La morte che ridà vita
L’addio
come un ritorno: una presenza costante, non più contestata e anzi benefica. Il
film è della malattia e la morte. Sempre ingiusti, ma qui di più: al culmine di
una vita di sacrifici, l’operaio che studia da ingegnere, diventa capo
dell’acciaieria, ha una residenza armoniosa, fra i trulli di e le piante sempre
fiorite di un borgo da favola (Martina Franca), e subito soccombe all’emorragia
cerebrale. Una lunga degenza e una fine che rinsaldano la famiglia e
rinvigoriscono gli affetti.
Un film
curioso, girato praticamente in interni, anzi in una stanza di ospedale. Una
stanza a due letti, in neurochirurgia, con i due degenti cioè praticamente
muti. Domenico Fortunato, protagonista oltre che regista, riesce a conversare
con le luci, i tagli, i sussurri. Senza mai un momento di calo
d’interesse.
Una
scommessa, da film a bassissimo costo, che si rivela una prova di forza del
regista-protagonista, al suo secondo lungometraggio.
Domenico
Fortunato, Bentornato, papà, Rai 1, Raiplay
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