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La bellezza e la voglia di morte
“Suono e senso”, nota Seamus Heaney in una nota
che introduce alla raccolta, era il proprio di Sylvia Plath, la sua ricerca poetica.
Ricercatrice di effetti musicali dapprima. Nel primo “Suicidio”, a Egg Rock, ha
sette “a” di fila – “salt flats,\ Gas thanks, factory stacks – that landscape…”
– John Frederick Nims ne analizza in dettaglio le tecniche. Ma presto
risucchiata nell’esperienza non felice, comunque insoddisfatta, di vita, nel
rimuginio. Suicida forse per una delusione d’amore. Di sicuro per una tendenza
già manifesta.
Sotto l’icona femminista – che probabilmente non
le avrebbe fatto piacere - un’opera, una poesia, inevitabilmente segnata dalla
fine. Dal suicidio a 31 anni, nel 1963. Felicemente passata da Boston a Londra,
sposata con un poeta, il “poeta laureato” inglese Ted Hughes, madre di due figli.
La vicenda personale, compresa l’avvenenza,
segna l’opera, peraltro non profusa: quando Sylvia muore ha solo quattro o
cinque di vita attiva, di creazione poetica e narrativa. Robert Lowell la incontra
nel 1959 a un corso di poesia a Boston. L’anno dopo si pubblica la sua prima
raccolta di versi, “The Colossus”. Un’altra segue a ruota, “Papaveri a luglio” –
tre raccolte si pubblicheranno postume, la prima a opera del marito, Ted Hugues:
“Ariel”, “Alberi invernali”, “Attraversando l’acqua”. L’11 febbraio del 1963 Sylvia
si uccideva. Lei stessa racconta ne “La campagna di vetro” di avere scritto
“pagine e pagine di sonetti e villanelle in un semestre, per un solo
corso”. Studiosa, tuttavia, e studiata.
Nella prima raccolta, “Il colosso”, più che nelle ultime.
Prima lieve, poi incerta, infine
“confessionale”, quasi un’autoanalisi, della ritornante voglia di morire. Senza
colpa, la retrospettiva che Sylvia si fa delle voglie di suicidio si segnala per
la mancanza di colpe o cause, o di sensi di colpa.
Con l’originale a fronte e molti materiali, un’edizione
curata da Anna Ravano.
Sylvia Plath, Tutte le poesie, Oscar, pp.
898 € 24
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