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Ingiusta giustizia
Un finale col
botto. Della giustizia doppiamente ingiusta: nel carcere dantesco e – senza
nulla rivelare – dei Procuratori della Repubblica. Un atto d’accusa non detto ,
quest’ultimo, ma cattivissimo.
Una serie seria,
si direbbe senza gioco di parole. Giocata su due problemi filosofici: se si può
fare il male, per esempio uccidere, a fin di bene, e la sorveglianza continua, sistematica,
permanente di Foucault, a cui secondo Foucault tutti i poteri tendono. Anzi
tre, e il terzo è perfino violento: l’ingiustizia della giustizia. Impersonata
da una Bonaiuto proterva. Mentre il “re del carcere” Zingaretti finalmente acquista
un’altra personalità, liberandosi di Montalbano.
Una serie che si lasciava presagire come
una story del carcere di Santa Maria Capua Vetere, di abusi, ed è invece una
denuncia dura, afflittiva, di ogni sorta di abuso della legge: il carcere-stia,
da esercizio di sopravvivenza, e i giudici superficiali, cattivi, ricchi,
distanti, soddisfatti. Opera non si sa se più di Gagliardi, già ferrato in
materia di manette, con le serie sugli anni di “Mani Pulite”, o dei soggettisti
e sceneggiatori Stefano Bises e Beppe Fiore. Ma di spessore, oltre che di sapienza
scenica.
Una serie coraggiosa anche. In Italia
anzi temeraria – non vedremo gli autori presto in carcere? Di che alimentare i
referendum. Anche se il causidico dottor Amato, “quesiti scritti male”, ha cassato
quello a questo punto più popolare, la responsabilità dei Procuratori della
Repubblica. Pensare, la Corte Costituzionale che dice che lo Stato paga i danni
nel caso di un giudizio errato, ma nessuno paga per le false-furbe lunghissime
condanne a mezzo stampa che le Procure della Repubblica possono infliggere per
anni e decenni, con pseudo indagini interminabili, per distruggere nemici e
concorrenti - e più distruggono meglio fanno carriera. Ci vorrebbe più di una
miniserie.
Giuseppe Gagliardi, Il Re, Sky Cinema
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