La guerra col cuore
“La storia
diplomatica ha spesso il difetto di non tenere conto della forza effettiva di
un paese”, esordiva da Ginevra Max Salvadori in una lettera all’“Espresso” del
3 agosto 1975, a seguito di un’evocazione sul settimanale della seconda guerra
mondiale. Forza che spesso è mentale più che militare, argomentava lo storico
(fratello di Joyce Lussu), con una breve analisi che si attaglia alla guerra in
corso in Ucraina.
Si sapeva
che la Francia, benché armatissima, non si sarebbe opposta a Hitler. Mentre la
Gran Bretagna, in disarmo e adagiata nell’appeasement, in poche
settimane fece fronte: “Non eravamo in pochi a ritenere negli anni Trenta che i
francesi (senza distinzione di partito o di classe) non potevano ripetere lo
sforzo compiuto nel 1914-18, che pur avendo le armi non possedevano la capacità
di servirsene, e che in caso di attacco tedesco avrebbero ceduto; e che (di
nuovo senza distinzione di partito o di classe) fino al marzo 1939 i britannici,
a parte lo stato miserevole dell’esercito e della marina e la pochezza delle
forze aeree, non volevano affrontare una guerra. L’occupazione di Praga da parte
dei tedeschi fece una profonda impressione sui cittadini britannici, prima che
sul governo: una nazione di «appeasers» si trasformò in una nazione di persone
decise a combattere. Cosa rara ma non eccezionale, si verificò nel marzo 1939 fra
i britannici (ma non fra i francesi, né allora né dopo) una rivolta morale”.
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