Chi era Pasolini 11
La modernità ha sradicato le masse, prima
col salario, poi con la pensione, ora coi consumi. E la scuola, nata dallo
stesso mito laico che alimenta il salario, la rendita e i consumi, ne è, forse
senza malizia, il vettore: non rimedia alla disuguaglianza ma la riproduce. C’è
sapienza, nella scuola istituzione, ancorché perversa. Ma Pasolini la rifiuta
per sue mitologie autarchiche, di un mondo senza peccato e senza Dio che non è
mai stato di nessuno, se non dei suoi sottili burattinai, che non sono le
masse. È il nodo del male assoluto, del suo impossibile isolamento, o del
piacere di fare il male.
La volontà, sia perversa che buona,
ignorata da Platone, emerge coi santi, Paolo e Agostino, e non figura dopotutto
tra i peccati capitali, c’è l’accidia ma non la tortura. Senza contare che Pasolini
è invaso dalla pornografia, dalla sua stessa foja intesa come pornografia, la
dissoluzione in un lago di sperma, sterile.
Il suo comunismo era ritenuto dai comunisti
di ripiego: opportunista, non candido. “È per l’Istinto di Conservazione\che
sono comunista”, lui poetava - certo, grande piccolo opportunista è sempre il
poeta, per quel modesto guardarsi allo specchio nelle occorrenze quotidiane. Per
entrare nel cinema un giornale fascista gli è andato bene, dove apprezzava del “Bell’Antonio” la sua propria
sceneggiatura, e denigrava in quanto fascista l’ottimo autore del romanzo,
Brancati. O “La dolce vita”
elogiava in quanto film “decadente, provinciale, cattolico”.
È l’approssimazione che inficia le sue
narrazioni. Specie quelle che lo resero famoso, di periferie simboliche, inventate
– il linguaggio ne è prova. Dei “Ragazzi di vita” Ponte Mammolo era abitabile e
abitato, Pietralata un grande cantiere, e Donna Olimpia un quartiere modello
dell’urbanistica e architettura che ancora si ammirano (nel vecchio impianto) -
sia pure di Mussolini, delle “case popolari” dove restringeva i ladroni di Trastevere.
Delle altre narrazioni niente resiste, o poco di più. Si rilegge come un
conte Tolstòj di periferia. Che ama il
popolo da barin, scrivano della nobiltà - i suoi servi liberati sono i
coatti.
Provò col grande romanzo, ma “Petrolio” è terrificante.
È una bozza, quindi non gli se ne fa colpa. Ma immagina cose del più vieto storytelling
italiano. Il solito golpe, a cadenza
allora quasi settimanale, del complottismo italiano, e molto sesso a perdere,
iterativo, insoddisfacente - metafora o metonimia, ma di che? Il suo complotto
è il più vieto di tutti, a opera del solito Cefis, che avrebbe ammazzato Mattei
per impadronirsi dell’Eni, che invece era un impero con molti padroni e senza
soldi – presto infatti lo aveva lasciato per la Montedison. Una narrazione come
quelle che settimanalmente facevano “L’Espresso” e “Panorama” per attirare i
lettori – che infatti perdettero. Racconta come scrisse savonaroliano per il “Corriere
della sera”. Ma allora da borghese a più (meno) borghese, e non fa nemmeno
scandalo.
Un tributo francese per i quarant’anni della
morte, “Génies de Pasolini”, un numero speciale del mensile “Le Magazine
Littéraire”, che dichiarava il 2015 “anno di Pasolini”, lo celebra come autore
di cinema, pittore, autore di teatro, e mitologista. Perplesso sulle sue
polemiche con i “Cahiers du cinéma”, Barthes, Foucault, Sartre - sulle sue polemiche.
Non menzionando le sue narrazioni, e poco la poesia. Classicamente classificandolo
con Hervé Aubron, che curava lo speciale: “Un onest’uomo del Quattrocento o del
Rinascimento, un Europeo anche – se credete ancora a questo termine. Una
individualità o quanto atipica ma irradiante al di là della sua semplice
singolarità, al di là di una sola disciplina o di un solo territorio, ed è ben
in questo che fu un Europeo degno del nome. Così forte che poteva essere
pessimista, se non nichilista, e votarsi con tutto se stesso a ciò che faceva,
senza dimenticare il mondo che gli girava attorno. Pasolini era anche un
antropologo”, che promuoveva, nel mentre che ricercava, “una certa idea della
specie umana. Ed era un ecologo”.
(continua)
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