L’innocenza batte la guerra
La guerra
civile – i “troubles” nord-irlandesi, a partire dal 1968, per trent’anni, sono
stati una guerra civile, cattiva, e con molti morti, anche nell’esercito britannico
mandato per presidiare la provincia, tra protestanti e cattolici – raccontata con
proprietà politica e insieme con leggerezza. Vista con gli occhi di un bambino
(il racconto sa di autobiografia, Branagh si dice “britannico”, ma è nato a
Belfast, e all’avvio dei “troubles”
aveva l’età del suo protagonista). Nella vita normale di ogni giorno: i genitori
preoccupati, la scuola, le infatuazioni (lei, bravissima in matematica, è cattolica),
le visite di rito ai nonni, che si ammalano,
anche, qualcuno pure muore (dopo il funerale in Irlanda si banchetta, bevono e
ballano pure i vedovi, per quanto tristi), l’innocenza.
Riandando
ai fatti veri può sembrare un tradimento, una divertimento a spese della tragedia.
Ma la lettura politica regge anch’essa: c’è la verità storica, che fu una guerra
voluta da alcuni protestanti, contro la volontà della maggioranza dei protestanti
stessi.
Il
problema è: come dare un Oscar (il film è pluricandidato) a un bambino?
Kenneth
Branagh, Belfast
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