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La sindrome serba
Sarà un’altra guerra che “non ha
avuto luogo”, come il sociologo francese Baudrillard disse famosamente quella
del Golfo? Come quella di Putin alla Georgia nel 2008? Una guerra “non ha luogo”
quando è fra schieramenti così sproporzionati che non si può dire guerra? È possibile,
dopo il non intervento annunciato dagli Stati Uniti e dalla Nato.
È dunque una guerra per “dare una
lezione” all’Ucraina? Dopo quella di otto anni fa, con la sottrazione all’Ucraina
fervente antirussa della Crimea? È possibile: ora si creerebbero due staterelli
cuscinetto nel Donbass, il Sud-Est dell’Ucraina, le due “repubbliche popolari”
di Luhans’k e Donets’k, come nel 2008 furono
create dalle truppe russe le due piccole repubbliche separatiste al Nord della
Georgia, Abkhazia e Ossezia del Sud.
Putin è accreditato di una sindrome anti-occidentale,
sia l’Occidente la Germania nazista o la Nato. Questo non si direbbe, essendo lui
stato il capo russo che più ha cercato di farsi accettare nel G 7, il vertice occidentale
- si è ventilato perfino di un’adesione della Russia alla Nato. E uno che, scontando il niet americano, non fa che proporre patti di reciproca sicurezza in Europa. È però molto “russo”.
Ha cioè la coscienza di avere sconfitto Napoleone e Hitler – quando l’Europa
era adagiata sotto il tallone di Napoleone e di Hitler: un liberatore (le prime notizie dell’attacco all’Ucraina
stanotte sono state accompagnate sulle tv russe dalla proiezione di film della
guerra vittoriosa contro Hitler). E soffre
la sindrome Serbia, gli slavi del Sud così vicini al patriarcato russo, come
dimostra il suo attaccamento, da non credente, alla chiesa ortodossa. Della guerra Nato contro la Serbia nel 1999, due
mesi di bombardamenti con missioni quotidiane, ha ricordato recentemente: “Una
sola capitale è stata bombardata in questo dopoguerra”, con riferimento a Belgrado,
“e non siamo stati noi”. E denuncia non senza ragione il perdurante nazismo europeo antirusso - la Russia considerando quella che impedì il trionfo di Hitler: Kiev, il presidente Zelensky o chi per lui, combatte nel Donbass gli ucraini russofoni con i volontari nazisti di mezza Europa.
Putin teme l’ostracismo
delle comunità russe variamene sparse nell’ex impero zarista e sovietico (una molto importante, mezzo milione è tra Lituania e Polonia, una exclave, Kaliningrad, la Koenigsberg di Kant, porto importante sul Baltico), come
è avvenuto nell’ex Jugoslavia alle aree serbe e serbofone. Lo ha accettato nei paesi
baltici, per piccoli numeri, non lo ha accettato in Moldavia, dove ha costituito
la Transnistria, e nella stessa Ucraina già con la Crimea - una ipotesi che si fa sugli obiettivi della guerra oggi in Ucraina è che Mosca non si accontenti dei sue staterelli del Donbass ma punti a un corridoio tutto russo sul Mar Nero, che colleghi cioè la Russia alla Transnistria, comprendendovi anche Odessa.
Le tribù slave sono molto unite e
molto divise – molto tribali. Il maresciallo Tito, croato, fece grande la
Serbia nella Jugoslavia. La Russia sovietica è stata fatta grande da Stalin, un
georgiano (nemmeno slavo, quindi), e da Krusciov, un ucraino - fu di Krusciov l’ultima
grandeur sovietica, l’illusione del “sorpasso”, nello spazio e nell’economia.
Disciolta l’Urss, le minoranze slave, invece di essere riconoscenti per avere
beneficiato del federalismo sovietico, si rivoltano contro la Russia.
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