La colpa del sopravvissuto – e dello spettatore
Una storia “forte”, del disagio
(senso di colpa) del sopravvissuto. A una catastrofe familiare. Inframezzato
dagli eventi senza più senso della vita quotidiana: le amicizie generose, il
vagabondaggio, l’alcol, il silenzio di chi sa. E dalla vita come avrebbe potuto
essere.
Qualcosa Amalric deve al suo amico
Moretti, a “La stanza del figlio”. Ma con in più, insopportabile, la vita
figurata come se niente fosse stato. Ogni giorno daccapo: la donna la rivive come
in solitario, come nel gioco delle carte, con le polaroid dei momenti felici rovesciate
a caso, ma senza soluzione possibile del gioco - le tocca ricomporre il mazzo e smazzare di nuovo le polaroid della vita come avrebbe potuto essere.
Un racconto musicale, quindi creativo
- allegro, malgrado la tristezza irredimibile del caso. Amalric si sa perseguire
da tempo l’idea di una storia che si racconti col suono, più che con l’immagine.
Una colonna sonora ha montato da decine di pezzi classici, da Beethoven a
Messiaen. Eseguiti da provetti interpreti, da Argerich in giù per il pianismo.
Sulla traccia di un dramma di Claudine Galea, scrittrice per l’infanzia e l’adolescenza,
“Je reviens de loin”.
Un racconto semplice, che la
critica e la promozione hanno complicato e confuso. Deprivando lo spettatore del
piacere di vedere il film – se non, a fatica, a posteriori, evocando questa o
quella scena, questa o quella battuta. Forse gli estensori delle tramine non
vedono i film, e anche i recensori, se non distrattamente. Forse le promozioni
sbagliano, a omettere il senso della trama, del racconto - per evitare
l’effetto spoiler, dicono: si pensa che la “sindrome Antonioni”, della
“incomunicabilità”, aiuti lo spettatore, lo affascini?
Mathieu Amalric, Stringimi forte
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