skip to main |
skip to sidebar
Chi era Pasolini - 3
Pasolini è morto giovane
di cinquant’anni. Che potrebbero essere stati cinquecento, la morte è giovane,
per chi ha vissuto e vive. Si muore sempre troppo presto, anche
nell’insignificanza, ma il rimpianto è talvolta giusto. Dopo aver reso onesto il cinema, arte della finzione
massima, l’illusione. Dal cinema liberato, che i poeti corrompe, troppe foto,
troppe interviste e pettegolezzi. Seppure felice solo nelle tragedie e nella
trilogia, o con Totò. Il Partito da
morto aprendo alla poesia, dopo averlo assolto dalla storia, guardia rossa
solitaria, da Porzûs al Sessantotto, Praga inclusa, fedele sempre a chi gli ha
assassinato il fratello e gli negava la tessera. In quel “nulla ideologico
mafioso” ambiguamente preciso che è la sua Italia.
Disse
Zeri che si preparava la morte, come Caravaggio. Che entrambi la morte si erano
sceneggiata, diretta e personalmente interpretata. È inevitabile, già Garboli
lusinghiero lo voleva immedesimato nel Caravaggio, per il comune discepolato di
Longhi, mentre lui s’è giustamente rifatto sempre a Giotto e Masaccio, e a
qualche manierista freddo, Pontormo. Ma è vero voleva “morire da martire,
rinascere da eroe”, disse il suo amico Zigaina, il pittore del Tagliamento.
All’idroscalo di Ostia, che in latino è “vittima sacrificale”, dove aveva
girato le scene erotiche delle “Mille
e una notte”. Il set di “Ostia”,
il film pasoliniano di Franco Citti, il posto è quello. Dove una
baracca aveva in affitto per i piaceri. La foja insaziata imputandosi a colpa -
“giura”, irrideva Kavafis al suo sé, ben più solo ad Alessandria, e poi,
“quando giunge la notte col suo potere\ del corpo che desidera e reclama, fa
ritorno,\ smarrito, a quel predestinato suo piacere”. Senza più, domani è un
altro giorno – insaziabile è il materialismo naturale degli aborriti Usa: il
sesso come evacuazione.
La colpa
inconfessabile è un’altra, la voglia sacrificale. Del martirio che è uno stato
di beatitudine, e s’intende fecondo, padre e madre. Già nel “Decamerone” s’era esibito come Mishima, con la benda alta sulla fronte. Come
lui avrà inscenato la propria fine, ma allora per esibizionismo di segno
opposto, non illuminato alla Sade ma nel buio polveroso. Per un trapasso alla natura angelica intellettuale – san
Tommaso, che gli angeli dice intellectuales,
riconosce loro un “motus cognitionis
angelicae”, dei colpi d’ala.
Alcuni vogliono che Pasolini sia stato
luridamente assassinato, tra il fango, gli oli di motore esausti, i veleni
delle gomme bruciate e i preservativi, da una squadraccia di fascisti,
marchettari e borgatari. Martirizzato, di domenica, il giorno dei morti. Oriana
Fallaci assolutamente lo voleva, “il cobra col golfino di lana”, la minuta
“maledetta cretina” di non lontani versi dello stesso Pasolini, che non volle
farlo morire se non immolato, per mano di sicari, sull’altare della Resistenza.
È un’idea. Persuasiva: gli hanno fatto trentatre processi, e non riuscendo a
condannarlo lo hanno eliminato. Che libera gli ultimi istanti del poeta dal
mordi e fuggi genitale, impietoso. Non senza verità: il suo misero compagno
Pelosi, carnefice e vittima (un minorenne, questo si trascura), disse che il poeta l’aveva aggredito con
una tavola, ma non presentava ferite, neanche una sbucciatura, un graffio, un
livido. È tuttavia proposta in sostanza per scantonare - stiamo parlando di Pasolini o di Fallaci?
(continua)
Nessun commento:
Posta un commento