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Diavolo – È la prova di Dio? Così trent’anni fa Saramago, nel “Vangelo secondo Gesù Cristo”, faceva individuare a Dio stesso il demonio: “Perché io sia il bene, è necessario che tu continui a essere il male, se il Diavolo non sussiste come Diavolo, Dio non esiste come Dio, la morte di uno sarebbe la morte dell’altro”. Che però è una sorta di entimema, retorica – qui ha ragione la Bibbia, il bene e il male vengono da Dio, sono (il problema del)la libertà. Il paradosso di Dio non è il male, è la morte. Dopo la creazione. La creazione finita.
Matricidio – È un buco nella
storia, recente. Nell’ambito del femminismo, ma anche prima. Il mito non lo
sottovaluta, la storia non lo registra: ci sono sovrane e conduttrici, da
Nefertiti e Semiramide in giù, e madri Messaline, ma non despote da abbattere.
L’“Edipo” di Freud e Jung lo esclude – è asimmetrico: Edipo è parricida ma non
matricida (la madre Giocasta sopravvive all’incesto allegramente, o in
alternativa si suicida).
Novecento – Il secolo delle
rivoluzioni. Come l’Ottocento, ma più “risolutivo” – totalitario, dittatoriale.
Psicoanalisi –
Una terapia o un virus? Mutevole, instancabile. Interminabile per essere
diffusiva e non risolutiva. Come aiutare l’alcolizzato versandogli da bere. Poco
certo, con sollecitudine perfino, con dosaggio che si pretende terapeutico, nel
mentre che perpetua la dipendenza.
Una terapia che cerca,
fomenta, estrae, ripropone un virus, inafferrabile. Per il suo stesso metodo:
isolare un fatto relazionale - familiare, generazionale, comunitario,
identitario, di genere (di ogni genere). Inducendo la colpa e i sensi di colpa
invece di scioglierli o allentarli. Che cura con l’attesa – vediamo cosa
succede. E con la separazione. Come avviene ora con il virus animale, con i vaccini
che sono risolutivi, forse, per un anno, otto mesi, sei, e col rifiuto dei
vaccini. Ma su basi molto meno calcolabili o analizzabili che l’Rna o le altre
sostanze o procedure farmaceutiche. Una terapia psicotropa, che come ogni altra
induce dipendenza. Con effetti collaterali anche gravi.
È uno stimolo alla creatività
(Bernhard, Saba, Fellini, Moretti) o la ottunde – la stimola come sfida? N.M., forte
artista, che si vede triste e solitario per strada, per lunghi periodi, marciare
sempre e soltanto a fini terapeutici e non per piacere, sopravvive col genio alla
psicoanalisi, che periodicamente (metereopatia, rapporti affettivi, bilanci –
personali, familiari, con moglie, figlio, madre, amici, creativi, produttivi,
aziendali – i “problemi” di ognuno, della vita comune) lo ammorba (isola, confonde,
indebolisce, prostra, atterra) sempre si sente “inadeguato”: va in analisi come
si assume cocaina, per uno shot mai risolutivo e sempre meno durevole,
sapendo che asservisce e non libera.
È nata, ed è rimasta,
maschilista, oltre che sessuomane – si sa, ma non si dice, né si risolve. C’è un Edipo, cioè l’incesto, ma non il
matricidio. Nell’alveo parentale (genitoriale), familiare. O un Medea, perché
no. Non tanto in rapporto all’altro, ma proprio ai figli.
Non c’è neppure un Caino,
tra fratelli.
E non c’è il vasto mondo.
Rivoluzione
– Termine e concetto di colpo sparito, in politica e nel linguaggio comune, dopo
essere stato ingombrante e anzi totalitario, pro o contro, per tutto il
Novecento.
Da Feltrinelli avevano realizzato nei remoti anni 1970 la macchina di Raimondo Lullo con le frasi fatte della rivoluzione. In forma di cilindro, con anelli mobili combinabili in infinita saggezza. La macchina di Lullo aveva cerchi di legno invece che di cartone, ricoperti da simboli di Dio invece che di frasi fatte, e produceva un’infinita sapienza teologica. Ma qualcosa resta sempre fuori. L’uomo di Kant “si dedica eternamente alla follia di spingere il masso di Sisifo a una certa altezza per poi lasciarlo rotolare in basso, e poi di nuovo in alto e di nuovo in basso”.
Non ci sono poeti nella rivoluzione, non
soltanto in Russia, né filosofi. Prima sì, e dopo, ma non durante e con.
Vengono prima Voltaire, Rousseau, Buffon, Diderot, lo stesso Montesquieu. Dopo
vengono Constant, Chateaubriand, Balzac, Stendhal e Victor Hugo. Durante Chénier, Desmoulins, Marat, Fabre
d’Eglantine. Vengono prima Tolstòj e Dostoevskij, anche Blok e Mandel’štam,
dopo Majakovskij, Pasternak, Bulgakov, Cvetaeva, Sklovskij. In un mondo
animato dalla paura e dallo amore di sé sarebbe bello ritrovare l’eroismo. Ce
n’è bisogno, benché i bronzi non piacciano, né i marmi, tanti e insopportabili
essendo i lamenti dei ricchi dell’inguaribile Freud. Dell’eroe, dice bene il
non eroe Henry Miller, “la virtù più tipica è di essere in sintonia con la
vita, d’accordo con se stesso”. E tanti ce ne saranno, molti più che all’epoca
di san Giorgio e Sigfrido, sicuro, che lottano nel traffico. Ma faticano.
La rivoluzione non è la
locomotiva della storia. Non è l’inizio di una nuova storia, ma l’accelerazione
d’una fine. La guerra lo è, lo è stata troppe volte, e ancora oggi.
Il “movimento”, o contestazione”, o “Sessantotto”, è, sarà stato, una rivoluzione poiché ha liberato l’Italia. L’Italia svolgeva il compito assegnatole da De Sanctis, che cadde da cavallo a Zurigo, nell’ultima pagina della decisiva “Storia della letteratura”. Che Noventa, il poeta ignorato, così sintetizza: “Tutto va a gonfie vele nel resto d’Europa per i teorici del progresso. Ma non in Italia. Qui essi urtano nell’Alighieri”. Ma è un’eccezione.
La rivoluzione è tradizione: la storia si perpetua attraverso la rivoluzione e non la conservazione. La tradizione vive nel moto rivoluzionario, alla moda dell’epoca, non nella restaurazione, che lusinga i deboli, d’istituzioni e simboli logori. La rivoluzione non è rivoluzionaria, se i suoi nuovi principi adatta ai vecchi. O è rivoluzionaria la controrivoluzione, senza le forche. La rivoluzione è una grande sega, ecco cos’è. Ma non bisogna disperare. “L’uomo non è che un’invenzione recente, una figura che non ha due secoli, una semplice piega nel nostro sapere, che sparirà non appena questo avrà trovato una nuova forma”, ha appena scoperto Foucault, che è un filosofo intelligente. La storia continua, non è finita nell’Olocausto, né a Hiroshima. Certo non con la caduta del Muro di Berlino, che sciocchezza. Continua nel comunismo divoratore perché è la sola rivoluzione permessa, dai missili di teatro dell’Urss.
Dell’ultima ondata “rivoluzionaria” europea questo si poteva dire all’epoca, 1975-1976: “Il compagno Cunhal avrà lottato una vita per nulla: Mosca non gradisce il suo comunismo, l’ammiraglio Pinheiro de Azevedo lo sostituirà, che a Lisbona governa le sinistre. Cohn Bendit s’è ritirato a fare il maestro d’asilo autogestito a Francoforte e scrive già le memorie. In cui non ricorda nulla, se non le seghe che s’è fatte fare, da maestro, dai bambini. Nanni Moretti autarchico si masturba invece da solo, avendo fallito quasi tutto ai vent’anni. Mentre Sartre sul Corriere della sera autorevole spiega la furia contro Pasolini come la violenza d’un invertito, di uno che si sente invertito. Già Freud lo diceva: la rivoluzione sia breve, altrimenti si diventa reazionari”.
zeulig@antiit.eu
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