giovedì 31 marzo 2022

La mediazione cino-europea che non si è fatta

La Cina si è proposta mediatrice nel conflitto russo-ucraina insieme con la Unione europea, e non ha ricevuto risposta?
Il summit virtuale cino-europeo dell’8 marzo, fra Macron, Scholz e il presidente Xi, del “lavorare insieme” e della “massima moderazione”, poi lasciato cadere dai leader europei, era stato preceduto da un’articolata dichiarazione del ministro cinese degli Esteri Wang Yi. Che parte col vantare “un mutamento mai visto da un secolo”, una “potenza globale responsabile”, cioè la Cina, che esercita “compostezza strategica”. Ma spiega anche che l’Europa farebbe bene a capire che “multipolarizzazione e democratizzazione delle relazioni internazionali sostituiranno unilateralismo ed egemonismo”. Gli europei non hanno dato seguito all’invito, il cui presupposto era l’autonomizzarsi dell’Unione Europea.
Wang Yi invitava anche il governo americano a tornare al “Comunicato di Shangai”, all’impegno sottoscritto cinquant’anni fa, a conclusione della visita di Nixon in Cina, 21-28 febbraio 1972.
Il Comunicato di Shangai prevedeva la normalizzazione dei rapporti economici, e due importanti sviluppi politici: il riconoscimento americano di “una sola Cina”, col ritiro delle truppe da Taiwan (su Hong Kong, allora possedimento britannico, non ci fu nemmeno bisogni di un impegno specifico), e il riconoscimento cinese degli interessi americani nel Pacifico (sottinteso: compresi il mare del Giappone e i mari cinesi, Giallo, Cinese Orientale, Cinese Meridionale). Nel quadro dei principi kissingeriani (la visita e il comunicato furono opera di Kissinger, allora consigliere ombra di Nixon) di rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli altri paesi, di non aggressione, di non interferenza negli affari interni degli altri paesi, di uguaglianza, di mutuo vantaggio e di coesistenza pacifica.

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