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sabato 19 marzo 2022

Chi era Pasolini 12

Personaggio-mito lo dice Berardinelli, che non ne apprezza la poesia né la prosa. Di umori forti. Iperletterato. Di “Petrolio” la notte al Prenestino è la notte a Algeri di cui Gide nel “Diario” segna, tra i “foglietti”, al 15 agosto 1914 – a guerra dunque in corso: “(Da dire dopo la notte di Algeri, nelle Memorie): quante volte la gioia amorosa”. È arcaista ai vent’anni, fra “Strapaese” e Contini (la filologia): lingua, usi, tradizioni, terra. Poi civile alla Pound, ma senza l’epica – in contemporanea con Allen Ginsberg, coetaneo: una poesia fatalmente incitatoria. Pittorico mai, che era il suo genio. Come per un rinvio costante, o un rifiuto. Con la psicosi stessa del rifiuto, lui che era amatissimo – rifiuto da cui eccettuava i pochi, quelli del Pci, che sinceramente lo praticavano.
Poeta sempre. Maestro e poeta. Da maestro, diplomato, fon datore e anima dell’Academita de lenga furlan,. Pe ragazzi, il cugino Nico Naldini, sedicenne, Tonuti, il grande amore della sua vita prima di Ninetto, quattordicenne. Col coetaneo Cesare Bortotto. Si dirà Pasolini “uno dei cento poeti incerti”, benché non di avanguardia, il polemista è elegiaco decadente. Quello che recita la depressione, con arte per il successo. “Il poeta scrive per il successo”, come dice il modesto Saba: “Ciò che il poeta canta sono le sue colpe. E le canta per liberarsene, per confessarsi, per purificarsi. Se il pubblico gli volta le spalle, le colpe gli ricadono addosso, più tormentose di prima”. È una regola che sovrasta ogni altra, pena la scomparsa.
Ma è “più una presenza critica che l’autore di un’opera poetica” (Berardinelli). Poeta di immagini, al cinema, in foto (la curava molto), in pittura. Non nella parola. Molti versi scriveva, sempre di fretta, come appunti per futuri poemi. Scrive, in prosa e in poesia, come sui giornali. Da giornalista, sempre al punto e ultimativo, domani è un altro giorno. In immagine invece no: nei dipinti non si saprebbe, non si mostrano, nei film sì: ha forti visioni, e in parte le trasmette. Un giornalista d’immaginazione dunque fervida, s’immagina anche più di quanto abbia reso, potuto o saputo rendere. Compreso il capitombolo finale, il rutto contro tutto ciò che avrebbe voluto essere e non gli è stato concesso di essere. Fin da quando fu cacciato dal partito e ostracizzato per atti impuri, fin da subito cioè, dai vent’anni. Però sempre da maestro di scuola. Fino alla maledizione-santificazione della forza bruta, che è bella, dell’uomo animale, di “Salò-Sade” e di “Petrolio”. In una con la santificazione - editorial-culturale - del “riflusso”. Per la voglia di essere o fare il maledetto a cui niente e nessuno lo obbligava, ma à la page. San Sebastiano in estasi sotto i colpi.
Alla lettura si propone Catone il Vecchio, censore severo della cosa pubblica, cantore della ruralità, della frugalità, della modestia, mentre era giovane e giovanile, atletico, e non si privava di nulla, anche se non dava confidenza. Critico sociale efficace, e anche acuto, anche se bizzarramente (volutamente, per fare scandalo?) passatista – magnificatore tra le tante di una realtà contadina che lo aveva condannato e ostracizzato. Colonna del “Corriere della sera”, non di un giornale di combattimento o di contestazione.   
Le celebrazioni nei settimanali culturali e negli speciali giornalistici sono bizzarramente uguali: un ricordo, di chi l’ha frequentato (ormai solo Dacia Maraini) o solo incrociato, e due celebrazioni, di film pittorici, e della musica che montava sui film, da violinista di poco talento da ragazzo, ma appassionato. E nella prosa un maestro. Nel senso del maestro di scuola, come voleva e aveva iniziato a professare, poi impedito dal noto scandalo. Da maestro di scuola e da ricercatore, amante dell’arte dei classici, nonché della filologia, subito riconosciuto da Contini. Da immoralista morale, con un senso fortissimo del peccato, unico nella letteratura, non solo del Novecento.
(continua)

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