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L’Europa non è slava
Gli slavi sono ancora da integrare in Europa. Non nella Ue, buona
parte di essi ci sono già, da tempo, con profitto, ma nella storia e la
cultura, la forma mentis, il modo di pensare e regolarsi – il modo
“occidentale”.
Il tema non è nuovo, Magris lo poneva qualche anno fa parlando
della Germania, che non sa ancora che cosa farsene. Rumiz, altro triestino, lo
rappresenta nei suoi racconti. Le guerre fra gli slavi del Sud, ex Jugoslavia,
e i rapporti sempre antagonisti fra Ucraina e Russia da un secolo a questa
parte (Ucraina “bianca” contro l’Armata Rossa, etc.), ora finita in guerra
senza sbocco, sono la parte evidente del problema.
Si dice Europa, s’intende “Occidente”, la civiltà greco-romana,
ossia del diritto romano. Di cui si è fatta bandiera la stessa Germania, anche
nelle crisi peggiori di teutonismo. O l’Inghilterra, che il sostrato celtico
(come del resto la Francia) ha votato alla latinità, sia nella forma della
repubblica che in quella dell’impero, regolato, normato. Un’eredità ampliata a
dismisura dagli Stati Uniti, il vero Occidente, come lo dice la sua
costituzione, pieno a ogni canto di partenoni e campidogli.
Niente di tutto questo nell’altra metà dell’Europa, slava. Dove il
principio tribale ancora e (quasi) unicamente governa. L’eredità di Roma vi
viene rivendicata, soprattutto a Mosca, la Terza Roma, ma nella forma di
Bisanzio, che parlava greco ma non aveva nulla di greco-romano, né partenoni né
campidogli - un impero d’Oriente, asiatico.
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