Chi era Pasolini - 2
In quanto personaggio,
il Pasolini senza dubbio più incisivo e duraturo riesce alla rilettura tanto brillante
quanto inconcludente. Come è dei polemisti: talmente anticonformista da
mordersi la coda. Si nota specialmente dopo, a distanza, ma anche in vita se ne
poteva leggere l’evangelico è necessario dare scandalo maneggiato con calcolata
disinvoltura per scandalizzare il borghese. Per il modo di porsi, e anche per
una biografia che lui non nascondeva o negava, e non si può evitare.
Era
un passatista – “l’unica forza contestatrice è il passato”. Non un tradizionalista,
alla Guénon, alla Evola, alla Eliade. Un medievista. E non alla san Francesco -
amava il suo piccolo lusso e le comodità, curava l’abbigliamento, la
capigliatura, le “buone cose di pessimo gusto”, l’automobile, la casa, le seconde
case, in campagna, al mare, i ritratti, propri. Benché morendo a capo, a suo
dire, di “dieci anni che hanno visto la consumazione di un genocidio umano e
antropologico”, confidava a Scola che lo voleva il Virgilio di un suo film. E però
nemmeno disperato: progettava, dopo la sfida di “Salò-Sade”, un “Porno-Teo-Kolossal”
– per la “femminilizzazione del maschile”, vasto programma. E un “Petrolio” di duemila
pagine. Incapace di una relazione affettiva, una vita di marchette.
Era
contro il divorzio, al referendum del 1974. E poi contro le ipotesi di
regolazione dell’aborto. E contro al scuola.
Qui modellandosi su Papini. O su Longanesi – identiche le bestie nere: edonismo,
materialismo, e tante frasi, “La scuola inutile” diceva un libro del “Borghese”
longanesiano, prima di diventare fascista, alcuni anni prima. Storicamente, fu l’esigenza del servizio
militare obbligatorio a creare l’istruzione obbligatoria, roba da caserma (questa
gli è mancata).
Con
la comoda metafora guicciardiniana del “palazzo” poteva permettersi tutto,
basta mettersene fuori. Un buon retore, se ancora incanta, ma non un buon
maestro.
Ancora
nel 1974, al processo, non volle colpe del Pci a Porzûs. Al fratello Guido, che
pure ricorda “generoso e entusiasta”, che era sfuggito all’agguato ma fu
rincorso e finito dopo essersi arreso, limitandosi a dedicare un compitino, tra
parche e fati, lui che ogni evento turbava. Scusandolo su “Vie nuove”, l’illustrato del Partito: “Credo che non ci sia nessun
comunista che possa disapprovare l’operato di Guido”. Morto di diciannove anni,
si ricorderà, vittima della sottomissione che Togliatti aveva ordinato, con lettera
circolare, alla causa internazionalista, nella fattispecie slava. Guido il mal
amato, indifferente alla madre, che aveva opposto i pugni quando i compagni al
ginnasio deridevano il fratello maggiore ricchione, riportandone commozione
cerebrale. Nei dodici mesi di guerra partigiana Pier Paolo se ne era stato chiuso
in casa, sfollato dove non c’erano rischi, neanche l’arruolamento forzato di
Salò, lui che da bambino giocava ai soldati.
Da
ultimo, nel romanzo “Petrolio”, flirterà col peggiore complottismo di quegli
anni, complotti tristi, quasi settimanali, da spie tristi, senza arguirne la miseria.
Ad agosto 1975 vedeva Moro morto: “La meccanica delle divisioni politiche del
Palazzo è come impazzita: essa obbedisce a regole la cui «anima» (Moro) è
morta”, vaticinava. Mentre Moro occupava le piazze. “Non ci processerete nelle
piazze”, urlando - “non me vivo”, sembrava dire. Accantonando
il meridionale understatement e la
scaramantica stanchezza - come quando alla Camera negò il Piano Solo. E sostenendo,
giurisperito emerito, che “il partito viene prima dello Stato” – il Partito è
lo Stato era Togliatti, non l’anarchia ma una presa di possesso rapida.
L’ananke
che corsaro lamentava sarà stata la colpa. Nonché la Resistenza, non fece
neppure la guerra, se non per pochi giorni dopo l’8 settembre, e aveva
vent’anni: l’occupazione passerà libero a Casarsa, solo fremendo per corpi
giovani. A ventuno, a guerra non ancora perduta, per la quale caldi disegni
abbozzava e consensi raccoglieva nel fascista “Setaccio”, si schierava in divisa littoria all’università per denunciare
gli amici disfattisti. “Da uomo”, riconosce ne “La realtà”, “senza umanità,\ da
inconscio succube o spia,\ o torbido
cacciatore di benevolenza” – i fratelli Telmon, Sergio, il suo amico d’allora,
e Giorgio non ne serbavano grato ricordo. Dopodiché la cultura europea scopriva
a Weimar, nel viaggio premio della gioventù fascista. “Le onde” avendo calcato,
“per qualche tempo, che mandano\ alla Rivolta Reazionaria”. Ora, se Pasolini
fosse fascista, i suoi ragionamenti sarebbero detti fascisti. Ma lui si vuole
comunista, indefettibile. Ha per questo dimenticato il fratellino partigiano,
ucciso a tradimento dai comunisti, e la persecuzione dei comunisti in quanto
pederasta impunito. Il Partito celebrando, retorico, liturgico, devoto.
(continua)
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