L’invasione delle masse
Trentotto
anni di fatica e un volume ponderoso, per dire?
Una
ricerca insensata. Fenomenale. Un repertorio di mille letture, a nessun fine, né
pratico né conoscitivo. Un’afflizione ordinativa, come nell’altro libro epocale
di Canetti, la biblioteca destinate al fuoco di “Auto da fé”.
La
tipologia canettiana è sterminata: ci sono decine di tipi di massa, forse
centinaia. Di caccia, di guerra, del lamento, di accrescimento, aperte e chiuse,
scoppiate, domesticate, ritmate, statiche, in fuga, in guerra, proibite,
festive. E allora?
La
massa sempre aumenta di peso. Sempre no, sarebbe scoppiata – o sarebbe la
normalità, la società. Ma “una massa che non aumenta di peso” Canetti la trova,
“è la Quaresima. Ci sono masse per sopravvivere alla Quaresima”, cioè. Qui
siamo solo alla p. 28 della numerazione editoriale, cioè alla decima o undicesima
del testo. Segue che “il panico in un teatro, come spesso è stato osservato, è un disgregarsi
della massa”. Con indovinelli. Per esempio: “Definisco cristalli di massa quei
piccoli e rigidi gruppi di uomini, ben distinti gli uni dagli altri e
particolarmente durevoli, che contribuiscono alla formazione delle masse”. Indovinato? Gli orchestrali. Oppure ovvie: le masse di cui si dilettano le religioni, di
diavoli, di angeli, e naturalmente di morti. Anche avveniristiche, ma a caso:
Cesario von Heisterbach vedeva già quei demoni talmente piccoli, talmente
numerosi e diffusive, che il XIX secolo chiamerà “bacilli”.
C’è perfino la Haka Maori – un ottimo pezzo, a sé stante. Come pure la “sosta
nell’Arafat” del pellegrinaggio alla Mecca, dove folle stanno immobili per ore,
sotto il sole nel mezzo del deserto. Anche la Walhall merita. E l’aurora boreale
per i boreali. A volte infatti Canetti è narrativo, e allora godibile. Hussein e lo
sciismo, pp. 177 segg., è da antologia, anche per chi non s’interessa
dell’Iran. Gobineau viene giustamte sdoganato, fuori dal razzismo sotto cui si
seppellisce. Con notevoli lampi random. Sul cattolicesimo che non ama le
masse, “forse fin dai primi movimenti eretici dei montanisti, che si volsero
contro i vescovi con assoluta mancanza di rispetto” – a volte Canetti indulge
nella presa in giro di se stesso. E nel suo sacramento massimo, la comunione, opera
una severa selezione dei singoli meritevoli (ora non è più così; la chiesa avrà
letto Canetti, questa sua censura?).
A specchio
delle masse il potere. Purtroppo individualizzato, sotto le forme dell’eroe, il
giustiziere, il direttore d’orchestra, il capotribù.
Una massa di studi (questa non c’è in
Canetti), in concorrenza virtuale con Frazer, ma sena averne la formazione e gli strumenti, da dilettante. stamina.
Da vertigine della lista di Umberto Eco: l’ossessione della parola massa. Primo
Novecento, certo, il lavoro , concluso nel 1960, è cominciato nel 1922. Ma? Il
contrappunto (contrappeso) dell’individualismo, la deriva del Novecento a doppio
taglio dunque: la mobilità, la velocità, la carriera, e i diritti, sempre personali,
anche in famiglia.
Con
estese citazioni da profusi etnologi. Solitamente tedeschi, a cavaliere del
Novecento. Con una nutritissima bibliografia, di un paio di centinaia di
titoli, “non esaustiva” – in trentotto anni è comprensibile. E un indice
analitico, questo sì, utile, dettagliatissimo.
Immane
anche l’impegno di Furio Jesi, per la traduzione, e per la ricostituzione delle
fonti sugli originali – i riferimenti di
Canetti erano a edizioni o traduzioni inglesi
o tedesche.
A dire di Canetti, “Massa e potere” non è altro che un tentativo di
depistaggio dei crimini del potere. È il secondo filone d’interesse lungo tutta
la vita di Canetti, lo studio-comprensione della massa, accanto a quello della
morte. Lui stesso lo spiega nel “Libro contro la morte”, 183: “I due
disegni che mi sono fissati: l’uno, il meno importante, cioè la conoscenza della
massa, eseguito con un certo successo, l’altro, molto più ambizioso, e cioè la
ricusazione della morte, finite in un terribile fallimento”,
Elias
Canetti, Massa e potere, Adelphi, pp. 615 € 16
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