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Diderot critico disappetente
L’originale
accompagna la traduzione, con un apparato critico molto esteso, e una
lunghissima presentazione: i nove saloni coperti dal critico Diderot, dal 1759
al 1781, coprono un quato del testo, poco più. Di cui nulla resta di memorabile
– a parte, nell’ultimo saggio, da critico già in età e deluso, l’individuazione
del debuttante David, col “Belisario”: “Lo vedo ogni giorno e mi sembra sempre
di vederlo per la prima volta”.
Diderot
amava la pittura e amava la società. Ma fece il critico d’arte per la pagnotta,
recensendo anonimo la mostra periodica a Parigi dei nuovi artisti, dapprima
ogni paio d’anni, poi a caso. Per la “Correspondance littéraire, philosophique
et critique” di Friedrich Melchior von Grimm, che si forniva agli abbonati,
eletti e pochi, manoscritta per evitare la censura.
Sono
scritti che Diderot volle anonimi, per non offendere la sensibilità degli
espositori, che comunque avevano faticato. Testi ritenuti all’origine della
critica d’arte. Ma non per altro memorabili, a parte uno o due aneddoti
diderotiani, piccanti – l’erezione incontrollabile di Diderot nudo modello per
un ritratto della “capricciosa artista prussiana” madame Therbouche, donna “non
molto giovane, nè carina”, che voleva sdebitarsi di una recensione favorevole.
O la censura di Boucher, che per “L’odalisca” aveva “prostituito” la moglie,
dipingendola nuda. O dell’amato Greuze sottintendendo che anche la moglie (di
Greuze) era stata da lui (Diderot) amata – ma in passato, ora “la tinta
giallastra e la mollezza sono della signora”. Materialista e edonista,
rifiuta la pittura libertina dei Boucher, Baudouin, Fragonard ("Mi sembra
di aver visto abbastanza tette e culi"),
Un catalogo anche utile,
ma non di più. Diderot censura la licenziosità camuffata da mitologia
neopagana, perché vi scorge gli eccessi di una civiltà distrugge il desiderio
banalizzandone il mistero in cliché.
Una maniera - “Dove mai si sono visti pastori vestiti con tanto lusso ed
eleganza?” E si fa paladino della naturalezza – specie nella prolissa
trattazione di Vernet, il pittore delle marine. Salvo aggiungere: “L’imitazione
rigorosa della natura renderà l’arte povera, misera, meschina”.
Scritti umorevoli, che riletti
adesso risultano avariati, tipo quelli in cui all'arte assegna il compito di
creare una nuova religione civile sulle macerie morali del cigolante Ancien Régime.
Sono anche le tare dei suoi “drammi borghesi”, congegnati per rinnovare il
teatro . malgrado il paradossale “Paradosso dell’attore”. E se Diderot
fosse, fosse stato, un battutista? Naturalmente no. Forse è la critica d’arte
un genere di poco fondo . si vedano oggi gli stucchevoli diluiti chiacchiericci
attorno alla Biennale di Venezia – il cui tema peraltro è il “postumano”, di
che épater tutti i borghesi.
A
cura di Maddalena Mazzocut-Mis e Massimo Modica.
Denis
Diderot, I Salons, Bompiani, pp. 1980, ril. € 70
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