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L’accordo sul nucleare arma l’Iran
I due ex segretari di Stato di area repubblicana,
Kissinger (Nixon, Ford) e Schulz (Reagan), già diciotto mesi prima avevano
ammonito l’amministrazione Obama, vicepresidente Biden, sulle insidie dell’accordo
nucleare con l’Iran. Il 7 aprile 2015, ad accordo firmato, spiegavano come l’accordo,
che ora Biden riprende, potenzialmente dà all’Iran l’armamento nucleare.
C on tutte le buone intenzioni, spiegano, l’amministrazione
Obama ha aperto la competizione nucleare nel Medio Oriente. L ’Iran ha
rovesciato la trattativa, “mescolando abilità diplomatica e sfida aperta alle
risoluzioni Onu”: “Per vent’anni, tre presidenti di entrambi i maggiori partiti
hanno sostenuto che l’armamento nucleare iraniano era contrario agli interessi
americani e globali”, l’accordo dà all’Iran “questa possibilità, anche se non
piena per dieci anni”. Senza peraltro controlli reali, praticamente impossibili
in “un paese vasto e con grandi possibilità di camuffamento”. E senza possibili
contromisure: le sanzioni che l’accordo cancella saranno difficili da reimporre
all’Onu (in effetti non sono state reimposte dopo la denuncia dell’accordo da
parte di Trump), e potrebbero isolare gli Stati Uniti più che l’Iran. L’accordo
riconosce all’Iran la capacità e il diritto all’arricchimento dell’uranio, che
era ciò che si voleva prevenire: “L’Iran ha moltiplicato le centrifughe da 100
all’inizio del negoziato dodici anni fa a quasi 20 mila”.
Qualche tempo prima, in “Ordine mondiale”,
pubblicato a settembre 2014, Kissinger esaminava in ipotesi l’armamento
nucleare dell’Iran. L’Iran è un grande paese, ricordava, di lunga e
densa tradizione e cultura, con ambizioni di potenza regionale radicate e
robuste, contro un mondo arabo che per più aspetti ha sempre
considerato e considera avverso: religiosi, etnici, militari. I quarant’anni di
militantismo khomeinista hanno radicalizzato questo scontro: con l’Irak,
col sunnismo in Libano e Siria, e ora nello Yemen, contro l’Arabia Saudita e
gli Emirati del Golfo. L’armamento nucleare è inteso a sancire la rivincita. Ma
allora la proliferazione sarebbe incontrollabile: gli arabi confinanti non
vorranno restare indietro.
Kissinger non ne faceva tanto un problema di
Israele (Israele è, come l’Europa, la grande assente dai suoi scacchieri), ma
di reazione del sunnismo, nel Golfo, nel Medio Oriente, Egitto compreso, in
Pakistan. Una questione che per un lettore qualsiasi può sembrare marginale, e
invece no.
Henry Kissinger-George P. Schulz, The Iranian
Deal and its Consequences, “The Wall Street Journal”, 7 aprile 2015
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