venerdì 25 febbraio 2022

La contessa garibaldina a Parigi

La foto di copertina di Benedetta Craveri dice tutto, la schiena nuda profferta della contessa. Una donna anticonformista, che si vorrà “madre della patria”, come i giovani morti nelle guerre del Risorgimento, lei a letto con Napoleone III, agli ordini di Cavour, cugino del marito: una garibaldina, seppure da letto, un’insurrezionista, un’eroina. Era invece una donna alta e bella già a 17 anni, che l’avvenenza esibirà per altri quarant’anni, i più a Parigi, naturalmente. Disinibita, questo certamente. Come, due generazioni dopo, Teresa Casati Stampa, “la marchesa Casati” di cui perfino Kerouac si infatuerà nel ricordo, oppure a Parigi Colette, da sola e con le amiche di letto, famosa la duchessa di Clermont-Tonnerre.  
Valeria Palumbo, che la biografia svolge seccamente, in forma di saggio, lo dice subito, con un’istantanea: “Parigi, 16 aprile 1863: Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, accetta di comparire in un tableau vivant in una serata di beneficenza per le scuole di San Giuseppe. A organizzare è la contessa Stéphanie Tascher de La Pagerie, cugina di Napoleone III. I quadri viventi sono la gran moda del momento”, coinvolgono i borghesi con gli aristocratici e i futuri intellettuali, quello che sarà “le tout Paris”, ignari o incuranti della catastrofe in arrivo a Sedan – “la Francia sta per cadere in un baratro….. Ma ci sta per cadere ballando”. Fuori ne viene, come Palumbo sintetizza in copertina, “la più bella e la più spregiudicata delle dame alla corte di Napoleone III, perversa fin da ragazza, agente di Cavour, amica dei potenti, avida, passionale, la belle dame sans merci, speculatrice in Borsa, alleata dei Rothschild, presto appassita, pazza…”
Benedetta Craveri, esumatrice di tante figure sette-ottocentesche francesi, ne fa la storia nel contesto, italiano e francese. Ma soprattutto, aiutata da molte lettere della donna, che ha dissotterrato in archivi francesi e italiani, e utilizza, ne fa una sorta di donna liberata. Di un tipo particolare: intelligente oltre che bella, audace, manipolatrice, cinica, ma – sembra chiedersi la biografa – poteva fare altrimenti? Di questo grande lavoro di scavo si gode il fascino bibliografico, archivistico, come curiosare in casa d’altri, nell’intimità.
Parigi era un palcoscenico, e le belle dame vi si esibivano, con profumo di scandalo – allumeuses, horizontales, anche démi-mondaines. Si liberavano giocando all’erotismo – più detto che fatto. La contessa vi si distinse per la fotogenia: si organizzò oltre quattrocento ritratti, e fu la prima, la profusa e la meglio addict del nuovo mezzo, l’immagine chimica. Arrivista, si seppe anche amministrare, prolungando la stagione della fama.
La contessa era odiata, anche questo è un fatto, dall’imperatrice Eugenia, donna bella anch’essa e carattere forte (sarà la madre-musa di Proust, e di più del grande amore di Proust, Lucien Daudet), e la cosa può confermare che sia stata effettivamente l’amante di Napoleone III. Ma l’imperatrice era papalina e antitaliana, e questo bastava per non amare la Castiglione, la “cugina di Cavour”.   
Virginia era stata a Parigi a 19 anni, nel 1856, due dopo il matrimonio, ci tornerà definitivamente nel 1861, a 24 anni – a unità già fatta, le date con concordano con la “madre della patria”. Scelse Parigi in quanto “capitale della moda e dei piaceri”. In fotografia si diletta di pose elaborate e sceneggiate, da fotoromanzo, e da eremita, dogaressa, paludata vittima di assassinio (o assassina, per quanto paludata?). La foto e la posa sono le uniche passioni sicure che si sanno di lei – anche dopo lo scavo della corrispondenza inedita operato da Craveri. Per la cura di Delessert, Pierson e altri fotografi alla moda. Col solo Pierson, fotografo di corte, nei quarant’anni che visse a Parigi, si fece quattrocento ritratti. Più di quattrocento. Anche mezza nuda, ma soprattutto in costume: da dogaressa, regina d’Etruria, carmelitana, o da personaggi di romanzi e di opere. Una forma esasperata di narcisismo, doppiata dalla schizofrenia: una ricerca  nevrotica della propria personalità e della propria alterità, l’ uno, nessuno e centomila – non c’è caso analogo nella storia della fotografia di autoritratto in travestimento, eccetto che per quattro nomi del Novecento, Claude Cahun, Sophie Calle, Cindy Sherman, e Molinier, un uomo che voleva essere donna. Degli innumerevoli ritratti di Pierson, d’altra parte, l’autrice è lei stessa, posa, luci, taglio, abbigliamento, soggetto o story – il fotografo è solo l’operatore.
Inventa anche il corpo come oggetto d’arte - nella storia della fotografia ha un posto sicuro. Da ammirazione o invidia più che da diletto. Tanto meno a buon mercato, sia pure per la diplomazia di un conte che farà l’Italia. Come immortalata nel quadro di Watts: denti bianchi, tinte forti, vita e petto eccezionali – la contessa non portava reggiseno, almeno così faceva sapere. Le gambe ha fatto modellare in terracotta, Carrier-Belleuse le ha scolpite.
In entrambe le narrazioni il racconto si propone di rendere giustizia a Virginia Castiglione come a tutte le donne. Che facevano, dice Palumbo, allora la diplomazia parallela un po’ in tutta Europa, salvo non ottenerne alcun riconoscimento, che invece andava agli uomini. Per esempio al bel Costantino Nigra, che sempre Cavour infiltrava a corte, naturalmente presso l’imperatrice Eugenia. Ma forse Nigra era altro – l’imperatrice non aveva amanti, e comunque era pur sempre papalina. I problemi o squilibri psicologici di cui Virginia Castiglione fu presto vittima è arduo farli risalire al maschilismo dell’epoca, a Cavour o a Napoleone III – all’imperatore forse sì, ma per essersi lasciato battere nel 1870, e quindi caciare, chiudendo la  corte, il palcoscenico: la contessa non aveva rivalse, folleggiava di suo.  
Benedetta Craveri, La contessa. Virginia Verasis di Castiglione, Adelphi, pp. 452, ill, € 24
Valeria Palumbo, La donna che osò amare se stessa. Indagine sulla contessa di Castiglione, Neri Pozza, pp. 176 € 18

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