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La mediazione cino-europea che non si è fatta
La Cina si è proposta mediatrice
nel conflitto russo-ucraina insieme con la Unione europea, e non ha ricevuto risposta?
Il summit virtuale cino-europeo
dell’8 marzo, fra Macron, Scholz e il presidente Xi, del “lavorare insieme” e
della “massima moderazione”, poi lasciato cadere dai leader europei, era stato
preceduto da un’articolata dichiarazione del ministro cinese degli Esteri Wang
Yi. Che parte col vantare “un mutamento mai visto da un secolo”, una “potenza
globale responsabile”, cioè la Cina, che esercita “compostezza strategica”. Ma
spiega anche che l’Europa farebbe bene a capire che “multipolarizzazione e
democratizzazione delle relazioni internazionali sostituiranno unilateralismo
ed egemonismo”. Gli europei non hanno dato seguito all’invito, il cui
presupposto era l’autonomizzarsi dell’Unione
Europea.
Wang Yi invitava anche il governo
americano a tornare al “Comunicato di Shangai”, all’impegno sottoscritto
cinquant’anni fa, a conclusione della visita di Nixon in Cina, 21-28 febbraio
1972.
Il Comunicato di Shangai prevedeva
la normalizzazione dei rapporti economici, e due importanti sviluppi politici:
il riconoscimento americano di “una sola Cina”, col ritiro delle truppe da Taiwan
(su Hong Kong, allora possedimento britannico, non ci fu nemmeno bisogni di un
impegno specifico), e il riconoscimento cinese degli interessi americani nel
Pacifico (sottinteso: compresi il mare del Giappone e i mari cinesi, Giallo, Cinese
Orientale, Cinese Meridionale). Nel quadro dei principi kissingeriani (la
visita e il comunicato furono opera di Kissinger, allora consigliere ombra di
Nixon) di rispetto
della sovranità e dell’integrità territoriale degli altri paesi, di non
aggressione, di non interferenza negli affari interni degli altri paesi, di
uguaglianza, di mutuo vantaggio e di coesistenza pacifica.
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