La guerra alle banche
Il primo
giorno di guerra dopo l’annuncio che l’Europa, Italia compresa, fornirà armi pesanti
all’Ucraina, piazza Affari apre in forte calo, con Leonardo (ex Finmeccanica,
armamenti) sospesa invece al rialzo. Con rischio di sospensione al ribasso per
Unicredit, giunta a meno 10,68, e poi fermatasi a meno 9,52. E con perdite
notevolissime anche per Intesa, - 7 per cento. Le due banche forse più
esposte in Russia.
Nella stessa
mattina si sono aperti i negoziati per una tregua, tra Mosca e Kiev, ma le armi
convincono di più. Nella stessa ottica, però, le decisioni belliche prese dall’Europa
– l’esclusione dalla rete swift delle banche russe, oltre alla fornitura di
armi pesanti - sono autocastranti.
Le
sanzioni, come mezzo di pressione e dissuasione, si sa da tempo che non
funzionano – dall’Italia imperiale di Mussolini, dall’Iran khomeinista,
eccetera. Si adottano per non saper che fare, come lavacro morale, per sgravarsi la coscienza. Ma possono essere controproducenti.
Per i
sanzionati implicano solo un costo supplementare per i rifornimenti – i divieti
si traducono in intermediazioni. Nel caso in questione implicano problemi per
le banche europee più che per quelle russe. E rincari abnormi del petrolio e
del gas – entrambi oggi a oltre 100 dollari per quantità di riferimento. Con impatto
severo sull’inflazione e sui bilanci delle famiglie (sui conti pubblici, se i
rincari sono nazionalizzati). A carico cioè dei paesi sanzionatori. In questo caso a beneficio perfino del paese sanzionato. Mentre il blocco delle riserve della banca centrale di Mosca non può tramutarsi in confisca, nemmeno in caso di sconfitta russa.
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