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Chi era Pasolini
Usano
le celebrazioni, delle morti, delle nascite, non c’è altro giornalismo applicato
alla letteratura, e il trionfo che si celebra di Pasolini non fa meraviglia. Se
non per l’unanimità, come personaggio e come artista, che lo avrebbe sorpreso. E
per la superficialità, che non gli si addice: artista poliedrico, avrebbe meritato
anche uno sguardo critico – ne ha avuto uno solo, di Berardinelli, non nuovo,
che non ne salva praticamente niente, una stroncatura: un “personaggio-mito”, “più
una presenza critica che l’autore di un’opera poetica”.
Nelle
celebrazioni Pasolini, che era persona mite, malgrado le trenta o quaranta denunce,
per violenze di ogni tipo (senza mai una condanna), echeggia D’Annunzio un secolo
fa, artista versatile (poeta, narratore, drammaturgo), polemista e uomo d’azione,
erotomane. Che era però un personaggio che si voleva mito, a Roma, a Parigi, in
Versilia, in guerra, a Fiume, al Vittoriale, tra veli e incensi. Da D’Annunzio
la bandiera era passata nel dopoguerra a Malaparte, senza il genio. Pasolini vi
si sovrappose, “battibecchi” compresi, i dialoghi polemici con i lettori,
presto oscurandolo. Ma allora da piccolo borghese, ordinato: senza mai un
eccesso, malgrado la fine orrenda, vestito e pettinato sempre correttamente, perbene
nei modi, preciso nell’eloquio, mai volgare, con la cura come tutti della
modesta affluenza, dapprima ospite, orfano di fatto con la madre, dello zio a piazza
Costaguti, ora chic, allora lercio vecchio ghetto, poi rapidamente, sempre con
la madre, accudito e accudente, dal piccolo alloggio a ponte Mammolo all’appartamento
in progressione a Monteverde Nuovo, a Monteverde Vecchio (non amato dal
barbiere, il signor Mario, dal macellaio, il signor Dario, dai baristi - “non
salutava”), a Monteverde Nuovo, a Monteverde Vecchio, all’Eur, con casale a Chia e
villa a Sabaudia, orgoglioso dell’Alfa 2000. In ascesa costante anche letteraria
e sociale: dapprima con i coetanei e compagni di studi, apprezzato de loing
da Contini, poi il timido approccio con Elsa Morante, cioè con Moravia, e con
Bertolucci (Attilio), e così via. Non disdegnando le “presenze” promozionali,
nelle cronache, nel gossip: l’incongrua relazione con Maria Callas, dopo
Laura Betti, o tanti dei processi-scandalo. Il direttore del “Corriere della
sera” che si apriva furibondo con gli scritti corsari, Piero Ottone, raccontava
di aver dovuto disinnescare una bomba del suo kommando Pasolini, pare
con soddisfazione dello stesso poeta, che voleva insinuare dentro il giornale
il cazzo, la parola.
E
dunque? C’è molto da dire in realtà su Pasolini, malgrado i tanti libri a lui
dedicati, i tanti articoli, e il dovuto ossequio. Anche perché ha lavorato tanto.
Nemmeno a questo si riflette: Pasolini è morto di soli 53 anni. Lasciando un’opera
apparentemente sterminata, di poesia, narrativa, teatro, cinema, pittura,
saggistica (linguistica, società, costume, politica). Imponente e comunque
significativa. Con molte incongruenze. Come tutti, ma nel suo caso non bisogna
dimenticarlo.
Chi
era Pasolini è, più che in ogni altro caso, l’approccio più giusto per valutarne la
giustezza e la qualità – le qualità.
(continua)
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