La contessa garibaldina a Parigi
La foto di copertina di Benedetta Craveri
dice tutto, la schiena nuda profferta della contessa. Una donna anticonformista,
che si vorrà “madre della patria”, come i giovani morti nelle guerre del
Risorgimento, lei a letto con Napoleone III, agli ordini di Cavour, cugino del
marito: una garibaldina, seppure da letto, un’insurrezionista, un’eroina. Era invece
una donna alta e bella già a 17 anni, che l’avvenenza esibirà per altri quarant’anni,
i più a Parigi, naturalmente. Disinibita, questo certamente. Come, due generazioni
dopo, Teresa Casati Stampa, “la marchesa Casati” di cui perfino Kerouac si infatuerà
nel ricordo, oppure a Parigi Colette, da sola e con le amiche di letto, famosa la
duchessa di Clermont-Tonnerre.
Valeria Palumbo, che la biografia svolge
seccamente, in forma di saggio, lo dice subito, con un’istantanea: “Parigi, 16 aprile 1863: Virginia Oldoini, Contessa di
Castiglione, accetta di comparire in un tableau vivant in una serata di
beneficenza per le scuole di San Giuseppe. A organizzare è la contessa
Stéphanie Tascher de La Pagerie, cugina di Napoleone III. I quadri viventi sono
la gran moda del momento”, coinvolgono i borghesi con gli aristocratici e i
futuri intellettuali, quello che sarà “le tout Paris”, ignari o incuranti della
catastrofe in arrivo a Sedan – “la Francia sta per cadere in un baratro….. Ma
ci sta per cadere ballando”. Fuori ne viene, come Palumbo sintetizza in copertina, “la più bella e la più spregiudicata delle dame alla corte di
Napoleone III, perversa fin da ragazza, agente di Cavour, amica dei potenti,
avida, passionale, la belle dame sans merci, speculatrice in Borsa,
alleata dei Rothschild, presto appassita, pazza…”
Benedetta Craveri, esumatrice di tante figure
sette-ottocentesche francesi, ne fa la storia nel contesto, italiano e francese. Ma soprattutto, aiutata da molte
lettere della donna, che ha dissotterrato in archivi francesi e italiani, e
utilizza, ne fa una sorta di donna liberata. Di un tipo particolare: intelligente
oltre che bella, audace, manipolatrice, cinica, ma – sembra chiedersi la
biografa – poteva fare altrimenti? Di questo grande lavoro di scavo si gode il fascino
bibliografico, archivistico, come curiosare in casa d’altri, nell’intimità.
Parigi era un palcoscenico, e le belle
dame vi si esibivano, con profumo di scandalo – allumeuses, horizontales,
anche démi-mondaines. Si liberavano giocando all’erotismo – più detto
che fatto. La contessa vi si distinse per la fotogenia: si organizzò oltre
quattrocento ritratti, e fu la prima, la profusa e la meglio addict del
nuovo mezzo, l’immagine chimica. Arrivista, si seppe anche amministrare, prolungando
la stagione della fama.
La contessa era odiata, anche questo è un
fatto, dall’imperatrice Eugenia, donna bella anch’essa e carattere forte (sarà
la madre-musa di Proust, e di più del grande amore di Proust, Lucien Daudet), e la cosa può confermare che sia stata effettivamente l’amante di Napoleone III.
Ma l’imperatrice era papalina e antitaliana, e questo bastava per non amare la
Castiglione, la “cugina di Cavour”.
Virginia era stata a Parigi a 19 anni, nel
1856, due dopo il matrimonio, ci tornerà definitivamente nel 1861, a 24 anni –
a unità già fatta, le date con concordano con la “madre della patria”. Scelse
Parigi in quanto “capitale della moda e dei piaceri”. In fotografia si diletta
di pose elaborate e sceneggiate, da fotoromanzo, e da eremita, dogaressa, paludata
vittima di assassinio (o assassina, per quanto paludata?). La foto e la posa sono
le uniche passioni sicure che si sanno di lei – anche dopo lo scavo della
corrispondenza inedita operato da Craveri. Per la cura di Delessert, Pierson e
altri fotografi alla moda. Col solo Pierson, fotografo di corte, nei quarant’anni
che visse a Parigi, si fece quattrocento ritratti. Più di quattrocento. Anche mezza nuda, ma soprattutto in costume: da
dogaressa, regina d’Etruria, carmelitana, o da personaggi di romanzi e di
opere. Una forma esasperata di narcisismo, doppiata dalla schizofrenia: una
ricerca nevrotica della propria
personalità e della propria alterità, l’ uno, nessuno e centomila – non c’è
caso analogo nella storia della fotografia di autoritratto in travestimento,
eccetto che per quattro nomi del Novecento, Claude Cahun, Sophie Calle, Cindy
Sherman, e Molinier, un uomo che voleva essere donna. Degli innumerevoli ritratti
di Pierson, d’altra parte, l’autrice è lei stessa, posa, luci, taglio, abbigliamento, soggetto o story – il fotografo è solo l’operatore.
Inventa anche il corpo come oggetto
d’arte - nella storia della fotografia ha un posto sicuro. Da ammirazione o invidia più che da diletto. Tanto meno a buon
mercato, sia pure per la diplomazia di un conte che farà l’Italia. Come immortalata
nel quadro di Watts: denti bianchi, tinte forti, vita e petto eccezionali – la
contessa non portava reggiseno, almeno così faceva sapere. Le gambe ha fatto modellare
in terracotta, Carrier-Belleuse le ha scolpite.
In entrambe le
narrazioni il racconto si propone di rendere giustizia a Virginia Castiglione come a
tutte le donne. Che facevano, dice Palumbo, allora la diplomazia parallela un
po’ in tutta Europa, salvo non ottenerne alcun riconoscimento, che invece
andava agli uomini. Per esempio al bel Costantino Nigra, che sempre Cavour infiltrava
a corte, naturalmente presso l’imperatrice Eugenia. Ma forse Nigra era altro –
l’imperatrice non aveva amanti, e comunque era pur sempre papalina. I problemi
o squilibri psicologici di cui Virginia Castiglione fu presto vittima è arduo
farli risalire al maschilismo dell’epoca, a Cavour o a Napoleone III – all’imperatore
forse sì, ma per essersi lasciato battere nel 1870, e quindi caciare, chiudendo
la corte, il palcoscenico: la contessa
non aveva rivalse, folleggiava di suo.
Benedetta Craveri, La contessa.
Virginia Verasis di Castiglione, Adelphi, pp. 452, ill, € 24
Valeria Palumbo, La donna che osò amare se stessa. Indagine sulla contessa di
Castiglione, Neri Pozza, pp. 176 € 18
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