martedì 22 febbraio 2022

Letture - 482

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Boccaccio – Un protofemminista. Che al “De Casibus virorum illustrium” ha affiancato un “De mulieribus claris”, le vite di donne illustri (106, donne del mito o della classicità, ma con una mezza dozzina di casi recenti: Giovanna “anglica, la “papessa Giovanna”, una Gualdrada “donzella fiorentina” (la “buona Gualdrada” dell’“Inferno” di Dante), una Camiola vedova senese, Costanza d’Altavilla, regina della Sicilia, l’imperatrice Irene Sarantapechaina d’Atene, imperatrice di Bisanzio per cinque anni fra Sette e Ottocento), Giovanna regina di Sicilia e Napoli (Giovanna I).
 
Divenne presto popolare in Francia, subito dopo la morte, per opera di un poeta e umanista, Laurent de Premierfait, che tradusse il “De Casibus” e il “Decameron”, dal “fiorentino”, come diceva, migliaia di pagine, quale autore che promuove le nuove lingue nazionali, le lingue volgari – Dante e Petrarca saranno tradotti secoli più tardi. Ma Premierfait non conosceva bene il “fiorentino”: per la traduzione si rivolse quindi a un colto frate francescano – ha dimostrato Vittore Branca – addottorato alla Sorbona, Antonio d’Arezzo, che padroneggiava il latino, il francese, e il “fiorentino”, e sarà poi lettore di Dante a Firenze. Premierfait autorevolmente presentava il “Decameron” come i due volumi di casi illustri, forse anche il “De mulieribus”, come un libro di edificazione, una sorta di “Art de bien vivre et de bien mourir”: “Benché sembri servire a dilettare l’ascoltatore e il lettore… questi vi troverà, nelle storie raccontate, più profitto morale che diletto”, etc.    
 
Bullismo - “Gli psichiatri si concentrano interamente troppo sulla scena primaria e la deprivazione pre-edipica e ignorano i traumi dei bambini della scuola elementare e diverse, che sono crudeli e spietati”. Lucia Berlin, il racconto “Stelle e santi”, s.d, ma cica 1960.
 
Concilio Vaticano II – Non solo ha abbandonato il latino come lingua liturgica, ma ha cambiato anche la lingua – ha tentato di cambiare la lingua, in un anticipo di politicamente corretto – per una lingua anonima (universale). Predica e predicatore voleva cambiare in “momento omiletico” e “omileta”. La messa in “celebrazione liturgica”, o “cena del Signore”, o anche “sinassi”. Parole mediando dalla liturgia ortodossa, ma senza alcuna apertura, teologica o anche solo liturgica, alla chiesa ortodossa. La conversione   ha sostituto con “metanoia”, e l’ateo con “non credente”. Il catechismo con la catechesi. Il dono con la “carità oblativa”. E la carità con l’”esercizio della prossimità con il proprio simile” – con gli animali no? Niente più prima comunione né cresima, solo “sacramenti dell’iniziazione cristiana”. Più radicale di tutto è l’introduzione di “pleroma” al posto del paradiso.
“Parole vuote” le definiva Tullio De Mauro, il linguista.  Ma non inerti: si capisce anche da questo che la chiesa abbia perduto senso.
 
T.S. Eliot – Il suo poema “The Waste Land” è “terra desolata” per la traduzione di Mario Praz, nel 1932 – anticipata a ridosso nel 1926, quattro anni dopo la prima pubblicazione, con la traduzione dell’ultimo movimento del poema, “Ciò che disse il tuono”. Non c’era accordo sulla traduzione di Praz, spiega Carlo Ossola in un saggio disperso, “Desolata, ma sempre fertile”: Caproni vi trovava un’implicita citazione di Dante e propose “paese guasto”. Ma “lo stesso Eliot finì per esserne influenzato”, conclude Ossola, “tanto da riusare in  seguito lui stesso l’aggettivo”.
 
Filosofia – In Germania non è materia d’insegnamento al liceo.
 
Germania - I tedeschi vanno capiti. Marx dice: “Come i popoli antichi hanno vissuto la loro preistoria in immaginazione, nella mitologia, noi abbiamo, noi tedeschi, vissuto la nostra post-storia in pensiero nella filosofia. Noi siamo i contemporanei filosofici del presente, senza essere i suoi contemporanei storici”.
Walter Benjamin per esempio, quando si occupa di Marinetti e del Manifesto per la guerra coloniale in Etiopia: roba da piangere. Ma poi Benjamin aveva altro di cui occuparsi, che la Germania contemporanea storica perseguitava.
 
Intervista – È il genere privilegiato da qualche tempo, giornalistico e anche letterario. Il giornalista trova comodo farsi scrivere l’articolo da un altro, per di più incontestato e incontestabile. Il narratore sempre più indulge ad autorappresentarsi (autointervistarsi): cosa ho detto e cosa ho fatto, cosa vorrei fare oggi o domani. Il “New Yorker” celebra il genere esumando una serie dia articoli su celebri intervistatori del secondo Novecento. Si parte con “Salto Mortale”, analizzato nientemeno che da Kenneth Tynan, il critico che promosse gli “arrabbiati”, il teatro drammatico inglese del secondo dopoguerra. Il “Salto mortale” non è quello, più noto in Europa, della tv tedesca, che tenne banco per una dozzina d’anni, con le esibizioni dei funamboli del circo Krone, ma quello, sempre in italiano, della serie televisiva condotta da Johnny Carson, il comico americano diventato un’icona tv con quel programma – un predecessore di David Letterman, meno impegnativo per gli ospiti, che trattava con garbo, facilitandone quindi le confidenze (in Italia ripreso poi da Costanzo).
 
Madre-figlia – Il tema, a naso, preponderante delle narrazioni femminili, di scrittrici. Ci sarà un maternalismo al posto del paternalismo?
 
Moravia - L’8 settembre di Moravia fu nel 1941, quando Alessandro Pavolini, titolare del Minculpop, il ministero della Cultura Popolare, intimò per “circolare telegrafica ai Prefetti del Regno”: “Pregasi invitare direttori quotidiani et periodici locali at non più (dicesi non) pubblicare scritti di Alberto Moravia”. Forse per un braccio di ferro interno al regime con De Marsanich, sottosegretario alla Marina Mercantile dopo esserlo stato alle Comunicazioni, zio di Moravia – fratello della madre.
Un po’ Moravia se lo aspettava. L’ostracismo era iniziato tre anni prima, con le leggi razziali. Il direttore della “Gazzetta del Popolo” di Torino, Amicucci, fascista puro e duro, gli aveva tagliato la collaborazione, su cui Moravia contava per mantenersi, e che praticava da dieci anni. In quell’occasione lo scrittore era ricorso a Mussolini, per far valere la sua non ebraicità: “Sono cattolico fin dalla nascita e ho avuto da mia madre in famiglia educazione cattolica. È vero che mio padre è israelita, ma mia madre è di sangue puro e di religione cattolica, si chiama infatti Teresa De Marsanich ed è sorela”, etc.
Sei settimane dopo il telegramma dell’8 settembre, lo stesso Minculpop segnalava però Moravia benevolmente a Mussolini: la famiglia è “a norma di legge di razza italiana”, il “fratello, tenente Gastone Pincherle” è “caduto in combattimento” sul fronte di Tobruk, e “il Moravia si è recentemente sposato con donna di razza italiana”. Con Elsa Morane. La quale invece era di madre ebraica. Ma era “figlioccia” (di battesimo? di cresima?) di padre Tacchi-Venturi, il gesuita fascistissimo.  
 
Sartre – Fascinoso, la compagna Simone de Beauvoir e le varie biografie (per lo più dispettose, uscite quando ancora se ne parlava) gli attribuiscono una serie interminabile di avventure sessuali, anche con ragazze giovani e belle, accudito negli ultimi dieci anni, del tracollo fisico fino alla non autonomia, da almeno cinque donne di nome e di rango, era alto un metro e 56. E viveva di stimolanti. le anfetamine fin dal primo mattino.

letterautore@antiit.eu

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