Chi era Pasolini 8
C’è l’ombra della protervia sul poeta che
si dice civile, per le musiche del Decameron
prese a prestito senza riconoscenza. Senza la quale resta lo stesso
monumentale l’opera di Alan Lomax, che ha fatto dopo centocinquant’anni in
Italia quello che Beethoven fece per l’Europa, entusiasta trascrittore, seppure
foraggiato dal ricco mecenate George Thomson di Edimburgo: salvare i canti popolari.
Sapeva?
Certo che sapeva, come tutti. È vero che si poteva non sapere, gli ebrei più
degli stessi fascisti. A Roma, o nei Carpazi, ancora nel ‘44, o a Budapest, pur
ascoltando radio Londra. Neanche Pasolini, per dire, sapeva, che pure era imboscato
nel ‘43, e nel ‘44, a Casarsa, dove passavano la strada e i treni coi
deportati, come non saprà delle foibe. Che ora dice che sa: “Io so. Che cos’è
questo golpe”.
Di
“Empirismo eretico” restano le macerie, mucchi – professarsi eretico? E di
corsa ancora va, ma come al cinema – i corsari sono materia di cinema, d’avventura.
Il poeta si è perduto nel movimento, del ‘68. S’era
perduto prima, con Totò e Riccetto, se lui è l’uccellaccio e non più
l’uccellino, tra borgatari che sfrattano i più borgatari, e fottono le più
sfigate. Nel movimento non s’è ritrovato, non conduceva al “Corriere”, pur
credente nell’innocenza dei giovani. Siamo tutti malati, dice oggi, perché
siamo tutti fascisti, la Dc e la Repubblica, i non violenti per la stupidità. Non
tutti: nella “Enciclopedia dell’antifascismo
e della Resistenza”, in quattro tomi di 800 pagine l’uno, Guido non c’è,
lui si. Nell’episodio
Freud-Einstein di “Porcile”,
non girato ma illustrato nella sceneggiatura che si pubblica con le note, voleva
ebrei che anelano l’impalamento e negroni inastati di nome Cock, Ball e
Balloon: questa estetica è nazista più che fascista – i nazisti erano perversi
conclamati, la forza piccolo borghese mettevano tutta nelle palle.
Il Pensatore di Rodin poggia il gomito destro sul ginocchio
sinistro, torsione più indicata per i mannequin, che non hanno ventre.
Anche per Pasolini, che il fisico mantiene agile con gli attrezzi e gioca al
pallone, il calcio migliora la circolazione, le idee, gli umori – se non lo fa
per i servizi fotografici: non suda. Ma l’argomento sola fide nella democrazia
religiosa non basta, aveva ragione Carlostadio, bisogna che tutti siano preti,
mediatori in proprio del divino - la democrazia si vuole conseguente. Mentre il
Dio di Lutero condanna “i sediziosi e i facinorosi”: il Riformatore perpetuava
i carboni ardenti e i giudizi di Dio, così ogni aspirante luterano. I poeti
possono essere sorprendenti. Rilke, che s’immagina
un figlio dei fiori in anticipo, era un signore austro-ungarico in collo rigido
che si faceva mantenere da signorine mature, e un iperletterato che coltivava
il mito di sé stesso, come D’Annunzio senza l’audere, la sfida al destino baro. La gioventù bruciava con James Dean nel 1955,
quando era appena nata, ben prima dei capelloni al rogo sul “Corriere”.
“Suonatemi questi sonetti!”, intimava du Bellay ai giovani
verseggiatori. C’è verità nel linguaggio, ma suo malgrado. La verità del linguaggio
può essere bugiarda. La rosa più delicata in colore e profumo è detta canina
nei vocabolari, o rugosa, selvaggia, di macchia, e grattaculo. L’occhio di
giaietto non è la stessa cosa che l’occhio di gavazzo, anche se ha lo stesso lampo.
Venere, Lucifero e Vespero sono la stessa stella, ma non la stessa cosa. Ci
sono verità che sovrastano la capacità del singolo, sia esso scienziato o
scrittore, e linguaggi traditori. E coscienze confuse, come a Mosca nelle purghe,
che vittime e testimoni credono ciò che dicono, non ciò che hanno visto o
sentito o fatto. La cornice
ordina la visione, deve aver detto Leonardo. E non la altera? Alma Tadema le cornici fa parte del quadro, il bello della merce è
anche l’esposizione.
Gödel il logico è affranto dai cristiani
convinti che si salveranno, loro, mentre gli altri no. Il cinema d’altra parte, Pasolini è uomo di
cinema come Sergio Leone, era l’ultima cosa che si celebrava in smoking e decolleté, dopo l’obliterazione della
Scala sotto le uova e gli ortaggi di Mario Capanna. Genere romano certo, ma
forte più del teatro d’opera - e dei borghesi milanesi che si mimetizzano - e
la forza è genio. Si dirà Pasolini “uno dei cento poeti incerti”, benché non di avanguardia,
il polemista è elegiaco decadente. Quello che recita la depressione, con arte
per il successo. “Il poeta scrive per il successo”, dice Saba, il Poeta di Trieste: “Ciò che il poeta canta sono le sue colpe. E le canta per liberarsene,
per confessarsi”, pure lui, “per purificarsi. Se il pubblico gli volta le spalle,
le colpe gli ricadono addosso, più tormentose di prima”. È una regola che
sovrasta ogni altra, pena la scomparsa. “The harlot has a hard lot”,
poeterebbe Hemingway, per le puttane è dura.
(continua)
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