domenica 30 gennaio 2022

Secondi pensieri - 472

zeulig


Esorcismo – È in realtà il fatto religioso. La preghiera, la celebrazione, il formulario, anche il sacramentario. D i che? Di chi? Dell’uomo-materia, dell’essere (vita) materia, che l’essere umano risente come limite, vincolo, ostruzione, ostile,
Una via di fuga. Un’avventura. In un altrove che è di sua fabbricazione.   

Germania greca – È creazione recente e particolare, del seminario di Tubinga: di Hegel che si proporrà di far rinascere la filosofia greca nella filosofia tedesca, e del suo grande sodale Hölderlin, talmente immedesimato nell’antica Grecia da far confluire non solo i destini nazionali ma anche la lingua tedesca in quella greca – ionica? attica? Heidegger porterà all’ennesima potenza – un diversivo, dovendosi riciclare dopo il nazismo? – l’identificazione, di Hegel insieme con Hölderlin, che ripropone in quella chiave. 
Eppure, Nietzsche l’aveva spiegato, che, se davvero s’intende la Grecia, si sa che da tempo è finita, e per sempre. Morto è senz’altro Socrate col socratismo, come il giovane Nietzsche sapeva: l’intelligenza è decadente, la democrazia la sospetta.
Nietzsche, che del greco “conosci te stesso” disse: “Questi greci hanno molta roba sulla coscienza, la falsificazione era il loro lavoro vero, e tutta la psicologia europea è malata di superficialità greca”. Ma, filologo in cattedra, prese per greci i Nibelunghi di Wagner, il classicismo può essere approssimativo fra i tedeschi, che pure l’hanno inventato.
Del “professor Hegel” il “dottor Schopenhauer dice: “L’autore butta lì le parole, il senso ce lo deve mettere il lettore”.
 
Mito - Il mito greco è poco greco: non sono amabili le mitologie, che sono classificazioni, di dei e eroi che si ricordano per una sola azione, la passione unica che è ripetizione, spaventosa.
Privilegio – “Etimologicamente, «privilegio» è una cosa che avviene fuori della legge, senza la legge”, nota Sciascia, “Fuoco all’anima”, 30. È un vantaggio, una prerogativa (esclusiva), una posizione o un emolumento, fuori della norma, e non regolata da leggi. Molti privilegi sono dei giudici. 
 
Religione – È la prima fantascienza. La più fine, anzi sopraffina rispetto al genere letterario, intelligenza artificiale compresa. Che si impone con l’incredulità.
Si va dal più al meno. Da un sentimento elevato della vita a uno di bracci di ferro, fino ai missili atomici, le droghe, e i corpi come telai meccanici. Anche in funzione pedagogica, di nutrire “scarti di vita” (Primo Levi), questa evoluzione è limitata e scadente.
Primo Levi è di parere opposto (“Conversazioni e interviste”, 116): “La materia è anche una scuola, una vera scuola Combattendo contro di lei si matura e si cresce. In questo combattimento si vince o si perde e a volta a volta la materia è sentita come astuta o come ottusa, senza che ci sia contrasto, perché sono due aspetti diversi”. No, è lo stesso limite, la materia può essere metafisica, ma è sempre limitata, un solido. Nella sua morbilità (degenerazioni, deperimenti, disfacimenti) e anche nei suoi piccoli moti vitali (creativi).     
 
Tolleranza – È la ragione. “Tolleranza e ragione coincidono” è l’esito della ricerca di Primo Levi sulle radici del male (“Conversazioni e interviste”, 168) - lunga, insistita indagine. È misura. E disposizione critica, delle proprie idee e ambizioni comprese. Capace di contestualizzare.
Un mondo di mondi ragionevoli – critici. Anche violento? Per ristabilire la misura – la tolleranza non tollera la prepotenza. Da qui l’insofferenza per l’integralismo delle minoranze che si impone.
Accettabile nella misura. Fino cioè a che ristabilisce gli equilibri: il “razzismo antirazzista” dell’ “Orfeo nero” di Sartre - che mai si cita, si cita solo Fanon, il gesto repulsivo, anche se si fa integralista.  
 
TraduzioneNon si saprebbe trascurare in filosofia – soprattutto in filosofia. Per la filosofia greca come per la tedesca, che a essa si vuole affine, ma un po’ per tutta la filosofia, che opera per sottigliezze.
Si prenda Heidegger: “La rappresentazione storicizzante della storia come successione di eventi impedisce di sperimentare in quale misura la storia vera è sempre, in un senso pienamente essenziale, pre-senza”. Che sembra concetto intraducibile, e quindi incomprensibile: la Gegen-wart è tutt’altra cosa da pre-senza, il non-c’era-del-non-c’è, e non si può tradurre in altro modo. Ma pre-senza è avvenire, in quanto esigenza dell’iniziale. Ciò che “ha una storia” è coinvolto nel divenire. Ciò che “ha una storia”, egualmente, può “fare storia”. Storia significa inoltre la totalità dell’ente, che col tempo muta e, distinguendosi dalla natura, abbraccia le vicende e le sorti degli uomini. Infine, è “storico” pure il tramandato come tale.
“Lo svolgimento della storia cade nel tempo”, avrebbe detto Hegel: “Solo il presente è, il prima e il dopo non sono. Ma il presente concreto è il risultato del passato ed è gravido di avvenire. Il vero presente è quindi l’eternità”. Abbiamo storia solo se sin dall’inizio essa diviene l’essenza della verità. La storia è avvento di ciò che non ha cessato di essere. E il genitivo, nel caso, è soggettivo: avvento da parte di ciò che non ha cessato di essere.
Essendo Heidegger un filosofo tedesco, avrebbe l’obbligo a questo punto di aprire una lunga parentesi, su “vero” e “concreto”, su “presente vero” e “presente concreto”, su “essenza” e su “verità”. Nonché sulla traduzione, che è la vera lettura, si sa, quella che riempie “i silenzi del testo”, direbbe Ortega y Gasset, dal greco al tedesco, e dal tedesco alle altre lingue. Anche per il dubbio, a fronte dello scarso ascolto in patria, che la sua filosofia sia opera dei traduttori. I quali, i francesi per primi, stanchi o impossibilitati a comprendere, a partire da Sartre (che però evitò la traduzione, e perfino la citazione), tradurrebbero parola per parola, producendo nel suo campo filosofia come una forra di giardini promiscui, dilettevoli per abbondanza, carnosità, mistero, se non per le geometrie.


Umorismo – Sciascia lo dice “una chiave di speranza”, a proposito di Pirandello, e anche di Kafka: “Scoprire i risvolti comici della vita e riderne, non è pessimismo” (“Fuoco all’anima”, 106-107). Dell’umorismo specificando: “È il sentimento del contrario. Così dice Pirandello. Ogni cosa è rivoltabile. Qualunque cosa ha il suo contrario; da qui il senso dell’umorismo. Heine lo dice in modo più brutale: l’umorismo è mostrare il volto in lacrime e poi il sedere!”.
Diverso il comico: “L’umorismo è un sentimento, il comico è una situazione diversa, in cui chi lo pratica prova un senso di superiorità rispetto a quelli che sono i personaggi, gli oggetti della comicità. Nella rappresentazione del comico c’è sempre qualche manifestazione di superiorità”.
Di più Sciascia riprende Hobbes: comico è l’improvviso riconoscimento della nostra superiorità sugli altri.
Altro dall’umorismo è anche l’ironia, distingue Sciascia, il razionalista non si permette che l’ironia: “Gli illuministi non conoscono l’umorismo, conoscono l’ironia. …Il razionalismo non consente il capovolgimento umoristico. Il razionalismo genera sempre il distacco dell’ironia. Perché la realtà non corrisponde alla ragione” – id. 108.

zeulig@antiit.eu

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