venerdì 1 aprile 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (487)

Giuseppe Leuzzi

In quaranta giorni di guerra in Ucraina, malgrado l’asserito enorme spiegamento di mezzi russo, con bombardamenti e assedi di grandi città, le vittime contate, vittime civili, si aggirano sul migliaio. Sono poche. Non per cinismo: nel 1799, in un solo giorno, il 20 gennaio, i repubblicani napoletani fecero un tremila vittime tra i lazzari, che si erano schierati per la monarchia, cannoneggiandoli da Castel Sant’Elmo.
 
“Da Calabria, Sicilia, Molise e Toscana l’assalto italiano alle «tecnologie blu»” - Luigi Ippolito sul “Corriere della sera”. A Londra, alla fiera Oceanology, di tecnologie e procedimenti per utilizzare la forza motrice del mare e salvaguardarne l’habitat. Le università Mediterraneo di Reggio e il Consorzio Seapower della Federico II di Napoli per produrre energia dalle onde. La Unical di Cosenza e la società siciliana Atlantis per la protezione dei beni archeologici marini. La pugliese Fishanalytics per la gestione delle acquaculture con l’intelligenza artificiale. La siciliana Geo Bio Team per sanitarizzare la ricerca e produzione di idrocarburi a mare. La molisana Guidotto Ships di Termoli, per l’ispezione di oleodotti e cavi sottomarini. La casertana Top View per i droni di ricerca e soccorso in mare. L’intelligenza non manca.
 
Puglia e Calabria, scriveva a Stendhal due secoli fa un corrispondente, Lambert, un funzionario francese trapiantato a Napoli da una decina d’anni, sono tra le terre più ricche del reame. Ma gli uomini sono morti – soprattutto le donne.
 
I Borboni com’erano
I Borboni, se n’è fatto un’idea Álvaro Mutis, “Amirbar” pp. 119-120, erano di due specie. Gli eredi del figlio minore di Luigi il Santo manifestano presto “una curiosa particolarità del carattere”: esercitare direttamente il potere, per il gusto dell’intrigo, con scarso rispetto della realtà, grazie “all’abilità di maneggiare le debolezze e le ambizioni dei sudditi e di sapersi sempre mantenere al margine, o meglio al di sopra, degli accidenti immediati che scatenavano gli intrighi dei loro accoliti”.
Alcuni erano bravi a questo gioco, spiega Mutis: Erico IV, Luigi XIV, Luigi XV, Luigi XVIII. Altri no, Luigi XVI, Carlo X, o in Spagna Carlo IV e Ferdinando VII. I Borboni sono tutto qui.
Curioso che dei Borboni si sappia poco in Italia. Lo stesso Gadda, che pure ci scrisse sopra un libro, “I Luigi di Francia”, si limita a riciclare l’aneddotica. Il colombiano-messicano Mutis, premio Cervantes, era probabilmente dentro la Spagna dalle due anime, l’europea e l’oceanica.
 
Senza categorizzare, Atanasio Mozzillo, “Stendhal au bout d’Italie ovvero: il viaggio inventato di Stendhal in Calabria”, ricorda che il re di Napoli Ferdinando IV, I delle Due Sicilie, re per una sessantina d’anni, non ha mai varcato l’Appennino o traversato il Sele per conoscere le sue province. Cacciato dai repubblicani nel 1999 e dai napoleonici nel 1806, lasciò Napoli per Palermo, da corte a corte. Andava a caccia, questo sì, ma non molto fuori Napoli o Palermo. Andò anche a Roma, il 5 ottobre del 1798, per ristabilirvi il papa contro la Repubblica, ma non gli andò bene. 
Era il figlio e erede di Carlo, il re di Napoli “proprio e nazionale” - che poi però lasciò Napoli per fare il re a Madrid, Carlo III.  

 
No a Ferrero, la nocciola calabrese non si tocca
La Ferrero si era proposta di rilevare l’intero raccolto, per vent’anni, ai prezzi di mercato. I produttori hanno detto no, “preferiamo valorizzare le nostre nocciole da soli”. È cronaca di ieri in Calabria: i produttori della “tonda calabrese”, piccoli produttori su un’area di 350 ettari nel basso Ionio in provincia di Catanzaro, tra Cardinale e Torre Ruggiero, vogliono “valorizzarne l’identità”, sul luogo, di modo che “i compratori vengano qui per comprare il prodotto”: “Il nostro obiettivo”, dichiara il presidente del Consorzio, Giuseppe Rotiroti, “è lavorare le nocciole in Calabria per creare posti di lavoro”. Un’intenzione che potrebbe andare bene, perché no.
Per ora ci lavorano quaranta persone. Un impianto di trasformazione, un investimento da mezzo milione, darà lavoro ad “almeno dieci operai”.
L’esito sarà il migliore augurabile. Ma la tendenza è purtroppo malthusiana: in Calabria si sono abbattuti ovunque i castagni, che ora alimentano altrove una florida economia, le banane e il gelsomino nella locride, la conca verde di “arance di San Giuseppe”, o ovale calabrese, alle porte di Reggio Calabria, una varietà che matura ad aprile-maggio, una benedizione, lo zibibbo dei terrazzamenti di Bagnara e Scilla, una orografia che fa lo splendore delle Cinque Terre, un tesoro, abbandonata al dilavamento. Perfino l’ulivo non se la passa bene: non si contano gli espianti, per farne legno da parquet. Anche di uliveti secolari, che la legge in teoria protegge – ma basta, dicono i Carabinieri, dichiarare l’uliveto malato. Anche la “tonda calabrese” non se la passa bene: ora si producono tremila quintali di nocciole, quarant’anni fa erano sedicimila.
Nella penisola del Bel Paese, “la società più distruttrice d’Europa” già nel “Viaggio in Italia” di Piovene del 1957, la penisola calabrese si è da allora specialmente distinta. La campagna in Calabria sarebbe, come altrove, un bene inestimabile, una miniera a cielo aperto, nel boom ormai inarrestabile dell’agro-alimentare, nella nuova coscienza e scienza del vivere sano. Non lo è, per la lontananza dai mercati, per la scarsezza dei capitali, ma soprattutto pesa, per deficienza, l’endurance, la resilienza. La resistenza e la costanza – capire adattarsi e insistere: il “tutto subito” non fa futuro.    
 
Mafia megafoni istituzionali
Scandalo al convegno romano degli editori di libri (Aie) e giornali (Fieg) “La pirateria nel mondo del libro”: è la Calabria che ruba i libri - la regione dove, dopo la Sardegna, si legge meno in Italia. Il generale Nisi della Guardia di Finanza annuncia la conclusione di una “operazione speciale” Ghost Book, con l’arresto di tre persone, a Roma, e il sequestro di beni per 1,5 milioni: “Una organizzazione”, dicono i giornali, “con base in Calabria” che produce e vende “materiale contraffatto”. Anche qualche libro, di “Elena Ferrante”, Rodari o Fabio Volo.
Il convegno ha accertato 322 mila atti di pirateria al giorno nel 2020, con un danno per gli editori di 1,88 miliardi di fatturato, e un mancato gettito fiscale di 322 milioni. Ma se non c’è profumo di mafia (Calabria questo vuole dire) non c’è reato.
Analogamente per l’ecobonus al 110 per cento. Non ci sono statistiche degli abusi – che pure ci sono (ci sono ma non si danno: sono marginali?). Abusi però si paventano, e va bene, vigilare è ottimo. Ma solo per un “cartello delle mafie”. Un cartello”, niente di meno: la teoria del monopolio fatta propria dai capicosca e ‘ndranghetisti, super, ipercapaci. Ma dove, ma come? “Lo schema delle cosche prevede la creazione di finte società edilizie. Con l’aiuto di professionisti e funzionari pubblici”. Come in un qualsiasi falso appalto?
Il governo non vuole rinnovare il superbonus, e va bene. Ritiene il superbonus uno spreco e un malaffare - mentre il reddito di cittadinanza no - e va bene. Ma perché dirlo mafioso, basta toglierlo. Il governo non è il megafono delle mafie. Come non lo sono i Carabinieri, e nemmeno la Guardia di Finanza.
 
Sicilia
Nell’ultimo “A Sud” chiedevamo: che si sarebbe detto se fosse stata la Sicilia, e non l’Emilia-Romagna, a destinare i 20 milioni del Pnrr per i borghi, senza un bando, senza una selezione o qualcosa di simile, a due minifrazioni spopolate di montagna per crearvi studi cinematografici e una scuola per scalpellini? Il “Corriere della sera” aveva pronta la risposta il giorno dopo: “In Sicilia i 20 milioni sono stati assegnati, senza un bando, senza una selezione o qualcosa di simile, al borgo di Cunziria, Comune di Vizzini”. Su pronta segnalazione dalla Sicilia.
 
Molti grandi catanesi sono di fuori città, anche di fuori provincia: di Vizzini (Verga), Mineo (Capuana, Bonaviri), Pachino (Brancati), Lentini (il barone Sgalambro) – sulla traccia naturalmente di Iacopo da Lentini, “il notaro” poeta, padre del sonetto). Il campanilismo non si esercita tra congiunti? O forse non è siciliano - non si esercita più nemeno tra Catania e Palermo.
De Roberto, dei nobili catanesi Asmundo per parte di madre, era nato a Napoli: si fece catanese ai dieci anni, alla morte del padre, ufficiale borbonico.
 
Il presidente Mattarella smobilita alla fine del mandato. Poi, richiamato a furor di popolo, ritorna al Quirinale. Per restarci, ovvio, il primo presidente che farà due mandati di seguito. Ma senza più un rapporto di fiducia o riconoscenza con Draghi, che gli aveva consentito di terminare in bellezza il mandato, e anche la legislatura, obiettivamente difficile da gestire con un Parlamento frammentato. Ma non sarà, non è, più come prima. Perché Draghi, fra il trasloco e il rientro dal Quirinale, si era candidato al posto suo: il proposito siciliano, anche il più ferreo, va interpretato.
 
In “Nero su nero” Sciascia racconta di una “signora Goetze”, tedesca, madre di sette figli, che in vacanza in Sicilia, a 48 anni, si risveglia all’amore. “Con un signore siciliano”, col permesso del marito entusiasta, per due notti consecutive, e dopo di allora è felice: “La Sicilia fece di me una dea”. La grottesca vicenda indispettisce Sciascia: “Il signore siciliano di belle maniere” dice “di bocca buona” – la donna “non ha nemmeno la statura delle donne del Nord, che è per un meridionale attrattiva irresistibile. E ha il naso a patata”. E immagina “il racconto che quel signore farà per tutta la vita della sua avventura” nel solito circolo dei notabili, trasfigurando la donna, “giovane, alta, di un biondo straordinanrio”, con un marito cornuto - “questo gran cornuto è venuto a ringraziarmi”.
Sciascia è insensibile al grottesco della vicenda per essere sempre arcigno con “i siciliani”.
 
Anche Camilleri fa parlare i suoi siciliani come al circolo dei notabili – che nonn esiste più da molto tempo, e comunque non parlava come nei racconti. Ma per divertimento, degli stessi notabili.
 
Leoluca Orlando lascia Palermo, dopo un quarantennio di controllo politico, come sindaco cinque volte e come politico di riferimento, con un debito record. Che lo costringe, per evitare il fallimento giudiziario, con l’aiuto straordinario del governo nazionale, a più che raddoppiare l’addizionale Irpef comunale: al 17,7 per mille quest’anno, a l19,8 nel 2023 - più del doppio del tetto massimo dell’8 per mille previsto dalla legge.
  
Dimenticato fra i tanti (il Millennio purtroppo non ricorda più nulla, solo le ricorrenze che gli vengono imposte dalle campagne pubblicitarie) Antonio Veneziano, che pure è personaggio avventuroso: cinquant’anni visse a Palermo nel secondo Cinquecento, tra poesie, in dialetto per lo più, donne, e libelli contro il governo, che lo portarono a morire in carcere. A Palermo e anche in Algeri, dove fu in prigionia con Cervantes, che gli fu amico. Cervantes gli ha dedicato un’epistola in dodici ottave – di cui recupererà settanta versi nella commedia “El trato de Argel”, il patto di Algeri – e ne ha fatto un personaggio del racconto “L’amante liberale”, il prigioniero siciliano che magnifica la bellezza della sua donna in “versi sublimi”.
 
Si ricorda volentieri la frase di Goethe all’imbarco da Messina per tornare sul continente: “Non si può avere la più pallida idea dell'Italia se non si è vista la Sicilia: qui è la chiave di tutto”. Intendeva dire di storia e di bellezze, monumentali e naturali. Ma, certo, tutto è tutto. Il siciliano volentieri ci vede il peggio - non soltanto il pessimista Sciascia.

leuzzi@antiit.eu


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