lunedì 7 marzo 2022

Mazzini e la storia inutile

In un giornalismo culturale ossessionato dalle ricorrenze – che solo sa fare giiornalismo con le nascite e le morti – i centociquant’anni della morte di Mazzini s’impongono per il silenzio. Non se n’è ricordato nessuno. O quasi - Carioti ha organizzato una tavola rotonda su “La Lettura” con Roberto Balzani, Giovanni Belardelli e Simon Levis Sullam. A Sullam si deve il solo libro pubblicato per la ricorrenza: la riproposta del “Mazzini” di Salvemini, assortito da “I doveri dell’uomo” dello stesso Mazzini. Si pensi per contrasto, per capirsi, alle diecine, centinaia di libri su Pasolini, per i cento anni della nascita.
Il teorico dei doveri non va nell’età dei diritti, e anzi della licenza. E non va l’immagine che se ne tramanda, veneranda, di saccente, predicatore. Mentre Mazzini fu soprattutto un giovane, e un uomo d’azione: fondò la Giovane Italia, nel 1831, quando aveva ventisei anni. Il primo partito politico d’Europa. Un’associazione cioè non meramente culturale ma politica, con un programma, ragionato e sloganistico, un giornale su cui dibatterli, e dei piani d’azione. Subito assortito, tre anni dopo, altra primazia, con la Giovane Europa, primo nucleo politico di quello che sarà, nel Novecento, l’europeismo. Lo spirito nazionale nascente prospettando non come fonte di guerre e stermini, come sarà per un secolo e mezzo. Anzi per due, considerando la guerra della Russia in corso contro l’Ucraina.  Ma come progetto e prospettiva di solidarietà, di crescita comune.
Pesa l’appropriazione che Mussolini fece di lui? Senza sua colpa: Mussolini era stato mazziniano in gioventù, come Nenni e molto socialismo. A Mazzini si deve pure, prima di Marx e la sua conversione al comunismo col “Manifesto” del 1848, un programma d’azione per i lavoratori, lanciato da Londra a novembre del 1840 col giornale “L’Apostolato popolare”: sotto i motti “Dio e il popolo”, “Lavoro e frutto proporzionato”, il primo numero si apriva con l’appello “Agli italiani e specialmente agli Operai Italiani”, e chiedeva la costituzione di un’associazione dei lavoratori – darà poi notizia della costituzione di un sindacato degli operai italiani (è il giornale su cui Mazzini cominciò a pubblicare “Doveri dell’uomo”. E se Mazzini aveva il mito di Roma, questa non era la Roma imperiale di Mussolini, ma quella della “virtù” repubblicana.
È però vero che il poco che rimane di Mazzini se l’era appropriato il Msi, quando ancora la destra era un partito, e poi An. È al vecchio Msi, poi An, che erano dovuti negli anni i (pochi) ricordi di Mazzini, nelle celebazioni periodiche risorgimentali che si tengono al Gianicolo. Sul quale naturalmente troneggiano Garibaldi e i Mille.
Anche in ambito “repubblicano”, della virtus popolare, si celebra Garibaldi, che ha fatto cose buone e anche ottime, e brutte – per esempio la consegna della Repubblica (Dittatura) del Sud ai Savoia a Teano. E si dimentica Mazzini, che ha fatto cose brutte, e buone e buonissime, per esempio la Repubblica Romana. Nel 2009, per i centocinquant’anni della Repubblica Romana un monumento fu commissionato al Gianicolo, nella forma poi vincitrice dell’architetto Annalaura Spalla, lo statuto della Repubblica trascritto su cotto sulla balaustra della balconata. Inaugurato quattro anni dopo da Napolitano, ma concepito dall’amministrazione di destra.
Ma forse, più dei doveri, peserà probabilmente il Risorgimento. Di cui dopo tanto leghismo e vaffanculismo nessuno più si ricorda, o sa che farsene. L’Italia ha una storia inutile.

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