché la realtà non corrisponde alla
ragione” – id. 108.
zeulig@antiit.eu
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