Niente manca, e gli
aumenti tarrifari attesi, per la guerra in Centro Europa, non si sono ancora
materializzati, ma sono da tempo ormai presentati e fatti scontare ai
consumatori. Dall’impennata fantastilionaria di mezzo euro al litro di benzina
due mesi fa, agli aumenti generalizzati, su tutti i prodotti, energetici come
alimentari, e sui beni strumentali, la guerra viene fatta pesare con un aumento
esorbitante di prezzi e tariffe. Si dice che l’economia sconta (si paga in anticipo, cioè), future ristrettezze, ma la
verità di fatto è che la speculazione anticipa i rincari, e li rende irreversibili.
Senza una ragione economica, se non il guadagno degli intermediari.
Costano subito il
triplo concimi e antiparassitari in agricoltura, di cui poco o niente viene
fornito dai paesi in guerra. Si diradano o si interrompono produzione di beni
strumentali, per esempio di contenitori in vetro, per “mancanza di materia
prima” – che per il vetro è il volgare silicio, sabbia. La prospettiva per l’Europa
è che, continuando la guerra, il suo sistema dei prezzi sia effettivamente
esposto a situazioni di carenza o di rincari, anche perché l’Europa è impegnata
in una serie di sanzioni che, a differenza per esempio degli Stati Uniti, colpiscono
la sua propria attività produttiva. Il mercato opera come se quella prospettiva fosse
già in atto.
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